Tutta la grande
casa era silenziosa.
L’unico rumore era il ticchettio ovattato degli orologi
sparsi in quasi ogni
stanza e che riusciva a sentire nonostante fosse in garage.
Alec era
convinto di essere solo finchè non
udì una risata in lontananza, non una qualsiasi: la sua. La
stessa risata che
aveva immaginato di sentire ogni volta che restava solo e camminava tra
la
gente, che l’aveva fatto guardare intorno attento e forse
anche speranzoso di
rivederla. Adesso lei era nella sua stanza al piano di sopra e lui era
immobile
nella calma notturna, tre piani più in basso.
Tornò
indietro a quei giorni e
quando si scosse corse più veloce che poté per
raggiungerla.
Con il
battito accelerato arrivò
sulla terrazza della camera di Irys. Piano, senza fare il minimo rumore
si
avvicinò alla porta finestra aperta sbirciando attraverso la
tenda
sottilissima, semitrasparente. Ciò che vide lo
bloccò.
La stanza
era illuminata dal chiaro
di luna ma invece di andar via restò lì, incapace
di muoversi e ancor meno di
pensare. Chiuse la mente, non poteva far altro che restare
lì nonostante non
volesse guardare. Una forza senza nome lo tratteneva e, senza tentare
di
respingerla si rese conto di ciò che aveva davanti agli
occhi. Irys era
sdraiata sul suo letto, seminuda, le braccia ai lati della testa e gli
occhi
chiusi; a volte rideva e mandava indietro la testa, esponendo la sua
gola
candida all’uomo che le stava sopra e le cingeva i polsi con
le mani. L’uomo
era a petto nudo e le baciava ogni centimetro di pelle
disponibile,
la sua pelle sembrava gesso e i lunghi capelli biondi gli
coprivano il viso . Si concentrò ancora: la risata di Irys
bassa e musicale e
il suo cuore potente che correva all’impazzata con qualcuno
che non era lui era
tutto quello che percepiva. Senza volerlo abbassò la guardia
per appena il
tempo che tre parole si formassero nella sua testa: “Chi sei,
tu?”.
La
silenziosa risposta non tardò ad
arrivare: “Sono Marius. Salve, Alec.”
In un
istante tutto apparve chiaro,
Marius inviò lampi di pensiero capaci di rispondere a tutte
le altre silenziose
domande di Alec.
Che
egoista era stato.
Aveva
pensato che Irys fosse tornata
alla villa per ritrovarlo, andando contro ogni logica e
orgoglio.
E che
illuso, perso a tal punto nei
suoi pensieri da non rendersi conto di quello che sarebbe successo di
lì a
qualche istante.
Sarebbe
dovuto andare via subito,
saltare giù dalla terrazza, sparire nella notte silenzioso e
insignificante
così com’era arrivato ma non lo fece. La forza che
lo obbligava a restare lì si
fece più intensa per un istante e Marius, aprì la
sua mente per condividere
tutto con Alec. Passione, gelosia e un senso di appartenenza che gli
impediva
di distinguere i contorni dei due corpi sul letto. Una fiamma viva, da
secoli,
alimentata da un legame che centinaia di anni prima era stato
suggellato da un
bacio eterno, immortale.
Lentamente,
con dolcezza, Marius
scostò i capelli dorati di Irys dal suo seno sinistro e
cancellando la
gentilezza di quel gesto ci affondò le zanne. Alec fu
investito da un uragano
di sensazioni, indescrivibile, che durò troppo, troppo poco.
Improvvisamente Marius
aveva chiuso la sua mente lasciando che Alec si scontrasse contro il
muro antico
e impenetrabile dei suoi pensieri: voleva rendere chiaro più
che mai il
messaggio. L’estasi che un’estate fa gli era stata
negata, questa volta gli era
stata strappata via quasi con crudeltà e prima che Irys
mordesse il polso che
Marius le stava offrendo, un sussurro raggiunse il cuore,
più che la mente di Alec:
“Lei, è mia.”
In
silenzio, respinto, balzò giù
dalla terrazza e guardò il cielo.
A
Est il cielo
cominciava
a rischiararsi.