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Autore: araya    16/05/2010    1 recensioni
Questa FF ha partecipato al Contest "Gironi e Citazioni" indetto da Kiki e Red Diablo. "Ognuno di noi ha una ferita che non vuole mostrare alla persona che ama". Sono passati esattamente cinque anni dal giorno in cui Haku incontrò il suo salvatore. Non è ancora riuscito a diventare ciò che, da allora, ha sempre voluto essere: un'arma perfetta nelle mani del suo Sensei. L'eredità di un nemico ucciso diventerà la protezione contro i sentimenti che tanto lo rendono umano.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Haku, Zabuza Momochi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pioggia e Maschere
Salve a tutti! Questa FF è stato un esperimento, la citazione ( pronunciata da Haku, alla fine) mi ha messa in crisi per un lunghissimo periodo... poi la folgorazione. In qualche giorno l'avevo ultimata ed inviata.
Ringrazio le giudici per i commenti e tutte le altre partecipanti che hanno prodotto storie molto migliori delle mie e che vi invito ad andare a leggere.
Ora vi lascerei alla lettura. ^.^


Pioggia e Maschere



Per tutta la giornata dal cielo era caduta una pioggerellina fine, fastidiosa come migliaia di minuscoli aghi che ti infilzavano il corpo senza sosta; il suo Sensei però non vi badava, e altrettanto cercava di fare lui stesso.
Ma quel giorno era difficile.
Al mattino si era svegliato presto e aveva trovato ad attenderlo quel cielo grigio, carico di nuvole pallide portatrici di pioggia e neve.
Lo stesso cielo della sua terra.
Lo stesso cielo di casa sua.
Erano passati esattamente cinque anni da quel giorno, credeva di essere riuscito a superarlo, credeva di essersi lasciato alle spalle la sua vita passata...
Eppure per quanto si sforzasse, per quanto si impegnasse a diventare un'arma fedele solo al suo padrone, ogni anno quello stesso giorno le lacrime premevano per uscire.
Il Sensei aveva preparato un'imboscata per quella notte, un ricco mercante voleva sbarazzarsi della concorrenza e aveva richiesto i servigi del maestro; ci appostammo tra la fitta boscaglia tipica di Kusa, aspettando che la carovana passasse per il sentiero in mezzo alla macchia.
L'acquazzone si era estinto e al suo posto ora vi era una nebbiolina leggera, l'umidità impregnava ogni cosa, rendeva ovattato lo stridio del filo della Taglia Teste contro la pietra ed esaltava gli odori del sottobosco.
Una nuova fitta di nostalgia e tristezza mi attanagliò lo spirito, quella notte le fiaccole accese erano spuntate proprio da una caligine come quella...
Li udimmo molto prima di riuscire a scorgerli, ma a giudicare dal tintinnio metallico che sentimmo, quelli non erano mercanti sprovveduti come ci avevano fatto credere.
Con calma il Sensei si preparò allo sconto, accarezzò la propria spada in un gesto di totale fiducia, probabilmente era più legato a quella splendida arma più che a chiunque altro nella sua vita.
Quando riuscimmo a vederli non riuscii a trattenere un sospiro di rassegnazione; il mercante aveva scelto una scorta molto preparata: erano più di una dozzina di samurai d'alto livello, abili con le loro lame splendenti e riparati dalle loro armature laccate.
Al mio fianco, ansioso di scontrarsi con nemici tali, il Sensei sghignazzò.         
Io sopportavo queste stragi solo grazie a lui, alla forza che riuscivo a trovare proteggendolo e vivendogli accanto, mi bastava questo per eliminare chiunque osasse minacciare Zabuza, ma non bastava per mettere a tacere il senso di colpa che mi tormentava sempre dopo uno scontro.
Sfruttando la scarsa visibilità e grazie alla Tecnica dell'Omicidio Silenzioso, il Sensei riuscì ad uccidere i primi due samurai; sfortunatamente il rumore dei loro corpi crollati a terra mise in allerta gli altri, che si affrettarono a contrattaccare.
Senza indugiare calai sul guerriero più vicino cercando di trafiggerlo alla carotide scoperta con una lama di ghiaccio; lo lasciai riverso a terra in una pozza di sangue lucido per dirigermi velocemente verso i due che avevano il compito di proteggere il mercante. Il mulo che trainava il convoglio si spaventò ancor di più quando uno schizzo vermiglio gli sporcò il muso grigio.
Mi ritrovai accerchiato da tre di loro, le spalle contro il legno umido della portantina. Mi accorsi che tutti i samurai avevano il volto celato da una maschera in porcellana e tenevano alte fiaccole accese, in un vano tentativo di illuminare il campo di battaglia. Non gli sarebbero servite ancora per molto.
Non so cosa mi successe; mi ero già trovato in situazioni simili, accerchiato e senza altra scelta se non quella di ammazzare per non lasciare solo il mio Sensei. Ma quella notte l’autoconvinzione mentale con cui superavo quei momenti non arrivò in aiuto del mio spirito.
La vista di uomini armati, pronti ad uccidere in un ambiente tanto simile a quello che sarebbe stato la mia casa se non avessi avuto questa maledetta abilità...
Il terzetto di samurai venne trafitto da lunghe aste di ghiaccio, le katane tintinnarono quando caddero a terra insieme alle torce e il sangue colava veloce dalle ferite, scivolando sul ghiaccio più resistente del metallo.
Li avevo ammazzati tutti senza pensarci, in un puro istinto omicida. Avevo chiuso gli occhi e un attimo dopo ecco tre uomini impalati davanti a me, esattamente come quella notte.
Avevo perso il controllo. Avevo abbandonato il mio corpo per lasciarlo in mano ad un boia senza sentenza, ero diventato cieco proprio come gli animali che avevano ucciso la mamma.      
Ero paralizzato, lo sguardo vuoto perso nei ricordi più dolorosi della mia breve vita, non avvertii le lacrime che scivolavano lente e impietose sulla pelle chiara delle guance, non mi resi conto che dietro di me il mercante e le sue figlie tremavano di terrore dentro la portantina, in attesa di scoprire cosa ne sarebbe stato di loro.
Fortunatamente per me, il Sensei finì il lavoro senza accorgersi del mio stato.
"Prendi tutto quello che puoi Haku, quel bastardo non ci ha pagato per uccidere una dozzina di samurai, ma un unico uomo."
L'ordine del mio padrone mi fece ritornare alla realtà, rimisi a fuoco il mondo intorno a me e finalmente mi accorsi del sale sul viso. Il mio viso...
Quello che doveva essere il capo dei guerrieri defunti, a giudicare dalla sua armatura cesellata, aveva il volto scoperto, vulnerabile; la maschera che portava era caduta in terra a causa del contraccolpo subito dalle mie lame.
La raccolsi in un gesto meccanico, la osservai nella sua bellissima semplicità, il motivo rosso spiccava contro il candore della ceramica, e decisi.
"Perché quella?"
Mi voltai verso il mio maestro, l'uomo che mi salvò quasi cinque anni prima, e le lacrime ripresero a sgorgare dai miei occhi lucidi.
Ripensai alla decisione presa poco prima, coprirmi il viso significava creare una barriera tra me e il mondo, avere la libertà di provare ogni emozione senza timore alcuno, nascondere le proprie paure... il proprio passato. Divenire finalmente un'arma perfetta.
"Ciascuno di noi ha una ferita che non vuole mostrare alla persona che ama"
Il Sensei non disse nulla, si limitò ad issarsi in spalla il fagotto contenente il bottino e a prendere la via del ritorno.
Osservai per l'ultima volta i corpi degli uomini impalati, avvertendo una nuova ondata di gelo all'anima, prima di seguire il maestro lungo il sentiero.
"Basta che non perdi te stesso, Haku."
La nebbia iniziava a diradarsi mentre il sole sorgeva dietro gli alberi verdi, segnando l'inizio di un nuovo giorno.    



Fine.





Non sono pienamente soddisfatta di quasta fic, la reputo uno dei miei lampi d'ispirazione meglio riusciti ma comunque la sento incompleta... Non l'ho voluta modificare ora, so che non farei altro che peggiorarla, eppure un giorno sono sicura che la riprenderò in mano. Non so quando, ma lo farò.
Ringrazio ancora le giudici e chiunque recensisca, preferisca o semplicemente passi di qua.


   
 
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