Capitolo VI – Touch
“Ma come?! E io che
pensavo di dover assistere ad un moribondo… e invece ti trovo qui a ridere e
scherzare!”
Questo fu il commento di disappunto di Yumi, che
entrando nella stanza di Takagi, lo trovò in compagnia della Squadra dei Giovani
Detective, intenti a farsi raccontare, quasi come fosse un film d’azione, la
sparatoria del cantiere abbandonato.
Gli unici a starsene tranquilli erano Conan e Ai,
che di tanto in tanto cercavano di tranquillizzare i loro compagni, per
lasciare a Takagi un po’ di respiro.
Infatti nonostante il ragazzo si stesse rimettendo
con una velocità da record, era passata solo una settimana dall’operazione che
gli aveva salvato la vita, e la spesse fasciature che gli ricoprivano il petto
e la mano destra ne erano la prova evidente.
Ogni tanto poi, Takagi doveva interrompere il suo
racconto per riprendere fiato, quando la ferita non ancora del tutto guarita,
ricominciava a dolergli, rendendo il respiro più difficoltoso.
Yumi entrò nella stanza d’ospedale proprio durante una di queste pause forzate, e notando la stanchezza del suo collega, prese la palla al balzo e si intromise nel racconto dando dimostrazione delle sue capacità di narrazione… e della sua assurda fantasia!
Insomma alla fine della vicenda, i bambini pendevano
dalle sue labbra e Takagi poté riposarsi per qualche minuto.
“…e alla fine, il cattivo e la sua banda furono
uccisi dal nostro eroe, grazie al suo potentissimo raggio-laser…”
“Yumi! Ma da dove salta fuori adesso, questo
raggio-laser!?”
“Immaginazione, Takagi. Una narratrice di talento
come me, deve saperla usare alla perfezione…”
Takagi sospirò, sconfitto, mentre i bambini
ridevano. All’improvviso, Conan si intromise nel racconto, non riuscendo a
trattenere oltre la domanda che da un pezzo voleva fare.
“E l’organizzazione a cui apparteneva quell’uomo,
che fine ha fatto?”
Yumi torno con i piedi per terra.
“Non se ne sa più nulla… ma la polizia sta
raccogliendo informazioni per aprire un’indagine.”
Anche Takagi diventò serio. Soprattutto quando vide
l’espressione carica di rabbia di quello che sempre meno sembrava un bambino di
sei anni.
Conan esplose.
“Dovete fare in fretta! Quelli sono capaci di
sparire nel nulla senza lasciare tracce dietro di loro, a costo di uccidere,
e…!”
Il bambino si zittì, impallidendo letteralmente
davanti allo sguardo attento e indagatore di Takagi su di sé. Subito tentò di
cambiare discorso.
“Ehm… Noi dobiamo andare, non è vero ragazzi? Ciao,
Takagi.”
Uscì quasi correndo, cercando di non incrociare il
suo sguardo con quello del ragazzo.
Raramente, Takagi aveva quell’espressione.
E il più delle volte, significava che il suo
istinto di ‘sbirro’ stava per mettersi seriamente all’opera.
Ma Conan, davanti a quello sguardo che chiedeva a
chiare lettere “Chi sei tu, veramente?”, stava scappando. Si era scoperto
troppo, per aiutare Takagi, si era spinto fino al limite della sua condizione
di bambino.
E il risultato era fin troppo chiaro: Takagi
sospettava qualcosa.
Conan lo aveva sottovalutato una volte, non era il
caso di ripetere l’errore…
Seguito a ruota dai suoi piccoli amici, il bambino
uscì dall’ospedale. Ai gli si affiancò, guardandolo fisso.
“Stai perdendo la calma.”
“Lo so! E’ solo che…”
“…E’ solo che, se non trovano al più presto qualche
informazione sull’Organizzazione, noi on avremo più piste da seguire, ora che
Gin è…”
La bambina deglutì, presa da un momentaneo e
improvviso brivido. Conan, intuendo il suo disagio, finì quella frase fatale al
suo posto.
“E’ morto, Ai. E’ morto davvero: non può più farti
nulla.”
La bambina si sforzò di sorridergli, ma il
risultato fu una piega amara che trasformò il suo sorriso in una maschera.
“Lo so… Lo so.”
‘Come un incubo’ pensò Conan,
osservando la reazione dell’amica. ‘Proprio come un incubo, che lascia
sempre un velo di paura,sottile come un ricordo, anche dopo il risveglio.’
Non trovò il coraggio necessario per dirle che
anche il suo cuore, come quello di lei,
stentava ancora a liberarsi da quella paura.
Dopo aver seguito con lo sguardo dalla finestra, i
bambini che si allontanavano lungo la strada, Yumi si rivolse a Takagi.
“Allora, come stai?”
Il ragazzo scoppiò a ridere.
“Vediamo…Mi hanno appena operato, le ferite non
sono ancora guarite, ogni respiro è una tortura, quindi… Sì, mai stato meglio!”
Yumi gli lanciò un’occhiataccia.
“Fa’ poco lo spiritoso! In centrale siamo tutti in
pensiero per te…”
“Tutti?”
Yumi sorrise, nel notare lo sguardo attento del
ragazzo. Era fin troppo ovvio che cosa Takagi volesse veramente chiederle: ‘Anche
lei?’
Ridendo, lo rassicurò.
“Tutti.”
Sospirando, Takagi si appoggiò allo schienale del
letto. Era un po’ stanco e Yumi se ne accorse.
“Senti, fatti una bella dormita, sei distrutto! Io
intanto vado a prendermi un caffè.”
E senza lasciare al ragazzo possibilità di
replicare, uscì dalla stanza.
Takagi decise di seguire il consiglio: In fondo era
davvero esausto, dopo aver passato il pomeriggio con le forze della natura più
devastanti del mondo (ovvero Yumi e i bambini!)!
Non appena chiuse gli occhi, si rese conto che non
avrebbe faticato molto ad addormentarsi.
O almeno, così credeva…
Era rimasta davanti alla porta di quella stanza per
più di un quarto d’ora, tanto che molte delle infermiere cominciavano a
guardarla con curiosità.
Ma lei questo non poteva saperlo, perché stava
pensando.
Così, nel tentativo disperato di prendere una
decisione, Sato si era addentrata nell’intricato mondo dei suoi pensieri,
ignorando tutto ciò che le stava attorno.
Tutto tranne quella porta.
C’erano solo lei e quella porta.
Doveva solo decidere se aprirla o meno.
Quanto sei disposta a rischiare?
La sua mano si mosse da sola, afferrando la
maniglia lucida e spingendola verso il basso, ruotando il polso. Con uno scatto
che continuò a rimbombarle a lungo nelle orecchie, la porta si aprì lasciandola
entrare nella stanza bianca.
Le prime cose che catturarono violentemente il suo
sguardo, furono le fasciature che avvolgevano il petto e la mano destra di
Takagi.
E subito, quel grido che conosceva fin troppo
bene,rimbalzandole nella testa, la rintronò a tal punto che dovette appoggiarsi
al muro, per non cadere.
E’ COLPA TUA! SOLO COLPA TUA!!
Sato lasciò passare qualche secondo per
riprendersi.
Poi, si avvicinò al letto dove Takagi dormiva,
osservando i lineamenti del ragazzo distesi nel sonno, ma così simili a quando…
Scacciò quel pensiero dalla sua testa,
avvicinandosi ancora un poco, fino a sfiorare con la punta delle dita il bordo
delle lenzuola.
Quanto sei disposta a rischiare?
Si sedette vicino al letto e appoggiò la sua mano su quella fasciata del ragazzo.
Lentamente.
Rischiava di perderlo, ecco la verità. Rischiava di
soffrire ancora.
Rischiava di perdere il controllo, di vedere tutte
le sue difese sbaragliate, perché era questo che sentiva, nello stargli vicino.
Rischiava di piangere, di scoppiare in lacrime come
una bambina, perché sapeva benissimo che davanti a lui non avrebbe più potuto
trattenersi.
Rischiava di mostrarsi fragile, indifesa, a volte
inutile, a volte solo umana.
Perché davanti a lui, non sarebbe stata più capace
di fingere.
Istintivamente chiuse gli occhi, concentrandosi sul
calore che nasceva da quelle mani, l’una sull’altra. Sato non sapeva bene
perché, ma quel calore, il respiro lento di lui, regolare e tranquillo, quel
silenzio così naturale… avevano il potere di calmare, almeno per un poco, le
urla nella sua testa e quella domanda decisiva, a cui non aveva ancora trovato
risposta.
Non poteva essere stato un sogno.
Takagi continuava a guardarsi intorno, cercando di
mettere a fuoco l’intera stanza.
Eppure era stato così reale… quel tocco così
leggero e indeciso, così lento e cauto da non averlo svegliato!
Ma aveva lasciato traccia di sé, un tepore
tranquillo, un profumo familiare di cui cercava di ritrovare traccia nell’aria
della stanza…
Un profumo così familiare!
No, quel tocco gli era sembrato talmente vero e
talmente fragile, che non aveva avuto il coraggio di aprire gli occhi, di
muovere un muscolo per paura che potesse sparire.
Ma alla fine era svanito lo stesso, lasciandosi
dietro una scia di dubbio, come un sogno da dormiveglia.
Quando Yumi rientrò nella stanza, lo trovò ancora
assorto nei suoi pensieri.
“Sei riuscito a dormire? Che hai?”
“Nulla…” Si affrettò a rassicurarla Takagi.
“Era solo un sogno…”