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Autore: fri rapace    25/05/2010    6 recensioni
Andromeda strinse i denti perfetti, l’odio che le riluceva negli occhi. “Io vorrei vederti morto.”
Louis ringraziò tutti i santi del Paradiso che non si stesse rivolgendo a lui, mentre un brivido lo squassava da capo a piedi. Era stata molto convincente.
Ma Remus non si scompose. “Lo capisco.”

Andromeda raggiunge il genero che ha lasciato la moglie incinta.
Storia classificatasi prima al contest: «GiveMeASecondChance!» di Robinki
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Tonks, Nuovo personaggio, Remus Lupin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Tutto e per sempre

Che era uno di loro, Louis l’aveva capito subito: gli abiti stracciati, il modo in cui procedeva radente la parete sporca, sfiorando senza accorgersene le gomme da masticare appiccicate all’altezza delle sue mani. Lo sguardo rivolto verso il basso era quello di chi non aveva una meta precisa, cieco nella luce verdastra della metropolitana londinese.
Scelse un angolo non molto distante da lui per lasciarsi scivolare a terra, commentando con un sospiro infelice quello che lesse sull’orologio digitale di un passante: il tempo a sua disposizione era troppo da sopportare, e Louis lo capiva bene. Era così anche per lui.
Gli si avvicinò, attratto dall’idea di poter parlare con qualcuno.
Era da un po’ che non gli capitava. Bisognava scegliere bene i tizi con cui attaccar bottone, perché per strada spesso la situazione degenerava e si finiva con il buscarsi un sacco di botte. Ma quello sembrava del tutto innocuo.
“Ehi!” lo salutò, senza ottenere nessuna risposta da parte sua. Aveva addosso l’odore dolciastro di chi ha bevuto troppo, senza prendersi poi la briga di mascherare il proprio stato con due o tre caffè.
Doveva essere un novellino per non sapere che se puzzavi troppo nessuno si fermava per gettarti qualche moneta, ma avrebbe imparato presto, se non voleva morire di fame o strangolarsi per le crisi di astinenza da alcol.
Malgrado il caldo era coperto da uno strano mantello dall’aria molto pesante, e se lo teneva ben stretto attorno al corpo.
“Hai freddo?” buttò lì incrociando il suo sguardo. Quello che vide non gli piacque per nulla: era del tutto perso, come quello di chi aveva subito un forte shock.
Conosceva bene quell’espressione, era quella che gli rimandava lo specchio tutte le mattine, dopo che sua moglie l’aveva mollato.
Probabilmente non avrebbe ascoltato neppure la nuova domanda che stava per porgli, ma tanto Louis conosceva già la risposta.
La pena di quell’uomo era la sua pena e una mano tesa in un momento buio non era molto, ma qualcosa sì.
“E… a te cosa è successo?”
Quello scosse il capo, ma strinse cordialmente la sua mano quando gliela allungò.
“Mia moglie”, iniziò riluttante, dopo essersi presentato.
I suoi problemi dovevano essere iniziati proprio dal nome che portava: Remus! Era assurdo, chissà cosa doveva aver passato a scuola.
“Quella puttana!” esclamò, per incoraggiarlo a sfogarsi. Storia già ascoltata milioni di volte: lei ti molla, si becca la casa e il mantenimento e tu finisci per strada, perché il tuo stipendio si assottiglia tanto che non riesci più a pagare l’affitto.
Lo sguardo di Remus cambiò, si fece strano, spaventoso, tanto da sconcertarlo. “Non lo dire mai più!” gli ringhiò contro.
L’aveva giudicato un povero imbranato senza palle come lui, di quelli che si fanno tirare in giro da tutti, ma forse si era sbagliato.
Mise le mani avanti. “Ok, amico, sta tranquillo! Volevo solo sapere cosa ti è successo.”
“Ho lasciato mia moglie. Incinta”, sputò lui, con l’aria di stare per vomitare.
“Il bambino è di un altro?”
“È mio.”
Bizzarro, lo aveva detto con rammarico?
“Io ho due figli”, osservò, cercando di mostrarsi felice. Due ragazzi che erano la sua sola ragione di vita, e che non vedeva da tre mesi. Non aveva cuore di mostrarsi loro ridotto com’era, ma quello non glielo disse, non gli sarebbe stato di alcun conforto.
“Oh”, fece lui, con una strana espressione. Gli ci volle del tempo per raccogliere il coraggio sufficiente a proseguire. “Io sono malato. Molto malato.”
Ah! Quello chiariva la questione: “Temi per il bambino?”
“Sì.”
“E sapevi di essere malato, quando…”
“Sì.” Ancora quello sguardo cieco.
“Preservativi?”
Intuì dalle sue labbra appena tirate un sorriso ironico. “Grazie per l’offerta, ma ormai è troppo tardi, non trovi?”
Non fu necessario replicare. Quando notò la donna che stava andando loro incontro ebbe la certezza che i preservativi sarebbero stati anche l’ultimo dei suoi pensieri, se una con un corpo tanto mozzafiato gli si fosse infilata tra le gambe.
Fece saltare lo sguardo da lei a Remus più volte, senza riuscire a capire come una signora affascinante e dall’aspetto nobile come quella potesse aver notato, anche solo per scansarlo, uno come lui.
“Perché sei qui?” le chiese Remus, rifugiandosi ancora di più nel mantello.
Lei non rispose, sembrava arrabbiata e stanca. Troppo, per dar voce ai propri pensieri.
“Avrei potuto essere ovunque!” le disse, in tono d'accusa.
Quando lei si decise a parlare, il tono della sua voce non promise nulla di buono. “Hai detto a Ninfadora che per quanto in basso tu sia mai caduto, non sei mai riuscito ad andare più sotto della metropolitana di Londra.”
Rispose all’espressione interrogativa di Remus senza batter ciglio. “Lei ricorda tutto quello che le dici. Tutto e per sempre.”
Louis gli diede di gomito. “Come hai potuto tradire questo pezzo di…”
La moglie di Remus lo fulminò con lo sguardo.
“Ehm…” si affrettò a correggersi. “Questa bella signora con una che si chiama Ninfadora?”
“Lei è Andromeda. Mia suocera.”
Non gli credette. “E quanti anni ha tua moglie? Dodici?”
“Ninfadora,” precisò Andromeda, gelida. “È abbastanza adulta da portare un bambino in grembo,” strinse i denti perfetti, l’odio che le riluceva negli occhi. “Io vorrei vederti morto.”
Louis ringraziò tutti i santi del Paradiso che non si stesse rivolgendo a lui, mentre un brivido lo squassava da capo a piedi. Era stata molto convincente.
Ma Remus non si scompose. “Lo capisco.”
Qualcosa sbucò dal mantello della donna e per un attimo fu certo che ne avrebbe fatto capolino una pistola. Gli sfuggì un sorriso di sollievo quando vide che era solo una bacchetta di legno.
“Ti piacerebbe, non è vero?”
“Renderebbe tutto più facile.”
Lei annuì, puntandogli contro il legnetto. Forse non si rendeva conto di quanto stupida sembrasse con quell’affare in mano. “Facile no, ma giusto. Quello che tu hai fatto…”
“Io non voglio morire”, la interruppe lui svelto, ma senza fare nulla per difendersi… non che fosse necessario farlo, cosa pensava di fare quella pazza con un pezzo di legno?
Andromeda storse il naso. “Sei ubriaco!”
“Cerco di rimanerlo il più a lungo possibile.”
“Con quale denaro? Ninfadora dice che non hai preso con te un solo zellino.”
Lui fece un gesto vago, fingendo di impugnare una bottiglia invisibile. “Ho rubato. Potresti denunciarmi”, le propose, come se la ritenesse un’offerta ragionevole. Non allettante come il suo omicidio, ma tutto sommato buona.
Ma lei non sembrò d’accordo.
“A chiedere la carità mi vergogno troppo, non ci sono mai riuscito,” rise, amaro. “Faccio abbastanza pena da spingere la gente a metter mano al portafoglio, ma sul più bello ritiro la mia.”
“Come hai fatto con mia figlia.”
Lui ristette. “Come?”
“Quante volte hai già ritratto la tua mano? Ti vergogni troppo per chiedere l’elemosina, ma hai avuto la faccia tosta di mollare mia figlia e il vostro bambino e continuare con la tua vita come se nulla fosse!”  Si guardò attorno, come se invece che in una fermata della metropolitana sostasse in uno dei saloni di Buckingham Palace.
Louis non avrebbe definito “continuare la sua vita come se nulla fosse” lo stato in cui era ridotto Remus, ma comprendeva la rabbia della donna. Aveva dei figli anche lui. Si scostò un po’, all’improvviso la sua vicinanza lo infastidiva.
“Ninfadora sta male. È solo per questo se sono venuta qui e ancora non ti ho colpito.”
Lui si irrigidì, battendo a ripetizione le palpebre, la bocca piegata in una smorfia.
Andromeda parlò ancora, con malignità e il chiaro intento di ferirlo. “Hai le orecchie tutte rosse, non starai per metterti a frignare, non è vero?” lo schernì. Ma non c’era divertimento né soddisfazione nella sua voce.
A Remus ci vollero molti respiri profondi per calmarsi, ma alla fine riuscì a evitare le lacrime.
Appoggiò la sua spalla contro quella di Louis e lui non si ritrasse, tornando a tifare per l’uomo.
Aveva fatto una cosa orribile, ma alla fine tutto si riduceva a quello: da che parte stare. Persone per bene o miserabili?
Bisognava sempre offrire appoggio alla propria gente, anche quando non era giusto e avevano sbagliato.
“Vuoi sapere cos’ha Ninfadora? Un marito che l’ha abbandonata.”
“Quello non c’è l’ha più, è per questo che me ne sono andato, per liberarla!” cercò di spiegarle, era sinceramente convinto che la sua azione fosse l’unica cosa giusta da fare.
La voce di Andromeda tremò per la prima volta. “Devi tornare a casa. Vorrei vederti morto, ma devo pensare a mia figlia.”
“Mi spiace, ma stavolta passo.”
Lo schiaffo calò, sonoro e rabbioso, sul suo orecchio già arrossato per la vergogna.
“Almeno piangi per qualcosa!” gli urlò come se stesse parlando a un bambino capriccioso, colpendolo di nuovo. Qualche passante si girò ridacchiando, la scena era così surreale che lo stesso Louis non riuscì a trattenere un sorriso, che si spense subito nel notare la facciata di freddezza della donna che andava in frantumi.
“Il bambino…” boccheggiò lui.
“Non ci sarà più nessun bambino se Dora continua così! Lo capisci o no? O è questo che vuoi? Vuoi che dopo che ha perso l’uomo che ama, perda anche suo figlio?”
“Io…”
“Ne morirà e tu lo sai, tu lo sai!”
Ora che aveva perso il controllo non pareva più tanto bella, le piccole rughe che le segnavano il viso raccontavano di una vita tutt’altro che facile.
La voce le si spense, la bacchetta di legno stretta nel pugno abbandonata lungo il fianco in segno di sconfitta.
Louis si piegò verso Remus, la menzogna che gli saliva spontanea alle labbra. “Quando mi sono seduto qui accanto a te, mi hai detto che volevi tornare a casa.”
Gli stava venendo offerta una seconda possibilità, merce rara. Non poteva permettergli di lasciarsela sfuggire, perché lo sapeva bene che passata quella soglia non c’era più verso di tornare indietro. Non ci sarebbe stata nessuna terza possibilità.
“L’ho detto?” mormorò lui, gli occhi socchiusi, come per ricordare. O per non vedere la bugia.
“Suonava bene. Prova a dirlo a lei.”
Remus deglutì. Era ancora convinto di stare sbagliando, ma ubbidì. “Voglio tornare a casa.”
Andromeda non gli credette, ma si scostò, facendogli strada e poi seguendolo in silenzio.
Gli sembrò di vederli scomparire nel nulla dopo essersi nascosti dietro le macchinette che distribuivano i dolci, ma sapeva che non era possibile.
Un pensiero che si affacciò alla sua mente spesso, da allora: ogni volta che quel gufo dall’aria rintronata, che si ostinava a rintracciarlo ovunque andasse, si appollaiava vicino a lui, scaricando cibo e a volte qualche soldo. Il biglietto con il “grazie” tracciato a grandi lettere che gli aveva consegnato la prima volta che l’aveva raggiunto era la sola cosa, assieme alle foto dei suoi figli, che conservava all’interno del proprio portafoglio.







Ho appena finito di leggere un libriccino che parla dei senzatetto francesi (Il sole dei morenti, di Jean-Claude Izzo). Mi ha spezzato il cuore. E questa ff è il frutto della lettura :-(
Non so com'è, forse non è granché... ma sentivo di dover scrivere qualcosa.
Come sempre un grazie a chi mi segue ^^
ciao ciao
Fri



PRIMA CLASSIFCATA
Fri – Tutto e per sempre

Grammatica: 9.85/10
Stile e lessico: 10/10
Originalità: 10/10
Attinenza al tema: 10/10
Gradimento personale: 10/10
49.85/50
La tua storia mi ha colpita come uno schiaffo in pieno viso. Bella.
Per quanto mi riguarda potrei anche continuare a scrivere altre centinaia di righe, ma il mio commento raccoglierebbe sempre questo succo, in sostanza.
Il tuo Remus è così perfetto e ho apprezzato questa Andromeda così forte, così Black, accompagnata dalla donna temprata dai mille sacrifici derivanti dal portare proprio quel cognome.
Bellissima l'idea della metropolitana e di descrivere il tutto sotto il punto di vista di Louis. Mi sembrava quasi di avere una finestrella affacciata sulla scena e di poter osservare il tutto con un commento imparziale di sottofondo.
Se ci fosse stato un punteggio per la caratterizzazione avresti preso 10 e lode, davvero.
La grammatica è precisa, ma nell'ultimo periodo (precisamente “ Il biglietto con il “grazie” tracciato a grandi lettere che gli aveva consegnato la prima volta che l’aveva raggiunto era la sola cosa, assieme alle foto dei suoi figli, che conservava all’interno del proprio portafoglio.”) forse avrei suddiviso la frase con un paio di virgole in più.
Per il resto è tutto meravigliosamente perfetto. Fantastica!
   
 
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