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Autore: cabol    18/05/2010    1 recensioni
Dietro una porta ermeticamente chiusa può celarsi un pericolo misterioso, un favoloso tesoro, un terribile segreto. Aprirla può voler dire trovare tutto questo o chissà cos'altro. Ma certamente ci troveremo sempre l'avventura.
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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Capitolo 18: conclusione

Blackwind amava il buio della notte. Nel buio le strade di Elosbrand gli appartenevano quasi completamente, prive di rumori, percorse solo dai gatti e dagli innamorati. E dai ladri, ovviamente. Nel buio lui sapeva muoversi come in pieno giorno, invisibile e silenzioso come il vento. La notte lo avvolgeva con un mantello nero capace di renderlo invisibile e quasi invulnerabile. Capace di dissipare la parte oscura della sua anima, sperdendola nelle sue profondità, trapuntandola delle stelle dei suoi ricordi, dolci e amari. Capace di cancellare quel desiderio di vendetta che, anni prima, lo aveva consumato come una febbre e portato quasi sull’orlo della follia.
Aveva sconfitto il suo nemico, lo aveva deriso e abbandonato, vinto e umiliato. Ma non gli aveva sottratto la vita. Mai l’idea di ucciderlo lo aveva sfiorato. Era contento di questo. Era la conferma che l’ira faceva fatica a impossessarsi della sua anima. Era la conferma della sua forza. E del fatto che il suo nemico peggiore, quello che condivideva il suo stesso involucro, era sconfitto, forse per sempre.
Presto l’alba avrebbe cancellato la notte e la città si sarebbe riempita di gente e rumori. Era stanco ma l’eccitazione della vittoria non gli avrebbe permesso di dormire. Volle godere ancora del silenzio e dell’oscurità.

«Aiuto!».

La voce di una donna. Forse in pericolo. Cercò di capire da dove provenisse e rapidamente individuò un vicolo poco lontano. Non poteva che andare a vedere cosa stesse accadendo. Un brivido gelido percorse la sua schiena. Cosa lo attendeva ancora, in quella notte?
Corse verso la voce. Raggiunse il vicolo. Nessuno. Nessun rumore. Nessuna traccia di lotta. Solo quel brivido lungo la schiena.
Non vide partire il colpo. Un gran dolore alla testa. Poi un buio freddo e vuoto. Diverso dal buio che amava.
Si risvegliò in una stanza umida. Larghe strisce di cuoio agli avambracci, sotto le ascelle, sulla vita e alle caviglie lo trattenevano in piedi appoggiato a una parete di legno. Davanti a lui, una figura femminile sedeva su una seggiola malridotta.
La riconobbe subito. Cercò di mascherare il dolore che gli aveva stretto il cuore.

«Già di ritorno? Sei veramente un tipo determinato!».

La donna si alzò in piedi, avvicinandoglisi. Era bellissima, avvolta dai capelli color dell’oro, con due occhi neri che fiammeggiavano verso di lui.

«Come vedi, sono più in gamba di quanto ti potessi aspettare. Ti ho reso la cortesia».

Il giovane ladro risentì più forte il dolore alla testa. Sorrise.

«In effetti, colpirti è stata una grave mancanza di educazione. Purtroppo non mi ero accorto che tu fossi una donna».

«Perché, se te ne fossi accorto, ti saresti lasciato uccidere?».

«Non so. Penso però che, se proprio dovessi morire, preferirei fosse per mano di una donna. Meglio se bella come te».

La giovane assassina impallidì. I grandi occhi si dilatarono, per poi restringersi fino a diventare due fessure.

«Potrei esaudire il tuo desiderio, lo sai?».

«Non ne dubito assolutamente. Semmai mi chiedo perché tu non l’abbia già fatto».

«Perché ucciderti e basta non servirebbe a nulla. Chi mi ha assoldato è in prigione e non ne uscirà molto presto. Non ho convenienza a ucciderti».

«Uccidi solo per denaro o anche per passione?».

Un pugnale saettò nell’aria, piantandosi accanto al braccio destro di Blackwind, subito sopra la striscia di cuoio che lo bloccava.

«Non osare prenderti gioco di me!».

«Voglio solo capire perché uccidere è così importante per te».

«Perché uccidere mi ha resa forte e temuta. Mi ha tolta dalla fame e dalla miseria. Mi ha dato un lavoro e ricchezza. Mi ha reso possibile vivere senza dovermi appoggiare a qualcuno».

La ragazza aveva pronunciato le sue parole ad alta voce, quasi gridando, appassionatamente. Blackwind rispose dolcemente.

«E queste cose sono tanto importanti da sacrificare delle vite, per ottenerle?».

Un altro pugnale si piantò accanto al braccio sinistro.

«Sì. Sono le cose più importanti dell’universo».

«C’è ben poco nel tuo universo».

«Ci sono io».

«Appunto».

Un coltello sfiorò il fianco destro del giovane ladro.

«Hai tanta fretta di morire?».

«No. Ma, se devi uccidermi, fallo subito. Questa conversazione mi sembra assolutamente inutile. Altrimenti liberami. Ho molte cose da fare».

«Già. Sei stato bravo a liberare la ragazza. Li hai beffati».

«Hai visto cos’è successo?».

«Non ho perso una parola. Non ti ho perso di vista tutta la sera. Devo riconoscere che è stato un bello spettacolo».

«Sono lieto che ti sia piaciuto».

«Perché non l’hai ucciso?».

«Perché detesto uccidere».

«Però non ti fai problemi a rubare».

«Io rubo solo il superfluo mal guadagnato. Non rubo quel che serve per vivere. Né, tantomeno, rubo la vita».

«E io uccido chi non è degno di vivere. E chi non sa difendere la propria vita non lo è».

Aveva alzato nuovamente la voce.

«Non ti ho chiesto di giustificare la tua vita. Mi sembra che le tue argomentazioni siano piuttosto superficiali. Francamente, non credo a una sola di queste tue parole».

«Allora, visto che sai tutto, dimmi perché uccido».

Ancora una volta, la voce di Blackwind suonò dolce e tranquilla nel silenzio della stanza.

«Perché ti odi. Perché non ami nessuno, meno che mai te stessa».

Un altro pugnale sfiorò il giovane legato alla parete. Questi sorrise dolcemente alla ragazza.

«Hai fretta di morire, signor ladro?».

«No. E tu hai paura di guardare dentro la tua anima?».

La giovane donna esitò.

«No. Perché dovrei?».

«Perché potrebbe essere ancora peggio di morire».

Questa volta, il coltello morse la carne del braccio del giovane elfo, insieme a un pezzo di cuoio. Blackwind strinse i denti ma non emise alcun lamento.

«Stai giocando col fuoco, Blackwind. A nessuno ho mai permesso tanto».

«Perché a me sì?».

«Perché…».

«Ebbene?».

La giovane donna si avvicinò al prigioniero e gli puntò il pugnale alla gola. Gli occhi scuri brillavano. Qualcosa tremava sul suo ciglio. La voce rimase ferma e decisa.

«Perché tu sei tu».

Gli afferrò i capelli, sollevandogli il viso, fissando i suoi occhi neri nei profondi occhi verdi del giovane avventuriero. E lo baciò a lungo, appassionatamente. Poi si voltò e fuggì fuori dalla stanza, lasciandolo senza fiato e col cuore in tumulto.
Blackwind non impiegò molto a liberarsi dalle cinghie che lo trattenevano. Prima liberò il braccio ferito, spezzando facilmente il cuoio già parzialmente inciso, poi, con l’aiuto del coltello, tutto fu facile.
Uscì all’aperto. La notte moriva nei primi chiarori dell’alba. Della giovane donna, nessuna traccia. Era stanchissimo e le ferite gli dolevano. Ma soprattutto, aveva bisogno di restare al buio. Rimpianse la notte, ormai finita.
Perché Blackwind amava la notte e il suo buio. Nel buio si sentiva forte e quasi invincibile. Nel buio si sentiva al sicuro.
Perché nel buio nessuno poteva vederlo piangere.

  
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