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Autore: _Mary    27/05/2010    14 recensioni
Erano ragni. Ragni voraci, dalle zampe lunghe ed incontentabili. Erano vipere. Vipere striscianti e subdole, dalle zanne avvelenate. Ed io ero la loro preda.
~ Seconda classificata al contest 'Dai Classici alle FanFiction' indetto da vogue su EFP forum, e vincitrice del premio originalità.
~ Terza classificata al contest 'Give it a second chance!' indetto da Fabi_ su EFP forum.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Andromeda Black | Coppie: Ted/Andromeda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
- Questa storia fa parte della serie 'Gocce di pioggia'
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DISCLAIMER: i personaggi non mi appartengono, la storia non ha scopo di lucro e tutti i diritti sono di JK Rowling.

CREDITS: i versi riportati sono di William Shakespeare, non è mia intenzione appropriarmene. E ci mancherebbe altro, miseriaccia.

 

Nido di Ragni

 

 

Guarda come ogni corda dolcemente unita all'altra

vibra in ordine reciproco,

sembrando padre e figlio e felice madre

che tutti insieme cantano la stessa dolce nota:

queste mute voci, riunite in un sol coro,

all'unisono ti dicono: "Sii solo, e non sarai nessuno".

 

Non mi piacevano le giornate soleggiate. Quando faceva caldo i vestiti eleganti che dovevo indossare mi comprimevano come se fossero stati macabri sudari; i loro pizzi e i loro merletti mi davano fastidio, li sentivo sul collo e sui polsi, mi soffocavano nelle loro preziose ragnatele.

Erano migliori le giornate nuvolose come quella: il cielo era di piombo, e le nuvole così tante che sembravano non avere mai fine. I tuoni in lontananza non mi facevano paura. Quei rimbombi non mi potevano toccare, a differenza di tutto quello che avrei trovato se fossi entrata in casa. Era bello starsene a guardare quel mare di nubi in tempesta quando non c’era nessun altro intorno, ed era bello ignorare i richiami della mia famiglia mentre, invece di tornarmene in casa, rimanevo lì godendomi il silenzio del cielo.

Mia madre mi faceva vestire sempre di tutte le sfumature di grigio. Erano bei grigi, ovviamente, dei grigi adatti ad una Black. Diceva che facevano risaltare la mia carnagione. Ma li odiavo. Perché mi ricordavano che io ero grigia.

Ero grigia come una delle nuvole che mi stava passando in quel momento sopra la testa; solo che io ero in trappola. Avrei dato qualsiasi cosa perché il vento potesse portare anche me via di lì, per diventare leggera come una piuma e volare via, perché mi trascinasse con sé in quel mare lontano. Non ero bella come Narcissa né forte come Bellatrix. Ero solo la sorella di mezzo, quella strana e silenziosa, quella chiusa nel suo bozzolo di sogni in un nido popolato di vipere e ragni. Ero quella che stava sola, che la famiglia teneva a distanza – o forse mi ero deliberatamente allontanata io, non avrei saputo dirlo.

E, come mi aveva ricordato mia madre quella mattina, se sei sola non sei nessuno.

“Sei una Black” mi aveva detto. Mi aveva chiamata nella sala grande, quella destinata solo ai ricevimenti. I ritratti dei nostri antenati mi guardavano dall’alto, accusatori, dalle profondità del tempo. Mia madre si trovava bene lì: un grasso ragno al centro della sua ragnatela, pronto ad impossessarsi di qualsiasi cosa le sue lunghe zampe avessero potuto toccare. Io ero appena rimasta intrappolata nella sua rete, una preda inopportuna ed indesiderata che rischiava di compromettere tutto.

“Devi essere fedele alla tua famiglia, prima di tutto” .

Si era voltata a guardarmi, come ad assicurarsi che la sua patetica conquista non le fosse sfuggita. E come avrei potuto? Io non avevo battuto ciglio, mentre sentivo che la tazza di tè che mi aveva fatto portare e che tenevo tra le mani si raffreddava lentamente.

“Ricordatelo, prima di fare stupidaggini. Adesso stai insieme a noi, non sei da sola. Ma se ti allontanerai, se rimarrai sola, non sarai nessuno là fuori”.

Mi aveva congedata senza un’altra parola. Senza restituirmi le lettere che aveva trovato nella mia stanza. Le lettere di Ted.

Io ero uscita. Il parco che circondava la nostra casa estiva era così grande che non mi avrebbero mai trovata, se mi ci fossi nascosta. Mi ero allontanata volgendo le spalle alla casa, pensando che, nonostante quello che mi aveva detto mia madre, io ero già sola.

La mia famiglia mi aveva abbandonata da tempo: Bellatrix si era allontanata non appena aveva scoperto che ero troppo debole per i suoi gusti. Aveva cose più importanti di me a cui dedicarsi. Narcissa, invece, mi voleva bene, ma era piccola. La vedevo mentre mi guardava comprensiva, prima di volgere il suo sguardo adorante su Bella, irresistibile e terribile come il mare in tempesta.

Ero grigia. Né bella né brutta, né stupida né intelligente.

Ero sola. Nient’altro che una pedina isolata sulla scacchiera di una vita che non mi apparteneva. E, come aveva detto mia madre, non ero nessuno.

 

Ancora non pioveva. Ero arrivata al ponte che sovrastava il piccolo ruscello del nostro parco. Mi piaceva stare lì: lo scroscio gentile dell’acqua mi aiutava a rilassarmi, ad allentare quella tensione che, nell’ultimo anno, mi aveva sempre perseguitata. A Hogwarts, a casa, poi di nuovo a Hogwarts.

Lì non c’era nessuno a giudicarmi. L’acqua scorreva incurante sotto i miei piedi, e la volta verde delle fronde degli alberi si chiudeva sopra la mia testa, nascondendomi il cielo.

A volte pensavo che sarebbe stato bello portare lì Ted. Ero sicura che gli sarebbe piaciuto quel posto. Ma lui in quel momento era lontano. Pensai a quanto dovevano essere diverse le nostre vacanze: io ero rinchiusa in una splendida gabbia dorata insieme agli avvoltoi più in vista del mondo magico, mentre lui aveva la libertà del vento e poteva godere del sapore dolce dell’indipendenza.

“Cosa ti preoccupa, ma Princesse?”

Sorrisi. Soltanto una persona al mondo mi si rivolgeva in quel modo. Era il nostro segreto: mio zio si era sempre divertito a farmi arrivare di nascosto dei libri babbani, fin da quando ero piccola. Da quel momento, Princesse, Principessa, come quella delle favole che tanto mi piacevano, era diventato il mio soprannome. Era abbastanza infantile, ma sentirlo bastava a farmi tornare il sorriso.

“Pensavo di essermi nascosta” borbottai, nascondendo il sollievo che avevo provato nel sentire la sua voce.

Zio sorrise: era un bell’uomo. Aveva da poco superato i quarant’anni, ma non li dimostrava. Aveva girato il mondo e si era da poco stabilito in Francia, abbastanza vicino alla sua amata Inghilterra e sufficientemente lontano dalla sua famiglia di origine. Non riuscivo proprio a capire perché mai nessuna lo avesse ancora sposato. Ma forse, riflettei, era meglio così. Zio Alphard era il mio parente preferito, non avrei sopportato che me lo portassero via.

“Mia cara, dovresti scegliere con maggior cura i posti in cui nasconderti. Si dà il caso che questo sia il mio luogo preferito, nella tua giungla sterminata”.

Zio fece un gesto teatrale con la mano, indicandosi intorno.

“E poi, rassegnati. Il clan Black ha delle risorse che neanche ti immagini. Ti stanerà sempre, ed io ne so qualcosa. Mi hanno raggiunto persino in Francia per invitarmi a questo matrimonio” proseguì ridendo.

Io aggrottai le sopracciglia, evitando il suo sguardo.

Adesso sei insieme a noi, non sei sola.

Bugiarda, pensai, mordendomi un labbro. Bugiarda.

“Speriamo solo che non piova” mormorò, guardando preoccupato il cielo e sfregandosi le mani.

“Oh no, speriamo che lo faccia” ribattei con una mezza risata, immaginandomi vestita in quel modo sotto il sole cocente. Vestita di grigio.

Cominciai a torturarmi una ciocca di capelli guardando in basso, verso la valle. Mia madre aveva tessuto bene la sua tela: non avrebbe detto niente a nessuno, per il momento, le sue figlie erano troppo preziose per essere buttate in pasto ad uno scandalo; ma mi aveva fatto capire che non avrebbe esitato a recidere ogni legame, ogni ramo secco di quell’albero tanto antico e curato, se avessi fatto un passo falso. Sentii una stretta al cuore al pensiero della scelta che avrei dovuto compiere. Avrei perso un pezzo di me qualsiasi decisione avessi preso.

Zio dovette notare che qualcosa non andava.

“Ho detto qualcosa di sbagliato?” chiese, scrutandomi.

Io scossi la testa senza guardarlo.

“No, niente. Solo… a volte mi piacerebbe non sentirmi… così” risposi, forzando un sorriso.

Zio inarcò un sopracciglio, perplesso.

“Cosa ti turba, Princesse?” chiese, appoggiandosi alla ringhiera del ponticello.

Io alzai gli occhi al cielo, cercando di rimanere calma.

“Non… non lo so” esalai senza voce. Sentivo il suo sguardo su di me.

“Vorrei… vorrei solo non essere sola”.

Fu in quel momento che scoppiai: mi feci sfuggire un singhiozzo. Prima che potessi reagire, sentii una lacrima che mi accarezzava la guancia, e dopo di quella altre. E altre, mentre venivo inevitabilmente travolta dai singhiozzi.

Non vidi l’espressione di zio Alphard mentre cercavo di riprendere il controllo. Sentii solo di essere stretta in un abbraccio e di avere appoggiato la testa su qualcosa di caldo. I singhiozzi erano troppi perché sentissi il battito del suo cuore contro il mio orecchio, ma riuscivo a sentire che lui era lì vicino. Era una presenza calda e confortante, la sua. E questo mi bastava.

Quando mi fui calmata riuscii a sentire il suo mormorio.

“Avanti, Princesse, avanti… Perché pensi di essere sola? Non pensi che io ti voglia bene, forse?”

Cercò il mio sguardo, mentre mi accarezzava i capelli.

“M-ma zio… Tu non ci sei sempre. Dopo il matrimonio di Bella tornerai in Francia, ed allora…”

“Allora, vedi che abbiamo già trovato almeno una persona che apprezza la tua compagnia” mi zittì.

“Non sarai sola finché ci sarò io, non è vero?” disse, sorridendomi. “E che mi dici dei tuoi cugini, Sirius e Regulus? Loro non torneranno con me in Francia. O dei tuoi amici ad Hogwarts. Perché pensi di essere sola, Princesse?”

Sciolse il suo abbraccio, permettendomi di asciugarmi le lacrime e di cercare una risposta che fosse il più possibile vicino alla verità.

“Perché… perché lo sono” risposi onestamente, stringendomi le braccia al petto.

Mi appoggiai nuovamente alla ringhiera del ponte. Un timido raggio di sole si stava facendo strada tra la coltre di nubi, sfiorando gli alberi del parco. Da qualche parte a valle risuonò una campana. Zio non aveva risposto.

Princesse, Princesse… mia dolce Andromeda” mormorò, posandomi una mano sulla spalla. “Lo pensi davvero? Credi che potrei mai abbandonarti?”.

Io non risposi. Lui non sapeva. Non sapeva che Ted era un Nato Babbano, né che mia madre ci aveva scoperti, né che avevo macchiato di vergogna la mia famiglia. Che mi avrebbero esclusa. Che mi avrebbero lasciata sola.

A volte avevo accarezzato l’idea di andarmene. Ted mi aveva detto che avrebbe potuto accogliermi a casa sua, che non ci sarebbero stati problemi, ed io mi cullavo in quella dolce illusione, nelle notti di luna in cui la mia stanza mi si chiudeva addosso come una tomba. Ma poi, alla luce del giorno, quei sogni perfetti svanivano come nebbia.

Non sarei potuta fuggire. Non sarei stata nessuno, da sola.

“Non sei sola, Andromeda. Volente o nolente, non lo sarai mai, sei una ragazza troppo carina e gentile per diventarlo. Ed io sono un vecchio a cui piace illudersi di avere qualche affetto in questa vita, quindi continuerò a venirti a trovare finché non ne potrai più”.

Feci un sorriso tremulo, evitando il suo sguardo. Lui non sapeva.

“E poi, se non mi consideri una buona compagnia, sappi che neanche questo tale Ted sembra poter sopportare la tua mancanza…”.

Mi voltai bruscamente verso di lui, col cuore in gola. “Cosa hai detto?” boccheggiai, sconvolta.

Zio, con tutta la naturalezza del mondo, trasse fuori dal mantello una lettera in pergamena, sulla quale si poteva vedere, in verde, la firma ‘Ted’.

Gliela strappai dalle mani senza dargli tempo di aggiungere altro, e cominciai a scorrerla febbrilmente.

Sentivo a malapena le parole di zio (“L’ha portata un gufo mezzo morto di fatica stamattina. O meglio, è caduto nella brocca del latte e ci è quasi affogato. Tua sorella ha avuto una specie di crisi di nervi, ma sono riuscito ad evitare che la vedesse…”).

Solo aver visto la sua calligrafia su quel foglio ingiallito mi aveva dato conforto. Ted non scriveva niente di particolare, ma erano le parole più belle che avessi mai letto. Mi sentii scaldare il cuore al pensiero che continuasse a scrivermi tutti i giorni nonostante tutto.

Nonostante lo avessi implorato di non farlo. Nonostante gli avessi detto che lo avrebbero ucciso.

“Sei innamorata di lui, Princesse?”

La voce di mio zio mi riportò bruscamente alla realtà. Piegai con cautela la lettera e la misi in una tasca del vestito, soppesando le mie possibilità. Mia madre non gli avrebbe detto niente, ne ero sicura. Era la fonte principale dei pettegolezzi riguardanti le figlie degli altri, ma sarebbe stato controproducente per un’abile mercantessa come lei farsi una cattiva pubblicità svelando il mio segreto. Probabilmente non si sarebbe confidata nemmeno con Bella e Cissy. Avrei potuto mentirgli, nascondermi dietro un fragile muro di menzogna che mi avrebbe protetta almeno dai suoi sguardi sprezzanti. Non avrei sopportato di vedere il disprezzo e la delusione – o peggio, la compassione – in quegli occhi.

Zio mi scrutava, aspettando una mia risposta. Notai che aveva le mani dietro la schiena, ed immaginai che dovesse averle strette a pugno, in attesa.

Alla fine annuii lentamente.

Zio sostenne il mio sguardo per qualche secondo. Poi sospirò.

“E non è un Purosangue. Anzi, oserei dire che è un Nato Babbano”.

Annuii di nuovo, stavolta senza guardarlo.

“Andromeda, hai solo vagamente idea del guaio in cui ti stai cacciando?” sibilò.

Indietreggiai. La sua era la reazione che più avevo temuto e che più mi avrebbe fatta soffrire. Una furia gelida e sprezzante, sarcastica e sferzante come il vento del Nord.

“Io lo amo” risposi a voce bassa, ma decisa.

Mio zio mi voltò le spalle imprecando. Mi sentii sollevata in quegli istanti in cui non potevo vedere il suo sguardo accusatore. E sentii che il cuore mi si faceva più leggero anche per un altro motivo: se mi avesse insultata, come immaginavo avrebbe fatto, avrei potuto rispondergli e reagire; se si fosse limitato ad allontanarsi senza dire niente avrei perso tutto ciò che mi rimaneva della mia famiglia senza possibilità di scampo.

“Lo ami…! Da quanto vi conoscete, un anno?” chiese, gesticolando teatralmente, la voce carica di sarcasmo.

“Da sei anni, zio, e ti assicuro che…”

“Lo ami! Figurarsi!”

“Cosa ne sai tu di lui? Cosa ne sai di noi? Lui è l’unico che non si è dimostrato interessato al mio sangue, l’unico che mi fa sentire bene, l’unico che non mi fa sentire…”

Grigia, completai mentalmente. L’unico che non mi fa sentire un qualunque nessuno.

L’unico che non mi fa sentire sola.

“Lo sai a cosa pensano i ragazzi della sua età, Andromeda? Pensi davvero che non abbia un altro scopo? Pensi davvero che sia solo interessato alla tua compagnia?” chiese zio fuori di sé.

“Lui non è così!” urlai, perdendo il controllo. “Tu non lo conosci, tu non…”.

Tacqui, incapace di trovare le parole. Mi rendevo conto che era una battaglia persa.

Io e zio ci fronteggiavamo. Nessuno di noi voleva distogliere lo sguardo dall’altro. Ero furiosa: pensavo che avrebbe capito, pensavo di non essere l’unica ad essere diversa dagli altri.

Ed invece, a quanto sembrava, ero davvero sola.

Alla fine gli voltai le spalle e mi allontanai a grandi passi. Sentii che mi chiamava, ma non gli diedi ascolto.

A quanto pareva, non ero davvero nessuno.

 

Più tardi, zio venne in camera mia. Era raro che qualcuno mi venisse a disturbare. Di solito passavo la maggior parte del mio tempo con Narcissa, che in quel momento era in contemplazione di Bella che si provava il vestito da sposa. Io non ero dell’umore giusto per raggiungerle.

“Sei ancora arrabbiata, Princesse?”

Lo sentii avvicinarsi cautamente, aspettando una mia reazione. Non risposi, tenendo ostentatamente lo sguardo puntato fuori dalla finestra. Il cielo si era leggermente schiarito, era diventato di un bianco uniforme che sembrava più l’interno di una grande coperta che un vero cielo. Sapevo che i ragni di tutto il parco stavano rinforzando la loro ragnatela in vista della pioggia. Era quello che si proponeva di fare mia madre durante il ricevimento che avrebbe seguito il matrimonio: rinforzare la sua rete di influenza, prendendo precauzioni contro un eventuale scandalo dovuto ad una mosca incontrollabile.

Lo sentii sospirare.

“Devi capire che sono preoccupato, Princesse. Sei la figlia che non ho mai avuto e l’unica parente sana di mente che mi rimane. E la tua famiglia… sai come la pensa su queste cose. Impazzirei se ti succedesse qualcosa”.

Non risposi.

“Perdonami, se puoi. Ma ho parlato solo per il tuo bene”.

Rimase per qualche secondo ad aspettare che dicessi qualcosa. Sapevo che quello che mi stava dicendo era vero: credeva forse che non ci avessi pensato? Credeva che non avessi presente a cosa sarei andata incontro, se avessi deciso di fare quello che volevo? Credeva che non sapessi che, una volta diventata un qualunque nessuno, una volta che fossi rimasta sola, avrebbero potuto trovarmi e cancellare finalmente dalla faccia della terra il motivo della loro vergogna?

Sii sola, e non sarai nessuno.

Sentii che si allontanava. Fu in quel momento che capii: lui era solo esattamente quanto me, e godeva della mia stessa stima. Eravamo due pesi, due pazzi sognatori stravaganti, che sarebbe stato facile isolare. Anche lui, se me ne fossi andata, sarebbe stato un nessuno.

Lo richiamai.

“Ted è buono, zio. Non è come gli altri” dissi in un soffio.

Sentii che si era fermato, potevo quasi avvertire il suo sguardo preoccupato sulla mia nuca. Chissà se anche lui era arrivato alla mia stessa conclusione, quando prima mi aveva urlato contro. Chissà se anche lui da giovane si era sentito fare un discorso simile a quello che avevo ascoltato io quella mattina. Chissà se per tutta la vita si era sentito gravare sulle spalle il peso di una solitudine tanto profonda e radicata nell’animo.

“Spero davvero che sia così” mormorò. “Ad ogni modo, voglio che tu sappia che per te ci sarò sempre, se dovessi aver bisogno”.

Sentii che per la seconda volta in quella giornata mi stavano salendo le lacrime agli occhi. Avvertii la sua mano posarsi delicatamente sulla mia spalla. Mi voltai a guardarlo, cercando di sorridere.

“Grazie” mormorai.

Sorrise. Restammo così, senza parlare.

Eravamo uguali, io e lui. Due estranei in quella famiglia nobile ed antica, due uccelli capitati per disgrazia nel nido sbagliato.

Ma eravamo in due, e finché ci fossimo stati l’uno per l’altra non saremmo stati soli.

 

Qualche anno dopo mi trovai a ridere del mio timore di rimanere per sempre grigia. E non perché avessi improvvisamente acquistato fiducia in me, nelle mie capacità. Fu la bambina che tenevo tra le braccia a farmelo capire: aveva i capelli di tutti i colori dell’arcobaleno.

Sorrisi, baciandola in fronte. Avrebbe pensato lei a darmi un po’ di colore, se ne avessi avuto bisogno. Ci avrebbero pensato lei e Ted.

E non sarei mai stata sola.

 

L'inarrestabile tempo guida l'estate

verso l'orrido inverno e ivi la sommerge;

linfa stretta dal ghiaccio e vive foglie cadenti,

bellezze sepolte da neve e squallore ovunque.

Ma i fiori distillati, pur colpiti dall'inverno

perdon solo l'apparenza: dolce ne vivrà il profumo.

 

FINE.

 

 

 

 

Qualche nota dell’autrice – perfettamente trascurabile.

 

Un bel po’ di tempo fa, avevo mezzo pensato di scrivere una long fic su Andromeda Black. Il progetto è naufragato ancor prima che io arrivassi a scrivere il secondo capitolo, ma due cose di quella storia sono rimaste nella mia testa fino a questo momento.

La prima, che è poi stata responsabile della nascita della seconda, è stata la parola Princesse. Andromeda doveva avere quel soprannome, a qualsiasi costo – se qualcuno mi chiedesse il perché, potrei tranquillamente rispondere che non ne ho la più pallida idea. Era così e basta.

Stabilito ciò, avrei dovuto trovare qualcuno che la chiamasse in quel modo, e chissà perché non vedevo molto sua madre o suo padre a rivolgersi così affettuosamente a lei. Dando una sbirciata all’arazzo dell’albero genealogico dei Black ho notato un nome – o meglio, una macchia bruciata. Alphard.

Da qui è nato quello che avete appena letto, e da qui è nato Alphard. Nella mia testa – sulla carta non ho scritto praticamente niente - è il personaggio più completo che io abbia mai ideato. Alphard, che ho fatto trasferire in Francia per l’esigenza di affibbiare alla povera Andromeda quel soprannome, è rimasto nella mia testa pronto a saltare fuori, in agguato, con tutte le caratteristiche che non sono riuscita ad infilare in questa breve shot: raffinato, francesizzato a tal punto da lasciarsi spesso sfuggire frasi in quella lingua (altra cosa, doveva essersi trasferito in Francia perché il francese è l’unica lingua straniera che conosco), ma anche orgoglioso, legato ad Andromeda più come un fratello maggiore che come uno zio sconosciuto, ‘capriccioso’, a tratti infantile nonostante l’età.

Probabilmente non scriverò mai quella long. Ma penso che Alphard non si accontenterà di stare rintanato per sempre in un cantuccio insieme a tutti gli altri personaggi che ho dimenticato.

 

 

 

*

 

 

 

Questa storia si è classificata seconda al contest ‘Dai Classici alle FanFiction’ (qui à http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9218376) indetto da vogue sul forum di EFP. Si doveva scegliere un autore ed una lettera; al primo era collegata una citazione, alla lettera un colore ed un tempo atmosferico. Io ho scelto Shakespeare, con la citazione ‘Sii solo, e non sarai nessuno’, e la ‘F’, alla quale corrispondevano ‘grigio’ e ‘nuvoloso’.

 

Prima di tutto, un grazie stramegagigantesco a vogue che indice sempre contest bellissimi – e non lo dico tanto per dire, finora ho partecipato a ben tre contest che ha indetto. Quindi, grazie davvero, anche per la tua precisione, puntualità e velocità <3

 

Poi, complimenti a tutte le partecipanti <3 Ho letto alcune storie già pubblicate e sono bellissime **

 

Infine, se interessasse a qualcuno, il giudizio di vogue che mi ha fatta gongolare per tutta la serata ed oltre:

 

2° Classificata
_Mary “Nido di Ragni”

-Grammatica: 10/10
Grammatica perfetta, ortografia perfetta, punteggiatura perfetta... potrei fare mille giri di parole, ma la sostanza non cambia: la storia da questo punto di vista è impeccabile, nient’altro da aggiungere.

-Lessico: 10/10
Usi un lessico che mi piace molto. È senza pretese, non usi termini eccessivamente altisonanti, pomposi, ma si nota chiaramente un’accuratezza che rende la storia splendida da questo punto di vista. Fra l’altro, sei in grado di distinguere i vari metri da usare nelle varie situazioni, in modo tale da renderlo del tutto appropriato, nessuna nota stonata.

-Stile: 10/10
Alterni frasi a effetto con discorsi più articolati, cosa che rende lo stile davvero piacevole, e la lettura più che scorrevole. Sei in grado di catturare, di fare quasi perdere il lettore nei meandri della storia. Utilizzi, insomma, uno stile che è in grado di fare immedesimare, complimenti.

-Originalità: 10/10
Non esistono storie del genere. Non possono esistere. È davvero un’idea nuova, sia per i personaggi che hai scelto di trattare, sia per la situazione in cui li hai inseriti, in quanto il matrimonio di Bella è qualcosa su cui normalmente verte poco l’attenzione, figurarsi la reazione di Andromeda ad esso. Hai offerto un piacevolissimo spaccato della sua vita, in relazione ad un personaggio come quello di Alphard, che è sicuramente interessante da leggere.

-Attinenza alla citazione: 15/15
La solitudine di Andromeda all’interno della sua famiglia è qualcosa di palese. E il modo in cui hai reso questa solitudine, pur distaccandotene nel finale, è semplicemente perfetto. Sei stata in grado di consumare fino all’osso una citazione molto breve, cosa che ti fa onore.

-Attinenza al colore e clima assegnati: 15 /15
Meraviglioso. Utilizzare il colore come emblema dell’animo di Andromeda è stata un’idea azzeccata, oltre che esposta benissimo. Inoltre, sembra quasi che il grigiore della sua anima si rifletta nell’ambiente circostante, creando un clima cupo che si adatta alla perfezione con il tono della storia. Ottimo.

-Trama: 5/5
Hai narrato coerentemente lo stralcio di vita di Andromeda che hai scelto di esaminare. È lineare, completo, e non lascia nulla al caso. Non vi sono passaggi bruschi, ma tutto è spiegato dettagliatamente, sia le vicende che la maturazione dei pensieri della ragazza, che alla fine diviene donna. Bello anche il sipario “zio-nipote”, uno scorcio nell’introspezione di Andromeda che risulta sicuramente piacevole, oltre che utile ai fini della narrazione.

-IC: 9.5/10
Valutare l’IC di questa storia non è stato semplice. Mi sono potuta basare solo sulla scarsa idea dei personaggi che traspare dalla saga, sulla mia idea personale dei due, ma soprattutto sulla caratterizzazione che tu hai attuato. Per quanto riguarda Andromeda, è perfettamente coerente con se stessa, del resto il rapporto conflittuale con la famiglia è parte di quel poco che si sa di lei. Anche Aplhard mi è parso coerente con l’idea di lui che mi sono fatta, tuttavia mi è sembrata poco “sua” la reazione alla scoperta che Ted è un Babbano. Mi sarei aspettata qualcosa di diverso, di più comprensivo, anche se lo fa solo per paura che la nipote possa soffrire.

-Giudizio personale: 5 /5
Splendida. Non ci sono altre parole per descriverla. Hai prodotto un capolavoro, partendo dal fatto che hai scelto due fra i personaggi meno trattati dalla saga. Lo sviluppo dell’introspezione di Andromeda poi, è senza dubbio pregevole dal punto di vista stilistico ed emozionale. Non esagero se dico che è una delle fanfiction più belle che io abbia mai letto, senza colpi di scena, senza suspance, è nella sua semplicità l’analisi di un essere umano che si trova a fare i conti con se stesso. Bravissima, davvero.
Totale: 89.5/90

 

 

 

 

 

 

Un abbraccio <3

 

Ilaria

   
 
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