Sempre.
Erano
successe talmente tante cose nell’ultimo anno e mezzo che non si rendeva
realmente conto di essere stato proprio lui a vivere tutto ciò: la ricerca
degli Hocrux, la guerra, le battaglie, la perdita di amici e famigliari, e la
sconfitta di Voldemort… Erano cose troppo grandi e troppo dolorose a cui
pensare, negli ultimi sette anni aveva visto fin troppi orrori per i suoi
diciottenni e, ora come ora, voleva essere solo quello che era: un ragazzo.
Nessuna
gesta eroica, nessuna battaglia improvvisa, nessun pensiero. Niente.
Eppure
sapeva perfettamente che non poteva fermarsi, che, nonostante tutto, la vita
andava avanti. Veloce, incontrollabile, senza aspettare nessuno, tanto meno
lui. Il fatto è che voleva lasciarsi
tutto alle spalle, ricominciare. Sembrava, però, che nessuno fosse disposto ad
accogliere la sua muta, ma percepibile, richiesta. Dovunque andasse era
acclamato da flotte di magni e streghe che lo festeggiavano per il coraggio che
aveva avuto nell’affrontare in prima linea la guerra, nonostante non fosse
costretto, dopotutto non era lui, il Prescelto. No, lui era soltanto l’amico
fedele, sempre a fianco del grande eroe, pronto
ad aiutarlo, difenderlo, in nome di un bene superiore, che ora come allora
faticava a vedere. Avrebbe voluto urlare al mondo che non erano stati il
coraggio o il senso del dovere a fargli affrontare quella guerra, al contrario
era stata la vigliaccheria. Vigliaccheria di perdere il suo migliore amico, di
essere visto come un traditore dalla sua famiglia, sempre pronta a schierarsi
dalla parte del bene.
Paura di
perdere lei, e di non capire il
significato di quel “più” - “più che amici”, “più che compagni, “più che
semplice gelosia”- che aleggiava tra loro due da fin troppo tempo.
Paura,
forse, che loro due si sarebbero potuti dimenticare di lui. Paura che lei si
sarebbe resa conto che poteva avere molto più che un semplice Ronald Weasley.
E poi
c’era il dolore, quel dolore che non lo voleva abbandonare, lo seguiva, ovunque
andasse, ovunque scappasse, che fosse solo in una stanza, o in mezzo a
mille altre persone, il dolore e i
ricordi erano ancora lì, palpabili, crudeli, che lo opprimevano, che li
ricordavano ciò che avrebbe voluto dimenticare.
Sapeva
che se suo fratello, la perdita che più gli aveva fatto male, che meno riusciva
a mandare giù, fosse stato lì, ora, gli avrebbe detto, divertito e ironico come
sempre «Ei, Ronnie, che stai facendo? Vedi di alzare quelle chiappe e vivere il
tuo futuro, tu che almeno puoi averlo!»
E aveva
ragione, davanti a se, silenzioso ma pur sempre presente, c’era il futuro. Un
futuro che rimandava, che non voleva affrontare, che non riusciva ad affrontare. Eppure lo sapeva, che doveva lasciarsi
tutto alle spalle, che doveva prendere atto delle sue responsabilità. D’altro
canto, se per un attimo provava a dimenticarlo, c’era lo sguardo di Hermione,
repentino, attento, implorante, che li ricordava le sue priorità. Sguardo che,
puntualmente, lui ignorava, attendendo il momento in cui anche lei si sarebbe
stufata di aspettarlo, pur desiderando, nel suo profondo, che rimanesse sempre
lì, al suo fianco, pronta a provare e riprovare a riportarlo alla realtà,
ostinata e orgogliosa come solo lei sapeva fare. Ma sapeva che anche Hermione,
prima o poi, avrebbe abbandonato quella battaglia, che anche il dolore, dolore
di vedere il ragazzo che ama, silenziosamente e pazientemente, in quello stato
di totale apatia avrebbe sconfitto perfino lei.
Era la
donna della sua vita, ne era convinto. Buffo che ci fosse voluta una guerra per
capire che, dietro agli stupidi litigi e a quella incontrollabile gelosia,
c’era puro e semplice amore. Di quello vero, profondo e meravigliosamente
imperfetto. Sapeva che non sarebbe mai riuscito a confessargli tutto ciò, ma
percepiva negli occhi di Hermione che inconsapevolmente e, forse,
inevitabilmente non erano più da tempo un confuso “tu-ed-io” ma un “noi”definito e percettibile; ed era per
questo che lei lo stava aspettando, perché sapeva che quello strano e
spaventoso futuro, lo dovevano affrontare insieme.
Fu in un
giorno qualunque, passato sotto il tiepido sole di fine agosto abbracciati nel
giardino della Tana, che tutto cambiò.
Non
ricordava come erano finiti lì, abbracciati e apparentemente sereni, forse
semplicemente avevano capito che era così che dovevano stare, vicini, insieme a
cercarsi di sorreggersi a vicenda.
Dopo quel
bacio, veloce e disperato, nella Stanza delle Necessità, non ce ne erano stati
altri, eppure ormai chiunque aveva imparato a considerarli una coppia, d’altro
canto loro non avevano mai detto il contrario, e il loro comportamento ormai
non faceva che confermare quella tesi.
Negli
ultimi mesi avevano perfino iniziato a dormire assieme, senza fare niente,
solo… si davano forza.
Ricordava
la prima volta in cui, confuso e spaventato, si era infilato nel letto di
Hermione, senza immaginare che, forse, la giovane potesse interpretare male
quell’irruento gesto. Ma Hermione capì e, intrecciando la sua piccola mano con
quella grande e forte di lui, lo fece distendere di fianco a lei, aspettando il
momento in cui Ron fosse pronto a parlare. Fu un’ ora più tardi che il giovane
decise di confessare cosa fosse successo: aveva avuto un incubo.
«Ho
sognato che te ne andavi» aveva detto Ron, « e tornavi a vivere da sola,
lontano da qui, lontano da me…» Hermione aveva sorriso e, accarezzando
dolcemente una sua guancia, gli aveva detto «Sono qua, non vado da nessuna
parte»
E lui le
aveva creduto, come poteva non farlo?
Non erano
più stati loro di allora, senza
tragedie, senza urli, erano solo… Ron e Hermione. E questo bastava ad entrambi.
«Ron…?»
Lo aveva chiamato sottovoce, riportandolo alla realtà, ma lui l’aveva sentita
perfettamente. Lo costrinse a guardarla negli occhi, e in quel momento lui seppe
che era arrivato il momento di andare avanti perché era lei, ora, quella che
aveva bisogno di sostegno e non avrebbe potuto fare altro se non concederle
tutto l’affetto che aveva.
«Tu mi
ami, vero? Voglio dire, io…»
E Ron
annuì, come se, per la prima volta in vita sua Hermione Granger avesse fatto
una domanda talmente stupida da non meritare risposta.
«Voglio
tornare a Hogwarts, Ron.»
Non era
mai stata bella come allora, tra le sue braccia, vulnerabile e implorante, con
i capelli al vento, la luce del sole che le illuminava il viso, e un’adorabile
sguardo incerto. Non poté fare altro che baciarla. Con passione, con intensità,
con amore, con semplicità. Come avrebbe fatto mille e mille altre volte ancora,
capendo che il futuro, forse, non sarebbe stato così oscuro e spaventoso come
se pensava se ci sarebbe stata lei, con lui, pronta a sorreggerlo e ad essere
sorretta nei momenti più bui, come aveva sempre fatto.
Note.
Questa
storia è stata scritta esattamente in un’ora e mezza (contate!) un po’ durante
l’ora di supplenza di Greco (che siano benedette le Prof che si assentano
improvvisamente!), un po’ rivisitata e sistemata oggi, mentre la trascrivevo al
pc. Sto rileggendo “Harry Potter e i Doni della Morte” e non mi sono non potuta
domandare se, per i componenti del Trio, dopo tutto ciò che avevano passato,
fosse stato così semplice tornare alla vita normale, specialmente per Ron che
ha perso un fratello… Okay, in realtà ho scelto Ron solo perché lo adoro alla
follia ma, shh, questi sono solo inutili e superflui dettagli :) Io adoro Ron e
Hermione, e non scriverò mai abbastanza su di loro. Gli adoro in ogni loro
sfaccettatura: un po’ comici, un po’ sofferti, un po’ seri, un po’
terribilmente sdolcinati. Qua, come avrete potuto notare se siete arrivati fino
a qua (O.O) gli ho voluti ritrarre nel loro aspetto più serio… ma, dopo una
guerra, cosa altro ci si poteva aspettare? Che se ne andassero a pomiciare in
giro come se niente fosse successo? Eh no, troppo facile! u.u
Con la
speranza che vi sia piaciuta vi lascio,
Sbranina
alias Diletta <3