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Autore: ceciotta    19/05/2010    0 recensioni
Seconda classificata al concorso A CONTEST FOR FABER indetto da RoyxEd 4Ever. In un ospedale, l'incontro tra un infermiera e una bambina sfocerà in un'amicizia che cambierà le loro vite.
Genere: Generale, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando gli angeli sorridono

 

Nda: Fatemi sapere che ne pensate, anche se vi fa schifo, sono aperta a tutte le critiche.

 

 

Amicizia e Separazione

Quando i risultati degli esami arrivarono, sembrò fin troppo presto. Laura avrebbe preferito non sapere nulla, perché era cosciente di quale sarebbe stato l’esito. In quei giorni Serena non era migliorata, sosteneva di non avere fame e sembrava senza forze. Tutti quegli esami, inoltre, la fiaccavano nello spirito e diventava sempre più difficile tirarla su di morale.

Era andata a ritirare le analisi per ordine di Ferri e il tragitto le era parso lunghissimo.

“Hai fatto in fretta” osservò invece l’oncologo, mentre gli porgeva la cartella. Si erano incontrati a metà strada verso la camera “Hai già guardato?”

“No. Ho avuto paura” ammise lei.

Lui le rivolse un tenue sorriso, poi si concentrò sui risultati: mentre li scorreva con lo sguardo, la sua espressione mutò.

“Le notizie non sono buone, vero?” chiese Laura.

“Per niente” mormorò lui, riprendendo la marcia verso la stanza di Serena. Gli ripassò la cartella, quasi non volesse più nemmeno guardarla.

Lei lanciò un’occhiata ai risultati e si lasciò sfuggire un gemito, poi quasi corse per tenere il suo passo, con la sensazione di essere precipitata in un incubo.

I genitori di Serena erano sulla soglia e quando li videro arrivare andarono loro incontro, in modo che la ragazzina non sentisse nulla della conversazione.

Laura se ne rimase in disparte, si sentiva da schifo.

“Sono arrivati i risultati, vero?” chiese il signor Landi.

Ferri annuì. “Il tumore si è ripresentato” disse.

La donna singhiozzò e subito il marito l’abbracciò.

“È troppo esteso per intervenire chirurgicamente, quindi prima di tutto procederemo con chemioterapia e radioterapia, poi vedremo gli sviluppi. Fortunatamente non ci sono metastasi. Lei sa che non mi piace parlare di probabilità di sopravvivenza, per me quelli sono solo dei numeri” continuò Ferri, “Prima però dobbiamo parlare a Serena, tranquillizzarla”

“Tranquillizzarla?” replicò la donna, piangendo. “Ha solo dodici anni e guardi cosa le sta succedendo…”

Ferri sospirò. “Mi dispiace”

“La smetta di ripetere che le dispiace! È nostra figlia!” sbottò il signor Landi, anche lui con le lacrime agli occhi.

Ferri non rispose.

“R-riuscirete a salvarla, vero?” mormorò la madre di Serena.

“Non possiamo darle certezze, lei lo sa. Le basti sapere che faremo del nostro meglio. Prima però parliamo con lei”

La donna esitò, poi posò lo sguardo su Laura. “Potresti entrare anche tu?” supplicò. “Lei si fida di te”

“Ma io…” Laura cercò di protestare: non se ne sentiva in grado, era davvero troppo… ma quello sguardo disperato le sciolse il cuore. “Va bene” mormorò.

Lei le sorrise e si asciugò le lacrime, poi tornò nella stanza della figlia.

Laura sfuggì a Ferri, temendo quello che lui avrebbe detto. Una volta dentro, però, avrebbe preferito di gran lunga subire la sua lavata di capo: Serena era seduta sul letto e giocava con il suo Nintendo DS, mentre Elena, china su di lei, le dava suggerimenti concitati ed entrambe ridevano. In quel momento, senza il suo solito sguardo serio, Serena tornò ad essere una semplice ragazzina che giocava con sua sorella con l’ultimo gioco che i suoi genitori le avevano comprato.

“Serena?” la chiamò la signora Landi.

Serena alzò lo sguardo, vide la piccola folla che era entrata e con un respiro profondo spense la console. Laura notò che le tremavano le mani mentre posava l’oggetto sul comodino: il momento di allegria era passato, l’aria cupa era tornata sul volto della bambina.

Elena guardava i genitori, terrorizzata, e rimase accanto alla sorella, che non alzò la testa.

“È tornato, vero?” chiese, con voce lievemente tremante. Fissava il lenzuolo, senza la forza di sostenere lo sguardo grave del medico.

“Sì, è tornato” disse Ferri, avvicinandosi al letto. “Ora dobbiamo combatterlo, come l'altra volta. Dobbiamo lottare molto, ma dobbiamo anche avere speranza”

Serena sollevò gli occhi, pur tenendo la fronte bassa. “Non voglio… passarci di nuovo…” Ora la sua voce era rotta dai singhiozzi. Sua madre e sua sorella la abbracciarono e Ferri attese. Serena ingoiò le lacrime e a Laura questo fece più impressione di qualsiasi altra cosa. Una bambina normale non tratteneva il pianto quando veniva a sapere di avere di nuovo una malattia così terribile. Poi Serena la cercò con gli occhi e lei si sforzò di non piangere al posto suo. La raggiunse senza una parola e, mentre ancora i suoi familiari l’abbracciavano, le accarezzò i capelli. “Mi dispiace davvero tanto…” mormorò.

“Noi faremo ogni cosa per uscirne anche questa volta” riprese Ferri. Cominciò ad illustrarle quello che avrebbero fatto, passo dopo passo, in un linguaggio semplice e diretto, senza tacerle nulla sulle sue condizioni e possibilità. “Domani cominceremo con la chemio, va bene?” concluse.

Serena si morse un labbro poi annuì.

“Noi ti saremo vicini, Serena” disse Laura, sorridendole confortante.

Quando furono usciti, Laura intercettò l'occhiata di Ferri: era furioso. Sbuffò, sull'orlo delle lacrime. “Che avrei dovuto fare? Ha visto come mi ha guardata”

“Bastava dire che devi lavorare!” le sibilò lui. “Non è compito tuo stare accanto a quella bambina e se loro non sono in grado di affrontarlo non devi comunque lasciarti condizionare da stupidi sentimentalismi!” La superò senza darle il tempo di ribattere.

 

“Li ha chiamati stupidi sentimentalismi!” protestò Laura, battendo un pugno sul tavolo. Si fece un male cane, ma almeno parte della sua rabbia si sfogò.

Dania la guardò costernata ma non parlò. Erano al bar, lei l’aveva costretta ad uscire quando l’aveva vista così giù di morale e ora davanti a due birre Laura sbraitava contro Ferri, anche se era chiaro che non era con lui che ce l’aveva.

“Quella donna mi ha supplicato di aiutarla! Prima di un'infermiera sono una persona!”

“Lo so, Laura, ma… il fatto è che quando si lavora in ospedale la persona deve rimanere fuori e deve entrare solo l'infermiere, il medico, il chirurgo…” disse a bassa voce. Prevenne il suo intervento con un gesto della mano. “Lui è stato davvero stronzo a dire quelle cose, te ne do atto, ma cerca di capirlo… anche per lui restare distaccato è un bel problema. Ogni minuto della nostra giornata lo passiamo con dei malati più o meno gravi che dobbiamo curare, ma se ci affezioniamo ad un paziente e per questo perdiamo lucidità rischiamo di fare dei danni che ci perseguiterebbero per tutta la nostra vita”

Laura incrociò le braccia e fissò il bicchiere ancora intonso.

“Non ti sto criticando” spiegò Dania. Allungò una mano e la posò sulla sua spalla. “Ti capisco benissimo, anzi: coi bambini è quasi impossibile rimanere estranei”

Laura afferrò la sua birra e ne bevve un lunga sorsata. “Non mi sono mai ubriacata in vita mia, stasera ho bisogno di farlo. Mi segui?” chiese poi.

“Vediamo fin dove reggi, Raggio di Sole”

 

Il giorno dopo, la Giannini entrò nella saletta e trovò Laura accasciata sulla sedia, a ronfare con la testa appoggiata al tavolo. Sollevò le sopracciglia e cominciò a preparare il caffè, poi scorse Dania sdraiata sul divano a dormire. Si schiarì seccamente la voce e le due si svegliarono di soprassalto.

“Oddio, ma che ore sono?” esclamò Laura guardandosi attorno, poi si prese la testa tra le mani con un lamento. “Che male…” mormorò.

Dania sbadigliò. “Perché siamo in ospedale?” chiese, osservando la stanza, incuriosita.

“Stavo per chiedervi la stessa cosa” osservò la caposala.

Laura continuava a lamentarsi. “Mi scoppia la testa…”

“Oh, giusto… ieri sera abbiamo cercato di ubriacarci, volevamo vedere chi si arrendeva per prima” ricordò Dania con una risatina.

“E chi ha vinto? Non riesco a ricordare tutti i particolari” bofonchiò Laura.

“Io, credo… almeno così ha sostenuto il ragazzo che ci ha riaccompagnato qui” Dania sbadigliò di nuovo. “Ma credo che volesse portarmi a letto, quindi non è molto affidabile. Ma perché siamo tornate qui?”

“Oh, questo me lo ricordo: ti eri dimenticata il cellulare…” disse Laura.

“Già, poi mi sono seduta qui per riprendere fiato, e da lì il vuoto…”concluse Dania.

La Giannini le osservava con gli occhi fuori dalle orbite.

“E il fantomatico ragazzo?” chiese Laura, con voce impastata. “Ci ha abbandonate qui al nostro destino? Non è molto carino…” Posò la testa sul tavolo, stringendo le mani sulle tempie.

“Nah… Ci ha lasciate in ospedale: se ci succedeva qualcosa, magari il dottore dal bel sedere poteva salvarci…” Dania si appoggiò allo schienale del divano.

“Ma è un oncologo, non vorrei mai essere visitata da lui… E stanotte non era manco di turno”

“Sempre medico è…” disse Dania con aria sognante.

“Chi sarebbe il dottore dal bel sedere?” chiese Ferri, dalla soglia.

“Per tutte le stelle del firmamento!” strillò Dania, raddrizzandosi.

“Oh, Dania, smettila di urlare, chi se ne frega se ha scoperto che ti piace il suo fondo schiena” bofonchiò Laura, senza muoversi.

“Qualcuno ha un dopo sbronza davvero micidiale” osservò lui.

“Questa è la scena più interessante del mese” disse la Giannini, appoggiandosi al muro. “Vuole un caffè?” chiese poi, porgendo una tazza al dottore.

“Grazie. Spero che la bella addormentata qui non sia di turno, o abbiamo un problema”

“No, oggi fa la notte, ha tutto il tempo per recuperare” lo rassicurò lei.

“Su con la vita, Raggio di Sole, tra un po’ starai meglio” disse Ferri sorseggiando il caffè.

“Qualcuno lo spenga…”

“Quanto a te, Dania, sono felice che apprezzi qualcosa di me. Lo so, nessuno può resistere al mio fascino” si congedò mentre usciva.

“Fottuta” mormorò Dania accasciandosi di nuovo. “Sono fottuta”

“Non è così male” disse Laura, “Se non altro non ti crede una sciocca sentimentalista.. Oh, grazie” biascicò alzando la testa e vedendo che la caposala le stava posando di fronte una tazza. “E ora che mi ha visto così chissà cos’ha pensato”

“Tu non capisci! Io ho una reputazione da mantenere qui dentro”

“Che ne dite di andarvene a casa tutte e due, farvi una bella doccia, ficcarvi sotto le coperte per tutto il giorno e tornarvene qua fresche e riposate?” disse la Giannini. “E piantatela con tutte queste storie! Che ve ne frega di ciò che pensa?”

 

‘Già, che mi interessa?’ rifletté Laura sotto la doccia. Certo, come al solito era terrorizzata del giudizio altrui, ma in quel momento sentiva come se tutta la sua vita dipendesse da ciò che pensava quell’uomo. 'Oh, non può succedere di nuovo!' si lamentò. “Toglitelo dalla testa, stupida, è solo il dopo sbronza” disse ad alta voce.

Dormì per gran parte della mattinata e quando si alzò il mal di testa andava meglio. Dopo aver dato una scorsa alle provviste infilò nel forno a microonde una zuppa pronta e si ripromise che nel pomeriggio sarebbe uscita a fare la spesa. Mentre aspettava che il pranzo si facesse da solo, scorse gli ultimi due scatoloni che aveva accatastato nella piccola cucina. Ne aprì uno e cominciò a svuotarlo, era giunto il momento di mettere a posto quegli ultimi frammenti di vita. All’improvviso, si ritrovò tra le mani una vecchia foto e il suo cuore prese a battere più forte quando vide se stessa e sua sorella, abbronzate in riva al mare. A quella, si sovrappose subito l’immagine di Elena e Serena chine su quel gioco, il giorno prima. All’improvviso la fame passò.

Stingendo ancora la fotografia, si sedette per terra, con la schiena contro il frigorifero, mordendosi il labbro. Forse gli altri avevano ragione, forse si stava davvero lasciando coinvolgere troppo… Ma ormai il danno era fatto, sin dal primo momento in cui aveva incrociato il suo sguardo si era affezionata a quella bambina. Ripensò a sua sorella Camilla, più giovane di lei di due anni, non la sentiva da quando si era trasferita, più di una settimana ormai. La sua sorellina, al secondo anno di università a Pisa.

Si rialzò e afferrò il telefono, componendo in fretta il numero.

“Pronto, sorellina!” le rispose una voce squillante, mentre un chiacchiericcio di sottofondo testimoniava che era in compagnia.

“Ciao, Cami!” la salutò. “Come va all’università?”

“Bene, direi, salto tutte le lezioni!” rise lei. “Al momento sono a studiare con dei miei compagni di corso”

“Sì, certo, studiare… Non ci credo neanche se ti vedo” la prese in giro, ma una fitta di nostalgia rese il sorriso un po’ amaro. Poteva immaginarsela, sdraiata in Piazza dei Miracoli, un libro chiuso lì accanto. Quando anche lei era a Pisa, di tanto in tanto vi andavano insieme e restavano distese per ore, nelle giornate assolate di maggio, a dimenticare ogni cosa, e anche la più brutta giornata diventava bella.

“Ma come si fa a studiare con questo bel tepore sul volto?” si lamentò lei. “E tu? Come va il lavoro?”

Rimasero a chiacchierare per almeno un’ora, mentre Laura mangiava, lavava i piatti e sistemava gli ultimi oggetti. Non che non si sentissero da secoli, ma per loro era così. Il trasferimento di Laura era stato così repentino che il tempo era bastato solo per trovare un monolocale a poco prezzo e impacchettare le poche cose che le servivano, poi quasi senza accorgersene si era ritrovata in un’altra città, circondata da persone sconosciute. E la sua nuova vita era cominciata.

Quando riagganciò, capì quanto le mancava la sorella. Anche dei suoi genitori sentiva nostalgia, ma la viveva come una cosa naturale, mentre il distacco da Camilla era stato in qualche modo più drammatico, il loro legame aveva davvero qualcosa di speciale. Erano state rare le volte in cui avevano litigato di brutto, qualche discussione, certo, ma erano sempre state solidali contro il mondo esterno. E certo trovarsi di fronte ad una ragazzina, la sorella di qualcuno, che stava male aveva risvegliato la mancanza che per lo shock di quello strappo repentino aveva stentato a sentire.

Con un sospiro, decise di fare rifornimento al supermercato lì davanti.

 

Il turno di notte a Laura non era mai piaciuto. In un ospedale non era mai completamente buio, ma quelle luci soffuse nelle stanze dei pazienti che le facevano venire mal di testa, quel silenzio rotto all’improvviso dall’allarme se un paziente necessitava di cure immediate, la voglia di tornarsene a letto anche se avevi dormito per gran parte del giorno… Al terzo caffè in meno di due ore si lasciò cadere sul divano, accanto a Dania.

“Che nottata fiacca, nemmeno un po’ di movimento…” osservò lei. “Desidero così tanto rompere questa noia mortale che se non succede qualcosa entro le prossime due ore potrei impazzire e provocare un arresto cardiaco a qualche paziente”

“Spero di non essere io, allora” disse una voce sulla soglia.

Laura si voltò. “Serena! Ma che ci fai qui?” esclamò poi. “Ma hai visto che ore sono? Dovresti essere a letto”

La paziente sorrise. “Mia mamma si è addormentata prima di me…” replicò. “Sai, mi hanno spostato in pediatria, a quanto pare il posto si è liberato”

“Hai fatto la chemio, oggi, vero? Come è andata?” chiese Laura, facendole segno di sedersi.

“Brutta come me la ricordavo” rispose lei, con una smorfia.

“Non dovresti andartene in giro, lo sai”

“Credevo… che saresti venuta” mormorò lei senza guardarla. “So che è stupido, che devi lavorare, ma…”

Laura non poté fare a meno di sentirsi un verme. “Oggi non ero di turno” si giustificò. “E stanotte pensavo che dormissi da un pezzo”

“E secondo te posso dormire?” Serena respirò a fondo. “Ma non sono arrabbiata, davvero. Solo… domani mi farebbe piacere vederti. Mi stai simpatica”

Laura esitò. “Vedrò cosa posso fare” mormorò. “Ora però devi tornare a letto, ok? Domani sarà un'altra giornata dura”

“Potremmo giocare a carte…” suggerì Serena. “Anche voi vi annoiate”

Laura sapeva che lei voleva disperatamente stare con loro, ma sarebbe stato da incoscienti permetterglielo. “Serena, lo sai anche tu che non possiamo. Innanzi tutto se ti vedessero gironzolare per i corridoi passeremmo dei guai, seconda cosa se tua madre si svegliasse e non ti vedesse si spaventerebbe” cercò di farla ragionare. “Ora vai a letto e domani ti giuro che verrò da te anche se non sarò chiamata” promise, rendendosi conto solo qualche secondo in ritardo del guaio che stava combinando.

Serena sospirò poi annuì, per nulla convinta. “Allora ci vediamo” disse, prima di alzarsi.

“Ti accompagno io” disse Dania, lanciando a Laura un’occhiataccia.

Quando fu di ritorno, le si pose davanti a braccia incrociate. “Si può sapere che ti è preso?”

“Non ti ci mettere anche tu, per favore” mormorò lei, accasciandosi sul divano. “Dovevo farla tornare a letto”

“Ma hai intenzione di andarci, vero?” chiese.

“Sì” ammise lei.

“Stai facendo un gioco pericoloso, Laura, e forse non dovrei permettertelo” disse Dania sedendosi accanto a lei. “Però ritengo che tu sia abbastanza matura da decidere da sola. Se farai un errore imparerai a non ripeterlo, spero”

“Beh, almeno non dirlo a Ferri”

“Fortunatamente per te, la mancanza di personale ti costringe a fare turni pure in pediatria, così se lui ti vede bazzicare quel reparto potrai usare questa scusa. Comunque io non ho intenzione di dirglielo”

“Grazie” mormorò Laura.

“Non ringraziarmi. Non so se sto facendo la cosa giusta” replicò lei, scocciata. “Semplicemente non mi piace ficcare il naso negli affari degli altri”

Laura sospirò e si passò una mano tra i capelli.

“Oh, lo sai che hai delle unghie orribili?” chiese Dania. Afferrò la sua mano con aria disgustata. Ma te le mangi?”

“Sto cercando di perdere il vizio” ammise lei ritraendola, piccata.

“Ho una proposta per te: domani vieni a casa mia, ci prendiamo un pizza, affittiamo un paio di film, e io ti faccio una bella manicure. Ci stai?”

“Va bene, grazie”

“Non lo faccio per te, è che davvero non riesco a guardartele! Te l’ho già detto che non mi piace ficcare il naso, ma se devo lavorare con te, almeno devo renderti presentabile”

 

Durante il turno, Laura fu chiamata nella camera di Serena per cambiare la flebo.

“Oh, sei tu…” osservò Ferri quando la vide entrare.

“Anche a me fa piacere vederla, dottore” Salutò la pediatra, una donna bassina con i capelli rossi di nome Betta, poi sorrise a Serena. “Allora, come va oggi?”

“Sto malissimo” mormorò lei. Aveva un’aria sfinita ed era pallidissima. “Ho la nausea e la flebo mi da fastidio”

“Quella cosa ti tiene in forze, bimba mia” le fece notare Ferri, quasi divertito.

“Ehi, è un problema serio, sa?” replicò Laura. “Se la paziente e la flebo litigano è un bel casino. Spero che questa sia più socievole, o dovremmo cambiare fornitore” continuò sventolando quella che aveva in mano. Serena ridacchiò alla faccia allibita di Ferri, che però non trovò le parole per rispondere.

“Questa ragazza mi piace” dichiarò Betta, vedendo che lui continuava a non reagire. “Scusate, lo porto via per superare lo shock di essere stato per la prima volta zittito da un’infermiera. Senza offesa, Laura”

Mentre sistemava la flebo, vide che i due medici uscivano e seguì Ferri con lo sguardo. Forse dopotutto non era stato il dopo sbronza a farle venire quei pensieri su di lui…

Sospirò amaramente e tornò a occuparsi della paziente.

“Mamma e papà dove sono?” chiese.

“Al lavoro, ma verranno stasera. Mia sorella è stata qui quasi tutto il pomeriggio, ma ora è dovuta andare a lezione di recupero. I miei le hanno detto che se prende il debito dovrà stare a casa tutta l’estate, sai che rottura. Beh, considerando che io probabilmente mi curerò per un bel po', vedrò il mare solo in cartolina, ma lei deve fare tanti bagni anche per me. Me lo ha promesso”

“Beh, allora bisogna che prenda voti eccellenti! Di cos‘ha il debito? Forse posso aiutarla”

“Matematica e latino” rispose Serena con un sorrisetto.

“Ah. No, direi che non posso aiutarla” ritrattò Laura. “Non ero molto portata per quelle materie. Ok, direi che abbiamo finito, e anche il mio turno si conclude qui”

“Devi andartene subito?” chiese Serena speranzosa.

“Ecco, io…”

“Potremmo fare una partita a carte. Mi aiuterebbe a distrarmi, e quelle tizie che vengono a tenermi su di morale non sanno giocare a scala quaranta. Forse mi lasciano vincere apposta, ma così non mi diverto!” insistette lei.

Laura guardò l’orologio: erano le sette, lei aveva appuntamento con Dania alle otto, forse… Intercettò lo sguardo triste di Serena e si arrese. “E va bene…”

 

Dania le aprì la porta alle otto e un quarto. “Scusa-scusa-scusa!” esclamò Laura brandendo le due pizze quasi fossero una bandiera bianca. “Per farmi perdonare il ritardo, ho deciso che ti offro la cena!” propose.

Dania incrociò le braccia e osservò pensierosa la scatola. “Me l'hai presa con i peperoni?”

“E doppia mozzarella! Le ho fatte tagliare così non dovrai nemmeno sporcare le posate”

“Allora sei perdonata. Entra, ho già messo su il primo film”

“Allora? Perché hai fatto tardi?” sussurrò Dania, spaparanzata sul divano con in braccio la preziosa cena, mentre scorrevano i titoli di testa.

Laura borbottò qualcosa di incomprensibile.

“Ho capito…” Dania gli lanciò un’occhiata esasperata. “Sai potevi raccontarmi una balla, come C’era coda in pizzeria o cose del genere. Sei davvero una pessima cospiratrice. Se venisse un regime dittatoriale e io facessi parte della resistenza, ricordami di non includerti nella mia cerchia di fidati alleati”

“Lo farò” rispose Laura, mangiando la prima fetta.

Mentre Dania si prendeva cura delle sue unghie, Laura rimase in silenzio, seguendo distrattamente il film.

“Sei pensierosa”

“Sai cose che mi ha turbato di più oggi?” chiese lei, mordendosi un labbro. “Quando sono entrata mi ha detto di avere la nausea, di non sentirsi bene. Poi quando i suoi sono arrivati le hanno chiesto come andava” Sospirò e corrugò la fronte, muovendosi a disagio. “Lei ha detto di stare bene. Ma non era il classico Come stai? Sto benone che si dice senza pensarci. Lei…” Laura fece una pausa. “Lei li protegge, capisci?” continuò, guardandola. “Già una volta mi aveva fatto un discorso da cui l’avevo capito. Li protegge dal suo dolore…” concluse mormorando. “Non è una cosa che una bambina dovrebbe fare…”

Dania si fermò per qualche istante. “A volte, in casi come questo, i genitori non riescono a gestire la situazione” disse. “Insomma, è figlia loro, è difficile…”

“Lo so, e non gliene faccio una colpa” mormorò. “Io non saprei che fare. Solo… Serena è una ragazzina eccezionale. Non si merita tutto quello che le sta capitando”

Dania riprese la manicure.

“Scusa, non parliamo più di questo. Non dovevo tirarlo in ballo: mi sono messa in questa situazione e non devo trascinarci anche te” disse Laura, con un sorriso.

“Non ti preoccupare” replicò lei. Sospirò. “Tecnicamente ti ho condotta io su questa strada, quindi quando vorrai parlarne non farti troppi scrupoli”

Laura rimase ad osservare il suo lavoro. Quando ebbe finito, si rimirò le unghie con stupore: erano davvero stupende.

“Va decisamente meglio, eh?” disse Dania ridacchiando.

“Eccome…” soffiò lei meravigliata.

“Promettimi che non te le mangerai più, o la prossima volta ti faccio pagare il servizio”

 

“Toc toc!” fece Laura affacciandosi nella stanza di Serena.

“Sei tornata anche oggi” notò lei.

“E indovina un po’? Ti ho portato delle medicine per la nausea!”

“Esulterei se ne avessi le forze, lo giuro” disse lei. “Forse la prima bella notizia da quando sono entrata qui dentro” Si tirò su a sedere senza aiuto, con una certa difficoltà.

“Ciao” salutò entrambe Elena, con un gran sorriso, entrando dietro di lei, con un’enorme sacchetto di plastica in mano, nascosto dalla schiena. Qualcosa di peloso spuntò da un angolo di esso e Laura pensò istintivamente a dei peluche.

“Ti ho portato una sorpresina” disse rivolta alla sorella.

“Ah sì? E cosa?” chiese lei fingendo noncuranza, ma allungò il collo per vedere cosa nascondeva.

Elena rovesciò l'intero contenuto del sacco sul letto e Laura poté vedere che non si trattava di peluche.

Erano parrucche, almeno tre, di vari colori e acconciature. Ce n'era una color miele tagliata a caschetto, una piena di ciocche rosa su una base nero ebano, un'altra rossa con un taglio sbarazzino... Erano una più bella dell'altra.

“Wow!” esclamò Serena, col fiato mozzo, accarezzandone una. “Elena, sei... sei magnifica”

“Lo sapevo che ti sarebbero piaciute! So che l'altra volta le avevamo scelte insieme, ma le ho viste e non ho potuto non prenderle” spiegò concitatamente, chiaramente su di giri.

“Ti saranno costate una fortuna...” osservò Serena ancora a bocca aperta.

“Prendilo come un regalo di compleanno anticipato!”

“Ma il mio compleanno è a gennaio! Mancano ancora nove mesi!” protestò.

“Un regalo di compleanno molto anticipato” si corresse lei. “Con qualche aggiunta di Natale e Befana”

“Ricambierò!” promise allora Serena.

Laura cercò di mascherare la sua commozione di fronte a quella scena. “Ora però prendi le tue medicine” disse rivolta alla paziente.

Serena obbedì, prendendo la pillola dal bicchierino che lei teneva in mano. “Allora? Come va con Ferri?” chiese poi, con un sorrisetto astuto.

“Cosa intendi?” chiese lei, controllando la flebo.

“Dai, si nota da mezzo chilometro che gli muori dietro!” sbuffò Elena, roteando gli occhi.

Laura le guardò entrambe, indispettita: era ovvio che quelle due ne parlavano di continuo. “Per vostra informazione non gli vado dietro!” disse, incrociando le braccia al petto.

“Te lo mangi con gli occhi ogni volta che lo vedi” gli fece notare Elena.

Laura sospirò. “Solo perché ritengo che sia degno della mia attenzione non significa che...”

“Oh, smettila!” si lamentò Serena “Se ti piace, diglielo! Mica muori!”

“Senti, tu hai solo dodici anni, non sai cosa succede quando ti innamori di un tuo superiore”

“Non può essere peggio di avere il cancro...” sostenne Serena.

“Ok, uno a zero per te...” bofonchiò Laura, sbuffando.

“Di che hai paura?” chiese Elena. “Mi sono informata: è single, quindi non ti trascinerà in una cosa a tre con la moglie”

“Elena! C'è tua sorella...”

“Oh, non sono così piccola, so tutto delle api e dei fiori e so che ogni tanto gli adulti si divertono in modo non convenzionale” replicò lei, scocciata.

“E comunque non se ne parla. Ha almeno quindici anni più di me e considerando i cattivi rapporti tra medici e infermieri chissà che voci circolerebbero se ci provassi con lui...”

“E ti fai spaventare da questo?” chiese Serena. “C'è qualcos'altro, vero?”

Lei sospirò. “Questa storia non dovrà uscire di qui” disse, rassegnata. “Nell'ospedale dove lavoravo prima c'era un medico affascinante, alla mano, sempre ben disposto verso gli infermieri” raccontò abbassando la voce. “C'è poco da dire: mi innamorai di lui. Però era sposato”

“Ahi” commentò Elena.

“Già, ahi. Io me ne rimasi in disparte, sempre fantasticando su di lui, ma non volevo intromettermi nella sua vita. Eppure, una parte di me non si era rassegnata: alla festa di capodanno lui venne senza la moglie e io avevo bevuto un po'. Non ero ubriaca, vorrei poter usare questa scusa, ma ero solo un po' brilla: sapevo esattamente quello che facevo. Ci provai con lui. Fu solo un bacio e tra l'altro lui lo interruppe subito. Ho apprezzato comunque che non mi abbia usato per divertirsi per una notte e poi abbandonarmi. Fortunatamente nessuno ci aveva visti. Decise che la soluzione migliore fosse che io mi trasferissi ed eccomi qui” concluse allargando le braccia. “Fu piuttosto gentile, in realtà”

“Oh, beh... Una gran bella storia” constatò Elena.

“Però ha mantenuto la parola e non ha detto a nessuno che ci avevo provato... Se si fosse scoperto, la voce sarebbe arrivata fin qua. Ed ecco perché non voglio provarci con Ferri”

“Ma lui non è sposato. E non devi per forza baciarlo a sorpresa” disse Serena.

“Non posso rischiare di nuovo di essere trasferita”

“Andiamo! Io sto combattendo contro una malattia terribile e tu hai paura di aprirti con qualcuno?” chiese Serena. “Chi se ne frega di quello che pensano gli altri! Promettimi che almeno proverai a parlargli”

Laura di nuovo si sciolse di fronte ai suoi occhi tristi. “Prima o poi lo farò”

 

Non aveva intenzione di provarci molto presto, comunque.

Continuò ad andarla a trovare, quasi tutti i giorni, ma Serena non le chiese più di Ferri e lei gliene fu molto grata.

Divenne una routine: alla fine del suo turno, Laura andava a trovarla. A volte rimaneva solo dieci minuti, altre volte delle ore. Chiacchieravano del più e del meno, giocavano a carte o con il Nintendo di Serena... Certe volte c'erano anche i suoi genitori o sua sorella, che non sembravano trovare nulla di strano in quelle visite continue, anzi parevano approvare.

La Giannini aveva provato a dissuaderla, ma i risultati non si erano visti.

“Senti, Raggio di Sole, so che quella paziente ormai conta molto per te, ma non credere che porterà qualcosa di buono” continuava a ripeterle.

Comunque sia, non era mai andata oltre le parole e dopo una settimana aveva smesso, sapendo che non sarebbe servito.

Con Ferri, invece, era tutta un'altra cosa: poteva fingere quanto voleva di controllare la flebo quando entrava, ma lui sembrava aver imparato a memoria i suoi turni e ogni volta le faceva notare di quanto stava sforando. Anche quando si scambiava l'orario con qualche collega, lui ne era a conoscenza. Era una presenza costante e talvolta inquietante.

In cuor suo, Laura sapeva che stava sbagliando.

Ogni volta, si riprometteva che sarebbe stata l'ultima, che avrebbe parlato con Serena e spiegato al meglio la situazione, ma ogni volta incontrava quegli occhi che chiedevano solo compagnia e capiva di non poterli deludere.

“Quando uscirò di qui” disse Serena in un giorno particolarmente caldo, mentre alla TV passavano le immagini di bambini che si tuffavano in mare, “me ne andrò a fare un bel bagno, non mi importa in che mese! Anche a costo di tornare qui con la polmonite!”

“Guarda che se osi tornare qui dentro dopo che ne sarai uscita ti farò tanto di quel solletico finché non chiedi pietà” la avvertì Laura, mentre si detergeva il sudore.

Serena si voltò a guardarla. Ormai aveva cominciato a perdere gran parte dei capelli. “Credi che ne uscirò davvero?” chiese, con lo stesso tono di prima. “Insomma... Guarirò?”

Laura respirò a fondo. “Lo sai che non posso dirlo” mormorò. “Non prevedo il futuro”

“Ho già fatto due cicli di chemio, per non parlare della radioterapia. Ho in continuazione attacchi di nausea e febbre. E respiro male. Insomma, dovrà pur valere qualcosa... Se non serve a nulla, tanto valeva lasciarmi morire subito, no?”

Laura deglutì. “Smettila di parlare così” disse.

“Però, in fondo... una cosa buona è accaduta, non trovi?” continuò Serena.

“Quale cosa buona?”

“Ho incontrato te”

Laura la guardò mentre lei distoglieva lo sguardo. Un'improvvisa ondata di affetto la travolse e dovette nascondere una lacrima solitaria, fingendo di asciugarsi di nuovo il sudore.

 

Alcuni giorni dopo, Serena adocchiò più volte le unghie di Laura: Dania era riuscita a sottoporla ad un'altra manicure, con risultati sempre stupefacenti.

“Che belle unghie” mormorò Serena.

“Me le ha fatte Dania” raccontò Laura. “Lei è bravissima a fare queste cose. Sta anche cercando di convincermi di farmi rossa”

“Puoi vedere come ti sta la mia parrucca, se vuoi” offrì Serena. “Per me fa troppo caldo per indossarle”

“Sono d'accordo”

“Mi piacerebbe avere delle unghie così...” mormorò Serena dopo un po'.

Laura si morse un labbro. “Forse potrei chiedere a Dania di insegnarmi come si fa e quindi farlo a te...” disse.

“Lo faresti?”

“Ovvio”

“Da quando in qua ti interessa come si curano le unghie?” chiese Dania, stupita dalla sua richiesta.

“È che una mia amica mi ha chiesto se potevo migliorare l'aspetto delle sue mani, dopo aver visto i miracoli che riesci a fare”

“Potrei farglielo io”

Non ti piacerebbe... pensò Laura amaramente. “Lei sta a Pisa, alla prima occasione in cui torno dai miei dovrei vederla” inventò di sana pianta.

“Ok, una sera di queste ti insegno” cedette lei, per nulla convinta.

Fece anche di più, le diede il suo set da manicure. “Tanto ne ho un altro” commentò quando lei tentò di declinare. Le insegnò tutti i trucchi del mestiere, anche se continuava a sostenere che non sarebbe stata alla sua altezza.

 

In effetti, quando ci provò con Serena, capì di avere ancora molto da imparare. “Ecco, questo non avrei dovuto farlo” osservò mentre cercava di togliere lo smalto che le era caduto sul camice, mentre Serena la prendeva in giro.

“Sei davvero un disastro” disse una voce dietro di lei: Dania rideva di gusto, appoggiata allo stipite della porta. “Ciao Serena!”

“Da quanto sei lì?” chiese imbarazzata Laura.

“Almeno da quando hai rovesciato l'acqua calda sulla nostra povera paziente” sghignazzò lei, con le lacrime agli occhi. “F-forse è meglio che ti aiuti...” farfugliò asciugandosi le ciglia.

“Guarda che potevi dirmelo che era lei” aggiunse poi, mentre si sedeva sul lettino dall'altra parte rispetto a lei. “Mica ti prendevo in giro”

“Lo so, ma non volevo coinvolgerti” spiegò lei.

“Comunque l'avevo capito subito” disse mettendosi all'opera.

“Ah sì? Perché?”

“Perché quando inventi una balla devi controllare che sia credibile: se questa stava a Pisa, come faceva ad aver visto le tue unghie?”

“Con una webcam!” replicò lei in fretta.

“Laura, ci sono stata in casa tua: è già tanto se hai un computer”

Serena e Dania continuarono a prenderla in giro per tutta la durata del trattamento e lei cercò invano di rendersi utile, ma l'altra infermiera la teneva a distanza con una limetta per le unghie.

“Davvero, è divertente” disse Serena. “Dovremo farlo più spesso”

“Sai cosa facciamo, allora?” propose Dania. “Siccome Laura si è dimostrata indegna di possedere il mio kit, questo lo mettiamo qui dentro” Mise il tutto nel cassetto del comodino. “Così, ogni volta che vorrai e che saremo disponibili vedremo di esaudire il tuo desiderio. Ora lasciamole asciugare”

Laura sorridendo, si voltò verso la porta, e il sorriso svanì subito: Ferri era in piedi nel corridoio, furibondo.

“Ho bisogno di parlarvi subito” disse l'oncologo.

Dania sussultò e si alzò, sorpresa. Quando anche lei lo vide sbiancò.

“O-ora arriviamo” mormorò Laura. Sorrise a Serena, che osservava la scena preoccupata. “Hai capito? Lasciale asciugare e avrai delle mani da urlo” disse, prima di seguire il medico.

“Si può sapere che vi salta in testa?” le aggredì lui non appena furono abbastanza lontane.

“Noi...” tentò Dania.

“La colpa è mia, ho trascinato io Dania in questa storia” si fece avanti Laura.

“Laura!”

“Ora basta! Tu vattene a casa, non voglio vederti fino a domani” ordinò Ferri, secco. Dania cercò di protestare, ma un'occhiataccia da entrambe le parti la costrinse alla resa. Quando se ne fu andata, Ferri concentrò tutta la sua attenzione su Laura, che sentì più che mai i dieci centimetri di altezza che li dividevano. “Penso di aver sopportato anche troppo questa situazione” disse. “Potevo accettare che passassi del tempo a parlarle, ma questo...”

“Era solo una manicure! Lei...”

“Non mi importa che trattamento fosse! Quella bambina non ha bisogno del tuo buonismo per guarire, ma di cure mediche e psicologiche! Gli infermieri servono a curare, non a fare stupide manicure o a improvvisarsi estetisti!”

“Non è stupida...” mormorò lei.

“Come hai detto?”

“Ho detto che non era solo una stupida manicure!” gridò lei, fuori di sé. “Non capisce che deve significare per una bambina così bella vedersi decadere, smagrire, impallidire? Diventare l'ombra di se stessa? Una ragazzina sana va in paranoia per un brufolo. Io ho solo cercato di farla stare meglio anche da quel punto di vista!”

Ferri parve esitare. “Quello non è tuo compito!” ribatté comunque. “La prossima mossa quale sarà? La truccherai per farla sembrare meno pallida? È lei che stai aiutando, nel tuo mondo fantasioso, o te stessa?”

“Che significa?”

“Significa che tu non sei in grado di sopportare quello che le sta succedendo e allora cerchi di rimediare. Ma lei non è la tua bambola, sai?”

“Lo so perfettamente che non è un bambola!” gridò lei. “E non sto cercando di proteggermi, ho già visto molte persone con il cancro! Lavoro in oncologia, se non ricorda bene!”

“Oh, su questo non ci piove: è oncologia il tuo reparto, e farai meglio a starci. Mancanza di personale o no, tu non metterai più piede in pediatria”

“Io andrò dove c'è bisogno di me!”

“Ossia il più lontano possibile da Serena!” le intimò lui e Laura boccheggiò. “Ti avverto, dirò a infermieri, medici e qualsiasi membro del personale che questa zona ti è interdetta. Qui in pediatria non voglio più vederti”

“Ma lei... Lei non può...” La voce dell'infermiera si fece acuta.

“Sfortunatamente per te, io conto molto in questo ospedale. Io e il primario siamo in ottimi rapporti e lui si fida del mio giudizio” Ferri fece un passo in avanti, gli occhi gelidi. “Sappi una cosa: se anche riuscissi a convincere le tue colleghe a farti passare, io lo verrò a sapere. E smuoverò mari e monti per farti allontanare da questa struttura. Pensaci bene, Raggio di Sole: due trasferimenti in meno di sei mesi sono tanti... Qualcuno potrebbe cominciare a sospettare qualcosa...”

Laura tremava e lo guardava con occhi sbarrati, sconvolta. Non reagì, mentre lui si allontanava, con la sensazione che tutto il mondo le stesse crollando addosso.

 

Nei giorni seguenti, Laura e Ferri si ignorarono.

Nessuno dei due aveva voglia di rivangare ciò che si erano detti, né tanto meno di di scusarsi. Se si incontravano, passavano oltre senza una parola e se dovevano comunicare costretti dal lavoro, lo facevano in modo talmente distaccato da spaventare i pazienti.

“Quel bastardo!” sibilava il più delle volte Laura quando lo vedeva da lontano. “Quanto darei per essere abbastanza forte da prenderlo a pugni!”

Dania solitamente non diceva nulla e si limitava a batterle una mano sulla spalla.

La Giannini, invece, con suo sommo stupore arrivò a darle ragione. “Non doveva permettersi di ficcare il naso nella tua vita” disse una volta. “Devi imparare a camminare con le tue gambe. Stavi sbagliando, ma avresti imparato dal tuo errore”

Laura non aveva più visto Serena, ma ogni giorno si teneva informata su come procedesse la terapia.

Erano passati cinque giorni, quando le arrivò il primo sms. Il suo turno era ormai finito e lei si stava cambiando.

Non sei più venuta... Il messaggio era accompagnato da una faccina triste.

Lei sospirò, pentendosi di averle dato il suo numero. Temo che non potrò venire, scusami le rispose, con il morale a terra.

Non passò nemmeno un minuto che il cellulare squillò di nuovo. Ti ho messo nei guai?

Non è colpa tua... stiamo sbagliando, Serena, non dovrei venirti a trovare.

Ma sei mia amica!

Sono un'infermiera, non dovrei essere tua amica... quando uscirai di lì forse ci rivedremo...

Per favore, solo una partita a carte...

Laura scacciò dalla sua mente l'immagine del suo volto che la supplicava. Mi dispiace rispose seccamente, poi semplicemente ignorò i seguenti messaggi, sentendosi la peggiore delle traditrici.

Pianse per quasi tutto il tragitto verso casa.

 

   
 
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