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Autore: Alice Joy    26/05/2010    3 recensioni
“l’ amore è come il pulsare del cuore: nessuno gli dice batti, nessuno gli dice batti più forte, così accade che senza volerlo si vive e senza volerlo si ama.” Poiché l’amore è irrazionale e quando ti piace qualcuno ti piace e basta, non importa se agli occhi degli altri sia bello o brutto, giusto o sbagliato. La distanza; un elemento fondamentale tra Alice e Jasper. Eppure… basterebbe così poco per far si che lui si innamorasse di lei.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alice Cullen, Jasper Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO 1: LOVE KILLS SLOWLY

Ero nella mia stanza, l'unico luogo della casa ad essere veramente mio. L'osservavo persa nei miei pensieri, letteralmente appollaiata sulla sedia della mia scrivania. Rettangolare, grande, piena di colori. I colori appunto; lo specchio della mia anima, senza di loro non potrei averla. Chissà perché ma riescono a darmi sempre la giusta carica sopratutto quelli forti come il giallo, il rosso oppure l'arancione.

Alle pareti avevo appeso piccoli frangenti di vita quotidiana, tante foto, tanti ricordi; tutto il trascorrere della mia vita in pratica.

La luce del sole che filtrava dalla finestra del terrazzino diffondeva nella camera un tiepido chiarore che si allungava fino ai piedi del mio comodissimo letto.

Dal balcone potevo scorgere tutta la foresta, concedermi ogni giorno l'effimera emozione di un tramonto mozzafiato.

Mi ero fermata lì per riflettere, per cercare di far quadrare un po' le idee anche se poi avevo rinunciato, mi ero resa conto che il più delle volte le cose non quadrano mai ma, almeno così avrei potuto dire di averci provato, se non altro mi sarei sentita un po' più in pace con me stessa.

Mi trovavo lì, a cercare di sviluppare l'ennesimo ritratto di Jasper Hale, un ragazzo talmente perfetto da non aver bisogno di ritocchi ma che si rende a malapena conto della mia esistenza. La mia scrivania di legno chiaro imprigionava nei suoi cassetti tutto l'occorrente per dipingere, una miriade di pennelli e bottigliette di colore, gli unici strumenti capaci d'infondermi calore in momenti come quelli in cui mi sentivo davvero sola.

Cercavo di dare vita alla mia opera ricopiando l'immagine di Jasper da una di quelle classiche foto di classe che si scattano l'ultimo giorno di scuola. La foto risaliva all'anno prima, era stata scattata nell'atrio della Forks High School mentre Jasper si appoggiava con la mano ad un pilastro di finto marmo. Era stata scattata da distante per la necessità di riuscire a prenderci tutti sicché rilevare i particolari di quel volto d'angelo sarebbe stato ancora una volta impossibile. La distanza...probabilmente sarebbe sempre stata una costante fondamentale tra me e Jasper. Se solo lui avesse saputo di tutte quelle volte che mi ero chiusa in camera mia a cercare di dar vita al suo volto su miseri fogli di carta ruvida. Erano mesi ormai che andava avanti così, sicuramente mi avrebbe considerato immatura, ossessiva e pure paranoica.

Ho versato il colore nella tavolozza ed intinto il pennello nell'acqua scuotendo gentilmente la vaschetta in modo da ammorbidire un po' le setole. Ho iniziato a tracciare piccoli segni sul foglio, piccole strisce di colore inizialmente confuse, prive di una vera e propria consistenza. Poi hanno cominciato ad essere più nitide e come per magia il suo volto ha preso forma. Sospirai spingendomi indietro con la sedia. Ero brava, ero davvero brava.

Se non fosse stato per il soggetto, sempre lo stesso; milioni di Jasper Hale imprigionati all'interno dei miei album da disegno. Non ti ama Alice, lui non ti ama...dovevo trovare un modo per smettere di amarlo anch'io.

Mancavano dieci giorni alle vacanze di natale, dieci giorni al primo ballo dell'anno (poi ci sarebbe stato l'immancabile ballo di San Valentino e quello d'obbligo della fine dell'anno) e come al solito ero senza un ragazzo.

E' già abbastanza brutto trascorrere le giornate così, il pensiero dell'ennesimo capodanno da single mi martella nella testa, figuriamoci poi dover ascoltare le vicende amorose delle mie amiche per non parlare dell'atmosfera briosa di questi giorni dove tutto, a partire dalle vetrine dei negozi addobbate a dovere all'aria che respiro ti spinge alla ricerca di un affetto. E quale affetto sarebbe stato migliore se non quello di un ragazzo, quel ragazzo, proprio quello che ti piace che, ricambia il tuo amore?

Decisi di scendere al piano di sotto, ero stanca di piangermi addosso per un amore non corrisposto.

Dalla cucina riuscivo a vedere Klimt, il mio gatto a pelo bianco che, da sopra il tavolo del salotto, graffiava insistentemente il legno della finestra con le sue zampette affusolate. Mi sono avvicinata per accarezzarlo e poi magari per accontentare la sua richiesta muta di uscire e, allora, l'ho vista.

La gattina della signora Cheney si era arrampicata sul ramo del nostro albero in giardino ma ahimè sembrava che un altro bel micione le tenesse già compagnia.

Ti capisco Klimt! L'amore è così ingiusto a volte, non trovi anche tu?”

Klimt che ovviamente non avrebbe mai potuto rispondermi ha scosso la coda irritato tentando pure di graffiarmi.

Sono passati quasi quattro mesi da quando Jasper Hale è diventato la mia dolce ossessione. E, come dimenticare la prima volta in cui lo vidi? Stavo di fronte al mio armadietto intenta a prendere i libri di inglese per recarmi a lezione quando lo vidi varcare l'atrio della scuola in compagnia della sorella gemella, Rosalie. Si erano trasferiti da poco qui a Forks, da Jacksonville, per via del lavoro del padre; il classico uomo d'affari.

Avevo appena richiuso l'armadietto, dovevo soltanto percorrere il corridoio e raggiungere Bella, la mia migliore amica, che mi stava aspettando per andare a lezione. Fu in quel momento che commisi l'errore. Avevo alzato lo sguardo alla ricerca della mia amica quando incrociai i suoi occhi verde mare rimanendo immobile. Tutto quello che avevo in mano e, dico proprio tutto, cadde sul pavimento provocando un fracasso terribile ed ovviamente attirando la sua attenzione. Avevo tentato inutilmente di ricompormi e raggiungere Bella, lo avevo superato garbatamente ma, lui, mi fissava basito facendomi sentire un fenomeno da baraccone.

Bella mi si era avvicinata “Che ti prende Alice?” mi aveva sibilato all'orecchio. Io feci finta di niente.

Guarda che ti ho visto!” continuò lei.

No! non poteva essere vero, era impossibile.

Scordatelo Alice! Ho sentito dire da Edward che Jasper Hale esce con Victoria”

ero stata una stupida! Victoria, “la rossa” per via dei suoi capelli ramati, tutti i ragazzi della scuola volevano uscire con lei, li attirava a sé come uno specchietto per le allodole.

Bella finiscila! Sto bene” le avevo detto infine per rassicurarla anche se non era affatto vero. Ed ora, a distanza di mesi, le cose non erano cambiate per niente anzi, se possibile erano addirittura peggiorate. Se poi consideravo il fatto che Jasper Hale ormai faceva coppia fissa con Victoria Swift potevo affermare che fosse una vera e propria tragedia. Perché devo sempre essere io quella a cui piace il ragazzo sbagliato?

Mamma e papà sono preoccupati da questa situazione. Mamma dice che a diciassette anni non dovrei abbattermi così per un ragazzo, che ce ne sono tanti. “Vedrai, prima o poi quello giusto arriverà!” la classica risposta dei miei genitori ogni qual volta provavamo ad affrontare l'argomento.

Dovresti impegnarti un po' di più sul fronte sociale, amore” aveva insistito mamma un giorno “Così solo per avere uno svago”.

Tanto per calmare la sua frustrazione mi sono iscritta al “Forks weekly journal”, il giornalino scolastico tenuto dalla mia amica Angela. Andiamo in stampa una volta alla settimana.

Il mio è più che altro un ruolo marginale, mi occupo dei disegni delle inserzioni e sopratutto della copertina. E' Angela la vera reporter della situazione, la macchina fotografica di ultima generazione stretta tra le mani, sempre alla ricerca dell'ultimo scoop. Non c'è pettegolezzo che Angela Weber non riesce a catturare.

Sinceramente, io non sono fatta per questo genere di cose. Esprimo le mie emozioni attraverso i disegni, nella pittura riesco ad esprimere tutta me stessa, tiro fuori sempre il meglio di me.

Ricordo ancora la mia prima valigetta di colori e la mia prima tela. Me l'aveva regalata mamma il giorno in cui avevo compiuto otto anni. Ero corsa a La Push e avevo dipinto il mare. Quel giorno era baciato dal sole che si rifletteva sulla superficie illuminandola di una luce intensa. Nel punto in cui s'incontrava con il cielo spuntavano le onde. Le avevo dipinte con delle pennellate d'azzurro intenso mentre l'acqua sfumava dal dal verde al blu, lasciando intravedere ogni tanto qualche piccola macchia di schiuma bianca. Chissà se a Jasper piace la pittura...

Stavo ancora in piedi di fronte alla finestra, Klimt se n'era andato da chissà quanto tempo. Osservavo mia madre lavorare, si era messa sul tavolo in cucina. Teneva tra le mani due progetti di architettura per interni. Stava progettando una nuova villa che sarebbe sorta poco distante dalla città. Analizzava i progetti alla ricerca della soluzione migliore. Mamma metteva l'anima nel suo lavoro, così come papà. Molto di quello che so sull'arte l'ho appreso da lei, nutriamo la stessa passione ma in campi diversi; io quello artistico, lei quello architettonico.

Mi sono avvicinata lentamente mentre mamma respirava profondamente sopra i fogli.

In questo lavoro la precisione è tutto, Alice” mi diceva spesso. Avevo imparato da lei a cogliere tutto, anche i particolari più insignificanti. Erano quelli a fare la differenza tra un artista inesperto ed uno di grande sensibilità e talento.

L'orologio a pendolo del salotto ha battuto le ore quindici in questo preciso istante. Sapevo che per lei era ora di andare a lavoro. Avrebbe avuto appuntamento con gli altri designer nel pomeriggio.

Per Esme Ann Platt Evenson, mia madre, l'architettura e l'arte erano tutto. Dopo essersi laureata aveva lavorato in diversi ed affermati studi di architettura. Col tempo è riuscita ad affermarsi ottenendo anche ottime critiche dal mondo dell'arte e della stampa. Aveva conosciuto papà a New York, lui si trovava lì per un convegno sulla medicina, papà infatti è medico, lei invece aveva ricevuto un riconoscimento per il Design Awards di quell'anno.

Quando all'inizio dell'anno scolastico ho detto a mamma di voler andare alla Yale University School of Art una volta ottenuto il diploma (il che voleva dire attendere altri due anni), avevo visto i suoi occhi illuminarsi di gioia mentre mio padre storceva il naso dicendo che il Connecticut era troppo lontano e New Haven non era una città degna della sua “bambina”.

Io mi ero arrabbiata tantissimo urlandogli contro che non mi capiva. Mamma aveva cercato di fare da intermediario tra di noi e da allora erano iniziate le discussioni anche tra di loro.

Litigano spesso tanto che a volte tocca a me e a mio fratello Edward metterci in mezzo per cercare di calmarli. Una volta ero stata sorpresa da Edward a piangere in camera mia, avevo cercato di non farmi vedere, ma ovviamente, a lui non era sfuggito. Continuava a ripetermi che non era colpa mia e che prima o poi le cose si sarebbero aggiustate, che papà ama mamma così come mamma ama papà. A volte vorrei abbracciare mio padre e dirgli che mi dispiace tanto ma poi, sento che la mia passione è troppo grande per poterla rinnegare. Senza la pittura credo che morirei.

Ciao...devo andare” ha mormorato mia madre prendendo le chiavi della macchina e distogliendo il filo dei miei pensieri.

Certo! Ci vediamo questa sera” le ho risposto prima prestare attenzione al bip metallico del mio telefono cellulare. Avevo ricevuto un messaggio.

Ho schiacciato il tasto centrale per aprire la casella e leggere il testo. Era Angela.

Alice dimmi che sei a buon punto con la copertina della prossima settimana! Mancano solo pochi giorni alla stampa!”

Che palle! Mi ero fatta incastrare da mamma in un lavoro che non avevo nessuna voglia di fare. Il prossimo numero del giornale poi sarebbe stato interamente dedicato all'imminente ballo previsto prima dell'inizio delle vacanze di natale.

Non sono dell'umore giusto per questo genere di articoli! Io che non ho nemmeno un ragazzo con cui uscire!

Avevo proposto ad Edward e a Bella, la sua ragazza, di posare per me. Sarebbero stati perfetti per la copertina.

Quando l'avevo chiesto a Bella lei si era categoricamente rifiutata e, anche Edward. “Alice, tesoro, ti voglio un bene dell'anima ma, tu prova a fare il mio ritratto su quella copertina ed io ti taglio le mani!” mi aveva risposto mio fratello un tantino alterato. Bella, che come al solito ha un po' di più tatto mi aveva liquidato dicendomi semplicemente che loro non erano tagliati per questo genere di cose.

Perché non provi uscire, magari ti viene l'ispirazione!” mi aveva suggerito ed io sapevo che l'aveva detto soltanto perché la smettessi di tormentarla con la mia richiesta.

Così a mal parata ho deciso di darle retta e mi sono messa a setacciare la città alla ricerca dell'immagine perfetta per la “nostra” copertina.

Stanca di percorrere avanti ed indietro le vie di Forks, avevo deciso di recarmi verso il parco. Magari mi sarei fatta ispirare dal paesaggio.

Mi ero appostata su di una panchina, dietro alla pineta, con l'intento di riproporre un pino sui cui rami si era appoggiata un sacco di candida neve bianca.

Ero ancora dietro agli alberi quando li vidi. Jasper Hale e Victoria Swift camminavano mano nella mano lungo il vialetto imbiancato del parco. D'un tratto li avevo visti fermarsi, avevo visto la mano di Jasper tendersi verso il suo viso per sistemarle un ciuffo ribelle dietro l'orecchio. Subito dopo lei gli aveva preso il volto tra le sue mani regalandogli un bacio passionale sulle labbra.

Avevo distolto lo sguardo prima che le bocca di Victoria si staccasse da quella di Jasper. Avevo sentito un dolore intenso farsi strada dentro di me, partire dallo stomaco per poi fermarsi all'altezza del cuore.

Quando il vento freddo dell'inverno cominciò a sfregiarmi il viso mi accorsi di come le lacrime scendessero copiose lungo le mie guance.

Mi ero fatta prendere dallo sconforto, la disperazione mi stava lentamente trascinando via con sé. Sentivo una voragine aprirsi sotto i miei piedi, un immenso buco nero dal quale difficilmente sarei riuscita a far ritorno.




   
 
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