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Autore: Valaus    25/05/2010    7 recensioni
A Ted Lupin è stato affidato un compito importante e molto delicato: provvedere alla felicità di Victoire Weasley. Ne sarebbe stato all'altezza?
Fan fiction partecipante al Multicolor Contest indetto da _Mary, Nabiki93 e Fierobecca93 sul forum di EFP
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Teddy Lupin, Victorie Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa FF ha partecipato al Multicolor Contest organizzato da _Mary, Nabiki93 e Fierobecca93 sul forum di EFP, classificandosi undicesima. Il contest prevedeva la scelta di un colore abbinato ad una traccia, io ho scelto il Blu, abbinato alla coppia Teddy/Victoire. E' stato il mio primo esperimento su questo pairing e sulla nuova generazione in generale, e ringrazio le tre "giudice" per l'opportunità, nonchè tutte le altre partecipanti a cui rinnovo i miei più sentiti complimenti ;)
Detto ciò, buona lettura!







"Tutto Sommato, La Felicità E' Una Piccola Cosa"







Fleur Delacour non era mai stata un mostro di simpatia. Snob, altezzosa, narcisista, priva di tatto e dolcezza, quando si rivolgeva a qualcuno lo faceva senza mezzi termini, parlando in maniera schietta e brutale. E non sempre il motivo era la poca padronanza della lingua inglese.
Quello era il suo carattere. Tipicamente francese, la definiva suo marito Bill. Compensava il tutto con una bellezza mozzafiato, di cui però era piuttosto facile dimenticarsi, di fronte all’acredine della sua personalità.
Era così. Con suo marito, con la sua famiglia d'origine e con quella acquisita grazie al matrimonio, con amici e conoscenti. Con tutti.
Tranne uno.
Esisteva una sola persona al mondo con cui Fleur mostrava una tenerezza per lei insolita. Solo in sua presenza smetteva la sua tipica maschera da fata glaciale, per diventare una semplice donna affettuosa e piacevole.
Quella persona era Teddy Lupin.
Fu lui l’unico a cui concesse un privilegio altresì negato a chiunque non fosse Bill Weasley. Al quale, per altro, sentiva di doverlo solo per il suo ruolo di marito.
Fu lui l’unico a cui tutto ciò fu concesso non per pacata accondiscendenza, ma per piacere. Il piacere di accontentare la sua ingenua richiesta, il piacere di condividere con lui qualcosa di tanto prezioso.




< Posso toccarla?>
Quando la squillante voce di Teddy le rivolse quella domanda, con il suo delizioso ditino puntato verso il proprio ventre gonfio, lei sorrise. Non protestò, come aveva fatto in precedenza con chiunque avesse manifestato un simile desiderio. Si limitò ad annuire, un’espressione dolce dipinta sulle labbra. Titubante, il bambino allungò la piccola mano, fino a sfiorare quella dura escrescenza.
Fleur studiò le pieghe del suo visino curioso ed affascinato, mentre le carezzava la pancia delicatamente, quasi avesse paura di romperla.
< Come ci è finito qui dentro?> le domandò poi.
La donna scosse lentamente il capo.
< Sei ancora troppo piccolo per questo genere di cose, mon petit. Te lo spiegherò tra qualche anno.> rispose lei, col suo strascicato accento francese.
Teddy corrugò la fronte.
< E’ una cosa brutta?>
< No, solo una cosa da grandi.>
Apparentemente soddisfatto da quella risposta, il bambino tornò a dedicare le proprie attenzioni al ventre di Fleur.
La bionda allungò una mano, accarezzandogli teneramente i capelli, quel giorno dorati esattamente come i suoi.
Non sapeva bene se fosse per la sua condizione di orfano di guerra, precocemente strappato all’amore dei suoi genitori, o se per la naturale propensione all’affetto che quel cucciolo di uomo pareva suscitare in chiunque gli stesse accanto, coi suoi occhioni languidi e quel sorrisino triste, tipico di chi già in tenera età è stato messo a dura prova dalla vita. Ad ogni modo, lo adorava.
Quasi come se fosse figlio suo. Come se fosse il fratello della creatura che cresceva nel suo grembo e che, di lì a poche settimane, sarebbe finalmente venuta al mondo.
Un sentimento, il suo, ampiamente ricambiato dal piccolo, che stravedeva per lei e pregava insistentemente nonna Andromeda di portarlo a casa della “zia Fleur”, come la chiamava lui. Nonostante non ci fosse alcuna parentela, la francesina era più che felice di sentirsi apostrofare a quel modo dal bambino.
< Anche come uscirà è una cosa da grandi?> chiese Teddy improvvisamente, interrompendo il filo dei pensieri di Fleur.
< Si, decisamente.> rispose bonariamente lei.
Spiegare ad un bambino di appena tre anni i misteri di sesso, gravidanza e nascita era l’ultimo dei suoi desideri. Non voleva che l’accusassero di avergli turbato la crescita.
Ridacchiò quando lo sentì sbuffare.
< Qu’est-ce?> lo interrogò gentilmente.
< E’ tutto da grandi...> fece lui, abbassando lo sguardo sul pavimento. Il labbro inferiore sporse in avanti, in un broncio triste e deluso.
Fleur osservò quel faccino addolorato per qualche istante. Poi afferrò la sedia alla sua sinistra, trascinandola sul pavimento fino a portarla davanti a quella su cui sedeva. Picchiettò la mano sopra il cuscino rosso che ne ricopriva il fondo, invitando il suo ospite ad accomodarvisi.
Teddy, sorpreso ed incuriosito, obbedì silenziosamente. Si arrampicò a fatica sulla sedia e si sistemò come meglio poteva, senza mai distogliere lo sguardo da quello ammaliante della bionda.
Le sue gambe dondolavano nell’aria, parecchi centimetri a separarle dal pavimento su cui avevano poggiato fino a pochi istanti prima. Adesso era quasi alla stessa altezza di Fleur, riusciva a fissarla dritto negli occhi, come due adulti che conversano.
< Hai ragione chéri, è tutto da grandi. E’ sempre stato così, anche quando ero piccola io. Ma sai, c’è una cosa che invece riguarda solo te...>
Il bambino sgranò gli occhi.
< Davvero?> domandò stupefatto.
La donna annuì.
< Vedi, quando la mia bambina nascerà, avrò bisogno di qualcuno che le stia accanto. Qualcuno che giochi con lei, che la aiuti a crescere, che la faccia ridere, che la protegga e la tenga sotto controllo per me. Ma soprattutto, qualcuno che la renda felice come merita di essere.> allungò una mano, sfiorandogli la guancia destra in una rapida carezza < Ed io vorrei che quel qualcuno fossi tu.>
Teddy non riusciva a credere alle sue orecchie.
< Io?>
< Tu.> confermò Fleur, accompagnandosi con un cenno della testa.
La fissò per qualche istante, ammutolito da quella richiesta, e dall’importanza del ruolo di cui lo stava rivestendo.
< Perché?> chiese poi.
Lei gli sorrise, materna.
< Perché sei l’unico di cui mi fidi per questo compito.>
Gli parve di toccare il cielo con un dito. Mai nessun adulto l’aveva trattato con un tale rispetto. Anche a molti anni di distanza, avrebbe sempre ricordato quel momento come una delle tappe fondamentali della sua crescita. La prima, e per certi versi la più importante.
< Lo farai, mon ami?>
< Sì!> esclamò lui con concitazione, annuendo energeticamente.
Fleur gli scoccò un buffetto su una guancia, sorridendo.
< Ti ringrazio. Adesso so che la mia bambina sarà in buone mani.>
Teddy scivolò in avanti sul cuscino, avvicinandosi alla donna.
< E’ una femmina?> chiese, entusiasta.
< Oui, una petite femme.>
< E come la chiamerai?> proseguì il bambino, sempre più curioso.
La bionda abbassò lo sguardo sulla propria pancia, accarezzandola con cura e delicatezza, come se si trattasse di un prezioso e fragile gioiello. Sul suo volto era dipinto un sorriso di una tenerezza quasi unica per lei, che solo pochi istanti della sua vita e poche persone che ne facevano parte potevano vantare di aver ammirato e meritato.
< Beh, non ne sono ancora del tutto sicura... io e Bill abbiamo pensato a qualche nome, ma siamo indecisi.> rialzò il viso, fissandolo < Che dici, ti và di aiutarmi a scegliere?>
Il piccolo sgranò gli occhi. Aiutarla a scegliere il nome di sua figlia? Stentava a credere che davvero gli avesse chiesto di partecipare alla sua vita e a quella della bimba in arrivo in maniera così attiva ed adulta.
< Zia Fleur, io non...> esordì, timidamente.
< Facciamo così, io ti dico quali nomi abbiamo scelto, e tu mi dici quale ti piace di più, ça vá?>
Un silenzio emozionato accompagnò il cenno affermativo della testolina bionda di Teddy.
< Dunque... la mia prima scelta era stata Célestine, come la mia bisnonna, ma a Bill non piace.> ridacchiò, coprendosi elegantemente la bocca col dorso della mano destra < e nemmeno a te, a giudicare dalla tua espressione!>
La smorfia di disgusto del bambino lasciava effettivamente poco spazio all’immaginazione.
< Bill si è trovato piuttosto in difficoltà con i nomi in francese,> proseguì < ma è stato comunque molto carino ad accontentare questa mia richiesta. L’unico che è riuscito a propormi è stato Laetitia.>
Teddy arricciò il naso, prendendosi del tempo per riflettere. Poi, inesorabile, scosse la testa.
< Non mi piace.>
< Neanche a me ad essere onesti. Mi ricorda una mia compagna di scuola decisamente détestable!>
Il bambino sorrise di quella complicità. Lo faceva sentire grande ed importante pensare di condividere gli stessi gusti di una donna raffinata e sofisticata come lei.
< Infine, c’è un nome che abbiamo pensato insieme.> seguitò Fleur < Un nome che ci è venuto in mente quando abbiamo scoperto che la bambina dovrebbe nascere il giorno dell’anniversario della sconfitta del Male.>
Non c’era più nessun motivo di temere nel pronunciare il nome di Voldemort, ma nessuno lo faceva mai in presenza di Teddy. Preferivano riferirsi a lui come “il Male”. Rendere colui che aveva causato la morte dei suoi genitori un concetto astratto piuttosto che un essere umano con un nome proprio era sembrata loro la scelta migliore, un’accortezza nei confronti del suo giovane e già turbato spirito.
< Quale?>
< Victoire.>
Teddy aggrottò le sopracciglia.
< E cosa c’entra col Male?> chiese, perplesso.
Fleur sorrise.
< Victoire significa “Vittoria”.>
Il bambino si morse il labbro inferiore, assumendo un’espressione pensierosa che fece tendere tutti i tratti del suo visino puerile. Poi, allungò una mano, posandola sul ventre della donna.
< Victoire...> ripeté in un sussurro, imitando la pronuncia della bionda. Infine, rialzando lo sguardo fino ad incontrare quello di Fleur, sorrise.
< Mi piace!> ammise, raggiante.
La francesina sorrise a sua volta, scompigliandogli i capelli in un gesto pieno di tenerezza.
Improvvisamente, un movimento nel suo grembo fece sussultare entrambi. Teddy, spaventato, ritrasse di colpo la mano, temendo di aver fatto qualcosa di sbagliato, di averle fatto male. Fleur gli accarezzò la testolina, tranquillizzandolo.
< Credo che voglia dirci che piace anche a lei.> sentenziò.
Il bambino la fissò, rapito ed estasiato dal miracolo della vita che si era appena manifestato di fronte a lui. Tornò a sfiorare l’addome pronunciato della donna.
< Veramente?> domandò, con la voce che tremava leggermente.
La donna chiuse gli occhi, annuendo.
< Beh, piace a me, piace a Bill, piace a te. E a quanto pare, pure alla diretta interessata. Perciò, Victoire sia.> acconsentì.
Teddy sorrise, avvicinandosi ulteriormente alla pancia. Vi si accoccolò con la guancia, come se stesse cercando di auscultare il rumore della vita che celava al suo interno.
< Ciao Victoire, sono Teddy. La tua mamma vuole che sei felice. > sussurrò dolcemente, con la grammatica stentata dei suoi tre anni appena compiuti < E io ti prometto che lo sarai. Io ti farò felice, Victoire.> concluse, accarezzando la pancia con la punta delle piccole dita.
Fleur, ancora ad occhi chiusi, non riuscì a trattenere un largo sorriso.
Era certa di aver fatto la scelta giusta, affidandogli la felicità della propria primogenita.
Ted Remus Lupin sarebbe stato all’altezza del compito.



~ω~




L’estate più afosa dell’ultimo decennio costringeva Teddy Lupin a trascorrere la maggior parte delle sue giornate in cerca di una qualche forma di refrigerio. Tuttavia, non era il solo ad aver avuto quella brillante idea.
Aveva tentato di godere della piscina di casa Potter, ma la presenza dell’intera armata dei “figli di” rendeva la prospettiva di soffermarsi sul posto un vero e proprio inferno, fatto di urla, schiamazzi, risate sguaiate, scherzi e bambinate varie. E, per quanto lui stesso si considerasse ancora un ragazzino, era troppo cresciuto per quel genere di cose. Che, oltretutto, non gli erano mai piaciute, nemmeno alla loro età.
Successivamente, era entrato in casa, fiducioso del fatto che le mura domestiche e l’incantesimo refrigerante di cui erano state ricoperte potessero rivelarsi il suo rifugio ideale. Ma, anche in quel caso, aveva compreso immediatamente che sarebbe stato solo un intruso, in mezzo a quel nutrito gruppo di adulti che, visto il loro atteggiamento, quel giorno si differenziavano dai figli solo per quanto concerne l’età. Si era quasi rassegnato all’ennesimo pomeriggio trascorso rinchiuso nell’asfissiante camera degli ospiti, l’unico luogo in cui il suo spazio personale potesse essere rispettato, quando dalla finestra del salotto intravide la sua ancora di salvezza.
Un sorriso si allargò sul suo giovane viso, mentre osservava il maestoso albero posto esattamente al centro del vasto giardino sul retro. Le sue folte fronde oscuravano tutta l’area che ne circondava le radici, garantendo ombra e fresco.
In poche parole, il suo rifugio ideale.
Lo raggiunse il più velocemente possibile, sottobraccio uno dei tanti fedeli libri che era solito portare sempre con sé.
Il suo padrino spesso gli ripeteva come somigliasse alla sua amica Hermione da adolescente, sempre col naso immerso in giganteschi e polverosi tomi di qualunque genere. Non sapeva mai se prenderlo come un complimento o un’offesa.
Del resto, non era colpa sua. Era fatto così.
Un tipo piuttosto solitario, riservato. Non era timido, non era taciturno né tantomeno scontroso o asociale. Semplicemente, aveva l’abitudine di parlare solo quando aveva qualcosa di effettivamente interessante da dire, e solo quando era abbastanza sicuro che i suoi interlocutori fossero inclini ad ascoltarlo. Non amava la confusione, l’eccessiva vivacità, lo sproloquio.
Era calmo e posato, un ragazzo riflessivo e compito, forse fin troppo per i suoi tredici anni.
Non era un secchione, piuttosto un amante della conoscenza. Era avido di sapere, curioso e sveglio. Sua nonna si dichiarava costantemente orgogliosa del suo cervello fertile ed affamato, non solo di magia. Lo aveva sempre affascinato l’idea di formarsi un considerevole bagaglio culturale, che spaziasse in più campi.
Si interessava di incantesimi, creature magiche, antiche leggende, misteri riguardanti le rune, segreti della divinazione, e tutto ciò che Hogwarts gli permetteva di apprendere.
Ma, al tempo stesso, coltivava la passione per l’arte, la musica, le culture dei diversi popoli di tutto il mondo, la meccanica, la fisica, la chimica, lo sport, la letteratura. Un cervello a 360 gradi, così lo definiva scherzosamente Fleur, con cui condivideva molti dei suoi interessi.
Per non smentirsi, il libro che stava sfogliando in quel momento, seduto all’ombra della grossa quercia, faceva parte della sua collezione di volumi Babbani. In molte cose, doveva ammetterlo, erano grossolani e quasi triviali, ma i maghi non sarebbero riusciti ad eguagliare il loro talento nella scrittura nemmeno dopo milioni di anni. Forse perché avevano dalla loro parte la fantasia, una qualità che nella maggior parte dei suoi simili mancava, vista la tendenza a rendere reale l’immaginario attraverso la magia.
Si stava lasciando ipnotizzare dalle pagine, quando una squillante voce femminile lo distolse dalla sua lettura.
< Ehi eremita!>
Non ebbe bisogno di alzare gli occhi dal libro per comprendere immediatamente di chi si trattasse. Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille. Oltre al fatto che solo lei lo chiamava a quel modo, ogni volta che tendeva ad isolarsi dagli altri.
< Perché non sei in piscina col resto della marmaglia?> domandò lui, continuando imperterrito a leggere.
La sentì sbuffare. Immaginò le sue labbra contratte in una smorfia, gli occhi al cielo ed un’alzata di spalle ad accompagnare il tutto. Era così prevedibile per lui. La conosceva come le sue tasche.
< Sono stufa di James che tenta in tutti i modi di strapparmi il pezzo di sopra del costume.> commentò.
Teddy non riuscì ad evitarsi di inarcare un sopracciglio. Aveva ancora il latte alla bocca, e già tentava di denudare le ragazze. James Sirius Potter rispondeva in modo incredibile alle descrizioni che Andromeda gli aveva spesso fornito dei due uomini a cui doveva il nome, suo nonno ed il padrino di suo padre Harry. Ed il fatto che fosse così eccessivamente precoce era piuttosto preoccupante.
Un’occhiata di sfuggita al prato di fronte a sé gli mostrò l’ombra di Victoire Weasley che si allungava alla sua sinistra. Era in piedi accanto a lui, e lo osservava.
Ridacchiando, ci avrebbe giurato.
< Tu piuttosto, non ti sei ancora stancato di sgobbare sui libri?> proseguì la ragazza < Guarda che sei in vacanza. Hai presente? V-A-C-A-N-Z-A?!?>
< Credo di conoscere piuttosto bene il significato della parola “vacanza”, Vic. E, a parte questo, non sto studiando.>
< Lettura di piacere?> la nota di sarcasmo nella voce di lei era lampante quanto un faro in una notte buia.
< Qualcosa del genere...>
La sentì ridere. Aveva una risata talmente spontanea e cristallina. Gli ricordava il rumore dello scroscio di una piccola cascata. Il che poteva sembrare un paragone piuttosto insolito e contorto, almeno per chiunque non fosse a conoscenza dell’amore viscerale di Teddy per l’acqua, in qualunque sua forma ed uso.
Un fruscio alla sua sinistra lo avvertì dei movimenti di Victoire. La ragazza s’inginocchiò a terra, restando immobile a fissarlo per un paio di secondi. Poi, con un rapido gesto, si allungò verso di lui, afferrò il libro che stava leggendo e glielo strappò dalle mani.
< Cosa...> protestò lui, colto di sorpresa da quel furto.
Tenendo il volume aperto davanti al viso, la fanciulla rotolò sull’erba, andandosi a sdraiare di fronte ai piedi di Teddy, proprio nel punto in cui terminava la zona d’ombra della quercia.
< Uhm, Jacques Prévert... ti dai alla poesia Ted?> gli fece, scorrendo velocemente le pagine con gli occhi.
Il ragazzo si allungò a sua volta, raggiungendo l’amica e riappropriandosi del libro con un gesto stizzito.
< Bah, cosa ne vuoi capire tu...> commentò seccamente.
Si stava risistemando nella sua posizione precedente, il tomo saldamente chiuso nella sua mano destra, quando Victoire riprese a parlare.
< Démons et merveilles / Vents et marée / Au loin déjà la mer s’est retirée / Et toi / Comme une algue doucement caressée par le vent / Dans les sables du lit tu remues en rêvant *> recitò, fissando blandamente il cielo limpido sopra di lei.
Una volta terminato, si voltò verso Teddy, con un sopracciglio eloquentemente inarcato. Lui, gli occhi sgranati per l’inaspettata e piacevole sorpresa, la fissava ammutolito. La sua voce soave, angelica, e quel perfetto accento francese, accompagnati dalle parole del suo poeta preferito. Puro miele per le sue orecchie.
< Non sapevo che conoscessi Prévert.> ammise poi, semplicemente.
< Volente o nolente... mamma me lo leggeva sempre da piccola.> aggiunse, di fronte all’espressione interrogativa del ragazzo.
< Anche a me.> replicò lui, passandosi una mano tra i folti riccioletti, quel giorno del loro castano naturale.
Victoire esplose in una risata secca ed aspra, che a Teddy parve racchiudere in sé una nota di amarezza e risentimento. Ma forse era solo una sua impressione.
< Non avevo dubbi...> fece poi, strappando alcuni fili d’erba che giacevano sotto la sua mano, abbandonata lungo i fianchi.
< Che vuoi dire?>
< Che mi sembrava strano non avessi ancora tirato in ballo mia madre.> sollevò il braccio destro, portandosi sul viso uno dei fili d’erba che aveva appena raccolto. Ne assaporò l’aroma passandolo un paio di volte vicino alle narici, serrando gli occhi per imprimere meglio nella mente quell’odore selvatico.
< A parte il fatto che l’hai tirata in ballo tu, non io... comunque, mi spieghi che c’entra adesso tua madre, Vic?> fece lui, spazientito.
Si sentiva sempre a disagio quando qualcuno si addentrava con lui nell’argomento “Fleur”. Forse perché il legame che lo univa a lei apparteneva ad una sfera così personale che anche solo parlarne avrebbe potuto sciuparlo. Era facile per tutti additare quel rapporto come un tentativo di compensazione della mancata figura materna da parte del ragazzo, ma Teddy era ben consapevole che sotto c’era molto di più, qualcosa che difficilmente gli altri avrebbero capito.
Fleur era stata la sua prima, vera amica, per quanto a quel tempo lui fosse un poppante di pochi anni di vita e lei una donna bell’e fatta, con tanto di marito e figlia. Non aveva avuto compassione o peggio pietà di lui per la sua condizione di orfano, gli aveva offerto un affetto spontaneo e sincero che sarebbe stato della stessa portata anche se i suoi genitori fossero sopravvissuti alla Grande Guerra. E, soprattutto, era stata la prima a concedergli un rispetto ed una dignità che alcuni tuttora non gli riservavano.
L’aveva trattato come un adulto, come un suo pari, un essere altrettanto intelligente e dignitoso anche quando tutti si limitavano a pizzicargli le guance e stringerlo tra le braccia sussurrandogli che bel bambino fosse.
Inoltre, Fleur l’aveva investito di un compito che Teddy aveva sempre preso molto seriamente, ma che mai aveva rivelato ad anima viva. Era una sorta di segreto inconfessabile, che li univa indissolubilmente. Ed inconfessabile non perché vi fosse qualcosa di riprovevole o vergognoso dietro, ma solo perché parlarne con qualcun altro sarebbe stato come infrangere quella complicità che l’aveva sempre unito alla bionda.
< Lei c’entra sempre.> replicò Victoire, storcendo il naso. Sembrava sempre essere gelosa di sua madre. E Ted si domandava costantemente come potesse esserlo, dato che non aveva davvero nulla da invidiarle, sia fisicamente che caratterialmente.
La vide girarsi sul fianco sinistro, puntando il gomito al suolo e posando la testa sulla mano.
< Se non pensassi che sei troppo intelligente per cadere in un simile tranello, mi verrebbe da sospettare che ti sei preso una sbandata per lei.> aggiunse, maliziosa e pungente.
E non immagini quanto ti sbaglieresti, pensò lui.
Alzò gli occhi al cielo, scrollando lentamente il capo.
< Non hai idea di quello che stai dicendo...> mormorò, il suo tono di voce incredibilmente simile a quello di un padre amorevole che riprende una figlioletta capricciosa.
< Lo so fin troppo bene!> esclamò lei con veemenza, sollevandosi di scatto a sedere. Gli occhi ridotti ad una fessura, pareva sprizzare elettricità da tutti i pori < Cosa credi, che non mi accorga del modo in cui la guardi? O di come le ronzi sempre intorno, snocciolandole quei tuoi melensi “zia Fleur”? Pendi dalle sue labbra come se fosse una divinità e la guardi come se fosse fatta di cioccolato dalla testa ai piedi!>
< A me il cioccolato non piace.> puntualizzò il ragazzo.
< Non importa, serviva solo per rendere l’idea, stupido!> ringhiò la biondina.
Ted la osservò per qualche istante, studiandola. Erano quelli i momenti in cui si doleva di non saper ancora padroneggiare la Legilimanzia. Avrebbe pagato oro a peso d’uomo pur di sapere cosa le passava per la testa.
< Sei gelosa di me, Victoire?> avanzò, inarcando un sopracciglio.
La ragazza sgranò gli occhi, improvvisamente ammutolita. La vide prima sbiancare, poi arrossire furiosamente. Voltò il viso verso destra, distogliendo lo sguardo da quello di lui.
Un chiaro tentativo di nascondere il proprio imbarazzo.
Una palese risposta affermativa a quella domanda.
< Non essere ridicolo...> mugugnò, mentre con le dita torturava i fili d’erba su cui era sdraiata fino a pochi istanti prima.
Il moro non riuscì a trattenere un ghigno. Sì, Victoire Weasley era decisamente gelosa di lui. Allora Fleur ci aveva visto giusto, quando un paio di settimane prima gli aveva confidato i suoi sospetti su una probabile cotta che la sua primogenita pareva si fosse presa per lui. Lì per lì Teddy aveva smorzato l’entusiasmo della donna, sottolineando che tra lui e sua figlia vi era un’amicizia molto forte, ma non per questo lei doveva provare un qualche interesse di altra natura nei suoi confronti. E invece, sembrava che le cose effettivamente stessero così.
Il che era decisamente un bene per il giovane Lupin. Anzi, era la cosa migliore che potesse capitargli.
Non sapeva bene spiegarsi il perché, non sapeva se attribuire il tutto a quella strana promessa fatta a Fleur dieci anni prima o ad una naturale conseguenza dell’intenso rapporto con sua madre.
Fatto sta che Ted Remus Lupin era perdutamente innamorato di Victoire Weasley.
Nonostante lei fosse poco più che una bambina, e lui stesso ancora un ragazzino quasi in fasce, la amava. Di un amore così totale e coinvolgente che gli sembrava quasi, alle volte, che la sua sanità mentale, e persino la sua stessa esistenza, dipendessero esclusivamente da quel meraviglioso, piccolo angelo biondo che ora si tormentava l’orlo della gonna con le dita.
Il suo amore per lei bruciava con la stessa intensità di mille soli. Si era ritrovato a formulare mentalmente quella metafora in uno dei precedenti ed altrettanto afosi pomeriggi, quando l’aveva osservata nuotare nella piscina dei Potter. I suoi occhi non avevano abbandonato per un solo istante quella figura minuta e perfetta, il cui minimo movimento accelerava ulteriormente il suo già sostenuto battito cardiaco. Gli era venuto spontaneo quel paragone con l’ardente pianeta che irradiava luce e calore sul suo già eccessivamente accaldato corpo. E si era vergognato di se stesso, sentendosi come una di quelle stupide adolescenti dei filmetti Babbani che sua nonna tanto adorava.
Ma Victoire non sapeva nulla. Ed avrebbe continuato a non sapere nulla.
Era troppo giovane perché lui potesse anche solo azzardarsi ad avvicinarsi a lei con intenzioni differenti da quelle di un’innocente amicizia. Per quanto lo desiderasse, era stato cresciuto come un vero gentiluomo d’altri tempi, e mai avrebbe tentato di insinuare una fanciullina come lei. Soprattutto alla luce dei sentimenti della ragazza per lui. Sarebbe stato quasi come approfittarsi del suo invaghimento infantile, dal suo punto di vista.
No, Victoire sarebbe vissuta nella più completa ignoranza ancora a lungo.
Forse, un giorno, finalmente le avrebbe confessato i suoi sentimenti. Al momento giusto, usando le parole adatte ed i modi composti ma adoranti di un adulto. Fino ad allora, però, avrebbe taciuto.
Era certo che i suoi sentimenti per lei non sarebbero mutati nel tempo. Era ben consapevole di come fosse umanamente possibile per lui riuscire a provare qualcosa di simile per qualcun’altra, in futuro.
Victoire Weasley era e sarebbe sempre stata l’amore della sua vita. L’aveva amata fin dal primo istante, fin da quando l’aveva sentita scalciare nel ventre di sua madre, dieci anni prima. Era destinato ad amarla per tutta la durata della sua esistenza, ed oltre.
Ma non aveva la presunzione di credere che per lei fosse altrettanto. Era piccola, ingenua, inesperta. Era cresciuta con lui sempre al suo fianco, perciò era ovvio che gli si fosse affezionata, ma non aveva nemmeno conosciuto nessun altro individuo maschile che non fosse uno dei suoi tanti cugini o parenti vari. Victoire doveva ancora scoprire il mondo, e Teddy non sapeva se, una volta avventuratasi al di fuori della sua sicura sfera familiare, avrebbe conosciuto qualcuno di più adatto a lei, qualcuno che le avrebbe acceso un fuoco nell’anima al cui confronto ciò che provava adesso per lui sarebbe impallidito e risultato ridicolo e grottesco. Sarebbe potuto accadere, per quanto il pensiero fosse per il giovane Lupin terrificante almeno quanto la possibilità dello scoppio di una nuova Grande Guerra. E lui non voleva impedirlo.
Se ami qualcuno lascialo libero. L’aveva forse letto in uno dei suoi tanti libri, oppure sentito dire da qualcuno, ad ogni modo era assolutamente convinto della veridicità di quelle parole.
Lui amava Victoire Weasley. E per questo l’avrebbe lasciata libera.
Libera di ricambiare il suo amore, così come libera di amare qualcuno che non fosse lui.
< Tua madre è stata parte integrante della mia vita da quando sono venuto al mondo.> esordì, richiamando l’attenzione della biondina < Mentre i miei genitori combattevano, lei si è presa cura di me. Quando sono morti, lei ha continuato a prendersi cura di me. Le voglio bene come se fosse una mia seconda mamma, e lei me ne vuole come se io fossi suo figlio. Perciò piantala con le tue basse insinuazioni, sono assolutamente inappropriate ed irrispettose.>
Victoire, colpita dalle sue parole, lo fissò in silenzio negli occhi scuri, mordendosi il labbro inferiore. Poi sospirò.
< Scusa Ted.>
Il ragazzo scrollò le spalle, con sufficienza.
< Non importa...> mormorò, aprendo il libro che teneva in mano e riprendendo a leggere.
Scorse un paio di righe avvolto dal silenzio più assoluto. In realtà, i suoi occhi viaggiavano sulle pagine, ma la sua mente era altrove. Tirare in ballo i suoi defunti genitori era, effettivamente, un colpo piuttosto basso, ma non sopportava che proprio lei facesse quel genere di affermazioni.
< Perciò maman era tipo la tua baby sitter?> avanzò lei con un sorrisetto, cercando di spezzare la pesante tensione che si era creata in quei brevi istanti.
Teddy sorrise a sua volta, alzando gli occhi dal libro per incontrare quelli cristallini di lei.
< Più o meno.> ammise, annuendo.
Victoire si grattò la tempia con l’indice della mano sinistra. Aveva una strana espressione dipinta in viso, come se stesse valutando se riprendere a parlare o meno. Lui sapeva che, solitamente, questo significava raffica di domande in arrivo: in genere, questo tipo di valutazioni per lei terminavano sempre con un “sì”.
< Lei mi ha... ecco... detto una cosa l’altro giorno...> spiegò, incerta.
< Cioè?>
< Beh... mi ha detto che praticamente il mio nome lo avete scelto tu e lei insieme.>
Teddy annuì lentamente.
< E’ vero.>
< Perciò, sei stato tu a salvarmi da una vita come Célestine?> continuò lei, ridacchiando.
< Sì, credo di poter vantare questo merito!> replicò lui, ridendo a sua volta.
Silenzio.
< Allora ti sono debitrice.>
Teddy rimase perplesso dal modo in cui pronunciò quella frase. La sua voce era tornata improvvisamente seria, persino più bassa del normale di qualche tono, ed il suo sguardo era stranamente deciso e penetrante. In quell’istante, dimostrava quasi più dei suoi dieci anni.
< Non mi devi niente Vic, tua madre mi ha semplicemente chiesto di scegliere quale nome mi piacesse di più e così ho fatto.> semplificò lui, tornando ad interessarsi al libro solo per nascondere il leggero rossore che aveva imporporato le sue guance.
< Ti ha anche chiesto di rendermi felice. Felice come merito di essere.>
Il moretto sentì mancare di colpo l’aria dai polmoni. Sgranò gli occhi, soggiogato dalla sorpresa e dallo sconcerto.
Perciò Fleur aveva raccontato a Victoire della promessa. Le aveva svelato il loro piccolo, prezioso segreto, quello che per tutta la vita lui aveva gelosamente custodito. L’aveva rivelato all’ultima persona al mondo che lui desiderava ne venisse a conoscenza.
Perché l’aveva fatto? Ora non sarebbe più stato in grado di guardarla negli occhi, o di parlare, o addirittura di pensare a lei.
Stava fantasticando su quanto gli sarebbe piaciuto che il suolo su cui era seduto si fosse aperto in quell’istante, inghiottendolo e facendolo sprofondare nelle sue più remote profondità, seppellendolo per sempre, quando Victoire parlò di nuovo. Il suono della sua voce soffusa, soave e sensuale gli giunse più vicino di quanto avrebbe pensato. Istintivamente sollevò lo sguardo, incontrando quello della biondina a pochi centimetri da lui. Non si era nemmeno accorto di quanto gli si fosse avvicinata, tanto era stata rapida e silenziosa.
Il suo cuore mancò un battito quando lei ridusse ulteriormente la poca distanza che separava i loro visi, posando delicatamente le proprie labbra su quelle di lui. Fu a malapena un secondo, che bastò a Teddy per rischiare di impazzire. L’unico pensiero vagamente logico che riusciva a mettere insieme era la constatazione che la bocca di Victoire sapeva di ciliegia.
< Allora ti sono doppiamente debitrice, Teddí.> sussurrò lei a pochi centimetri dalle sue labbra, sorridendo.
Quel nomignolo fece nascere uno spontaneo sorrisetto anche sul volto del ragazzo.
< Detesto Teddí, persino quando è tua madre a chiamarmi a quel modo!>
La fanciulla ridacchiò divertita, indietreggiando e ponendo nuovamente tra loro una distanza accettabile per i poveri e già provati nervi di Teddy.
Poi, muovendosi ginocchioni sull’erba, si sistemò alla sua destra, con la schiena contro il tronco della grande quercia. Si strinse le ginocchia al petto, piegando leggermente la testa verso il ragazzo.
< Parlami di Hogwarts.> lo esortò poi < Dimmi cosa mi aspetta l’anno prossimo.>
Ted sorrise, richiudendo il libro che ancora reggeva tra le mani e posandolo sull’erba, alla sua sinistra. Allungò le braccia in avanti, stirandosi.
< Beh, innanzitutto, ad Hogwarts ci sono quattro casate...>
< Dimmi qualcosa che non so, Lupin!> lo schernì lei.
< Sai per caso in base a quali criteri gli alunni vengono suddivisi?> al cenno di diniego della biondina, proseguì < Ecco, allora lasciami parlare...>
E mentre continuava ad illustrare a Victoire tutti i segreti della scuola che, di lì a pochi mesi, anche lei avrebbe iniziato a frequentare, il senso delle parole pronunciate poco prima dalla giovane finalmente lo raggiunse.
Allora ti sono doppiamente debitrice.
Sorrise tra sé e sé. Riusciva a comprendere perché Fleur le aveva rivelato la loro promessa segreta.
Ed adesso, ne era assolutamente certo.
Ted Remus Lupin si stava dimostrando all’altezza del compito.



~ω~




Teddy Lupin non aveva mai temuto tanto per la propria vita come in quell’istante. Nemmeno quando era caduto dalla scopa durante uno sfortunato, e mai più ripetuto, tentativo di eseguire una Finta Wronsky. Anche allora, mentre precipitava al suolo alla velocità della luce e solo un tempestivo intervento di Madama Bumb lo salvava da una degenza di almeno un paio di mesi in infermeria, non pensava di rischiare di morire. Non come in quel momento, almeno.
Il suo cuore batteva all’impazzata, troppo forte per essere umanamente possibile ed accettabile. Era certo che entro breve gli sarebbe schizzato fuori dal petto, sfondandogli la cassa toracica e lasciandolo sanguinante e morente al suolo. O, forse, dopo tutta questa frenetica tachicardia, si sarebbe fermato di colpo. Ad ogni modo, gli sembrava impossibile riuscire a sopravvivere a quella giornata.
Il che, ovviamente, avrebbe anche spiegato la visione celestiale che gli si presentava davanti agli occhi.
Certo, se la mettiamo così, tutto questo ha un senso! continuava a ripetere tra sé e sé.
Stava morendo, e la sua lenta ascesa alle porte del Paradiso era già iniziata senza che se ne fosse reso conto. Doveva essere per forza così.
Perché la sublime creatura che avanzava a piccoli passi verso di lui non poteva essere reale. Doveva per forza trattarsi di un angelo, giunto fin lì per accompagnarlo verso la sua dimora eterna. Era inverosimile che si trattasse di un essere umano tangibile. La sua grazia e la sua eleganza erano ultraterrene, e pareva quasi emanare un’aura di luce propria.
Sì, era decisamente un angelo. Bianca, candida, pura e sublime. Un angelo in tutto e per tutto.
Poi, una voce alla sua sinistra lo riscosse da quel momento estatico.
< Figliolo, se vai avanti così ti si staccherà la mascella!>
Sbatté un paio di volte le palpebre, mentre a quel sussurro seguiva una risata. Voltò leggermente lo sguardo, per scorgere Harry James Potter, suo padrino e testimone, che cercava di soffocare la propria ilarità mal dissimulando un improvviso attacco di tosse.
Ciò lo riporto alla realtà. Iniziò a notare solo allora tutti i particolari che lo circondavano: la gran folla di gente seduta di fronte a lui che lo fissava; sua nonna in prima fila che si asciugava le lacrime; Fleur seduta accanto a lei che, forse per la prima volta in vita sua, aveva completamente smesso la sua solita maschera glaciale e sorrideva felice come una bambina; Dominique che gli faceva l’occhiolino dall’altro capo dell’altare; James che ci provava spudoratamente con una biondina e Albus seduto accanto a lui che scuoteva la testa a mo di biasimo.
Tornò a fissare la creatura sovrannaturale che avanzava verso di lui, e finalmente notò che non era sola. L’alto e muscoloso uomo dai capelli rossi che camminava al suo fianco, conducendola a braccetto, era la prova più concreta del fatto che no, non stava sognando e no, non era nemmeno morto.
La bellezza celestiale che si parava dinnanzi a lui non era un angelo. Era Victoire Weasley. Colei che, nel giro di mezz’ora, sarebbe diventata sua moglie.
Il suo errore di valutazione era, tuttavia, ben comprensibile. La sua Victoire quel giorno era, se possibile, infinitamente più bella di quanto non fosse di solito. E per la miseria, lei era già dannatamente bella in ogni singolo istante! E per giunta, per metà Veela!
Una vera e propria apparizione. Un miraggio. Così incredibilmente mozzafiato da non poter essere reale. Ma invece la era.
Era lì, era reale, era tangibile. Ed era sua.
Sorrise quanto più i suoi muscoli facciali glielo permettessero, ma dentro di sé sapeva che non era abbastanza per esprimere la gioia che traboccava dal suo cuore.
Harry si chinò nuovamente verso di lui.
< Ti capisco Teddy.> gli sussurrò < Anch’io mi sono sentito così. Sono già favolose di loro, ma in questo giorno riescono a stupirti ancora di più. Sono delle vere e proprie streghe!>
Ted annuì, ridacchiando. Il suo padrino gli posò una mano sulla spalla, in un gesto di affetto e comprensione. Lui non poté non ringraziare mentalmente il cielo per avere Harry al proprio fianco, in quel momento.
Quando, infine, Victoire e Bill raggiunsero l’altare, l’uomo stampò un bacio sulla fronte della figlia, scambiò un’occhiata d’intesa con il ragazzo, e poi gli permise di prenderla per mano. La stretta salda e forte della biondina riuscì ad interrompere il tremito dell’arto di Ted.
< Siamo un po’ nervosetti, eh Mister “a-me-questo-matrimonio-non-fa-né-caldo-né-freddo”?> gli fece sottovoce, con una punta d’ironia.
Assurdo come proprio lui, che aveva vissuto i preparativi delle nozze con una flemma ed uno stoicismo da manuale, adesso fosse teso ed emozionato come un bambino mentre lei, che si era fatta prendere dal panico più assoluto fino al giorno prima, ora fosse rilassata e serena.
Forse è così che funziona, si disse, ridendo della propria agitazione. Eppure, adesso che lei era al suo fianco, si sentiva già meglio. Il cuore continuava a battere come se fosse impazzito, ma era quasi certo che non sarebbe più schizzato fuori dal petto.
Mentre il mago di fronte a loro recitava le classiche formule di rito, Ted non era riuscito a staccare gli occhi da Victoire per un solo secondo. La fissava come un assetato in mezzo ad un deserto sotto il sole di mezzogiorno di un infuocato agosto fisserebbe una goccia d’acqua. Era rapito, estasiato, follemente innamorato forse più di quanto non fosse stato per i precedenti ventitre anni.
La ragazza, accortasi del suo sguardo, si voltò verso di lui. Gli sorrise, sussurandogli un lieve je t’aime a fior di labbra.
< Moi aussi.> le rispose lui, carezzando col pollice il dorso della sua mano. Non ricordava più l’ultima volta in cui le aveva detto “ti amo” in inglese. Si era adattato rapidamente al suo uso del francese come lingua dell’amore. A quello e a tante altre cose. Ed era stato ben felice di farlo, se ciò significava godere del privilegio di averla al proprio fianco.
Poi, quando giunse il momento delle reciproche promesse, si accorse che qualcosa non quadrava.
< Vuoi tu, Ted Remus Lupin, prendere Victoire Weasley come tua moglie, promettendo di amarla ed onorarla per tutti i giorni della tua vita, e renderla felice come merita di essere, finché morte non vi separi?>
Renderla felice come merita di essere?!
Il sorrisetto della sua fidanzata gli fece immediatamente comprendere che dietro quella modifica alla formula canonica doveva esserci il suo zampino. Una rapida occhiata a Fleur, che sogghignava eloquentemente seduta tra la folla, ne fu l’ulteriore conferma.
Ridacchiò divertito, scrollando la testa.
< Credo di non avere altra scelta!> dichiarò poi, trascinando anche Victoire in una risata, sotto lo sguardo perplesso del rappresentante del Ministero incaricato di sposarli.
La fanciulla strinse con più forza le mani del moretto. Poi, fissando intensamente l’uomo che amava, mentre il mago di fronte a loro lo dichiarava ufficialmente suo marito, un pensiero, o forse più una consapevolezza, si stagliò dentro di lei.
Ted Remus Lupin era stato all’altezza del compito.
Ed avrebbe continuato ad esserlo.
Per sempre.









* La poesia è “Sable Mouvants” di Jacques Prévert.



Undicesima classificata

Tutto sommato, la felicità è una piccola cosa, di Valaus

Blu – Teddy/Victoire

Giudizio di fierobecca93
Grammatica e sintassi: 8,5. Non mi pare ci siano stati tanti errori di grammatica eccetto per qualche errore di sintassi e di battitura.
Stile: 9,5. Mi è piaciuto molto.
Sviluppo della trama: 8.
Originalità: 8. Abbastanza originale, non avevo mai letto una fan fiction di questo genere…complimenti!
IC dei personaggi: 7. Non sono molto d’accordo con il personaggio di Fleur: non l’ho mai vista così dura da riserbare rari sorrisi persino al marito! Scusa ma non concordo su questo punto; si è vero che è sempre stata molto sulle sue, ma hai dato una eccessiva idea della ragazza francese.
Gradimento personale: 4. Non pensi di avere esagerato con l’amore che prova Teddy per Victoire? Mi è sembrato molto… eccessivo a dirtela tutta. Mi dispiace ma non mi è piaciuta molto!
Totale: 45


Giudizio di Nabiki93

Grammatica e sintassi: 8/10
La grammatica e la sintassi mi sono sembrate abbastanza corrette, a parte alcuni errori qua e là. Probabilmente di distrazione.
Stile: 9/10
Lo stile è chiaro e piacevole. Le descrizioni e le parole accurate. Ho apprezzato l'utilizzo del francese con Fleur. È molto… da lei.
Sviluppo della trama: 8.5/10
Lo sviluppo della trama mi è piaciuto abbastanza: passare dal primo “contatto”di Teddy con Victoire, al loro primo “bacio”, fino al matrimonio. Anche se loro mi sono sembrati un po’ troppo giovani per provare quei sentimenti a tredici e a dieci anni.
Originalità: 8/10
IC dei personaggi: 8.5/10
I personaggi, secondo me, non sono proprio IC. Fleur non l'ho mai vista così “glaciale” e Teddy non ho mai pensato che fosse così attaccato a Fleur. Dopo la morte dei genitori ho sempre pensato che sarebbe stato Harry e caso mai Ginny o Hermione, ad avere più contatti con lui, anche perché Fleur avrà avuto da fare con la sua famiglia.
Gradimento personale: 5
Il gradimento personale non è il massimo per queste ragioni, e anche perché, a dirla tutta non mi convince la storia della promessa fatta a Fleur. Non l'ho mai vista come la possibile figura materna di Teddy. Però per il resto è una fan fiction carina e simpatica!
Totale: 47


Giudizio di _Mary

Grammatica e sintassi: 9.5/10
Stile: 8/10
Sviluppo della trama: 8/10
Originalità: 9/10
IC dei personaggi: 8/10
Gradimento personale: 5.5/7

Totale: 48/57

A parte un paio di accenti mancati su ‘sì’, particella affermativa, e uno di troppo su ‘va’, non ho trovato niente in undici pagine di lavoro. E credimi, sono stata davvero perfida: ho persino stampato tutte le storie per potermele leggere con calma e segnarmi tutti gli errori che trovavo. Quindi, complimenti!
Lo stile è molto buono. È… avvolgente, ecco. Ti fa entrare completamente nella storia. Quello che ho penalizzato è stato l’uso di termini come ‘la bionda’, ‘il morettino’, ‘la francesina’, che compaiono regolarmente nel corso della fanfiction per indicare i vari personaggi. È una cosa molto diffusa tra i fanwriter ricorrere a questo genere di espressioni per evitare di ripetere sempre il nome del personaggio, ma questo non la rende corretta, né rende scorrevole la lettura. L’abilità del fanwriter sta nel decidere dove si può scrivere ‘Fleur’, ‘Teddy’ o ‘Victoire’ e dove questi possono essere tranquillamente evitati, senza però sostituirli con le espressioni sopra citate. È una cosa che fanno in tanti, ed io stessa ho continuato a far chiamare ‘la rossa’, ‘il moro’ e non so che altro i miei personaggi per un sacco di tempo, prima che mi venisse fatto notare! Vanno bene se usati in un certo contesto, come un dialogo informale (esempio: ‘Ehi, bionda, dove vai?’ urlò James mentre Victoire si allontanava), ma negli altri contesti è bene evitarlo. La lettura diventa molto più scorrevole senza queste continue ripetizioni.
Buono lo sviluppo della trama: la storia di Teddy e Victoire viene passata al microscopio nei suoi punti essenziali. La tua traccia ti imponeva di buttare già qualcosa su di loro e l’hai fatto. Forse avresti potuto aggiungere qualcos’altro, ma è anche vero che c’era un limite di pagine, e probabilmente questo ti ha un po’ frenata.
L’idea è senz’altro molto originale: insomma, a chi era mai venuto in mente il fatto che Teddy e Victoire potessero essere stati, in un certo senso, predestinati ad essere legati per sempre? La scena iniziale, poi, è dolcissima: ho trovato di una tenerezza incredibile il piccolo Teddy che poggia la manina sul pancione di Fleur. Alcune idee erano molto carine, considerando anche che, mi sembra, era il tuo primo esperimento su una coppia del genere.
L’IC dei personaggi… ci ho riflettuto parecchio. Non si sa niente del carattere di nessuno dei due, quindi ho dato il punteggio più in base alla caratterizzazione che al rispetto del canon. Teddy è molto maturo, e probabilmente quando lo hai creato ti sei basata su suo padre, Remus. Forse è troppo adulto per essere un tredicenne, nella ‘scena’ centrale. Così come Victoire: ha solo dieci anni, mi è sembrata un po’ una forzatura tutto il dialogo tra i due, l’ho trovato troppo da adulti. Non avrei avuto niente da dire se si fosse svolto quando i due erano già un po’ più grandi, ma messo così… non mi ha convinta molto. Ho abbassato il punteggio proprio per questo. Niente da dichiarare su Fleur, invece, anzi mi è piaciuta la tua idea di farla affezionare tanto a Teddy. È stata davvero originale. Un ultimo appunto che non ha influito minimamente sul punteggio: Fleur è per un quarto Veela, quindi Victoire lo è per un ottavo, non per metà.
La storia è piacevole da leggere. Oltre ad essere ben scritta è molto dolce, forse fin troppo in alcuni punti – la scena centrale, sempre quella. È l’ideale per quando sei in quello stato in cui vuoi vedere tutto in rosa, però penso che le sia mancato qualcosa. Mi sembra che tu abbia scritto che era il tuo primo esperimento su questa coppia, e nonostante questo è venuto fuori sicuramente un buon lavoro. Hai delle ottime capacità, probabilmente è stato il colore non molto azzeccato per i tuoi gusti ad impedirti di raggiungere un punteggio più alto.


Totale: 140/171






Beh, ammetto di concordare in pieno con i giudizi! xD
Confesso di non amare particolarmente questo pairing. Nulla di personale, semplicemente preferisco di gran lunga la generazione precedente, e tendo ad ignorare la "new generation". Non so se sia perchè sono particolarmente affezionata ai personaggi originali di JK o perchè il finale non mi ha soddisfatto PER NULLA, ad ogni modo era la prima volta che mi cimentavo con questo genere, diciamo, ed ho voluto fare un tentativo.
La storia è nata improvvisamente, ha iniziato a vorticarmi in testa l'idea leggendo la poesia che ho utilizzato (non chiedetemi cosa c'entri, perchè non lo saprei nemmeno io xD). Inizialmente era composta solo dalle parti iniziale e finale, la parte centrale è stata aggiunta in seguito solo perchè altrimenti la storia mi sembrava troppo "vuota", ed il salto temporale eccessivo. Ma fin da subito non mi ha mai convinto.
Come giustamente mi è stato fatto notare, è un dialogo un pò troppo adulto per due bambini di dieci e tredici anni, ma onestamente mentre lo scrivevo la loro età non l'ho proprio tenuta in considerazione. Mio errore! :P
Ad ogni modo, ringrazio comunque _Mary, Nabiki93 e Fierobecca93 per i loro scrupolosi giudizi e per la bella esperienza! E grazie in anticipo a chiunque vorrà leggere e/o commentare la mia FF :)




   
 
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