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Autore: Alexis_edina    16/05/2010    1 recensioni
Apro la porta trovandomi davanti a mio padre “cosa ci fai qua? Non dovresti trovarti alla gara?” dice confuso e arrabbiato che fossi in ritardo. Sento le lacrime agli occhi e so che questa volta non riuscirò a fermarle, non può essere! È destino! Avrei dovuto continuare a seguire quella vita di torture! “tu cosa ci fai qua!?” urlo furibonda senza preoccuparmi del suo sguardo adirato per il fatto che mi fossi rivolta a lui in quel modo “come ti permetti di rivolgerti così a tuo padre!” urla con gli occhi fuori dalle orbite, ho sempre avuto paura di mio padre quando è così arrabbiato, ma questa volta sono troppo furiosa e delusa, voglio fuggire da questa vita e formarmene una nuova. Con nuove persone, con nuovi genitori, con uno sport che piacesse a me, magari anche con degli amici...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quante volte avevo pensato “adesso scappo di casa! Prendo uno zaino e me ne vado!”: 52 volte. Quante volte l’avevo fatto o, almeno, provato a fare: 0. Eppure eccomi qua con uno zaino aperto, posato sul letto e le mie mani che infilano a macchinetta vestiti e tante altre cose senza neanche pensare se mi serviranno o meno.

Chiudo lo zaino con forza, passo per il salotto dove ritrovo quel foglio con la scrittura di mia madre, lo rileggo un'altra volta tanto per aizzare ancora di più la mia rabbia. ‘stasera tuo padre ed io abbiamo una cena di lavoro e non potremmo venire alla tua gara, vinci per noi!’ lo accartoccio rabbiosa, poi lo riapro cominciando a strapparlo in mille piccoli invisibili pezzettini. E li faccio volare per aria come fossero neve “vinci per noi! Statene certi vi faccio vedere io come vinco” urlo furibonda mentre mi dirigo verso la porta della libertà.

Anni di allenamenti, anni di sgridate da parte degli insegnanti e dai genitori, per ‘spronarla’ a fare meglio. Storte alle caviglie, bracci rotti a causa della sua poca attenzione, non a causa della sua stanchezza, no! L’attenzione quasi morbosa che non mangiasse un cioccolatino ogni tanto, non un filo d’etto in più o sarebbe stata la fine per la sua carriera da ginnasta. Allenamenti stremanti tutti i giorni avendo poco tempo per studiare e la pretensione dei genitori che andasse bene a scuola, nonostante la stanchezza la perseguitasse, dopo ore di salti, di capriole, di spaccate, di cadute, di sgridate. Doveva studiare e avere dieci in condotta o i professori sarebbero stati infelici e i genitori delusi. Anni a cercare di dare il meglio in tutto e per tutto, senza amici con cui sfogare la sua stanchezza, senza prestare attenzioni ai ragazzi come tutti a quell’età, no non aveva il tempo. E quando finalmente arrivavano le gare di ginnastica artistica dove poteva mostrare la sua bravura, dove poteva dimostrare a se stessa che nonostante le fatiche sopportate adesso i suoi sarebbero stati orgogliosi di lei e l’avrebbero lodata, ma ogni volta non c’erano, quei due posti erano sempre vuoti, sempre. Allora s’impegnava sperando che una volta tornata a casa con il premio l’avrebbero abbracciata e si sarebbero scusati per non essere stati lì. Ma ogni volta eccola là con il premio in mano, con il sorriso sulle labbra che sarebbe stato condannato a morire dopo poco, un ‘brava’ e un bacio sui capelli da parte della madre per poi continuare a fare quello che stava facendo, una pacca sulla spalla con un ‘brava’ dal padre, senza neanche guardarla in viso, troppo occupato a leggere il giornale. Si dirigeva in camera e con piccole lacrime che le spuntavano negli occhi, ma che non scendevano mai, aggiungeva quella sua vincita alla collezione delle sue perdite... quello stesso giorno c’era una gara ed era pronta ad andare entusiasta, perché quella volta i suoi ci sarebbero stati per la prima volta e avrebbero visto quanto si era impegnata in quegli anni per arrivare a quei livelli e non perdere neanche una gara! Ma quel biglietto aveva distrutto in piccole briciole, come si trovava adesso quello stesso biglietto, le sue speranze. Non c'era un minimo d'affetto, un biglietto formale, come se fosse stata una loro dipendente. Non esisteva un 'ci dispiace', non esisteva un 'ti vogliamo bene' niente solo un: ‘vinci per noi’. Erano tutte delle vincite per loro, lei si ammazzava di fatica per loro, lo aveva sempre immaginato, lei stessa voleva che notassero le sue capacità, ma il fatto che loro stessi si aspettassero questo, le aveva piantato un pugnale dritto al cuore.

Apro la porta trovandomi davanti a mio padre “cosa ci fai qua? Non dovresti trovarti alla gara?” dice confuso e arrabbiato che fossi in ritardo. Sento le lacrime agli occhi e so che questa volta non riuscirò a fermarle, non può essere! È destino! Avrei dovuto continuare a seguire quella vita di torture! “tu cosa ci fai qua!?” urlo furibonda senza preoccuparmi del suo sguardo adirato per il fatto che mi fossi rivolta a lui in quel modo “come ti permetti di rivolgerti così a tuo padre!” urla con gli occhi fuori dalle orbite, ho sempre avuto paura di mio padre quando è così arrabbiato, ma questa volta sono troppo furiosa e delusa, voglio fuggire da questa vita e formarmene una nuova. Con nuove persone, con nuovi genitori, con uno sport che piacesse a me, magari anche con degli amici... “non sei mio padre sei un mostro!” urlo quasi spuntando sentendo arrivare subito dopo uno schiaffo al viso. Sento la guancia pulsare, ma nonostante questo continuo a guardare mio padre imperterrita, con i denti digrignanti, sento un fuoco dentro alimentato da troppo tempo e con troppa legna, ormai era indomabile... doveva esaurirsi da solo, l’acqua e la schiuma non sarebbero serviti a niente. “Non guardarmi in quel modo!” grida ancora mio padre, la voce trema di rabbia, ma a me non interessa. “vai in camera tua adesso! Con tua madre discuteremo di questo tuo comportamento! Riceverai una punizione degna del tua condotta!” continua ad urlare prendendomi per un braccio e decidendo, 'lui', ancora una volta dove dovessi stare. Mi trascina nel posto in cui ho i segni della mia eterna punizione, anche se non avevo fatto mai niente di male, anche se avevo sempre cercato di dare il meglio per loro. Mi spinge in camera chiudendo subito dopo la porta a chiave. Grido di rabbia prendendo a pugni il cuscino con tutta la mia forza. Perché diavolo è tornato a casa!? Per quale dannato motivo!? Grido, grido, la gola brucia ma io continuo ad urlare ancora, ancora, ancora... mi giro verso la libreria che contiene tutti i miei grandi trofei! Con entrambe le braccia e con un'unica forza getto a terra tutti i trofei, tutte le medaglie, calpestandole, ammaccandole, staccandone pezzi del mio nome... con il fiato ansimante mi getto sul letto. Giro lo sguardo e vedo la finestra quella non è chiusa... mi rialzo aprendola, guardo giù, non era molto alto, circa un metro e mezzo. Casa nostra si trova nel centro di una piccola villa e con un piccolo salto non mi sarei fatta niente... prendo lo zaino e me lo metto sulle spalle, prendo un profondo respiro e mi arrampico sul piccolo balcone contenente piccole piante floreali ad abbellire quella casa, che una volta uscita di lì non sarebbe più stata mia. In piedi tenendomi stretta il più possibile al muro piatto dietro di me. Respiro, ancora, profondamente e salto.

La terra sembra non arrivare mai e i miei occhi non riescono ad abituarsi al buio circostante. Quando finalmente il mio salto termina, piego le gambe per attutire il colpo. Nonostante ho toccato terra anche con le mani non riesco a non perdere l’equilibrio e finire seduta a terra, fortunatamente senza dolore. Con il fiato ansimante e il cuore che batte all’impazzata... le lacrime scendono sciacquando via un peso dal mio petto, ce l’ho fatta, ho fatto come ho detto io, per una volta, sono stata io a decidere della mia vita. Asciugo le lacrime, devo andare, prima che i miei mi scoprano. Mi alzo scattando verso il cancello della villa. Con strana facilità riesco ad uscire anche dal cancello, continuo a correre svoltando ad angoli sconosciuti, corro, corro, corro...

La città fa paura di notte, nonostante l’avessi percorsa più e più volte, in un abitacolo scuro e silenzioso, chiamato automobile. In quel piccolo posto nessuno poteva toccarmi, nessuno poteva rivolgermi parola, nessuno poteva guardarmi, grazie ai vetri oscurati. Ma in questo momento sono scoperta, fuori dalle mura che possono proteggermi, completamente indifesa, per questo non riesco a fermarmi, non mi fermo nonostante comincio ad accusare la stanchezza di una corsa che sembra durare ormai da ore e senza attimi di pausa. Quando comincio a notare in lontananza delle luci, tante luci... finalmente comincia la città viva, abbandonandone quella parte ormai dormiente. Accelero la mia corsa evitando il dolore alla milza e il fiatone che ormai non riesce più a dare abbastanza ossigeno ai polmoni. Quando sono finalmente illuminata dalle luci della città cerco di ritrovare il ritmo naturale del mio cuore e del mio respiro. Giro lo sguardo, gente che esce da locali, gente che entra, gruppi di ragazzi che scherzano tra loro, ragazzi che si baciano, tutto ciò che io non ero mai riuscita ad avere. Semplici cose che tutti avevano, senza accorgersi di quanto quelle cose fossero speciali, rischiando di perderle per piccole discussioni futili. Io per gli altri avevo sempre avuto tutto essendo una ragazza ricca, ma non capivano che quelli più ricchi erano loro, con l’amore della loro famiglia anche se prendevano la sufficienza a scuola, con l’amicizia di chi avevano accanto. E non ho mai sentito il vuoto di queste piccole cose come in questo momento, trovandomi da sempre rinchiusa in una gabbia dalle mura d’oro, adesso posso decidere come voglio io, ricominciando tutto da capo, creandomi una nuova identità, ero fuggita. Ero Libera...

 

Ecco qua uno sfogo della mia mente xD una one – shot uscita così per un illuminazione avuta mentre camminavo per tornare a casa. Spero vi sia piaciuta... l’avevo già in testa da un po’ di tempo e l’avevo solo cominciata e abbandonata subito dopo nei meandri dei miei documenti quando l’ho ripescata e riletta, mi sono detta perché non continuarla vediamo cosa esce fuori... non avevo idea di come finirla, pensavo di finirla che lei ritornava a casa e faceva pace con i suoi, ma durante la stesura aveva preso una certa piega che poi mi sembrava troppo scontato farla tornare dai suoi... non so se sono riuscita in pieno a far capire cosa prova questa ragazza... è stato davvero difficile anche per me, e rileggendo certe cose mi sembrano quasi banali... la mia più grande paura è la fine, l'ho riletta e modificata centinaia di volta, ma non mi sembra mai abbastanza... giusta, non so se rendo l'idea... bah lascio i commenti a voi, recensite in tanti please!! Una cosa molto importante la frase 'una gabbia dalle mura d’oro' è stata detta da una mia amica, e ho deciso di usarla qui, naturalmente con il suo permesso =) ah un ultima cosa nella storia c'è un pezzo scritto in terza persona, è fatto apposta, per spiegare un po' perchè si trova in quella situazione. un bacio
  
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