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Autore: pizia    25/05/2010    2 recensioni
La donna che mi ha allevato diceva che io appartengo al Piccolo Popolo e che quindi non posso fare altro che avvertire il richiamo della Madre, e assecondarlo. Io non sono sicura di cosa questo significhi, ma qualcosa di vero ci deve essere per spiegare quello che sento
Prendete Merlin, prendete Le Nebbie di Avalon, mescolateli e stravolgeteli un po' entrambi, ed avrete l'ambientazione della mia storia.
Non ho idea se questa storia sarà lunga o breve, se sarà una commedia drammatica o una tragedia, se sarà bella oppure brutta, per cui non prendete per oro colato i generi o i rating che ora scrivo: potrei cambiarli in corso d'opera.
Per il momento ho iniziato a scriverla per il puro e semplice amore che nutro verso questi personaggi, Artù in primis.
Buona lettura... spero...
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Morgana, Principe Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 PARTE QUARTA

 “Hai corso un bel rischio, lo sai, vero?” Disse Merlino, agitato.

“È andato tutto bene Merlino, calmati” gli rispose Morgana.

“Artù è rimasto in pattuglia tutta la notte: quando io e Lancillotto lo abbiamo lasciato aveva detto che sarebbe presto rientrato anche lui. Se non lo ha fatto significa che qualcosa gli ha fatto cambiare idea. Probabilmente ha scoperto qualcosa, e avresti potuto essere tu!”

“Punto primo, tu sei l’ultima persona che possa farmi la predica riguardo al correre dei rischi.” Merlino fece per protestare, ma Morgana non gliene diede il tempo. “Punto secondo, non mi pare che ci sia nessuno alla gogna questa mattina. E punto terzo, come fai a sapere che Artù non è rientrato questa notte?”: Morgana si sentiva in realtà leggermente agitata ed era decisa a scoprire cosa Merlino sospettasse di quella faccenda. Se il giovane mago avesse scoperto la verità, non sarebbe certo stato un problema: li avrebbe presi un po’ in giro, forse, ma di sicuro non li avrebbe traditi. Eppure Morgana si sentiva imbarazzata all’idea e preferiva che ciò che era accaduto fra lei e il principe rimanesse un segreto.

In realtà si era sempre sentita più attratta da Lancillotto che non dà Artù e l’evidenza dell’amore del giovane cavaliere per Ginevra non era bastata a toglierglielo dalla mente. Ma quella mattina aveva scoperto un lato di Artù che non conosceva: aveva conosciuto ragazzo che si celava dietro il principe. Un ragazzo bello sì, come lo era il principe, ma anche tenero e romantico. Ogni tanto anche l’Artù principe si era dimostrato attento e premuroso, verso la sua gente se non altro, ma dopo quanto era successo, ora Morgana faticava a vedere prima l’erede al trono e poi il giovane e semplice uomo che era. Si era capovolto tutto quanto e questo lo preoccupava: di certo non era innamorata del principe Artù, ma era sicura di potersi innamorare, se già non stava succedendo, del ragazzo che l’aveva rincorsa e tranquillizzata quella mattina. Questo non doveva accadere però, perché quel ragazzo era anche il principe, e per loro non c’era alcuna speranza. Avrebbe al massimo potuto essere la sua amante, ma quel pensiero la feriva. Meglio tornare concentrarsi su Lancillotto: non aveva migliori possibilità con lui, ma almeno, dopo quella notte, era minore il rischio di innamorarsi veramente di lui, facendosi così del male.

“Quando questa mattina sono andato a svegliarlo, lui non c’era” affermò Merlino, strappandola alle sue riflessioni.

“Magari si è solo alzato presto” provò a dire Morgana.

Merlino la guardò come se avesse detto la più grande stupidaggine del secolo e poi disse: “Che Artù si svegli presto al mattino senza un valido motivo è già cosa sufficientemente incredibile, ma che si rifaccia anche il letto da solo è assolutamente impossibile. Il letto era posto e lui non avrebbe nemmeno saputo da dove cominciare per risistemarlo, quindi... Artù non ha dormito nel suo letto questa notte!”.

“Sì, forse ragione...” convenne Morgana, che decise poi di rischiare aggiungendo: “Chissà Merlino, magari alla fine Artù ha scoperto uno dei Fuochi e si è unito ai festeggiamenti...”

Merlino la fissò un attimo a bocca aperta, fermandosi a metà del corridoio verso le lavanderie alle quali erano diretti. Morgana quasi poté vedere le immagini di Artù avvinghiato ad una qualche sconosciuta in mezzo ad un prato che si stavano formando nella mente di Merlino, e sorrise di fronte al rossore che subito si diffuse sulle guance del giovane mago. “Naaaa... impossibile!” sentenziò alla fine un ragazzo, scrollando testa e spalle come a volersi liberare dalle immagini che gli ronzavano in testa.

“Stavo solo scherzando Merlino!” disse Morgana riavviandosi verso le lavanderie con il carico di abiti della sua padrona da far lavare.

Merlino la seguì dopo qualche istante, ricominciando immediatamente parlare di tutt’altro: la questione, per quanto lo riguardava, era archiviata. 

***

 “Dunque nessuno dei miei sudditi ha disubbidito” affermò Uther e Artù non seppe dire se il suo tono fosse compiaciuto o dubbioso.

“Nessuno che io o le guardie abbiamo scoperto, padre: ho fatto la ronda sino a tardi, ma non ho scorto nessun falò.”

“Ottimo!” rispose il re. “Non mi piace vedere la mia gente alla gogna. Credo che, come premio, dovremo indire una giornata di festa: un bel torneo, un buon banchetto, musica e balli. Potrei far venire a Camelot qualche menestrello che si esibisca in piazza. Che ne dice Artù?”

“Mi sembra una buona idea” rispose il giovane cercando di mascherare al meglio l’imbarazzo per la menzogna che stava raccontando a suo padre e al suo re.

“Mio signore” intervenne Ginevra, “posso chiedervi di dedicare la festa che avete in mente alla celebrazione del giorno di Pentecoste?”

Uther fece una smorfia: le feste dei cristiani erano sempre troppo legate a penitenze e riflessioni per i suoi gusti, e lui aveva in mente una vera festa, dove la gente potesse bere, mangiare e divertirsi quanto voleva, senza aver timore per questo di finire all’inferno. Lo disse chiaro e tondo a Ginevra, ma la ragazza non si rassegnò: “Mio sire, voi fate torto al Signore e alla sua Chiesa: per noi cristiani esistono giorni di penitenza e giorni di festa. E così come peccato far festa nei giorni di penitenza, lo stesso vale per il fare penitenza nei giorni di festa. Certo, sono sempre necessari la moderazione il buon senso, ma Dio non ci ha concesso le feste per poi impedirci di godere pienamente. E Pentecoste è senza dubbio un giorno di festa, il giorno in cui lo Spirito Santo è sceso sui discepoli, liberandoli dalla paura. Da allora Dio è giunto in ogni casa, in ogni nazione, dalla Terra Santa sin qui in Britannia. È un giorno che merita di essere celebrato, e dato che già avete intenzione di festeggiare, tante vale che i vostri festeggiamenti spianino ai vostri sudditi la strada verso il Regno di Dio.”

Uther si era perso a metà del discorso di Ginevra, ma se la sua richiesta si esauriva nel far celebrare una messa anche se non era domenica, non aveva nulla da ridire. Se Ginevra voleva la sua festa cristiana, l’avrebbe avuta, per lui cambiava poco: “E sia” concesse, venendo ricompensato da un radioso sorriso della sua futura nuora.

Artù si limitò a sospirare, per nulla colpito dal sorriso di Ginevra: lui apparteneva alla Dea ormai, ma lei stessa aveva detto di essere la stessa che i cristiani chiamavano Maria, e non era sembrata seccata per questo.

“Io e le mie dame ci metteremo subito all’opera per preparare dei nuovi paramenti di festa per la chiesa” affermò Ginevra chiedendo il permesso di potersi ritirare per cominciare da subito ad organizzare preparativi.

Artù si chiese cosa avrebbe pensato Morgana quando, inevitabilmente, si sarebbe ritrovata coinvolta in quelle attività. E, altrettanto inevitabilmente, il solo pensare alla giovane illanguidì il suo corpo al punto che fu costretto lui stesso a chiedere congedo dal padre. 

***

 La festa venne pertanto fissata in coincidenza con il giorno di Pentecoste, poco più di una settimana più tardi. Quella settimana sarebbe stata molto impegnativa per Ginevra e per chiunque fosse stato intorno. Una volta stabilito ufficialmente che quelli sarebbero stati festeggiamenti di Pentecoste, infatti, la ragazza aveva deciso che si sarebbe dovuto trattare di una festa splendida, in qui la gente che ancora non credeva in Cristo potesse rendersi conto di quanto grande potesse essere la benevolenza del Signore e comprendere che, per quanto rinunce e penitenze facessero indiscutibilmente parte della sua fede, non erano richieste invano.

“Eleine, tu mi aiuterai a richiamare la tovaglia per l’altare maggiore. Celine, tu e Isabelle vi occuperete delle decorazioni per il palazzo e la piazza principale: coinvolgete anche le vostre amiche e le vostre serve per farvi dare una mano. Voglio che tutto sia perfetto” ordinò alle sue dame, riunitesi quel pomeriggio stesso in uno dei giardini interni del castello. “Tu Morgana ti occuperai del filato e delle tovaglie: nessuna di noi tesse un filo fine e regolare, ma resistente, come il tuo. Sei dispensata da tutti i tuoi altri incarichi, compresi quelli che ti assegna di tanto in tanto Gaius. Ho già parlato con lui e mi ha detto che non ci sono problemi.”

Morgana avrebbe voluto storcere il naso: era vero che era molto brava a tessere e filare, ma detestava farlo. Era un lavoro meccanico è noioso, ripetitivo, e spesso, mentre filava, cadeva come in trance, senza più essere in grado di rendersi conto di che cosa le accadeva intorno, ma continuando filare fino a quando qualcuno non la interrompeva. Avrebbe preferito che Ginevra l’avesse incaricata di correre da una parte all’altra del palazzo, trasportando magari secchi d’acqua o altri carichi pesanti per tutto il giorno. Tuttavia era inutile pensarci: la sua padrona aveva ordinato di tessere filare e lei avrebbe tessuto e filato. Almeno la stagione era già sufficientemente bella da poterlo fare nei giardini, all’aperto, dove l’aria fresca l’avrebbe forse aiutata a non sentirsi male troppo presto.

Rassegnata, si sedette all’arcolaio e cominciò a lavorare tra il chiacchiericcio eccitato delle altre dame.

“Lord Galvano è così valoroso…” diceva una, “Si è vero, ma Sir Tristan non è certo da meno... ed è anche così bello...” rispondeva un’altra. “Beh, se è solo di bellezza che vogliamo parlare, allora Sir Lancillotto non ha paragoni!” concluse una terza.

Nessun commento su Artù, notò Morgana, ma si disse che non era poi così strano: che Ginevra l’avrebbe sposato non era ancora ufficiale, ma per quelle donne il matrimonio era già stato praticamente celebrato e nessuna di loro voleva rischiare di inimicarsi la futura regina con commenti lascivi sul suo sposo. Se solo avessero saputo che Ginevra si risentiva molto di più per i commenti su Lancillotto piuttosto che per quelli su Artù, probabilmente non avrebbero mai nominato nemmeno lui nei loro sogni ad occhi aperti.

E infatti Ginevra, che fino a quel momento aveva sopportato di buon grado i sospiri delle sue dame, non appena sentì nominare il figlio della Dama del Lago decise di intervenire: “Signore, io devo andare alle cucine per stabilire il menù per il giorno della festa ora, ma conto per quando tornerò, dei ritrovarvi impegnate nella recita del rosario invece che in simili, sconvenienti, discorsi.”

Le dame si zittirono all’istante, mostrandosi dispiaciute e imbarazzate, ma poco dopo che Ginevra si fu allontanata i sospiri su questo o quell’altro cavaliere ripresero come se non fossero mai stati interrotti. 

***

 Gaius venne fatto chiamare con una certa urgenza verso metà del pomeriggio: Morgana aveva accusato un malore mentre si trovava a filare nel giardino del palazzo insieme alle dame di corte e le donne, vedendola pallida e quasi delirante, si erano molto allarmate. La ragazza era stata portata nelle stanze di Ginevra dove la sua padrona l’aveva raggiunta non appena aveva saputo e ora le teneva la mano e le rinfrescava la fronte con una pezzuola intrisa di acqua fresca. Quando  il medico di corte era arrivato Morgana si stava già riprendendo, anche se era evidente che era ancora parecchio scossa.

“Sto bene” mormorò rivolta a Ginevra, sorridendo stancamente. “Mi capita a volte, ma nel giro di qualche ora passa tutto”.

“Mi sentirò tranquilla solo quando sarà Gaius a dirmelo” ribatté la giovane.

“Morgana ha ragione” intervenne il medico di corte. “Questi episodi sono senza dubbio da indagare, soprattutto se, come dici, sono ricorrenti. Ma ora sta abbastanza: il battito e il respiro sono regolari e anche la temperatura si è normalizzata. Passare tutto il pomeriggio al sole non ha certo aiutato, e probabilmente il malore è stato dovuto proprio ad un colpo di calore, ma non è nulla che non si possa risolvere con un po’ di riposo e una buona dormita.”

Ginevra, finalmente, sembrò tranquillizzarsi: “Per oggi, ovviamente, non hai altri compiti: riposa pure qui, se vuoi o altrimenti chiederò a qualcuno dei servi di corte di portarti a casa”.

“Non ce n’è bisogno, mia signora. Ancora qualche minuto e potrò andarci da sola sulle mie gambe” ringraziò Morgana.

Ginevra la guardò con aria un po’ scettica, indecisa se insistere oppure lasciar correre: “Come vuoi Morgana, ma comunque vadano le cose, riposati che domani mi servi in piena forma” concluse con aria complice. “Ora devo lasciarti perché ho davvero ancora mille cose da fare, ma se hai bisogno di qualsiasi cosa non esitare a farmelo sapere, chiaro?”.

Morgana annuì in silenzio: sapeva che di qualsiasi cosa avrebbe potuto aver bisogno, non l’avrebbe chiesta a Ginevra, ma l’offerta dell’altra donna era stata genuina e quindi non c’era motivo di essere scortese con lei.

“So che non resterai qui e che dirti di farlo sarebbe solo una perdita di tempo e di fiato, ma almeno promettimi che aspetterai di essere di nuovo salda sulle tue gambe prima di andartene a casa” disse Gaius dopo che Ginevra ebbe lasciato la stanza.

“Aspettate!” esclamò Morgana vedendo che anche l’anziano medico di corte stava per andarsene per lasciarla riposare un po’.

Gaius si fece attento di fronte al tono attento con cui la ragazza lo aveva fermato: ora sembrava già pentita di aver pronunciato quell’unica parola, e questo lo incuriosì ancora di più. “Dimmi Morgana” rispose gentilmente, sperando così di incoraggiarla a continuare.

La giovane sembrò prima sul punto di scusarsi e di lasciarlo andare, ma poi si fece coraggio e parlò: “Gaius, io so di Merlino, e so che voi sapete”.

“Come fai a…” balbettò l’anziano uomo, allarmato.

“L’ho scoperto mentre usava la magia per rassettare il vostro studio”.

Gaius si lasciò sfuggire un’imprecazione che fece sorridere Morgana.

“Non dovete temere nulla da me, questo ve lo assicuro” si affrettò ad aggiungere Morgana. “Merlino è un amico e non dirò ne farò mai nulla che possa tradirlo. E lo stesso vale anche per voi ovviamente”.

“Ti ringrazio bambina, ma questo non salverà quel mascalzone dall’essere scorticato vivo questa volta! E’ già abbastanza grave che usi la magia, ma che la usi per evitarsi la fatica di rimettere a posto è troppo!” sbottò il medico. “Comunque dubito che mi abbiate detto tutto questo solo per metterlo nei guai: che succede Morgana?”

Morgana si fece di nuovo reticente, divisa tra il bisogno di parlare con qualcuno e la paura di confidarsi.

“Si tratta di quello che è accaduto questo pomeriggio” disse infine, dopo aver tratto un profondo respiro. “Come vi ho detto, non è la prima volta che mi capita una cosa del genere, e credo che il sole e il caldo non c’entrino nulla”.

Gaius si assicurò che la porta della stanza fosse ben chiusa e poi tornò ad avvicinarsi al letto di Ginevra, invitando Morgana a continuare.

“Mi capita ogni volta che faccio qualcosa di ripetitivo, come filare, o qualcosa che mi tenga occupate le mani, ma non la mente. In quei momenti cado come in trance, come se non fossi più nel mio corpo. Mi ritrovo in altri luoghi e in altri tempi, a volte lontani, altre vicini. Certe volte non so distinguere se quello che vedo sia già accaduto o se debba ancora succedere; in altre occasioni invece sono assolutamente certa. Vedo persone che non ho mai visto prima, ma delle quali conosco nomi e storie, e altre che invece so che dovrei conoscere ma non so chi siano; oppure, come questa volta, vedo persone conosciute. A volte vedo persino me stessa. In passato, alcune delle cose che ho visto si sono realmente avverate, mentre di altre ho scoperto poi essersi verificate centinaia di anni fa, prima ancora che i Romani occupassero le nostre terre.

“E cosa hai visto questo pomeriggio?” chiese Gaius non riuscendo a trattenere la propria curiosità.

Il volto di Morgana si rabbuiò leggermente: “ Ho visto la Camelot che forse sarà tra venti o trent’anni, e ho visto Artù…”

“Ed era tanto terribile?” chiese di nuovo Gaius, a cui non era sfuggito il turbamento della giovane.

“Al contrario!” rispose lei senza esitare. “Ho visto un grande regno, più vasto ed importante di quanto non lo sia ora. E giusto. Ho visto una Britannia finalmente unita e libera dall’incubo dei Sassoni. Ho visto cavalieri prodi e valorosi e un popolo libero, prospero, felice e fiero del proprio re. La gloria di Uther impallidirà di fronte a quella di Artù…”

“Morgana…” la scosse Gaius. “Morgana!”

La ragazza sbatté finalmente le palpebre e scrollò la testa e le spalle mentre lentamente tornava al presente. Era di nuovo visibilmente impallidita.

“L’ho visto di nuovo Gaius, proprio ora…”

“Ho visto bambina…” rispose il vecchio sedendosi accanto a lei e abbracciandola fino a quando il suo lieve tremore non si calmò.

“Sono forse pazza?” chiese Morgana con appena un filo di voce.

“No, non sei pazza” la rassicurò Gaius. “Credo solo che in te scorra la magia del Popolo Antico: non sono ormai molti i prescelti, coloro che hanno il dono, ma quella che tu temi essere pazzia non  altro che parti della magia che ancora scorre in questa terra. E’ la stessa magia che scorre dentro Merlino, o dentro i Druidi, solo manifestata in modo molto diverso. Uther crede di averla estirpata, ma è solo un’illusione: non importa quanto maghi, druidi, stregoni o sacerdotesse metterà al rogo. Ne nasceranno comunque altri, perché questa magia è il cuore stesso di questa terra, con buona pace dei cristiani che, ancora più del re, desiderano cancellarla, negarla, nasconderla”.

“Ma io non so nulla della magia!” esclamò Morgana spaventata.

“Credo che il tuo dono sia quello che sull’isola di Avalon è conosciuto come Vista” spiegò il medico.

“Avalon…” ripeté Morgana quasi senza accorgersene.

“Anche Lady Igraine, la madre di Artù, possedeva la Vista, ma per sua fortuna il principe non sembra averla ereditata. Io non so dirti molto di più a riguardo: in virtù di un patto vincolante, Uther non perseguita le sacerdotesse della Dea come fa con gli Stregoni, ma esse sono ugualmente bandite da Camelot. Posso cercare un contatto con loro, in mod da poter scoprire se realmente la magia dell’Isola Sacra scorra in te come credo. Nel frattempo tuttavia devi stare attenta Morgana: non parlare a nessun altro di quanto mi hai detto, nemmeno a quel pasticcione di Merlino. Sono certo che nemmeno lui ti tradirebbe mai, ma è comunque meglio che non sappia”.

Morgana si limitò ad annuire, spaventata e stanca.

Gaius le sorrise bonariamente, cercando di rassicurarla un po’: “Ora cerca davvero di riposare: manderò Merlino tra circa un’ora per riaccompagnarti a casa. Nel frattempo prova a dormire un po’ e non angustiarti troppo: in fondo ciò che hai visto è ciò che ognuno di noi si augura che possa accadere. Mi fa piacere sapere che Artù diventerà davvero un grande re”.

“Potrà contare su ottimi amici, come Merlino: i loro destini sono indistricabilmente legati” disse Morgana.

Gaius sorrise orgoglioso, poi le diede un leggero bacio sulla fronte e se ne andò, raccomandandole nuovamente di riposare.

Quando la porta si chiuse alle spalle dell'uomo, Morgana rimase a fissarla a lungo senza in realtà vederla: stava ripensando a ciò che aveva visto e a ciò che aveva detto all'anziano medico. Non aveva detto nulla che non avesse veramente visto, ma non gli aveva raccontato tutto. Aveva davvero visto lo splendore di Camelot, dei suoi cavalieri e della sua gente, ma non gli aveva parlato della profonda infelicità del suo re. Artù sarebbe diventato un grande sovrano, forse il migliore della storia della Britannia, ma sarebbe anche stato un uomo destinato al dolore e all'infelicità.

Chiuse gli occhi ripensando al ragazzo che solo la notte prima l’aveva tenuta fra le braccia, a quella dolcezza che tanto contrastava con l'immagine sbruffona e piena di sé che invece offriva agli altri. Ripensò al timore quasi reverenziale e alla devozione con cui l'aveva baciata poco prima che lei lo accogliesse come Consorte. Ripensò all'Artù che aveva scoperto accanto ai fuochi di Beltane e non riuscì a non piangere ricordando invece la tristezza che aveva visto in quegli stessi occhi in quello stesso cuore nella sua visione.

Non poté fare a meno di chiedersi cosa avrebbe potuto causare tutto quel dolore, ma prima che potesse darsi una risposta si addormentò, esausta, nel letto della sua padrona.

 ***

 Merlino informò distrattamente Artù che quel pomeriggio Morgana non si era sentita bene.

“Gaius l’ha visitata e ha detto che non è niente di grave: è stata tutto il pomeriggio a filare in giardino e il sole le ha procurato un leggero malore”

“Ora sta bene?” chiese Artù, cercando di dissimulare almeno in parte l’interesse.

“È ancora un po’ scossa, ma sta bene. L’ho accompagnata io stesso casa. Un po’ di riposo e domani sarà di nuovo al suo posto, per il sollievo di Ginevra” rispose il servo.

Artù avrebbe voluto scattare in quello stesso momento verso casa di Morgana, ma si trattenne per non insospettire Merlino.

“Parteciperai al torneo?” chiese il ragazzo moro.

“Ovvio...” rispose Artù distrattamente.

“Suppongo che questo significhi che dovrò lucidare la tua armatura da torneo, fa preparare le lance e riparare i finimenti danneggiati...” borbottò Merlino.

Artù gli puntò immediatamente addosso uno sguardo torvo: “Perché Merlino? Mi stai forse dicendo che se volessi indossarla ora, la mia armatura sarebbe meno che brillante e il mio cavallo meno che pronto ed impeccabile?” chiese con aria  minacciosa.

“Certo che no!” si affrettò a rispondere Merlino nervosamente. “È solo che... è solo che assicurarsi che tutto sia in perfetto ordine come l’ho lasciato dopo l’ultimo torneo sarebbe prudente... e la prudenza non è mai troppa...” improvvisò sul momento.

“Ottimo Merlino, quindi quando domani mattina darò un’occhiatina anch’io non avrò brutte sorprese, vero?”

Se non fosse stato che aveva già deciso per quella sera di andare a casa di Morgana per assicurarsi che stesse bene e per stare di nuovo insieme a lei, quel controllino lo avrebbe fatto quel giorno stesso, con il forte sospetto che di sorprese, brutte, ne avrebbe avute più di una: avrebbe potuto scommetterci! Sarebbe stato curioso di scoprire cosa il suo servitore si sarebbe inventato questa volta per levarsi dai guai. Merlino era sempre molto fantasioso nell’accampare le scuse più assurde e strampalate. Così invece gli avrebbe concesso un po’ di tempo, ma lo avrebbe costretto a lavorare tutta la notte per limitare i danni, impedendogli di ficcare il naso dove non doveva e di notare cose che era meglio che non notasse.

Merlino, dal canto suo, inghiottì a vuoto un paio di volte prima di rassicurare Artù e di prendere congedo da lui per mettersi subito al lavoro: meno male che conosceva la magia o una bella giornata alla gogna per inefficienza non gliela avrebbe tolta nessuno l’indomani.

Artù si trattenne dal ridere mentre guardava l’amico, preoccupatissimo, allontanarsi di fretta borbottando.

Poi decise che era il momento di andare ad assicurarsi che Morgana stesse bene, e qualsiasi pensiero relativo a Merlino, o a chiunque altro, svanì dalla sua mente.

 ***

 Il sole era calato da quasi un'ora quando Morgana sentì bussare alla porta della sua piccola casa.

Merlino l'aveva accompagnata un paio di ore prima e non se ne è andato fino a quando non è stato assolutamente certo che non avesse bisogno di altro. Aveva avuto il suo bel da fare per convincerlo che quella sera preferiva non cenare: il senso di spossatezza i giramenti di testa erano passati grazie al sonno profondo in cui era piombata negli appartamenti di Ginevra, ma il suo stomaco era ancora serrato e nonostante non potesse dire di essere completamente senza appetito, l'idea di mangiare le dava ancora un leggero senso nausea. Alla fine Merlino si è rassegnato e dopo essere andato a riempire almeno cinque secchi d'acqua al pozzo (aveva dovuto chiedergli se intendesse affogarla con tutta quell'acqua per farlo smettere) se n'è andato. 

Morgana non si aspettava altre visite per quella sera eppure, nel momento stesso in cui sentì bussare, credette di sapere chi si trova oltre la sua porta, e, per quanto l'idea sembra sua assurda, non riuscì ad impedire al suo cuore di accelerare i battiti mentre andava ad aprire.

“Merlino mi ha detto che questo pomeriggio non sei stata bene: ho pensato che potessi avere fame, ma dubitavo che avessi voglia di preparare la cena è così che ho portato qualcosa” disse Artù porgendole un involto da cui proveniva un buon profumo di pane da poco sfornato per la cena e ad arrosto in salsa di more.

Morgana aveva immaginato che potesse trattarsi di Artù, ci aveva sperato, ma non si era certo aspettata che si presentasse con la cena.

Rimase fissando stupita e il ragazzo fraintese il suo silenzio: “Tranquilla, viene dalle cucine del castello: non l'ha cucinato Merlino, né tantomeno io...”

Morgana sorrise ripensando ad una scena di qualche giorno prima quando, durante una delle solite scampagnate a cui Uther obbligava sia Artù che Ginevra, il principe si era lamentato della pessima cottura che Merlino aveva dato ad uno dei conigli che avevano catturato. In tutta risposta il giovane mago lo aveva sfidato a cucinare lui l'altro coniglio: se il coniglio cotto da Merlino non era effettivamente eccezionale, quello preparato da Artù era stato semplicemente immangiabile, e così avevano dovuto in parte ripiegare su ciò che, previdentemente, Ginevra le aveva ordinato di portare da palazzo. Artù si era finto offeso per tutto il resto della giornata, e forse lo era davvero, mentre Merlino gongolava senza ritegno, e tuttavia, grazie quel ridicolo incidente, quella era stata, tra tutte le gite a cui Uther obbligava i due ragazzi, la più divertente.

Il profumo che proveniva dal pacco che Artù le porgeva la riportò al presente: si disse che avrebbe provato a mangiare qualche boccone e così si scansò per lasciar entrare il ragazzo.

 

“Prima Merlino tenta di affogarmi, ora voi mi volete ingozzare” commentò ridendo Morgana di fronte alla grande quantità di arrosto che Artù aveva portato. “Cominciò ad aver paura di voi due!”

“Veramente anch'io sono ancora digiuno... Ho pensato che avremmo potuto mangiare qualcosa insieme...” rispose Artù, leggermente imbarazzato. “Se non sei troppo stanca...” aggiunse poi, fa intendendo di nuovo suo silenzio.

“Mi sembra una splendida idea” lo tranquillizzò Morgana che non poté fare a meno di notare il leggero sospiro di sollievo del principe. “In realtà non avevo pensato di cenare questa sera, ma il profumino di quest'arrosto mi sta facendo cambiare idea!”

Artù le sorrise apertamente e l'aiutò persino ad apparecchiare la tavola: Morgana in realtà non mangiò che qualche boccone, invidiando il sano appetito del suo ospite, ma la cena fu ugualmente molto piacevole.

“Ora come ti senti?” le chiese infine, dopo aver fatto sparire anche l'ultima fetta di carne nel piatto e aver esaurito ogni altro argomento di conversazione.

“Ora sto meglio, grazie. Sono solo un po' stanca: nulla che una buona notte di sonno non posso sistemare” rispose.

Un istante dopo si ritrovò chiedersi se quella che aveva visto per un breve istante nello sguardo di Artù fosse stata delusione. Si chiese se quella visita e quella cena non avessero avuto in realtà un secondo scopo: non ché in fondo la cosa le sarebbe dispiaciuta del tutto, però non le sembrava corretto lo stesso.

“Mi dispiace” disse Artù. “Tolgo immediatamente il disturbo in modo che tu possa riposare”

Morgana si vergognò dei dubbi che aveva avuto: “Nessun disturbo, mio signore...”

“Artù” la interruppe. “Mi chiamo Artù...”

“Nessun disturbo... Artù” ripeté Morgana imbarazzata. “È anzi stato molto gentile da parte vostra...”

“Tua” la corresse di nuovo. “Morgana, ti prego, non siamo palazzo. Non ci siamo che io e te, e io desidererei sopra ogni cosa che tu vedessi in me solo Artù, non il principe di Camelot. Fa’ come fa Merlino: lui certe licenze se le è prese dal solo e, per quanto me ne lamenti, questo in realtà mi fa sentire bene... Ehi, non dirglielo però!”

Morgana rise: era incredibile come quel ragazzo riuscisse ad avere due facce tanto diverse. Si chiese quale fosse la faccia del vero Artù, ma in cuor suo, era quasi certa di conoscere già la risposta.

“È stata una bella serata, Artù. Grazie mille, per la cena e per la compagnia” disse reprimendo l'istinto di fargli la riverenza.

“Buona notte allora” rispose il ragazzo, senza tuttavia accennare a muoversi verso la porta.

Di nuovo, il cuore di Morgana accelerò sensibilmente i battiti mentre gli archi azzurri di Artù erano fissi su di lei. Sapeva che sarebbe bastato un minimo accenno da parte sua e lui avrebbe baciata: glielo leggeva negli occhi, e non sapeva cosa fare. Stanca o no, desiderava anche lei che la baciasse di nuovo, ma al tempo stesso non voleva alimentare un fuoco che non sarebbe mai potuto divampare. Era una storia senza futuro quella, non si illudeva: doveva solo stabilire se avesse senso che ci fosse almeno un presente. La sua testa le diceva di no, ma il suo cuore suo corpo non sembravano essere del tutto d'accordo.

Le sue riflessioni durarono evidentemente qualche attimo di troppo e Artù, sconfitto, si arrese a distogliere lo sguardo da lei e ad avviarsi finalmente verso la porta. Poi, un attimo prima di uscire, cambiò idea: in due falcate tornò indietro e la baciò. Non fu violento, solo deciso. Le diede il modo di respingerlo, ma Morgana sapeva che non l'avrebbe fatto, che non l'avrebbe lasciato andar via quella sera, qualsiasi cosa gli dicesse la sua testa.

Nella sua mente il volto del ragazzo e quello più maturo dell'uomo che sarebbe diventato si sovrapposero: se davvero non ci sarebbe stata felicità nel suo futuro, non c'era motivo che non ce ne fosse nemmeno nel presente. E non c'era motivo per cui anche lei non potesse godersi quei momenti.

Rispose al suo bacio, aggrappandoglisi al collo quando le gambe le cedettero come era accaduto quel pomeriggio, ma per tutt'altro motivo. Artù prima la sostenne, poi la prese in braccio e la portò nella piccola stanza da letto. La adagiò sul pagliericcio e si stese accanto a lei: il letto era troppo piccolo per due persone, ma lui la strinse a sé e ricominciò a baciarla. Un bacio più tenero questa volta, quasi casto.

“Ora riposa Morgana” le sussurrò ad un tratto mentre con una mano le carezzava il volto.

Morgana lo guardò per un attimo sorpresa, e Artù si limitò a sorridere. Lei sorrise a sua volta e, come la notte prima, si strinse più a lui affondando il volto nell'incavo della sua spalla: pochi minuti dopo si addormentò, cullata dalle mani di Artù che si muovevano tra i suoi capelli scuri.

 

Quando il mattino dopo la luce del sole la svegliò, Artù era ancora lì con lei, esattamente nella stessa posizione non comodissima della sera prima. Era ancora addormentato, ma presto avrebbe aperto gli occhi.

Merlino si sarebbe fatto altre mille domande trovando intatto il letto del suo padrone per la seconda notte consecutiva: Morgana era pronta a scommettere che avrebbe tratto le conclusioni più assurde e strampalate, tranne quella più ovvia. Per un attimo si sentì un po' in colpa, anche per aver rivelato a Gaius la maniera in cui l'amico si serviva della magia di tanto in tanto, ma quando sentì Artù muoversi contro il suo corpo e, guardandolo, incontrò i suoi occhi azzurri ora aperti, decise che si sarebbe sentita in colpa nei confronti di Merlino in un’altra occasione.

  
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