Black
& White
«Per
gli occhi di un bambino è bianco o è nero, il resto sono colori.
E il rosso è solo uno dei
tanti.
»
Ondeggia. Lento,
denso, si interrompe solo al colpo secco del ghiaccio contro il
vetro.
Un bicchiere di
rum.
Se quella fosse
una serata come tante l’unica cosa che quello sguardo coglierebbe sarebbe
l’acido color arancio, seguito subito dopo dal pesante olezzo di alcolico.
L’irrilevante, quanto poco evidente, problema era che quella, semplicemente, non
era una notte come le altre. Del resto solo affacciando, per il tempo di un
respiro, il naso in quell’atmosfera sarebbe chiaro che qualcosa in quella vita
sta miseramente crollando.
Un appartamento
che puzza di alcol e vago pulsare di disperazione, peccato che in realtà
entrando in quella casa il profumo che si sente è quello dolcemente pungente
della cannella.
Chissà perché
poi proprio la cannella, una spezia così dannatamente portata ad accompagnare i
dolci, quasi fosse l’ironico sorriso rivolto ad una storia persa in
partenza.
Nemmeno si
prende la briga di accostarlo alle labbra quel bicchiere, quasi l’unico scopo in
quel momento sia contenere l’ondeggiare del liquore, che continua, imperterrito,
ultimo spiraglio di quello che quasi potrebbe sembrare un hobby, e fa male. Il
sordo dolore di una consapevolezza che ad ogni spiraglio di luce riflessa si fa
sempre più chiara.
Non è l’alcol
l’anestetico quella sera, nel buio interrotto della stanza l’unico punto di luce
stabile sembra essere il tenue bruciare della sigaretta.
Una boccata,
forse due, o molto probabilmente il conto si è perso ancora prima di cominciare.
Una bionda o dieci avrebbero veramente una minima importanza al momento?
Non si prende
neanche la briga di rispondersi, in fondo lo sa già. Sa perfettamente che la
cappa di tabacco che lo avvolge come una coperta amorevolmente altro non è che
una protezione, un blando offuscarsi dei sensi, per non sentire, non vedere, non
pensare, non ricordare.
E forse appare
quasi assurdo che ogni singolo dettaglio della casa, per quanto distorto dal
fumo o dai riflessi amari del bicchiere di rum, sembri quasi pulsare di ricordi.
Quasi la casa avesse voce, pungente e sarcastica, che si diverte sadicamente a
raccontare tutto quello che è successo dentro e fuori quelle
mura.
Patetico.
Avvicina la
sigaretta alle labbra, il permeare del sapore di tabacco sulla punta della
lingua, e come in un gesto meccanico i suoi occhi azzurri seguono il fumo che
viene espirato con lentezza. Ma è attraverso il denso arancio del rum che lo
intravede.
Un’illusione?
E
inconsapevolmente direbbe pure di si, pronunciandolo con labbra secche che
nonostante tutto si rifiutano di trovare piacere nell’alcolico che ondeggia
proprio a pochi centimetri da loro, mentre invece si ritrova costretto a
constatare che i suoi sensi sono ancora tutti lì, non persi in una qualche
stupida allucinazione, perché la musica torna a farsi sentire, quasi un fantasma
che si manifesta all’improvviso nonostante fosse presente fin dall’inizio. E
nemmeno ricordava di averla accesa la radio.
Ma i suoi occhi
sono presi da ben altro, un’ombra, soltanto un’ombra, che, contaminata da una
memoria soffocata assume fattezze fin troppo familiari , una figura che al
momento forse preferirebbe avere la forza di maledire.
Maledire?
Avrebbe dovuto farlo fin dall’inizio, dal loro dannato primo incontro, avrebbe
dovuto lasciarlo morire su quella strada macchiata di rosso. E c’era quasi da
riderci ora a pensare che, al tempo, aveva avuto un simile potere e nemmeno per
un attimo l’aveva preso in considerazione seriamente.
Patetico.
Soprattutto
perché non riusciva a pensare certe imprecazioni, non riusciva nemmeno a fingere
di crederci veramente. Perché lo sa
in fondo, nemmeno per un attimo riuscirebbero a nascondere il masochistico senso
di colpa che l’ha placidamente spinto fino a quel punto, quasi fosse naturale.
Ed è la musica a ricordarglielo, il passato, il futuro, e se lo vede lì di fronte ai
suoi occhi, è lui a pronunciare le parole, è lui a cantarle con un falso sorriso
a piegargli le labbra.
“Remember when we used to play?”
Era
un cortile, un vecchio cortile poco lontano dalle case, un luogo sicuro in cui
giocare, vicino eppure abbastanza lontano da far assaporare il frizzare di una
vaga indipendenza. Era lì che ogni volta si incontravano, era lì che ridevano e
giocavano, era solo lì che si permettevano di essere bambini, senza
pensieri.
Erano
lì quel giorno, con il vecchio pozzo a fare da testimone sulle loro parole,
testimone di quel ricordo, di tutti i loro ricordi in
fondo.
Se
fosse chiesto a lui un giorno di raccontare la storia di quei due bambini, di
raccontare l’evento che avrebbe distrutto il fragile vetro che racchiudeva la
loro infanzia, non c’era alcun dubbio che avrebbe iniziando schiarendosi la voce
con un rauco colpo di tosse, proprio come un vecchio che ha visto veramente
troppo per non essere creduto pazzo. Ma non era quello il giorno, e non era
quello il ricordo.
Correva
urlando a gran voce cinto in un giubbetto bianco, forse anche un po’ troppo
grande per lui, e in fondo rideva, rideva di quella neve ancora inviolata in cui
si mimetizzava facilmente. Era un sorriso sinceramente innocente, sinceramente
felice.
Fu un semplice sospiro, sfuggito a labbra sigillate in disappunto,
quando gli occhi grigi che lo seguivano dal momento in cui avevano messo piede
in quel giardino, lo videro cadere sollevando la neve ancora fresca. Non disse
altro il nero, silenziosamente mimetizzato con il tronco bruciato su cui sedeva,
e cosa poteva dire in fondo che il biondino non avesse già sentito centinaia di
altre volte uscire dalla sua bocca?
Uno
euforico, l’altro flebilmente apatico, uno cinto nel bianco, l’altro racchiuso
nel nero; erano diversi, così ridicolmente diversi che anche i loro inutili
giubbetti non perdevano occasione di ricordarglielo.
Eppure
c’era un qualche assurdo dettaglio, qualche insignificante dettaglio a tenerli
uniti con un filo pronto a spezzarsi da un momento all’altro, debole che una
semplice parola poteva già farlo vibrare, e forse era solo il punto di vista di
un bambino a non vedere il negativo ma il positivo in quel fragile legame.
Racchiuso
nei pensieri, nel silenzio di una possibile riflessione, gli occhi grigi fissi
ora sulla neve, la figura rannicchiata del bambino poteva quasi ispirare
tenerezza, a patto ovviamente che a guardarlo fossero gli occhi di un adulto dal
cuore inaspettatamente tenero e non gli azzurri occhi del “compagno di giochi”.
Per lui era solo un’ottima occasione da non perdere.
Non
si accorse nemmeno di quell’improvviso silenzio il moro, troppo impegnato a
constatate con mano quanto il suo giubbino nero si mimetizzasse con quel vecchio
tronco bruciato per prendersi la briga di controllare come mai le risate e gli
schiamazzi del suo compagno di giochi fossero improvvisamente cessate. Fu il
colpo a risvegliarlo.
Freddo e secco.
Colpito alla testa, o come i suoi
genitori amavano definirla una morte sicura. E forse fu per questo che la figura
del biondino si fermò proprio di fronte a lui, fissandolo con occhi azzurri che
sembravano quasi brillare.
-Sei morto.-
Due
semplici parole, nient’altro. Spiegavano molto semplicemente il concetto.
Eppure il silenzio che seguì quelle parole fu per il biondo conferma
sufficiente che il suo compagno di giochi non aveva capito, solo così poteva
interpretare gli occhi grigi che lo guardavano quasi con
freddezza.
-Ti
ho colpito.- un tono petulante, quasi scocciato dalla ripetizione –Sei
morto.-
Un
semplice istante, una sola spinta.
Il bianco bloccato a terra dal peso del
nero, un indice puntato a livello del cuore mentre insieme al pollice formava
l’infantile simbolo di una pistola.
I loro occhi si incontrarono, i loro
respiri riempirono l’aria spezzando quel pesante silenzio martoriato altrimenti
dal fragile rumore della neve ripiegata sotto il loro peso. Stupore, sorpresa,
non c’era paura nello sguardo del biondo, una fiducia quasi innaturale se
rivolta all’altro, eppure era lì immobile, statuaria, così forte che l’altro fu
costretto a chiudere gli occhi per un breve istante pur di
sopportarla.
-Tu
sei morto.-
Una
fredda affermazione, sottolineata da una pressione più marcata dell’indice. E
gli occhi grigi si ritrovarono ad osservarla quella falsa pistola puntata al
cuore.
Il
cuore, la morte pericolosa, una morte riservata a pochi, una di quelle per cui
non vale la pena rischiare. Perché il cuore è piccolo in fondo, nascosto in un
petto troppo grande per darti la certezza di colpirlo ogni
volta.
Fu
la mano dell’altro a riscuoterlo, bianca e assurdamente calda per qualcuno che
gioca tra la neve da almeno un’ora. La presa era salda, forse molto più della
sua.
-Dovrai
colpirmi qui.- tono sicuro, sorriso sulle labbra. Un’affermazione troppo
enigmatica per non ricevere quasi necessariamente uno sguardo
dubbioso.
-Quando
dovrò morire, è qui che dovrai colpirmi.- e fu la sua stessa mano a spingere
ancora di più quell’indice sul giubbetto bianco. –Sarai tu a farlo...-
Una
richiesta, un’assurda promessa, un legame a cui non poté sottrarsi. Fu un
semplice annuire, un patto firmato in silenzio, con un'unica traccia lasciata
alle spalle. Una macchia rossastra, lì dove la canna di quell’immaginaria
pistola si era posata, dove neri guanti sporchi del terriccio rimasto sul tronco
si erano fermati.
Una
macchia rossa al livello del cuore.
Una
morte per pochi.
“Bang
Bang”
Doloroso.
Fu
doloroso riaprire gli occhi con quelle parole, quei due suoni che ancora
raschiavano il silenzio ovattato della stanza.
Nessuna
illusione a cantare ricordi invecchiati, niente candido parchetto imbiancato di
neve, niente di niente. Solo un bicchiere rum e una sigaretta accesa a pendere
dalle labbra.
Un peso, una sensazione soffocante, opprimente, premeva sul
petto peggio di un macigno, una scelta soltanto, un’unica possibilità, l’ultima
occasione che gli veniva concessa. Erano soltanto due parole in fondo.
E non erano
lacrime quelle a solcargli il viso al solo pensiero.
C’era solo
troppo tabacco a pizzicare nell’aria.
Note
d’autrice:
Ed eccoci qua,
il secondo fiocchetto di neve... oddio è orribile.
Prima di partire
con le mie paranoie ci tengo a ringraziare Slits e new_fracysmile_live per il
loro commento al primo fiocco, grazie davvero! Un ulteriore ringraziamento alla Slits
per aver fatto da beta a questa storia, grazie cara sarei perduta senza il tuo
sostegno!
E ora torniamo a
noi...
Non ho molto da
dire su questa shot, penso parli da sé, anche se l’immagine che ne esce può
risultare confusa. Ci tengo a specificare che è una cosa volontaria, ulteriori
chiarimenti rovinerebbero a mio parere, senza contare che finirei col raccontare
troppo.
Ma come sempre
mi rimetto al vostro giudizio. Critiche e commenti sono sempre ben accetti,
anche domande se ne avete... contattatemi pure, cercherò di alzarmi dal letargo
e rispondere.
Grazie in anticipo a tutti coloro che passeranno di qua.
Grazie davvero a
tutti.