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Autore: cruelfeline    24/05/2010    18 recensioni
Dopo la battaglia con il Chimero dei sogni, Strawberry non riesce a smettere di pensare a Ghish, nonostante il suo amore per Mark. Cosa succederà, quando Ghish, ferito, si rivolge a lei per farsi curare, mettendo alla prova i veri sentimenti della ragazza? TRADOTTA DA BEBBE5
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Kisshu Ikisatashi/Ghish
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note dell’autrice: ecco, finalmente riesco ad aggiornare. Perdonatemi per il ritardo, ma vi avevo avvertito di quella cosa che dovevo fare urgentemente. Ci tengo a precisare per l’ennesima volta che la fiction non è mia, ma di cruelfeline. Scusate se batto ancora su questo punto ma mi sono resa conto, da alcune delle vostre recensioni, che ancora non era molto chiara questa cosa (Confessate: quanti di voi hanno letto le Note dell’autrice nel primissimo capitolo?). Beh, passiamo a:

 

L’ANGOLO DELLE RECENSIONI:

 

ANNINA94: Ah, non essere tanto sicura che si salvi così facilmente. Ce ne sono ancora di capitoli, vedrai, vedrai. Ti dirò, ero già pronta a protestare che la storia non è mia, ma ci hai già pensato tu a correggerti: Brava, brava, l’idea mi piace, sì.

 

YURI5: Concordo, Strawberry pensa troppo a Mark anche in situazioni critiche come questa.

 

MADAMA KOKORO: Sono contenta che la fiction ti piaccia. Come ho precisato all’inizio, la storia non è mia, perciò non posso farci molto quando trovo delle parentesi che, anche a me, sconfifferano poco. Vabbè, nel caso di discorsi che in italiano vengono obbrobriosi, chiaro che apporto qualche modifica, ma non posso mica cambiare tutta la storia.

 

DOLL93: Bene, sono contenta che la storia ti piaccia e spero di non averti fatto stare troppo sulle spine.

 

MISS GIULIETTA: Credimi, penso che buona parte delle lettrici se lo sia chiesto, perché non c’è lei al posto di Straw intendo. Sì, Ghish è ridotto proprio maluccio, riuscirà a migliorare?

 

BILU_EMO: Sì, nell’ultimo capitolo Ghish ha mostrato la parte migliore di sé. Ti capisco sai, quando mi dici che la scrittrice è brava ma troppo puntigliosa. Tu però hai solo letto il risultato, pensa a me che lo devo tradurre e cercare di alleggerire un po’ (vengono discorsi davvero troppo pleonastici).

 

TYTY: Sì, ci sono alcuni passi davvero dolci nel capitolo. Come ho già detto,  anche secondo me era un po’ ripetitivo, ma, purtroppo, ci posso fare poco. L’autrice non sono io.

 

ASIAGIULY: Come ho già detto e non mi stancherò mai di ripetere, i ringraziamenti devono andare alla vera autrice. Sono felice che la storia ti piaccia e spero che tu continui a seguirla.

 

TAKARI94: Ti ringrazio per gli incoraggiamenti e non temere: accada quel che accada, non lascio una storia a metà. Piuttosto faccio uno sforzo o chiedo a qualcuno di completarla per me.

 

ILARY_CHAN: Non lascerei mai a metà una delle mie storie, sarebbe una ferita nel mio orgoglio. Mi spiace di averti fatto aspettare così tanto, ma questo capitolo, come vedrai, era lunghissimo e, tra impegni e robe varie, spesso la voglia era sotto le scarpe. Spero che tu comprenda.

 

AKLY: Grazie mille per i complimenti. Senza di quelli sarebbe molto più arduo procedere. Grazie grazie grazie.

 

SIRETTA: Ancora una volta, la fiction non è mia (sigh), ma di una bravissima autrice, il cui nome si può leggere nel primissimo capitolo della storia. Grazie comunque per i complimenti.

Buona lettura.

 

Spero di non essermi dimenticata nessuno: se così fosse fatemi un fischio eh?

Grazie a tutte per i commenti e per i complimenti che mi lasciate. Grazie anche per le segnalazioni critiche che, penso sia giusto, farò avere alla scrittrice quanto prima.

 

BUONA LETTURA

 

Capitolo 12

 

Strawberry era abituata a destreggiarsi in situazioni difficili e quella non era certo un’eccezione. Frugava nell’armadietto dei medicinali, controllando freneticamente le etichette di ogni bottiglietta che le capitava tra le mani.

 

“Lesse…. Tylenol…. Questo potrebbe essere utile. Motrin? Non è la stesso… oh, ma è per bambini. Ehm….”

 

Emise un brontolio di frustrazione. “Perché dobbiamo averne così tante di queste cose?” Era troppo chiedere di trovare una bottiglietta con su scritto “io curerò la febbre?” Fissò l’impressionante collezione di medicinali, che variavano dall’ibuprofene all’acido salicilico, ed i palmi delle sue mani cominciarono a dolere quando le unghie vi si conficcarono dentro.

 

Ok. Calma. Devo calmarmi. Questo non mi sta aiutando.

 

Respirando a fondo, la ragazza chiuse gli occhi, cercando di fare ordine nei suoi pensieri. Quasi immediatamente, accadde l’esatto opposto, quando si accorse di alcune lacrime che minacciavano di caderle lungo le guance. Mise giù una delle bottigliette e si asciugò gli occhi, ma era troppo tardi. Una volta che una sola lacrima era uscita, ogni tentativo di frenare le altre si rivelava futile. Incapace di controllare le sensazioni che si erano instaurate in lei nel tempo, chinò la testa e cominciò a piangere.

 

E se lui muore? E se lui muore ed è tutta colpa mia? E’ venuto da me, da me, pensando che avrei potuto aiutarlo, quando nessun altro l’avrebbe fatto, ed io ho…ho..

 

Eruppe in singhiozzi, portandosi una mano alla bocca, conscia all’improvviso di non volere che lui la sentisse.

 

Sta soffrendo ed è tutta… tutta colpa mia… come posso essere stata così stupida? Non avrei dovuto gridargli contro. Non avrei dovuto nemmeno invitare Mark ad entrare. Come posso essere stata così idiota?

 

E’ venuto da me… è venuto da me in quello stato perché… perché…

 

Perché aveva scelto lei invece della sua missione. Aveva… aveva scelto di salvarle la vita. Tutte le loro vite.

 

Aveva sempre detto di volerla, di amarla.

 

Un pensiero improvviso le venne in mente, il rude e scioccante gemello di uno schiaffo sul viso.

 

E se… non ci aveva mai pensato, non si era mai confrontata con una situazione che le permetteva, o la costringeva di analizzare il tutto con attenzione… lui avesse davvero detto ciò che pensava?

 

E se non fosse stato possessivo solo per suo interesse personale?

 

Di nuovo, quella battaglia, quegli occhi, quella voce disperata le passarono davanti agli occhi. Le lacrime si fermarono quando vide il suo riflesso nello specchio.

 

E se quando lui diceva di amarla… se lui…

 

Scosse la testa e si asciugò le lacrime. Devo tornare di là.

 

Raccolse le bottigliette tra le braccia e si affrettò ad andare nella sua stanza, sempre cercando di ignorare l’ironia con cui l’urgenza della situazione, l’aiutava ad evitare un molto più delicato argomento. Non appena ebbe posato i flaconcini sul suo comodino ed ebbe preso posto accanto al letto, fu in grado di dimenticare temporaneamente quei pensieri.

 

Temporaneamente.

 

Sempre temporaneamente.

 

Cosa sarebbe accaduto quando non ci fosse stato nulla a distrarla, nessuna salvezza?

 

Di nuovo, scosse fermamente la testa, avvicinandosi all’alieno e posando una mano sulla fronte dell’alieno. I suoi occhi, chiusi quando lei era entrata, si aprirono lentamente e si fissarono su di lei.

 

Lei pregò, improvvisamente nervosa, affinché non si accorgesse che aveva pianto. Non voleva renderlo più ansioso. Gli donò quello che sperava fosse uno spensierato, confortante sorriso. Lui non disse niente, ma lei non sapeva se fosse perché non se n’era davvero accorto, era troppo debole o non la voleva preoccupare. Grata e provando un po’ di sollievo, non se ne curò più di tanto. 

 

“Dovrai sederti, ok? E dovrai anche dirmi se puoi prendere queste medicine o no.”

 

Il ragazzo ubbidì, sollevandosi lentamente sui gomiti, mettendosi con cautela in una posizione seduta mentre lei guardava, pronta a sostenerlo in caso avesse vacillato. La tensione dentro di lei si allentò un po’, non appena lui si appoggiò alla testata del letto, all’apparenza molto stanco, ma anche del tutto lucido.

Le aveva perfino sorriso debolmente, anche se solo per un istante. Una tremenda tosse lo colpì e lei si ricordò di botto dei suoi doveri.

 

“Questi sono per la tosse. Sono tutti fatti con Ibuprofene. Sai se…?” si interruppe, con gli occhi che si fissavano imploranti in quelli di Ghish, mentre aspettava quella che sperava sarebbe stata una risposta positiva. La sua ansia era così crudele che, al momento, non voleva nemmeno una risposta. E se fosse stata negativa?

 

Prendendo alcuni respiri stabilizzanti dopo il maleficio della tosse, Ghish chiuse gli occhi, pensando, sentendo i prosciuganti effetti della malattia anche dopo il lungo sonno da cui si era appena svegliato.

 

“Non lo so” borbottò, cosciente tutto d’un colpo di una paralizzante spossatezza. Le voleva rispondere, sentiva la sua terribile apprensione, ma poteva concentrarsi su essa in un remoto angolo della sua mente: era semplicemente troppo esausto, troppo malato per pensare a dovere.

 

La risposta fu tutto tranne ciò che Strawberry aveva sperato. Strinse i pungi, la gola le si serrò, mentre lei si preparava a liberare i suoi nervi sul ragazzo in uno scoppio di rabbia. Questa volta riuscì a trattenersi, sbarrando gli occhi in una sorta di vergognoso shock, mordendosi il labbro con i denti, nel disperato tentativo di calmarsi.

 

Ma certo che non lo sa: è un alieno. E anche se lo sapesse a cose normali, non potrebbe ricordarselo ora… riesce a malapena a stare sveglio.

 

E adesso? Poteva rischiare? Dargli le pasticche e sperare che funzionassero?

 

Per un momento, effettivamente, ponderò la cosa, avvicinandosi per prendere la boccetta di Tylenol.

 

L’attimo successivo si tirò un sonoro schiaffo mentale.

 

Quel genere di rischio era pura stupidità.

 

Aveva già compiuto degli errori. La situazione era già peggiorata a causa sua. Lasciare ancora spazio all’errore sarebbe stato un’idiozia.

 

Anche così, il verdetto finale riuscì a portare soltanto un’ondata di disperazione in lei. Chinò la testa, mentre le unghie le si conficcavano nei palmi delle mani, mentre cercava di chiarirsi le idee. Un minuto dopo, si alzò, assicurò a Ghish che sarebbe tornata subito ed andò a prendere una tinozza d’acqua fredda ed un asciugamano dal bagno.

 

Una volta ritornata, disse al ragazzo di sdraiarsi e mise con attenzione la pezza bagnata sulla sua fronte, illuminandosi quando lui emise un gemito di piacere al sentirne la temperatura: forse questo sarebbe bastato? Lo guardò chiudere gli occhi prima di mormorare un leggero: “Grazie micetta” e sonnecchiare.

 

Senza nulla da fare tranne preoccuparsi, Strawberry tentò nuovamente di dedicarsi ai suoi compiti di matematica. Dopo un’ora si fermò e, con un sospiro esasperato, mise da parte i problemi irrisolti per andare a cambiare l’asciugamano. Non appena si fu chinata per esaminare il ragazzo, il suo volto si adombrò: un pugnale di gelido terrore la colpì al cuore. Era chiaro come il sole che la febbre non era scesa, anzi, probabilmente il vivo rossore sulle sue guance ed i respiri affannati suggerivano un innalzamento della temperatura.

 

Per un attimo, mentre cambiava il panno meccanicamente, si sentì di nuovo sull’orlo delle lacrime.

 

Doveva fare qualcosa, ma cosa? Se le medicine non funzionavano, allora cosa…?

 

Un’idea la colpì così bruscamente che per poco non lasciò cadere l’asciugamano. Immediatamente, un leggero rossore le colorò le guance:

 

No, no, no, non devo comportarmi così… lo devo fare….

 

Sforzandosi esattamente come aveva fatto prima di prendere Ghish tra le braccia, si decise a procedere con l’unico piano a cui era riuscita a pensare. Tutto ciò che restava da fare era svegliare il ragazzo e sperare che riuscisse ad affrontare il tragitto verso il bagno.

 

“Ghish, Ghish, svegliati.” Lo scosse con cautela, temendo di procurargli ulteriore disagio, fino a che i suoi occhi si aprirono. Impiegò qualche istante per mettere a fuoco il volto della ragazza e, quando ci riuscì, disse con un roco e quanto mai infastidito: “Cosa?” Se la situazione non fosse stata così critica, l’irritazione nella sua voce a causa del brusco risveglio, avrebbe potuto divertirla. Dal momento che invece lo era, Strawberry rispose semplicemente:

 

“Devi svegliarti, ti…”

 

Fu interrotta da un colpo di tosse e da un implorante: “Sono troppo stanco.” Deglutendo tanto l’impazienza quanto l’ansia, lei lo spronò dolcemente.

 

“Dobbiamo far scendere la tua febbre Ghish.”

 

L’urgenza nella sua voce dove averlo raggiunto, perché cominciò a sollevarsi in una posizione seduta. Questa volta, però, per poco non ricadde indietro, solo per essere afferrato da Strawberry. Questo fatto confermò i timori della ragazza. Si stava indebolendo.

 

Allontanando quel terribile pensiero, lo aiutò a sedersi, scostò le coperte ed attese che lui portasse le gambe oltre la sponda del letto, prima di aiutarlo ad alzarsi sulle sue gambe tremanti. Per un attimo perse quasi l’equilibrio, quando l’alieno fece ricadere la maggior parte del suo peso su di lei. Dopo aver ritrovato la stabilità, cominciò a fare i primi passi in avanti, incoraggiandolo con dolci mormorii, mentre percorrevano il corridoio, appoggiandosi al muro ogni qualvolta lui veniva preso dai colpi di tosse. Alla fine, raggiunsero il bagno. Ghish si appoggiò a Strawberry, mentre lei apriva l’armadietto e ne traeva fuori uno sgabellino, lasciandolo cadere sul pavimento e dandogli un calcio in modo che fosse accanto alla vasca. Fatto ciò, lasciò che lui ci si sedesse sopra, facendolo appoggiare con delicatezza alla vasca di porcellana mentre lei si procurava degli asciugamano, li inzuppava di acqua fredda e poi, pensandoci su un secondo, prendeva anche un altro po’ di bende prima di sedersi e cominciare ad agire.

 

Sapeva già che fargli un bagno completo sarebbe stato impossibile: i suoi sensi femminili avevano già distrutto questa possibilità. Anche se questi sensi fossero stati inesistenti, era chiaro che spogliare e rivestire il povero ragazzo in quelle condizioni sarebbe stato alquanto difficile e molto stancante per entrambi.

 

Strawberry poteva comunque rinfrescarlo, lavando almeno la parte superiore del corpo. Le dava anche la possibilità di cambiare finalmente le bende.

Prendendo un respiro per calmarsi, si mise a lavorare.

 

La reazione iniziale di Ghish fu rimanere di colpo senza fiato per la sensazione dell’acqua gelida sul corpo, e Strawberry non poté trattenersi dal mettergli una mano rassicurante sulla spalla, mentre premeva l’asciugamano sulla sua pelle.

 

“E’ freddo” mormorò l’alieno e la giovane rispose con un cenno d’assenso, e con una voce tremante per l’ansiosa volontà di scusarsi “Lo so. Lo so, Ghish, ma è per la tua febbre.”

 

Le ultime parole sfociarono in un sussurro, mentre lei si mordeva le labbra, tentando di trattenere le lacrime che minacciavano di uscire. Faceva male, si accorse. Faceva male vederlo così, sentire i tremiti percorrergli il corpo, il calore della pelle, il doloroso raschiare dei suoi respiri che gli scuoteva il petto. Faceva terribilmente male, perché sapeva che ciò che stava vedendo e sentendo non era assolutamente nulla comparato alla sofferenza che lui doveva stare attraversando.

 

La fece quasi spuntare nuove lacrime, e tutto ciò che riuscì a fare fu combatterle nuovamente e cercare di proseguire il più delicatamente possibile con le sue cure.

 

Mentre si occupava della schiena, l’alieno fu colto da un altro accesso di tosse e, alla fine di questo, non riuscì più a tenersi seduto diritto. Dovette appoggiarsi completamente alla vasca, e Strawberry ebbe un brivido quando lui tremò per la perpetua freddezza della porcellana. Senza il benché minimo dubbioso pensiero, lo tirò gentilmente a sé, permettendogli di appoggiarsi a lei.

 

Continuò con la parte davanti, tamponando con cautela intorno ai bordi delle bende prima di decidersi che, infine, era arrivato il momento di cambiarle. Mentre lui le stava ancora appoggiato addosso, cominciò a sfare il nodo che le teneva legate. Un lieve ma brusco inspirare da parte dell’alieno, un segnale che lei aveva sfiorato la zona ferita, la costrinse a fermarsi per un momento, mentre con un braccio circondava la sua vita, facendolo spostare in modo che la testa si posasse sulla spalla di lei.

 

“Va tutto bene Ghish, solo un altro po’, ok?” Lui rispose con un debole cenno della testa, e lei appoggiò la guancia sui suoi capelli aggrovigliati, dandogli una stretta rassicurante con un braccio, mentre terminava di sfasciarlo con l’altro. Quando la benda cadde al suolo, la fece involontariamente una smorfia: poco avrebbe potuto prepararla alla vista della carne terribilmente arrossata che vide.

 

Grazie al cielo vide che, fortunatamente, non si era infettata. Il sollievo la riempì: almeno quella non era andata storta.

 

La sensazione sparì alla stessa velocità con cui era arrivata. Si accorse che, se voleva che la situazione rimanesse tale, avrebbe dovuto eseguire ciò che, nella sua mente, equivaleva ad una tortura. Sforzandosi di trattenere i singhiozzi, con una mano mise dell’antisettico su un asciugamano pulito e, stringendo i denti, si preparò a premerne un angolo contro la carne arrossata, ma si fermò. Un simile approccio era senza senso. Ora, un leggero singhiozzo proruppe dalle sue difese.

“Mi dispiace Ghish.” Sussurrò in una delle sue lunghe orecchie, stringendo inconsciamente la presa intorno a lui, premendo la guancia contro la sua testa, stringendo i denti prima di premere l’asciugamano contro tutta la ferita.

 

Niente, nessun film dell’orrore, nessun dramma ospedaliero, semplicemente nulla, avrebbe potuto prepararla all’urlo che lui lanciò e nulla avrebbe potuto cancellarlo dalla sua memoria.

 

Solo pochi giorni prima non avrebbe mai creduto che avrebbe fatto ciò che stava per fare. Si sarebbe fatta beffe di chiunque l’avesse suggerito, si sarebbe persino

offesa al pensiero.

 

Tutto questo le evaporò dalla mente, quando lo sentì agitarsi in agonia e con il suo urlo rantolante nelle orecchie.

 

Lasciò cadere l’asciugamano, avvolgendo entrambe le braccia attorno al giovane alieno, stringendolo con una ferocia tale da immobilizzarlo. Improvvisamente stava piangendo, sforzandosi non di trattenere le lacrime, ma per evitare un attacco isterico.

 

“Mi dispiace, mi dispiace tanto Ghish.” Singhiozzò nel suo orecchio, con la voce che si riduceva in un dolce mormorare il suo nome, mentre lo cullava avanti e indietro.

 

Era a conoscenza di cinque punti doloranti sulla sua coscia: l’alieno vi aveva affondato le sue unghie, attraversando addirittura il pigiama. In quel momento, sentendo il suo flebile respiro, i suoi tremiti, lei accolse quel dolore, abbracciandolo come unico elemento di giustizia in tutta la situazione, desiderò addirittura, in un delirio isterico, che lui la privasse di un po’ di sangue a mo’ di pagamento.

 

Per quanto rimasero così, Strawberry non sarebbe stata in grado di dirlo. Probabilmente solo pochi minuti, ma a lei sembrò che fossero passate delle ore, ore spese ad acquietare i lamenti dell’alieno, mentre il dolore inimmaginabile scemava, riducendosi ad un sordo malessere al petto, ore prima che lei riuscisse a riprendersi abbastanza da staccare un braccio per afferrare un asciugamano da usare sul petto del ragazzo.

 

Asciugandolo con attenzione, si congelò per la sorpresa quando la voce di Ghish ruppe il silenzio.

 

“Non devi piangere Strawberry, va tutto bene.”

 

Lasciò cadere l’asciugamano totalmente shockata, mentre gli occhi le saettavano verso quelli dell’alieno e le labbra le si separavano, ma la voce non le uscì. Il sorrisetto di lui, lo sguardo gentile nei suoi occhi, il modo in cui si rilassava contro di lei, fidandosi ancora di lei, dopo tutto quello … riuscì a tenere a malapena le lacrime a bada.

 

Un sorriso le sollevò le labbra, un sorriso di gratitudine, di puro sollievo. Gli portò una mano alla fronte.

 

“La febbre è scesa.”

 

Fu tutto ciò che riuscì a dirgli in risposta, eppure sembrò soddisfarlo. Annuì, ma sussultò leggermente e Strawberry si accorse che doveva ancora rifasciare la ferita. Lo fece con la più grande attenzione, terminando con un nodo stretto, ma non troppo.

 

Fatto questo, scoprì che l’alieno si era quasi addormentato su di lei, e lei lo risvegliò.

 

“Non dormire qui.” Mormorò, lasciando che un po’ di divertito sollievo arricchisse la sua voce. “dopo a letto.”

 

Un altro po’ di peso le abbandonò il petto quando Ghish ridacchiò lievemente per quella frase che, se si fosse sentito meglio, avrebbe arricchito con un commento più allusivo. Era un’eco lontana delle sue solite risposte maligne, ma almeno era qualcosa. Era un segno che la malattia stava regredendo e Strawberry si ritrovò a camminare con un passo più leggero lungo il tragitto verso la camera da letto, il volto era molto più rilassato mentre aiutava Ghish a stendersi e gli rimboccava le coperte.

 

Sta meglio. Parla di nuovo e respira con più facilità, la sua pelle non è così calda e..

 

I suoi pensieri la portarono a godersi quel momento di sollievo dopo lo stress del giorno prima.

 

Pochi minuti dopo, era seduta sulla sua sedia, la mente concentrata sugli ultimi problemi di matematica, mentre Ghish dormiva di nuovo.

 

La sua improvvisa felicità era una cosa abbastanza divertente da vedere: uno dei piedi picchiettava contro la gamba della sedia, lei canticchiava dolcemente, uno sorriso sfrontato le illuminava il volto, mentre attaccava gli esercizi con rinnovato vigore.

 

L’ultima volta che si era sentita così felice, era stato quando Mark le aveva confessato il suo amore.

 

Era una fortuna che fosse così presa dalla gioia, altrimenti quella considerazione le avrebbe portato un’ondata di pensieri negativi il cui impatto lei stava cercando forzatamente di rimandare a più tardi. Più tardi, quando fosse stata sicura che Ghish non sarebbe morto per causa sua. Più tardi, quando avrebbe saputo cosa stava combinando lei.

 

Per ora era contenta di crogiolarsi nel sollievo che le era stato offerto dall’abbassamento della febbre di Ghish.

 

Le ore passarono. Strawberry chiuse finalmente il suo libro di matematica e lo mise vicino ad i compiti di inglese e storia prima di decidere che un piccolo controllo della temperatura dell’alieno non sarebbe stato una cattiva idea. Nel momento in cui si alzò, però, Ghish interruppe il suo movimento con un attacco di tosse improvviso, svegliandosi e facendo sobbalzare lei.

 

Fece anche terminare quel senso di pace, perché Strawberry si accorse subito che qualcosa non andava. La tosse durò per un lasso di tempo sconcertante e, quando terminò, lei poté vedere chiaramente che l’alieno tremava terribilmente. Il suo sorriso svanì all’istante, sostituito da un’espressione accigliata con tanto di labbra strette ed occhi sbarrati e lucidi per la preoccupazione. Sedendosi sul letto accanto a lui, gli mise una mano sul metto attirando la sua attenzione prima di parlare.

 

“Ghish, stai bene?” Le parole vennero fuori tremanti, spaventate e, per un momento, Ghish esitò prima di rispondere. Non voleva vederla piangere di nuovo. Lo aveva infastidito prima, anche nella sua stessa sofferenza, il vedere della lacrime cadere da quegli occhi così espressivi. La poteva spaventare, far arrabbiare. Godeva persino della sua espressione sul suo volto, nei suoi bellissimi occhi, ogni qual volta riusciva nel suo intento. Amava il suo coraggio.

 

Ma non poteva, in nessuna circostanza, vederla piangere.

 

Poi esitò, forse avrebbe potuto risponderle con una piccola bugia, se un brivido non gli avesse attraversato il corpo all’improvviso, facendolo rabbrividire violentemente davanti agli occhi di lei. Non sarebbe servito a nulla mentire in quel momento.

 

“Ho solo un… un po’ di freddo, micetta.”

 

Strawberry, nonostante fosse ritenuta lenta in certe occasioni, comprese immediatamente il suo atteggiamento. Se la situazione non fosse stata così opprimente, si sarebbe quasi sentita intrigata. Immediatamente, in qualche lontano angolo della sua mente, questa informazione fu immagazzinata, in attesa di essere esaminata più tardi.

 

Fatto ciò, si morse il labbro e spostò alcune delle ciocche disordinate di Ghish per poter sentire la fronte di nuovo e le sue dita incontrarono una pelle stranamente calda.

 

La sua mente si paralizzò.

 

Di nuovo… di nuovo… è tornata anche dopo…

 

Dopo tutto quello che aveva fatto era tornata. Ebbe.. ebbe voglia di piangere di nuovo.

 

“Ghish” sussurrò ritirando la mano e mettendosela in grembo “io..”

 

Era ad un punto morto. Che altro poteva fare? Non aveva una medicina e non poteva farlo alzare un’altra volta. Il rossore che continuava ad intensificarsi sulle sue guance, la avvertiva che stava avendo un altro violento attacco di febbre, e non voleva sfinirlo.

 

Cosa allora? Cos’altro poteva fare?

 

Le sue unghie scavarono nei palmi delle mani mentre cercava disperatamente un piano.

 

Niente. Assolutamente niente. Non c’era nulla che potesse fare.

 

Fu abbastanza per farle nascere un singhiozzo in gola, e lei dovette lottare per fare in modo che non uscisse. Si rese conto all’improvviso di ciò che aveva realizzato solo pochi istanti prima, ossia che Ghish non voleva vederla piangere, e questo ebbe una nuova importanza sulla sua psiche.

 

Deglutendo, la ragazza si voltò verso l’alieno.

 

“Vado ad alzare il termostato, ok?” lui tossì lievemente, ma riuscì comunque ad annuire, perciò lei eseguì. Un attimo dopo, ripensandoci, si fermò anche davanti all’armadio nel corridoio e prese altre coperte, stendendole sul ragazzo e tirandogliele su fino al mento. Fatto questo ritornò al suo fianco con quello che, sperava, fosse un sorriso confortante.

“Va meglio?”

Ghish cercò di annuire, ma il tentativo fu sabotato da un attacco di tosse e Strawberry esitò. Deglutì di nuovo, quel panico diventava sempre più difficile da nascondere, ma riuscì comunque a mantenere il sorriso.

“Cerca di tornare a dormire. Ti sentirai meglio se ti riposi.”

L’alieno cercò di fare quanto lei diceva. In verità, era ansioso di tornare a dormire: il sonno gli leniva il dolore e gli permetteva di scordarsi della malattia. Ci provò, ma questa volta, la malattia sembrava avere idee totalmente differenti. La febbre continuava a salire, i brividi si intensificavano, gli attacchi di tosse peggiorava e, nel giro di un’ora, aveva completamente perso la speranza di dormire un sonno tranquillo.

Strawberry si sentì indebolita alla vista di questo.

E’ anche peggio di prima. Ora non riesce nemmeno a….

I suoi nuovi pensieri, ora, si focalizzavano interamente sul confortarlo, sul cercare di lenirgli il dolore abbastanza da concedergli il riposo di cui lui aveva un così disperato bisogno ai fini del recupero.

Mentre lui tremava sotto le lenzuola, Strawberry si alzò e si decise.

“Ghish” disse il suo nome, perché, con il passare del tempo, l’alieno stava perdendo la lucidità, anche quando il sonno rimaneva così crudelmente fuori dalla sua portata. “Ghish, mettiti a sedere per un secondo. Solo per un pochino.” Detto ciò, lo aiutò a sedersi prima di mettersi a sedere a sua volta sul cuscino e di fargli poggiare la testa sul suo grembo.

Qualsiasi sorpresa, qualsiasi divertimento che l’alieno avrebbe potuto provare in quella situazione, si perse nella febbre e nella malattia. L’unica cosa che riuscì a fare fu quella di voltare la testa in modo che la mano della ragazza toccasse la sua guancia: era la sola forma di conforto che lei potesse dargli e che lui potesse ricevere.

Ogni qual volta un attacco di tosse od un brivido lo prendevano, Strawberry lo faceva calmare, accarezzandogli i capelli con una mano, tenendo l’altra sulla sua guancia per rassicurarlo, carezzandogli occasionalmente la fronte quando si rilassava dopo ogni attacco. Gli spostava le ciocche sudate dal volto, mantenendo sempre un dolce contatto con i suoi occhi, convinta, da qualche parte nella sua mente, che questo l’avrebbe fatto rimanere con lei.

Resta Ghish. Ti prego .. ti prego.. devi resistere. Devi.. dopo..

Dopo averla risvegliata.

Dopo averci salvate tutte. Dopo aver messo a repentaglio la tua salvezza per la nostra. Dopo essere venuto qui .. Ghish .. dopo avermi dato la tua fiducia. Devi resistere, perché Ghish.. Oh Dio ..Ghish .. penso .. penso che forse io..

Sentì la sua stessa voce sollevarsi attraverso il silenzio stagnante, canticchiando una dolce ninna nanna che ricordava dalla sua infanzia.

Nen nen kororiyo okororiyo, boyawa yoikoda nenneshina.” Una lacrima le scese lungo la guancia, ma lei non fece alcun movimento per asciugarla. Le sue mani stettero con l’alieno, carezzandogli i capelli, lisciando le coperte, mentre cantava, con una voce bassa e delicata, la voce di una madre che consola suo figlio.

Boyano komoriwa dokoe it ta, anoyama koete satoe it ta.” Un attacco di tosse fu fermato da una carezza sulla fronte. Ghish si rilassò contro di lei, girando il volto verso il suo stomaco, seppellendola nella sua camicia, inspirando il suo profumo. Una mano si mosse ad accarezzargli le orecchie, sempre gentile, sempre confortante, mentre il suo respiro si faceva più pesante.

Sato no miyage ni nani morata, denden taikoni sho no fue. Sho no fue.” Si addormentò con un sospiro tremante, un incomprensibile mormorio gli uscì dalle labbra prima che tutta la muscolatura si rilassasse e lui si rilassasse nel suo grembo. Anche quando si fu addormentato, Strawberry continuò con i suoi gesti, mentre la mente si avvolgeva lentamente intorno a sé stessa ed alle sensazioni che stava provando, da ciò che stava vedendo, dai soni che le solleticavano le orecchie.

Carezzandogli i capelli, sentendo la sua pelle calda, si accorse all’improvviso di ciò che stava facendo, e le venne quasi da ridere. Stava coccolando un nemico. Gli stava accarezzandogli la pelle bruciante, lisciandogli i capelli. La sua pelle. I suoi capelli. I suoi. Quelli di Ghish. Colui che avevano sempre combattuto, colui che lei aveva sempre respinto, colui che era sempre stato sconfitto nei modi più disparati.

La sua pelle era liscia, soffice. I suoi capelli, anche se annodati e sudati, erano morbidi. Poteva vedere la fragilità delle sue lunghe orecchie, le vene erano visibili nella pelle quasi traslucida. Poteva vedere le sue sopracciglia umide per le lacrime di dolore, di spossatezza, lunghe e bellissime sopra gli intensi occhi dorati. Tutto quanto era soffice, dolce, bello. Tutto era fragile mentre lui tremava al suo contatto, così teso e pieno di dolore e paura.

Questa era la creatura che lei aveva trattato male. Era quella che lei aveva maledetto, insultato, respinto. Quella parola si ripeté ancora ed ancora… respinto. Combattuto, ferito, odiato.

Questo era il perfido Ghish.

Lei chiuse gli occhi, si chinò sempre di più, finché sentì la pelle calda della fronte sotto le sue labbra.

Ghish… penso che potrei.. potrei essere innamorata di te.

 

 

 

 

TRADUZIONE

Nen nen kororiyo okororiyo
Boyawa yoikoda nenneshina

Boyano komoriwa dokoe it ta

Anoyama koete satoe it ta

Sato no miyage ni nani morata

Denden taikoni sho no fue

Sho no fue

Dormi, dormi,

piccolino, dormi.

Sei un bravo bambino,

Ora vai a dormire.

Sai

Dov’è andata la tua balia?

E’ andata al suo villaggio

Non ci starà molto.

Cosa ti porterà, piccolino

Quando tornerà?

Un flauto così dolce

Ed un tonante tamburo.

Ed un tonante tamburo.

 

FINE DEL CAPITOLO

 

Allora, è valsa la pena attendere? Spero di sì. Spero anche di riuscire ad aggiornare presto, anche se l’estate si preannuncia piena e stra piena di impegni (forse ci incastrerà anche un soggiorno ad Indianapolis).

Spero che abbiate gradito

Bebbe5

 

 

 

 

  
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