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Autore: __Heilig    21/05/2010    3 recensioni
In breve, quella sera non aveva voglia di essere Tom Kaulitz. Era da un po' che quel pensiero gli tendeva subdoli agguati, ed ora finalmente era esploso con tutta la sua prepotenza: era stufo di essere uno stereotipo ambulante.
Isolde sorrise alle luci della sala, avvertendo decine di paia d'occhi che la fissavano insistenti. Si sentiva a suo agio. Si sentiva padrona di sé. Sentiva che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa.

Disclaimer: questa fanfiction non è a scopo di lucro, né vuole offendere nessuno. I Tokio Hotel non mi appartengono, i fatti non sono reali ma di mia invenzione.
Detto questo, Buona Lettura! {H.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Oh, you look so beautiful tonight

in the city of blinding lights»

(City of blinding lights; U2)


La vista iniziava già a sfocarglisi. Strano, non gli sembrava di aver bevuto così tanto. Strizzando gli occhi, cercò di capire quanta vodka fosse rimasta nella bottiglia... oh, meno di metà. Doveva essere passata circa mezz'ora. E non aveva mangiato nulla. Che pirla.

Già mezzo ubriaco, ci mise qualche secondo a rendersi conto che la sagoma indistinta che gli si stava avvicinando era una ragazza bellissima, forse la più bella che avesse mai visto. Era alta, gambe lunghe e affusolate, culo alto e sodo, una terza abbondante di seno; e poi, labbra carnose e rosse, occhi neri profondissimi, pelle chiara e quasi perlacea, capelli neri lisci e lunghissimi, sciolti sulle spalle. Indossava un vestito verde smeraldo, legato dietro al collo, con una generosa scollatura ornata da un filo di perle abbinato agli orecchini; le braccia nude erano coperte di tintinnanti e sottili cerchietti d'argento.

"Hai intenzione di bertela tutta da solo?" gli chiese la ragazza.

Non senza una certa riluttanza, Tom rialzò sul suo viso lo sguardo che stava beatamente vagando sulle curve di lei.

"L'idea era quella, sì" ribattè.

La ragazza gli si avvicinò fino a trovarsi a pochi centimetri dal suo viso.

"Egoista" soffiò. Aveva una voce bassa, graffiante, che si intonava con il suo modo sinuoso felino di muoversi, come una leonessa in agguato.

Con una mossa veloce, senza staccare gli occhi da quelli di lui, gli prese la bottiglia dalle mani; vi appoggiò le labbra con un sorriso soddisfatto e bevve un lungo sorso, per poi restituirgliela.

"Mi chiamo Isolde"

Tom faticava a concentrarsi su un pensiero per più di due secondi: pensò che quel nome le si addiceva alla perfezione; pensò che quella ragazza gli assomigliava tanto, fin troppo, era il suo corrispettivo al femminile; pensò che almeno a lei non avrebbe dovuto spiegare perchè non aveva nessuna intenzione di iniziare una relazione seria, perchè sembrava dello stesso avviso; si domandò se l'alcol non gli avrebbe causato spiacevoli inconvenienti. Non faceva nemmeno in tempo a formulare ognuno di questi pensieri, che subito veniva spazzato via per essere sostiuito da quello successivo.

"E' inutile che ti dica il mio nome, tanto lo sai già, no?"

Non si sentiva a suo agio in presenza di quella ragazza, e non riusciva a capire perchè. Si sentiva in trappola, come se lei avesse già deciso tutto e lui non potesse fare nulla, scegliere csa fare, decidere come volesse comportarsi, come volesse che finisse quella serata. Era totalmente in balia di lei, e non era abituato a non avere il controllo in quelle situazioni.

Isolde rise di una risata bassa, calda e avvolgente, ma con una nota ruvida, graffiante. Tutto era graffiante, in lei, la sua presenza era quasi dolorosa.

"Che c'è da ridere? So benissimo perchè sei qui ... cosa sei, una modella?"

La ragazza puntò gli occhi nei suoi, con un velo di malizia che li faceva brillare sotto il trucco scuro.

"Sì, una modella". Lo disse con un'aria di sfida, come una provocazione. Sempre con quell'espressione, gli si avvicinò ancora di più, fino ad aderire con il suo corpo a quello di lui. Tom sentì come una scarica elettrica percorrergli la schiena quando lei posò le sue labbra calde e morbide sul suo collo. Era strana, quasi inquietante, nella sua sensualità, nel suo voler condurre il gioco; però, era pur sempre una bellissima ragazza che si premeva su di lui senza alcun pudore.

Con un sospiro, Tom decise che non valeva la pena di farsi troppi problemi: circondò la vita di Isolde con le braccia, mentre la sua bocca la cercava prepotentemente.


Il cuore di Isolde inizò a battere forte per l'eccitazione quando sentì Tom finalmente arrendersi: ormai era fatta, sentiva già il sapore della vittoria in bocca. Ed era il sapore della pelle di lui, delle sue labbra, il profumo fresco del suo collo.

Sentiva le sue mani forti e calde percorrere ogni centimetro della pelle della sua schiena, dandole lunghi brividi e strappandole sospiri tra un bacio e l'altro. Aveva aspettato quel momento per mesi; si era preparata, aveva studiato ogni minimo dettaglio, messo a punto il piano per raggiungere il suo scopo.

Aveva cercato di immaginarselo più e più volte, quel momento: appena prima di addormentarsi, cercava di figurarsi la scena, e la divertiva domandarsi come si sarebbe potuta comportare, anche se alla fine sapeva benissimo cosa avrebbe fatto. Si era anche divertita ad immaginarsi timida, indecisa, inesperta, perfino restia; nella sua mente, aveva giocato ad invertire i ruoli, trasformandosi nell'indifesa preda, quando lei era da sempre solo cacciatrice, e per di più spietata.

Aveva occupato il tempo che la separava da quel momento immaginandosi già lì, proprio come un bambino, quando sta per arrivare Natale, si immagina già seduto sul tappeto vicino all'albero addobbato a scartare proprio il gioco che voleva.

Così, nella sua mente Isolde si era dipinta quella scena nel modo migliore, esattamente come avrebbe voluto che andasse. Solo ora che c'era dentro, si rendeva pienamente conto di quanto in quel caso più che mai la realtà fosse mille volte meglio dell'immaginazione.

Tom non era come gli altri, non era solo uno dei tanti uomini che aveva avuto: era di più, rappresentava qualcosa di più, il simbolico oltrepassare una linea di confine, quasi un rito di iniziazione – a cosa, sinceramente, non avrebbe saputo dirlo. Fino ad allora, il massimo a cui era arrivata era stato il frontman di una band che nei dintorni riscuoteva un discreto successo, ma senza strepiti, o cose del genere che ora di colpo apparivano senza importanza. Era come se il suo comportamento fino ad allora le fosse servito come palestra per esercitarsi ed affinare l'arte della seduzione, per poi riuscire a sedurre lui, Tom Kaulitz. Era una star internazionale, metà delle ragazze che stavano fuori sicuramente avrebbe voluto trovarsi al suo posto, probabilmente anche buona parte delle ragazze che c'erano nella sala, se non tutte – poteva avere qualunque donna volesse, eppure non ci aveva messo nulla a farlo capitolare ai suoi piedi. L'aveva trovato in un angolo, già mezzo ubriaco, completamente disinteressato a ciò che gli accadeva intorno: non vedeva i sorrisi maliziosi né gli sguardi lascivi, non vedeva le minigonne che casualmente sfilavano continuamente a pochi centimetri da lui. Poteva avere qualunque donna volesse, ma evidentemente quella sera non ne voleva nessuna.

Ma era bastato un gesto, uno sguardo, un contatto sfiorato come per caso, e si era arreso, senza nemmeno combattere.

Ad Isolde sarebbe piaciuto pensare di averlo colpito molto più di chiunque altra, così tanto da spingerlo a modificare i suoi piani per la serata; ma ingannarsi non era sua abitudine. Sapeva perfettamente che le cose erano andate così perchè, anche se probabilmente non l'avrebbe mai capito né ammesso, Tom, il dongiovanni, il conquistatore, lo sciupafemmine, il 'Sex Gott', quella sera aveva bisogno di essere cacciato invece che cacciare, di essere preda invece che predatore. In circostanze normali, forse non le avrebbe mai pernesso di guidare il gioco con tale facilità. Ma Isolde sapeva che, nel farlo, aveva semplicemente seguito un desiderio di cui nemmeno era consapevole.

Anche la sorte stava parteggiando per lei.


Gustav era già stufo di tutta quella confusione. Era seduto ad un tavolo con Bill, David, un uomo che doveva essere qualcuno di importante e sua figlia, una ragazza ben vestita e troppo truccata, che sistemata meno accuratamente non avrebbe avuto alcuna attrattiva; anche così, non è che stesse facendo una gran figura: tutto quel che riusciva a fare era tenere gli occhi fissi su Bill sbattendo le ciglia, e ridere frivolamente ad ogni cosa che lui diceva. Inizialmente, il frontman sembrava apprezzare – in effetti, più la lusinga alla sua autostima che la ragazza in sè; ma ormai, anche lui si era stufato della sua sciocca civetteria e la ignorava apertamente.

Gustav tentò di riagganciarsi al filo del discorso tra gli altri: si era del tutto perso nei suoi pensieri ed ora non riusciva più a capire di cosa diavolo stessero parlando.

L'uomo dall'aspetto importante aveva fatto una domanda e Bill stava rispondendo.

"Sì, è stata l'ultima tappa del tour. Ora torneremo in Germania, e poi si vedrà ..."

Ah, ecco. Parlavano dei loro impegni futuri. Ti pareva: negli ultimi tre giorni, l'avevano ripetuto almeno cento volte a cento persone diverse. La gente non aveva proprio fantasia.

David si agitò sulla sedia, schiarendosi la gola. Non era proprio il suo argomento preferito, quello; aveva sempre paura che si facessero scappare qualcosa che non avrebbero dovuto, soprattutto quando a parlare era Bill – cioè nove volte su dieci.

Gustav decise che forse era il momento di intervenire nella conversazione.

"Sì, be', è stato un tour impegnativo ... soprattutto, il periodo in Asia"

La ragazza lanciò un urletto stridulo.

"In Asia! Ho letto un sacco di cose su quello che avete fatto là ... Dai, raccontaci com'è stato, Bill!"

il batterista si trattenne a stento dal chiederle meravigliato se davvero sapesse leggere. L'importante era aver riportato il discorso su un terreno sicuro, come gli confermò un'occhiata sollevata di David.

Era incredibile, funzionava sempre: bastava nominare le tappe in Asia che tutti impazzivano. Anche se erano passati mesi da quando c'erano stati, sembrava che l'argomento non passasse mai di moda.

Ormai, era tutto a posto: Bill avrebbe potuto andare avanti anche per giorni interi a parlarne; anche per lui sembrava che quello fosse sempre uno dei migliori argomenti di conversazione.

Gustav si concesse uno sguardo panoramico sulla sala: era incredibile come tutti sembrassero uguali, vestiti uguali, che si comportavano ugualmente. Non gli era mai piaciuta l'omologazione alla massa, non avrebbe mai capito perchè qualcuno dovesse rinunciare così alla propria indibidualità, soltanto per essere accettato. Forse non lo concepiva perchè non gli aveva mai dato fastidio starsene da solo, anzi.

Ad un tratto, un particolare all'altro capo della sala, vicino all'ascensore, attirò la sua attenzione. Aggiustandosi gli occhiali sul naso, cercò di vedere meglio attraverso la folla. Tom era appoggiato al muro, strettamente avvinghiato ad una ragazza vestita di verde, che sembrava davvero bellissima. Li vide sparire dentro l'ascensore senza nemmeno staccarsi l'uno dall'altra. Sospirò, tornando ad ascoltare la conversazione al suo tavolo: c'era da aspettarselo, d'altra parte. Come sempre.


  
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