Note
dell’autrice: ecco, finalmente riesco ad aggiornare. Perdonatemi per il ritardo,
ma vi avevo avvertito di quella cosa che dovevo fare urgentemente. Ci tengo a
precisare per l’ennesima volta che la fiction non è mia, ma di
cruelfeline. Scusate se batto ancora su questo punto ma mi sono resa conto, da
alcune delle vostre recensioni, che ancora non era molto chiara questa cosa
(Confessate: quanti di voi hanno letto le Note dell’autrice nel primissimo
capitolo?). Beh, passiamo a:
L’ANGOLO
DELLE RECENSIONI:
ANNINA94:
Ah, non essere tanto sicura che si salvi così facilmente. Ce ne sono ancora di
capitoli, vedrai, vedrai. Ti dirò, ero già pronta a protestare che la storia non
è mia, ma ci hai già pensato tu a correggerti: Brava, brava, l’idea mi piace,
sì.
YURI5:
Concordo, Strawberry pensa troppo a Mark anche in situazioni critiche come
questa.
MADAMA
KOKORO: Sono contenta che la fiction ti piaccia. Come ho precisato all’inizio,
la storia non è mia, perciò non posso farci molto quando trovo delle parentesi
che, anche a me, sconfifferano poco. Vabbè, nel caso di discorsi che in italiano
vengono obbrobriosi, chiaro che apporto qualche modifica, ma non posso mica
cambiare tutta la storia.
DOLL93:
Bene, sono contenta che la storia ti piaccia e spero di non averti fatto stare
troppo sulle spine.
MISS
GIULIETTA: Credimi, penso che buona parte delle lettrici se lo sia chiesto,
perché non c’è lei al posto di Straw intendo. Sì, Ghish è ridotto proprio
maluccio, riuscirà a migliorare?
BILU_EMO:
Sì, nell’ultimo capitolo Ghish ha mostrato la parte migliore di sé. Ti capisco
sai, quando mi dici che la scrittrice è brava ma troppo puntigliosa. Tu però hai
solo letto il risultato, pensa a me che lo devo tradurre e cercare di
alleggerire un po’ (vengono discorsi davvero troppo
pleonastici).
TYTY:
Sì, ci sono alcuni passi davvero dolci nel capitolo. Come ho già detto, anche secondo me era un po’ ripetitivo,
ma, purtroppo, ci posso fare poco. L’autrice non sono io.
ASIAGIULY:
Come ho già detto e non mi stancherò mai di ripetere, i ringraziamenti devono
andare alla vera autrice. Sono felice che la storia ti piaccia e spero che tu
continui a seguirla.
TAKARI94:
Ti ringrazio per gli incoraggiamenti e non temere: accada quel che accada, non
lascio una storia a metà. Piuttosto faccio uno sforzo o chiedo a qualcuno di
completarla per me.
ILARY_CHAN:
Non lascerei mai a metà una delle mie storie, sarebbe una ferita nel mio
orgoglio. Mi spiace di averti fatto aspettare così tanto, ma questo capitolo,
come vedrai, era lunghissimo e, tra impegni e robe varie, spesso la voglia era
sotto le scarpe. Spero che tu comprenda.
AKLY:
Grazie mille per i complimenti. Senza di quelli sarebbe molto più arduo
procedere. Grazie grazie grazie.
SIRETTA:
Ancora una volta, la fiction non è mia (sigh), ma di una bravissima autrice, il
cui nome si può leggere nel primissimo capitolo della storia. Grazie comunque
per i complimenti.
Buona
lettura.
Spero
di non essermi dimenticata nessuno: se così fosse fatemi un fischio
eh?
Grazie
a tutte per i commenti e per i complimenti che mi lasciate. Grazie anche per le
segnalazioni critiche che, penso sia giusto, farò avere alla scrittrice quanto
prima.
BUONA
LETTURA
Capitolo
12
Strawberry
era abituata a destreggiarsi in situazioni difficili e quella non era certo
un’eccezione. Frugava nell’armadietto dei medicinali, controllando
freneticamente le etichette di ogni bottiglietta che le capitava tra le
mani.
“Lesse….
Tylenol…. Questo potrebbe essere utile. Motrin? Non è la stesso… oh, ma è per
bambini. Ehm….”
Emise un
brontolio di frustrazione. “Perché dobbiamo averne così tante di queste cose?”
Era troppo chiedere di trovare una bottiglietta con su scritto “io curerò la
febbre?” Fissò l’impressionante collezione di medicinali, che variavano
dall’ibuprofene all’acido salicilico, ed i palmi delle sue mani cominciarono a
dolere quando le unghie vi si conficcarono dentro.
Ok.
Calma. Devo calmarmi. Questo non mi sta aiutando.
Respirando
a fondo, la ragazza chiuse gli occhi, cercando di fare ordine nei suoi pensieri.
Quasi immediatamente, accadde l’esatto opposto, quando si accorse di alcune
lacrime che minacciavano di caderle lungo le guance. Mise giù una delle
bottigliette e si asciugò gli occhi, ma era troppo tardi. Una volta che una sola
lacrima era uscita, ogni tentativo di frenare le altre si rivelava futile.
Incapace di controllare le sensazioni che si erano instaurate in lei nel tempo,
chinò la testa e cominciò a piangere.
E se lui
muore? E se lui muore ed è tutta colpa mia? E’ venuto da me, da me,
pensando che avrei potuto aiutarlo,
quando nessun altro l’avrebbe fatto, ed io ho…ho..
Eruppe
in singhiozzi, portandosi una mano alla bocca, conscia all’improvviso di non
volere che lui la sentisse.
Sta
soffrendo ed è tutta… tutta colpa mia… come posso essere stata così
stupida?
Non avrei dovuto gridargli contro. Non
avrei dovuto nemmeno invitare Mark ad entrare. Come posso essere stata così
idiota?
E’
venuto da me… è venuto da me in quello stato perché…
perché…
Perché
aveva scelto lei invece della sua missione. Aveva… aveva scelto di salvarle la
vita. Tutte le loro vite.
Aveva
sempre detto di volerla, di amarla.
Un
pensiero improvviso le venne in mente, il rude e scioccante gemello di uno
schiaffo sul viso.
E se…
non ci aveva mai pensato, non si era mai confrontata con una situazione che le
permetteva, o la costringeva di analizzare il tutto con attenzione… lui avesse
davvero detto ciò che pensava?
E se non
fosse stato possessivo solo per suo interesse personale?
Di
nuovo, quella battaglia, quegli occhi, quella voce disperata le passarono
davanti agli occhi. Le lacrime si fermarono quando vide il suo riflesso nello
specchio.
E se
quando lui diceva di amarla… se lui…
Scosse
la testa e si asciugò le lacrime. Devo
tornare di là.
Raccolse
le bottigliette tra le braccia e si affrettò ad andare nella sua stanza, sempre
cercando di ignorare l’ironia con cui l’urgenza della situazione, l’aiutava ad
evitare un molto più delicato argomento. Non appena ebbe posato i flaconcini sul
suo comodino ed ebbe preso posto accanto al letto, fu in grado di dimenticare
temporaneamente quei pensieri.
Temporaneamente.
Sempre
temporaneamente.
Cosa
sarebbe accaduto quando non ci fosse stato nulla a distrarla, nessuna
salvezza?
Di
nuovo, scosse fermamente la testa, avvicinandosi all’alieno e posando una mano
sulla fronte dell’alieno. I suoi occhi, chiusi quando lei era entrata, si
aprirono lentamente e si fissarono su di lei.
Lei
pregò, improvvisamente nervosa, affinché non si accorgesse che aveva pianto. Non
voleva renderlo più ansioso. Gli donò quello che sperava fosse uno spensierato,
confortante sorriso. Lui non disse niente, ma lei non sapeva se fosse perché non
se n’era davvero accorto, era troppo debole o non la voleva preoccupare. Grata e
provando un po’ di sollievo, non se ne curò più di tanto.
“Dovrai
sederti, ok? E dovrai anche dirmi se puoi prendere queste medicine o
no.”
Il
ragazzo ubbidì, sollevandosi lentamente sui gomiti, mettendosi con cautela in
una posizione seduta mentre lei guardava, pronta a sostenerlo in caso avesse
vacillato. La tensione dentro di lei si allentò un po’, non appena lui si
appoggiò alla testata del letto, all’apparenza molto stanco, ma anche del tutto
lucido.
Le aveva
perfino sorriso debolmente, anche se solo per un istante. Una tremenda tosse lo
colpì e lei si ricordò di botto dei suoi doveri.
“Questi
sono per la tosse. Sono tutti fatti con Ibuprofene. Sai se…?” si interruppe, con
gli occhi che si fissavano imploranti in quelli di Ghish, mentre aspettava
quella che sperava sarebbe stata una risposta positiva. La sua ansia era così
crudele che, al momento, non voleva nemmeno una risposta. E se fosse stata
negativa?
Prendendo
alcuni respiri stabilizzanti dopo il maleficio della tosse, Ghish chiuse gli
occhi, pensando, sentendo i prosciuganti effetti della malattia anche dopo il
lungo sonno da cui si era appena svegliato.
“Non lo
so” borbottò, cosciente tutto d’un colpo di una paralizzante spossatezza. Le
voleva rispondere, sentiva la sua terribile apprensione, ma poteva concentrarsi
su essa in un remoto angolo della sua mente: era semplicemente troppo esausto,
troppo malato per pensare a dovere.
La
risposta fu tutto tranne ciò che Strawberry aveva sperato. Strinse i pungi, la
gola le si serrò, mentre lei si preparava a liberare i suoi nervi sul ragazzo in
uno scoppio di rabbia. Questa volta riuscì a trattenersi, sbarrando gli occhi in
una sorta di vergognoso shock, mordendosi il labbro con i denti, nel disperato
tentativo di calmarsi.
Ma certo
che non lo sa: è un alieno. E anche se lo sapesse a cose normali, non potrebbe
ricordarselo ora… riesce a malapena a stare sveglio.
E
adesso? Poteva rischiare? Dargli le pasticche e sperare che
funzionassero?
Per un
momento, effettivamente, ponderò la cosa, avvicinandosi per prendere la boccetta
di Tylenol.
L’attimo
successivo si tirò un sonoro schiaffo mentale.
Quel
genere di rischio era pura stupidità.
Aveva
già compiuto degli errori. La situazione era già peggiorata a causa sua.
Lasciare ancora spazio all’errore sarebbe stato
un’idiozia.
Anche
così, il verdetto finale riuscì a portare soltanto un’ondata di disperazione in
lei. Chinò la testa, mentre le unghie le si conficcavano nei palmi delle mani,
mentre cercava di chiarirsi le idee. Un minuto dopo, si alzò, assicurò a Ghish
che sarebbe tornata subito ed andò a prendere una tinozza d’acqua fredda ed un
asciugamano dal bagno.
Una
volta ritornata, disse al ragazzo di sdraiarsi e mise con attenzione la pezza
bagnata sulla sua fronte, illuminandosi quando lui emise un gemito di piacere al
sentirne la temperatura: forse questo sarebbe bastato? Lo guardò chiudere gli
occhi prima di mormorare un leggero: “Grazie micetta” e
sonnecchiare.
Senza
nulla da fare tranne preoccuparsi, Strawberry tentò nuovamente di dedicarsi ai
suoi compiti di matematica. Dopo un’ora si fermò e, con un sospiro esasperato,
mise da parte i problemi irrisolti per andare a cambiare l’asciugamano. Non
appena si fu chinata per esaminare il ragazzo, il suo volto si adombrò: un
pugnale di gelido terrore la colpì al cuore. Era chiaro come il sole che la
febbre non era scesa, anzi, probabilmente il vivo rossore sulle sue guance ed i
respiri affannati suggerivano un innalzamento della
temperatura.
Per un
attimo, mentre cambiava il panno meccanicamente, si sentì di nuovo sull’orlo
delle lacrime.
Doveva
fare qualcosa, ma cosa? Se le medicine non funzionavano, allora
cosa…?
Un’idea la colpì così
bruscamente che per poco non lasciò cadere l’asciugamano. Immediatamente, un
leggero rossore le colorò le guance:
No, no,
no, non devo comportarmi così… lo devo fare….
Sforzandosi
esattamente come aveva fatto prima di prendere Ghish tra le braccia, si decise a
procedere con l’unico piano a cui era riuscita a pensare. Tutto ciò che restava
da fare era svegliare il ragazzo e sperare che riuscisse ad affrontare il
tragitto verso il bagno.
“Ghish,
Ghish, svegliati.” Lo scosse con cautela, temendo di procurargli ulteriore
disagio, fino a che i suoi occhi si aprirono. Impiegò qualche istante per
mettere a fuoco il volto della ragazza e, quando ci riuscì, disse con un roco e
quanto mai infastidito: “Cosa?” Se la situazione non fosse stata così critica,
l’irritazione nella sua voce a causa del brusco risveglio, avrebbe potuto
divertirla. Dal momento che invece lo era, Strawberry rispose
semplicemente:
“Devi
svegliarti, ti…”
Fu
interrotta da un colpo di tosse e da un implorante: “Sono troppo stanco.”
Deglutendo tanto l’impazienza quanto l’ansia, lei lo spronò
dolcemente.
“Dobbiamo
far scendere la tua febbre Ghish.”
L’urgenza
nella sua voce dove averlo raggiunto, perché cominciò a sollevarsi in una
posizione seduta. Questa volta, però, per poco non ricadde indietro, solo per
essere afferrato da Strawberry. Questo fatto confermò i timori della ragazza. Si
stava indebolendo.
Allontanando
quel terribile pensiero, lo aiutò a sedersi, scostò le coperte ed attese che lui
portasse le gambe oltre la sponda del letto, prima di aiutarlo ad alzarsi sulle
sue gambe tremanti. Per un attimo perse quasi l’equilibrio, quando l’alieno fece
ricadere la maggior parte del suo peso su di lei. Dopo aver ritrovato la
stabilità, cominciò a fare i primi passi in avanti, incoraggiandolo con dolci
mormorii, mentre percorrevano il corridoio, appoggiandosi al muro ogni qualvolta
lui veniva preso dai colpi di tosse. Alla fine, raggiunsero il bagno. Ghish si
appoggiò a Strawberry, mentre lei apriva l’armadietto e ne traeva fuori uno
sgabellino, lasciandolo cadere sul pavimento e dandogli un calcio in modo che
fosse accanto alla vasca. Fatto ciò, lasciò che lui ci si sedesse sopra,
facendolo appoggiare con delicatezza alla vasca di porcellana mentre lei si
procurava degli asciugamano, li inzuppava di acqua fredda e poi, pensandoci su
un secondo, prendeva anche un altro po’ di bende prima di sedersi e cominciare
ad agire.
Sapeva
già che fargli un bagno completo sarebbe stato impossibile: i suoi sensi
femminili avevano già distrutto questa possibilità. Anche se questi sensi
fossero stati inesistenti, era chiaro che spogliare e rivestire il povero
ragazzo in quelle condizioni sarebbe stato alquanto difficile e molto stancante
per entrambi.
Strawberry
poteva comunque rinfrescarlo, lavando almeno la parte superiore del corpo. Le
dava anche la possibilità di cambiare finalmente le bende.
Prendendo
un respiro per calmarsi, si mise a lavorare.
La
reazione iniziale di Ghish fu rimanere di colpo senza fiato per la sensazione
dell’acqua gelida sul corpo, e Strawberry non poté trattenersi dal mettergli una
mano rassicurante sulla spalla, mentre premeva l’asciugamano sulla sua
pelle.
“E’
freddo” mormorò l’alieno e la giovane rispose con un cenno d’assenso, e con una
voce tremante per l’ansiosa volontà di scusarsi “Lo so. Lo so, Ghish, ma è per
la tua febbre.”
Le
ultime parole sfociarono in un sussurro, mentre lei si mordeva le labbra,
tentando di trattenere le lacrime che minacciavano di uscire. Faceva male, si
accorse. Faceva male vederlo così, sentire i tremiti percorrergli il corpo, il
calore della pelle, il doloroso raschiare dei suoi respiri che gli scuoteva il
petto. Faceva terribilmente male, perché sapeva che ciò che stava vedendo e
sentendo non era assolutamente nulla comparato alla sofferenza che lui doveva
stare attraversando.
La fece
quasi spuntare nuove lacrime, e tutto ciò che riuscì a fare fu combatterle
nuovamente e cercare di proseguire il più delicatamente possibile con le sue
cure.
Mentre
si occupava della schiena, l’alieno fu colto da un altro accesso di tosse e,
alla fine di questo, non riuscì più a tenersi seduto diritto. Dovette
appoggiarsi completamente alla vasca, e Strawberry ebbe un brivido quando lui
tremò per la perpetua freddezza della porcellana. Senza il benché minimo
dubbioso pensiero, lo tirò gentilmente a sé, permettendogli di appoggiarsi a
lei.
Continuò
con la parte davanti, tamponando con cautela intorno ai bordi delle bende prima
di decidersi che, infine, era arrivato il momento di cambiarle. Mentre lui le
stava ancora appoggiato addosso, cominciò a sfare il nodo che le teneva legate.
Un lieve ma brusco inspirare da parte dell’alieno, un segnale che lei aveva
sfiorato la zona ferita, la costrinse a fermarsi per un momento, mentre con un
braccio circondava la sua vita, facendolo spostare in modo che la testa si
posasse sulla spalla di lei.
“Va
tutto bene Ghish, solo un altro po’, ok?” Lui rispose con un debole cenno della
testa, e lei appoggiò la guancia sui suoi capelli aggrovigliati, dandogli una
stretta rassicurante con un braccio, mentre terminava di sfasciarlo con l’altro.
Quando la benda cadde al suolo, la fece involontariamente una smorfia: poco
avrebbe potuto prepararla alla vista della carne terribilmente arrossata che
vide.
Grazie
al cielo vide che, fortunatamente, non si era infettata. Il sollievo la riempì:
almeno quella non era andata storta.
La
sensazione sparì alla stessa velocità con cui era arrivata. Si accorse che, se
voleva che la situazione rimanesse tale, avrebbe dovuto eseguire ciò che, nella
sua mente, equivaleva ad una tortura. Sforzandosi di trattenere i singhiozzi,
con una mano mise dell’antisettico su un asciugamano pulito e, stringendo i
denti, si preparò a premerne un angolo contro la carne arrossata, ma si fermò.
Un simile approccio era senza senso. Ora, un leggero singhiozzo proruppe dalle
sue difese.
“Mi
dispiace Ghish.” Sussurrò in una delle sue lunghe orecchie, stringendo
inconsciamente la presa intorno a lui, premendo la guancia contro la sua testa,
stringendo i denti prima di premere l’asciugamano contro tutta la
ferita.
Niente,
nessun film dell’orrore, nessun dramma ospedaliero, semplicemente nulla, avrebbe
potuto prepararla all’urlo che lui lanciò e nulla avrebbe potuto cancellarlo
dalla sua memoria.
Solo
pochi giorni prima non avrebbe mai creduto che avrebbe fatto ciò che stava per
fare. Si sarebbe fatta beffe di chiunque l’avesse suggerito, si sarebbe persino
offesa
al pensiero.
Tutto
questo le evaporò dalla mente, quando lo sentì agitarsi in agonia e con il suo
urlo rantolante nelle orecchie.
Lasciò
cadere l’asciugamano, avvolgendo entrambe le braccia attorno al giovane alieno,
stringendolo con una ferocia tale da immobilizzarlo. Improvvisamente stava
piangendo, sforzandosi non di trattenere le lacrime, ma per evitare un attacco
isterico.
“Mi
dispiace, mi dispiace tanto Ghish.” Singhiozzò nel suo orecchio, con la voce che
si riduceva in un dolce mormorare il suo nome, mentre lo cullava avanti e
indietro.
Era a
conoscenza di cinque punti doloranti sulla sua coscia: l’alieno vi aveva
affondato le sue unghie, attraversando addirittura il pigiama. In quel momento,
sentendo il suo flebile respiro, i suoi tremiti, lei accolse quel dolore,
abbracciandolo come unico elemento di giustizia in tutta la situazione, desiderò
addirittura, in un delirio isterico, che lui la privasse di un po’ di sangue a
mo’ di pagamento.
Per
quanto rimasero così, Strawberry non sarebbe stata in grado di dirlo.
Probabilmente solo pochi minuti, ma a lei sembrò che fossero passate delle ore,
ore spese ad acquietare i lamenti dell’alieno, mentre il dolore inimmaginabile
scemava, riducendosi ad un sordo malessere al petto, ore prima che lei riuscisse
a riprendersi abbastanza da staccare un braccio per afferrare un asciugamano da
usare sul petto del ragazzo.
Asciugandolo
con attenzione, si congelò per la sorpresa quando la voce di Ghish ruppe il
silenzio.
“Non
devi piangere Strawberry, va tutto bene.”
Lasciò
cadere l’asciugamano totalmente shockata, mentre gli occhi le saettavano verso
quelli dell’alieno e le labbra le si separavano, ma la voce non le uscì. Il
sorrisetto di lui, lo sguardo gentile nei suoi occhi, il modo in cui si
rilassava contro di lei, fidandosi ancora di lei, dopo tutto quello … riuscì a
tenere a malapena le lacrime a bada.
Un
sorriso le sollevò le labbra, un sorriso di gratitudine, di puro sollievo. Gli
portò una mano alla fronte.
“La
febbre è scesa.”
Fu tutto
ciò che riuscì a dirgli in risposta, eppure sembrò soddisfarlo. Annuì, ma
sussultò leggermente e Strawberry si accorse che doveva ancora rifasciare la
ferita. Lo fece con la più grande attenzione, terminando con un nodo stretto, ma
non troppo.
Fatto
questo, scoprì che l’alieno si era quasi addormentato su di lei, e lei lo
risvegliò.
“Non
dormire qui.” Mormorò, lasciando che un po’ di divertito sollievo arricchisse la
sua voce. “dopo a letto.”
Un altro
po’ di peso le abbandonò il petto quando Ghish ridacchiò lievemente per quella
frase che, se si fosse sentito meglio, avrebbe arricchito con un commento più
allusivo. Era un’eco lontana delle sue solite risposte maligne, ma almeno era qualcosa. Era un segno che la malattia
stava regredendo e Strawberry si ritrovò a camminare con un passo più leggero
lungo il tragitto verso la camera da letto, il volto era molto più rilassato
mentre aiutava Ghish a stendersi e gli rimboccava le
coperte.
Sta
meglio. Parla di nuovo e respira con più facilità, la sua pelle non è così calda
e..
I suoi
pensieri la portarono a godersi quel momento di sollievo dopo lo stress del
giorno prima.
Pochi
minuti dopo, era seduta sulla sua sedia, la mente concentrata sugli ultimi
problemi di matematica, mentre Ghish dormiva di nuovo.
La sua
improvvisa felicità era una cosa abbastanza divertente da vedere: uno dei piedi
picchiettava contro la gamba della sedia, lei canticchiava dolcemente, uno
sorriso sfrontato le illuminava il volto, mentre attaccava gli esercizi con
rinnovato vigore.
L’ultima
volta che si era sentita così felice, era stato quando Mark le aveva confessato
il suo amore.
Era una
fortuna che fosse così presa dalla gioia, altrimenti quella considerazione le
avrebbe portato un’ondata di pensieri negativi il cui impatto lei stava cercando
forzatamente di rimandare a più tardi. Più tardi, quando fosse stata sicura che
Ghish non sarebbe morto per causa sua. Più tardi, quando avrebbe saputo cosa
stava combinando lei.
Per ora
era contenta di crogiolarsi nel sollievo che le era stato offerto
dall’abbassamento della febbre di Ghish.
Le ore
passarono. Strawberry chiuse finalmente il suo libro di matematica e lo mise
vicino ad i compiti di inglese e storia prima di decidere che un piccolo
controllo della temperatura dell’alieno non sarebbe stato una cattiva idea. Nel
momento in cui si alzò, però, Ghish interruppe il suo movimento con un attacco
di tosse improvviso, svegliandosi e facendo sobbalzare
lei.
Fece
anche terminare quel senso di pace, perché Strawberry si accorse subito che
qualcosa non andava. La tosse durò per un lasso di tempo sconcertante e, quando
terminò, lei poté vedere chiaramente che l’alieno tremava terribilmente. Il suo
sorriso svanì all’istante, sostituito da un’espressione accigliata con tanto di
labbra strette ed occhi sbarrati e lucidi per la preoccupazione. Sedendosi sul
letto accanto a lui, gli mise una mano sul metto attirando la sua attenzione
prima di parlare.
“Ghish,
stai bene?” Le parole vennero fuori tremanti, spaventate e, per un momento,
Ghish esitò prima di rispondere. Non voleva vederla piangere di nuovo. Lo aveva
infastidito prima, anche nella sua stessa sofferenza, il vedere della lacrime
cadere da quegli occhi così espressivi. La poteva spaventare, far arrabbiare.
Godeva persino della sua espressione sul suo volto, nei suoi bellissimi occhi,
ogni qual volta riusciva nel suo intento. Amava il suo
coraggio.
Ma non
poteva, in nessuna circostanza, vederla piangere.
Poi
esitò, forse avrebbe potuto risponderle con una piccola bugia, se un brivido non
gli avesse attraversato il corpo all’improvviso, facendolo rabbrividire
violentemente davanti agli occhi di lei. Non sarebbe servito a nulla mentire in
quel momento.
“Ho solo
un… un po’ di freddo, micetta.”
Strawberry,
nonostante fosse ritenuta lenta in certe occasioni, comprese immediatamente il
suo atteggiamento. Se la situazione non fosse stata così opprimente, si sarebbe
quasi sentita intrigata. Immediatamente, in qualche lontano angolo della sua
mente, questa informazione fu immagazzinata, in attesa di essere esaminata più
tardi.
Fatto
ciò, si morse il labbro e spostò alcune delle ciocche disordinate di Ghish per
poter sentire la fronte di nuovo e le sue dita incontrarono una pelle
stranamente calda.
La sua
mente si paralizzò.
Di
nuovo… di nuovo… è tornata anche dopo…
Dopo
tutto quello che aveva fatto era tornata. Ebbe.. ebbe voglia di piangere di
nuovo.
“Ghish”
sussurrò ritirando la mano e mettendosela in grembo “io..”
Era ad
un punto morto. Che altro poteva fare? Non aveva una medicina e non poteva farlo
alzare un’altra volta. Il rossore che continuava ad intensificarsi sulle sue
guance, la avvertiva che stava avendo un altro violento attacco di febbre, e non
voleva sfinirlo.
Cosa
allora? Cos’altro poteva fare?
Le sue
unghie scavarono nei palmi delle mani mentre cercava disperatamente un
piano.
Niente.
Assolutamente niente. Non c’era nulla che potesse fare.
Fu
abbastanza per farle nascere un singhiozzo in gola, e lei dovette lottare per
fare in modo che non uscisse. Si rese conto all’improvviso di ciò che aveva
realizzato solo pochi istanti prima, ossia che Ghish non voleva vederla
piangere, e questo ebbe una nuova importanza sulla sua
psiche.
Deglutendo,
la ragazza si voltò verso l’alieno.
“Vado ad
alzare il termostato, ok?” lui tossì lievemente, ma riuscì comunque ad annuire,
perciò lei eseguì. Un attimo dopo, ripensandoci, si fermò anche davanti
all’armadio nel corridoio e prese altre coperte, stendendole sul ragazzo e
tirandogliele su fino al mento. Fatto questo ritornò al suo fianco con quello
che, sperava, fosse un sorriso confortante.
“Va
meglio?”
Ghish
cercò di annuire, ma il tentativo fu sabotato da un attacco di tosse e
Strawberry esitò. Deglutì di nuovo, quel panico diventava sempre più difficile
da nascondere, ma riuscì comunque a mantenere il sorriso.
“Cerca
di tornare a dormire. Ti sentirai meglio se ti riposi.”
L’alieno
cercò di fare quanto lei diceva. In verità, era ansioso di tornare a dormire: il
sonno gli leniva il dolore e gli permetteva di scordarsi della malattia. Ci
provò, ma questa volta, la malattia sembrava avere idee totalmente differenti.
La febbre continuava a salire, i brividi si intensificavano, gli attacchi di
tosse peggiorava e, nel giro di un’ora, aveva completamente perso la speranza di
dormire un sonno tranquillo.
Strawberry
si sentì indebolita alla vista di questo.
E’ anche
peggio di prima. Ora non riesce nemmeno a….
I suoi
nuovi pensieri, ora, si focalizzavano interamente sul confortarlo, sul cercare
di lenirgli il dolore abbastanza da concedergli il riposo di cui lui aveva un
così disperato bisogno ai fini del recupero.
Mentre
lui tremava sotto le lenzuola, Strawberry si alzò e si
decise.
“Ghish”
disse il suo nome, perché, con il passare del tempo, l’alieno stava perdendo la
lucidità, anche quando il sonno rimaneva così crudelmente fuori dalla sua
portata. “Ghish, mettiti a sedere per un secondo. Solo per un pochino.” Detto
ciò, lo aiutò a sedersi prima di mettersi a sedere a sua volta sul cuscino e di
fargli poggiare la testa sul suo grembo.
Qualsiasi
sorpresa, qualsiasi divertimento che l’alieno avrebbe potuto provare in quella
situazione, si perse nella febbre e nella malattia. L’unica cosa che riuscì a
fare fu quella di voltare la testa in modo che la mano della ragazza toccasse la
sua guancia: era la sola forma di conforto che lei potesse dargli e che lui
potesse ricevere.
Ogni
qual volta un attacco di tosse od un brivido lo prendevano, Strawberry lo faceva
calmare, accarezzandogli i capelli con una mano, tenendo l’altra sulla sua
guancia per rassicurarlo, carezzandogli occasionalmente la fronte quando si
rilassava dopo ogni attacco. Gli spostava le ciocche sudate dal volto,
mantenendo sempre un dolce contatto con i suoi occhi, convinta, da qualche parte
nella sua mente, che questo l’avrebbe fatto rimanere con
lei.
Resta
Ghish. Ti prego .. ti prego.. devi resistere. Devi..
dopo..
Dopo
averla risvegliata.
Dopo
averci salvate tutte. Dopo aver messo a repentaglio la tua salvezza per la
nostra. Dopo essere venuto qui .. Ghish .. dopo avermi dato la tua fiducia. Devi
resistere, perché Ghish.. Oh Dio ..Ghish .. penso .. penso che forse
io..
Sentì la
sua stessa voce sollevarsi attraverso il silenzio stagnante, canticchiando una
dolce ninna nanna che ricordava dalla sua infanzia.
“Nen
nen kororiyo okororiyo, boyawa yoikoda nenneshina.” Una lacrima le scese lungo la guancia, ma
lei non fece alcun movimento per asciugarla. Le sue mani stettero con l’alieno,
carezzandogli i capelli, lisciando le coperte, mentre cantava, con una voce
bassa e delicata, la voce di una madre che consola suo
figlio.
“Boyano komoriwa dokoe it ta, anoyama koete satoe it ta.”
Un
attacco di tosse fu fermato da una carezza sulla fronte. Ghish si rilassò contro
di lei, girando il volto verso il suo stomaco, seppellendola nella sua camicia,
inspirando il suo profumo. Una mano si mosse ad accarezzargli le orecchie,
sempre gentile, sempre confortante, mentre il suo respiro si faceva più
pesante.
“Sato
no miyage ni nani morata, denden taikoni sho no fue. Sho no fue.” Si addormentò con un sospiro tremante, un
incomprensibile mormorio gli uscì dalle labbra prima che tutta la muscolatura si
rilassasse e lui si rilassasse nel suo grembo. Anche quando si fu addormentato,
Strawberry continuò con i suoi gesti, mentre la mente si avvolgeva lentamente
intorno a sé stessa ed alle sensazioni che stava provando, da ciò che stava
vedendo, dai soni che le solleticavano le orecchie.
Carezzandogli
i capelli, sentendo la sua pelle calda, si accorse all’improvviso di ciò che
stava facendo, e le venne quasi da ridere. Stava coccolando un nemico. Gli stava
accarezzandogli la pelle bruciante, lisciandogli i capelli. La sua pelle. I suoi
capelli. I suoi. Quelli di Ghish. Colui che avevano sempre combattuto, colui che
lei aveva sempre respinto, colui che era sempre stato sconfitto nei modi più
disparati.
La
sua pelle era liscia, soffice. I suoi capelli, anche se annodati e sudati, erano
morbidi. Poteva vedere la fragilità delle sue lunghe orecchie, le vene erano
visibili nella pelle quasi traslucida. Poteva vedere le sue sopracciglia umide
per le lacrime di dolore, di spossatezza, lunghe e bellissime sopra gli intensi
occhi dorati. Tutto quanto era soffice, dolce, bello. Tutto era fragile mentre
lui tremava al suo contatto, così teso e pieno di dolore e
paura.
Questa
era la creatura che lei aveva trattato male. Era quella che lei aveva maledetto,
insultato, respinto. Quella parola si ripeté ancora ed ancora… respinto.
Combattuto, ferito, odiato.
Questo
era il perfido Ghish.
Lei
chiuse gli occhi, si chinò sempre di più, finché sentì la pelle calda della
fronte sotto le sue labbra.
Ghish…
penso che potrei.. potrei essere innamorata di te.
TRADUZIONE
Nen nen
kororiyo okororiyo
Boyawa yoikoda nenneshina
Boyano
komoriwa dokoe it ta
Anoyama
koete satoe it ta
Sato no
miyage ni nani morata
Denden
taikoni sho no fue
Sho no
fue
Dormi,
dormi,
piccolino,
dormi.
Sei un
bravo bambino,
Ora vai a
dormire.
Sai
Dov’è
andata la tua balia?
E’ andata
al suo villaggio
Non ci
starà molto.
Cosa ti
porterà, piccolino
Quando
tornerà?
Un flauto così dolce
Ed un
tonante tamburo.
Ed un
tonante tamburo.
FINE DEL
CAPITOLO
Allora,
è valsa la pena attendere? Spero di sì. Spero anche di riuscire ad aggiornare
presto, anche se l’estate si preannuncia piena e stra piena di impegni (forse ci
incastrerà anche un soggiorno ad Indianapolis).
Spero
che abbiate gradito
Bebbe5