Crossover
Segui la storia  |       
Autore: Dk86    28/05/2010    3 recensioni
Nell’Universo ci sono un sacco di cose.
Per la maggior parte si tratta di fenomeni interessanti e visivamente spettacolari ma non molto utili all’atto pratico, come giganti rosse, pulsar o nane brune. I buchi neri, se non altro, possono risultare efficaci se ci si vuole liberare di qualcosa di scomodo… Sempre che il buco bianco corrispondente non decida di aprirsi proprio davanti alla persona a cui si stava tentando di nascondere il problema in questione (ed era successo almeno una volta, a quanto si diceva).
Pianeti e satelliti invece sono molto meglio, soprattutto perché c’è la possibilità che ospitino forme di vita intelligente, o quantomeno non troppo stupida. Inoltre possono rivelarsi ottimi luoghi di villeggiatura, come la ciurma della Crazy Diamond aveva imparato a proprie spese.
E poi, ogni tanto, ci sono anche delle astronavi.
(dal capitolo 14, "Salvare l'Omniverso e altri sport estremi")
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga, Fumetti, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO TERZO – NELLO SPAZIO NESSUNO PUO’ SENTIRTI SPIEGARE


Sigla d’apertura: Paranoid Android, dei Radiohead


L’Universo tende al caos, è cosa nota. A sovrintendere tutto quanto c’è un piccolo essere fastidioso, chiamato “entropia”, che fa sì che in giro per il cosmo ci sia quanto più disordine possibile. E per quanto possa sembrare un’affermazione strana, di solito sono gli esseri umani coloro che si preoccupano di mantenere l’ordine.
Ciononostante la dottoressa Susan Calvin, oltre a trovare detestabile l’entropica e intrinsecamente incasinata immensità dell’Universo, aveva in antipatia anche la maggioranza degli esseri umani, o così almeno lei diceva, colpevoli – sempre a suo dire – di non essere abbastanza ordinati.
“Mi chiedo perché, ogniqualvolta venga dato un orario per una riunione, ci sia qualcuno che non lo rispetti”, stava dicendo, le labbra sottili e severe immerse nella ragnatela di rughe che le circondava la bocca.
Albus Silente, che aveva il seggio accanto a quello della dottoressa nel Consiglio della Confederazione Iperuranica – ovvero sedeva alla sua sinistra intorno ad un tavolo, visto che i membri del suddetto consiglio erano tredici e quindi non era necessario molto spazio – si levò di testa il cappello a punta e le rivolse un sorriso tranquillo. “Su, dottoressa Calvin, non credo che attendere altri dieci minuti sia così grave”.
Lei gli scoccò un’occhiataccia. Non lo sopportava, e non ne faceva mistero; sebbene entrambi chiaramente lavorassero per il bene dell’ordine, i metodi di Silente erano decisamente troppo frivoli perché lei potesse accettarli come validi, per non parlare della sua persona. “Si da il caso, professor Silente, che facciamo parte dell’organo supremo preposto al controllo di decine di migliaia di pianeti, nel caso se ne fosse dimenticato”, rispose. “Un ritardo o una negligenza da parte nostra potrebbero condannare milioni di creature alla morte. Ma a quanto pare la cosa non sembra toccare il signor Ohtori e la signora Ichihara”.
“Ecco, dottoressa Calvin, prenda un po’ di tè”, intervenne Retsu Unohana, poggiando una tazza colma di liquido scuro davanti alla dottoressa. La shinigami era una delle poche persone che sapeva come prendere la vecchia scienziata. “La vedo nervosa, questo la aiuterà a rilassarsi”.
“Grazie, dottoressa Unohana”, rispose l’altra, accettando di buon grado la tazza. Bevve un sorso di tè bollente, senza dare nessun segno di intolleranza al calore o fastidio. “Se non altro undici di noi sono qui per l’orario previsto, credo sia un nuovo traguardo rispetto al solito”. La donna fece scorrere lo sguardo lungo la tavolata. Accanto a Unohana c’era Tassadar, come al solito impenetrabile e ieratico, anche per i suoi canoni; non l’avrebbe pubblicamente ammesso, ma qualche volta sorrideva anche lei (cosa che in effetti al Protoss sarebbe risultata difficile, dato che non aveva una bocca visibile). Seguiva la sfera dorata che faceva da terminale a Pensiero Profondo, che in quanto grande come una piccola città, non poteva muoversi dal pianeta in cui era situata. Re Cole stava parlando con l’ammiraglio Armstrong e Mace Windu, e stava preparando il tabacco da pipa come se niente fosse, nonostante il divieto di fumare che riguardava i locali del Consiglio (certo, si chiedeva anche il rispetto del decoro, ma questo a quanto pareva non impediva ad Armstrong di presentarsi a petto nudo ad ogni sacrosanta riunione); e infine, allineati accanto a Silente, le tre nuove entrate del consiglio, dei ragazzini selezionati per il loro elevatissimo quoziente intellettivo. Strano a dirsi, le facevano un’impressione migliore rispetto a molti loro colleghi più anziani, specialmente la ragazza con i capelli rosa e il giovane uomo dal portamento elegante. Quanto al terzo, il ragazzino vestito in maniera strampalata con lo sguardo perennemente tinto dalla noia, era senz’altro molto intelligente; ma non sembrava il tipo che avesse particolare volontà di impegnarsi nel fare alcunché.
Finalmente le porte della sala si spalancarono, e gli ultimi due membri del Consiglio fecero il loro ingresso.
Akio Ohtori e Yuko Ichihara erano senza ombra di dubbio un uomo bellissimo e una splendida donna, eppure la dottoressa Calvin non riponeva in loro la minima fiducia. Possedevano entrambi un potere magnetico che, unito al loro innegabile fascino esteriore, li rendeva dotati di un carisma quasi spaventoso. Susan, che, pur essendo allo stesso modo in grado di imporre la propria volontà con forza e determinazione, non era mai stata una bella donna, tendeva per natura a diffidare di coloro che possedevano lineamenti regolari e una voce suadente. Una maggiore diffidenza, quantomeno, di quella che normalmente riservava al genere umano nel suo insieme.
“Scusate il ritardo”, disse Akio, esibendo un sorriso da copertina. “Ci siamo persi qualcosa?”.
“Ovviamente no”, rispose la Calvin in tono gelido. “Aspettavamo voi per cominciare. Aspettiamo sempre tutti, prima di cominciare”. E gettò un rapido sguardo tutto intorno. Pochi sembrarono cogliere il rimprovero, ma Re Cole perlomeno mise via la sua pipa. “Bene”, disse la donna, riaccomodandosi al suo posto. “Signorina Katsura, ci riassume l’ordine del giorno, prima di cominciare con le deliberazioni?”.
“Sì”, rispose Hinagiku in tono un po’ nervoso, alzandosi in piedi con un paio di fogli stretti fra le mani. “Ecco, pare che su Terra 5872 ci siano ancora dei problemi riguardanti l’elezione del Presidente degli Stati Uniti… La fazione che fa capo allo sconfitto continua ad insistere sui brogli elettorali, e la situazione sta degenerando. Poi, uhm… la guerra per tenere sotto controllo gli Zerg sembra aver incontrato una battuta d’arresto”.
Il mio popolo si sta battendo al meglio delle possibilità, intervenne Tassadar, mentre la sua profonda comunicazione telepatica vibrava nelle teste dei presenti come un lungo accordo d’organo. Purtroppo, però, la locazione di Sarah Kerrigan, la Regina delle Lame, è ad oggi ancora sconosciuta.
“Se sono rinforzi ciò che ti servono, chiedili e li avrai, templare Tassadar”, disse Susan Calvin. “Gli Zerg sono una minaccia all’Ordine universale, e esistenze come quelle non possono essere tollerate”.
Il Protoss spostò il suo splendente sguardo azzurro sulla donna. L’offerta mi lusinga, dottoressa. Ma questa è una guerra che il mio popolo deve combattere. Ne va del nostro onore.
La Calvin schioccò le labbra in segno di disapprovazione. “Se riuscirete a riprendere in mano le sorti della vostra guerra nei prossimi tre giorni, accetteremo queste condizioni. Altrimenti, temo dovrete mettere da parte il vostro orgoglio e permettere che vi aiutiamo”.
Tutti tacquero, attendendo la risposta di Tassadar. Le vostre decisioni si sono dimostrate sagge in più di un’occasione, dottoressa. Ma convincere il mio popolo non sarà comunque facile.
“A questo penseremo al momento opportuno”, intervenne Silente, che sicuramente in realtà aveva già in mente qualcosa al riguardo. “Ora forza, Hinagiku, continua pure…”.
La ragazza si schiarì la voce. “Dunque, il prossimo punto riguarda…”.
“Richiedo la sospensione di questa riunione!”.
Le tredici creature presenti si voltarono nella stessa direzione. Senza che neppure se ne accorgessero la porta della sala era stata aperta e tre persone erano entrate all’interno. “Chi siete?”, tuonò Mace Windu, poggiando la mano sull’elsa della spada laser. “Come siete riusciti ad arrivare qui evitando i controlli?”.
I nuovi venuti erano giovani, e all’apparenza addirittura disarmati. La donna bionda che aveva parlato non era molto alta, ma aveva una corporatura asciutta e un portamento fiero e nobile. Dietro di lei, quasi a farle da guardie del corpo, c’erano una ragazza dalla folta chioma rossa che giocherellava con lo stelo di una rosa e un giovane uomo dai capelli scompigliati e l’aria assorta, con indosso solo un paio di pantaloni di pelle. La dottoressa Calvin, in un momento di terrore, credette di scorgere un lampo di approvazione negli occhi di Armstrong. “Siamo qui soltanto per chiedere la destituzione di Akio Ohtori dalla carica di Consigliere”, rispose la donna, ignorando completamente le domande postele dal Jedi. “Non abbiamo alcun interesse nel ferirlo o nel danneggiare nessun altro di voi”.
Prima che qualcun altro reagisse, il diretto interessato si era alzato in piedi. Lentamente, con il solito sorriso beffardo sul volto, iniziò ad applaudire. “I miei complimenti. Immagino vi abbia mandati la mia amata sorella”. Non c’era sarcasmo nella sua voce, a dispetto di tutto. Forse dell’amarezza. “Beh, potete anche tornare da dove siete venuti, per quel che mi riguarda. E immagino che il Consiglio sia della mia stessa opinione”.
“Othori-san, sapete chi è questa gente?”, domandò Re Cole, pacato e diplomatico come da sua abitudine.
Akio si voltò verso di lui. “Certo”, rispose, con tono suadente. “Immagino che abbiate sentito tutti parlare di una delle Terre fortunosamente andate distrutte durante la Guerra di Maggio… Mi riferisco al pianeta che ospitava una battaglia ciclica fra le versioni locali della dea Atena e di Ade, il signore degli Inferi. Pare che nonostante l’implosione del pianeta le armature usate dai guerrieri delle rispettive fazioni siano sopravvissute… Quantomeno, alcune di esse. Mia sorella, con mezzi che purtroppo mi sono ignoti, è riuscita a mettere le mani su uno dei set di armature più preziosi, un gruppo di dodici che viene definito Gold Cloth, e le ha usate per… beh, lo vedete anche voi, ci si è costruita un piccolo esercito personale, parrebbe”.
“Ma non vedo armature, addosso a questi giovani”, osservò Re Cole, pulendo le lenti degli occhiali con un elegante fazzoletto di seta.
“Naturalmente”, rispose la ragazza con la rosa fra le mani. “Questa non è una missione che richieda uso di violenza o intimidazione. La nostra è una semplice richiesta”.
“Richiesta a cui il Consiglio non ha alcuna intenzione di ottemperare”, rispose la dottoressa Calvin. Era vero che disapprovava totalmente Ohtori, ma non poteva di certo permettere che le proprie antipatie personali offuscassero il conseguimento dell’Ordine… E più di una volta Akio si era dimostrato fondamentale per l’attuazione delle deliberazioni del Consiglio. “A meno che non ci vengano presentate solide prove, quantomeno”.
“Inoltre sarebbe quantomeno cortese da parte vostra presentarvi”, aggiunse Unohana, che nonostante il sorriso aveva assunto un’espressione autoritaria. “Piombare qui dentro senza nemmeno dirci i vostri nomi non è un comportamento che definirei educato”.
La due donne fecero un profondo inchino. Il loro accompagnatore se ne accorse dopo qualche secondo, e si unì al gesto in ritardo. “Ci scusiamo per l’inconveniente, in effetto è stato scortese da parte nostra”, convenne la ragazza della rosa. “Il mio nome è Shuichi Minamino, altrimenti detto Kurama dei Pesci”.
Il rumore di una sedia che strisciava per terra con violenza fece voltare tutti in direzione di Hinagiku, che si era alzata di scatto e ora stava in piedi con gli occhi spalancati e un viso talmente rosso che sembrava avesse immerso la faccia in un barattolo di vernice. “E-ehm, sc-scusate, ma…”, balbettò, quando sentì l’attenzione di tutti su di sé. “Ha… ha detto proprio ‘Shuichi’? Quindi lei, insomma… è un uomo?”.
A queste dichiarazioni intorno al tavolo ci fu qualche secondo di parlottii, quantomeno fra coloro che non avevano familiarità con l’onomastica giapponese.
“Mai affermato il contrario”, si limitò a rispondere Kurama, uno scintillio divertito nei grandi occhi verdi.
“Gray Fullbuster, dell’Acquario. Piacere”, disse il giovane mezzo svestito.
“Arturia Pendragon”, concluse la donna bionda. “O, se preferite, Saber del Capricorno”.
“Mi pare comunque che non possediate alcuna prova a sostegno della vostra richiesta”, disse la dottoressa Calvin. “Né peraltro avete addotto alcuna motivazione. Sappiate che si tratta di un’accusa molto grave da rivolgere ad uno dei membri del Consiglio Iperuranico”. La donna tacque per un paio di secondi, ponderando sulla propria decisione. “Ciononostante, anche se avete violato diverse regole della Confederazione irrompendo qui senza alcun permesso, non vedo motivo di trattenervi, a patto che lasciate subito il pianeta. Se vorrete tornare ed esporre il vostro caso, accertatevi prima di aver presentato la corretta documentazione e di possedere qualcosa a sostegno delle vostre teorie. Così ho deciso”. E la presidentessa del Consiglio si riaccomodò nel proprio seggio.
I tre, in ogni caso, sembrarono accettare di buon grado le parole della donna. Senza aggiungere una parola piegarono il capo, si voltarono, ed abbandonarono la sala, senza più voltarsi.
Sul Consiglio Iperuranico il silenzio gravò per un buon mezzo minuto. Fu Mace Windu, che finalmente aveva tolto la mano dall’elsa della sua arma, a dare voce alle perplessità di tutti. “Che cosa credete che siano venuti a fare?”, domandò. Alzò gli occhi su Akio, come se si attendesse una risposta da lui solo.
Risposta che ovviamente non tardò ad arrivare. “Beh, immagino ci abbiano semplicemente dimostrato che loro possono arrivare qui, nonostante ciò che noi pensiamo dei nostri sofisticatissimi sistemi di sicurezza. Una dimostrazione di forza, per così dire; anche perché con una buona probabilità uno qualsiasi di quei tre avrebbe potuto uccidere metà dei presenti prima che il più rapido di noi avesse avuto il tempo di reagire”.
Il Jedi annuì con lentezza. “Credo che abbia ragione, consigliere Ohtori. La Forza in loro scorreva potentissima”.
“In ogni caso”, la voce da contralto perfettamente modulata ma con qualche leggera scarica statica di Pensiero Profondo si fece sentire per la prima volta. “Deduco potesse trattarsi di un tentativo atto a screditare il consigliere Ohtori”.
La maschera di bronzo che era il viso di Akio non si incrinò di un solo millimetro. “Beh, mi sembra un ragionamento piuttosto ovvio”, rispose. “Ma se desiderate sapere qualcosa a mio riguardo, è tutto nei miei file personali accessibili da qualsiasi terminale della Confederazione. Non ho mai nascosto nulla, né ho intenzione di cominciare a farlo ora”. Il suo sorriso si allargò impercettibilmente. “In fondo, non sono l’unica persona a questo tavolo ad avere un passato discutibile”.
“Immagino si stia riferendo a Yagami, consigliere Ohtori”, disse Susan Calvin. “Ma sebbene in passato abbia avuto un comportamento… riprovevole”, la parola fu accompagnata da un leggero brivido lungo la schiena della donna. “Un’intelligenza come la sua non poteva certo andare sprecata. La sua mente è importante per la causa dell’Ordine”.
“Posso garantire io per il giovane Raito”, Silente alzò la destra, come se lo avessero chiamato a giurare in tribunale. “In fondo ritengo che il suo desiderio di ravvedersi sia testimoniato ampiamente dall’essersi fatto privare della vista, senza contare la volontaria distruzione del suo quaderno”.
Raito Yagami, gli occhi nocciola persi nel vuoto davanti a loro, annuì con gravità. “Il potere del Death Note aveva offuscato il mio giudizio”, disse, serio e compunto. “Ma ora tutto ciò che voglio è mettere me stesso a servizio della Confederazione”.
Ma sentilo! Falso come una banconota da tre crediti!, pensò la Calvin, torcendosi le mani per un paio di secondi. Però è meglio averlo qui, dove possiamo tenerlo sotto controllo e dove il suo cervello può essere utile, invece che su qualche pianeta a sterminare la popolazione credendo di essere Dio.
La riunione proseguì e si concluse un paio d’ore più tardi, senza incidenti o problemi di sorta. Ma quando quella sera, spossata dagli impegni della giornata, Susan Calvin poté ritirarsi nel proprio appartamento, le immagini di ciò che era accaduto quel pomeriggio le passarono davanti agli occhi, impresse nella sua mente con una chiarezza tanto cristallina da fare invidia a qualsiasi videocamera. La donna, seduta rigida nella sua poltrona preferita, sospirò. “Non posso fidarmi di nessuno di loro a parte di te, a quanto sembra”, disse a se stessa. “Come al solito”.


“La nostra è una nave di classe C, il che vuol dire che…”. Haruhi si interruppe. Improvvisamente, sembrava molto delusa. “Vuol dire che nella classificazione siamo solo al quinto posto sotto la classe SS, la S, la A e la B”, concluse in un borbottio, storcendo la bocca e alzando gli occhi al soffitto.
“Come i gradi in Devil May Cry”, intervenne Riccardo. I quattro terrestri – anche se la definizione era al più imprecisa. In fondo, praticamente quasi tutti i membri dell’equipaggio dell’astronave potevano definirsi tali – erano stati riuniti in una piccola stanza per una sorta di lezioncina introduttiva alle navi spaziali. “Ok, sto zitto”, aggiunse il ragazzo, quando Haruhi gli lanciò un’occhiata malevola.
“Comunque, il fatto di essere una classe C non è granché problematico, in fondo. Abbiamo pur sempre fatto montare a bordo degli armamenti che fanno invidia a quelli di molte classi A, ma siamo più veloci e maneggevoli”. La piega che il discorso aveva preso era chiaramente solo un modo con cui la capitano stava tentando di convincersi che la propria nave in fondo non era così male. Nessuno osava interromperla, comunque.
“Ehm… dov’ero rimasta, comunque?”, domandò dopo qualche secondo.
“Stava dicendo che questa è una nave stupenda”, disse Pietro.
Il volto della capitano si illuminò. “Giusto! Bravo, molto bene, ehm… comunque tu ti chiami”.
“Ci converrà iniziare a portare dei cartellini col nome”, bisbigliò Riccardo a Marco.
“Nah, non credo che poi si disturberebbe a leggerli”.
“Ehi! Zitti, voi due, non interrompete la lezione!”. La ragazza calò una mano sulla sua cattedra improvvisata, in realtà una semplice scrivania metallica. Tutti e quattro si voltarono a fissarla, con gli occhi sgranati dalla sorpresa. “Oh, ora va meglio. Comunque beh… Non che ci sia molto altro da dire. Mezz’ora fa avete assistito al primo vostro ingresso nel subspazio, quindi avete più o meno visto tutto…”.
Pietro alzò il braccio destro, come se fosse davvero a scuola. “A questo proposito… Non è che può spiegarci come funziona, il subspazio?”.
Haruhi fece un passo indietro, quasi avesse appena assistito all’apparizione di uno spettro. “Ehm… Uhm…”, borbottò. Almeno mezzo minuto di imbarazzante silenzio. “Ehm”. Altro momento di silenzio. La ragazza si guardò intorno, forse cercando un aiuto che non sembrava arrivare. “Come spiegarvelo?”.
“Beh, è lei il capitano”, sintetizzò brillantemente Elena.
“Ehi, questo non significa che io debba sapere tutto!”.
Haruhi quasi non aveva finito di parlare, che la porta della stanza si aprì, e una donna bionda alta e con indosso un camice da laboratorio fece il suo ingresso. “Avete bisogno di una spiegazione?”, domandò.
“Ehi! È la signorina Inez!”, esclamò Marco. “È qui per spiegarci come funziona il subspazio?”.
Il lieve sorriso sul volto della scienziata si allargò di poco. “Certo!”. Con sicurezza si avvicinò alla scrivania, da dove Haruhi stava guardando la nuova venuta come se fosse un demone uscito direttamente dall’inferno. “Faccia un passo indietro, capitano Suzumiya… Ecco, così”. L’altra aveva obbedito, meccanicamente. Inez si chinò, il rumore di un cassetto che veniva aperto, e poi… “Oh, sapevo che ce ne doveva essere uno!”. La donna alzò una mano, stringendo trionfante un normalissimo foglio di carta. Si posizionò in modo che tutti potessero vederla, poi iniziò la spiegazione. “Bene, dicevamo sul funzionamento del subspazio, giusto? Allora, immaginate che l’Universo sia rappresentato su questo foglio”. Trasse una biro dal taschino del camice e fece qualche scarabocchio sulla superficie bianca. “Ecco qua, questi sono dei pianeti. Ora, se voi doveste andare da questo pianeta qui”, e con un dito picchiettò il cerchio più vicino al bordo sinistro del foglio, “a qui”, stavolta toccò lo scarabocchio più a destra, “in teoria dovreste percorrere tutta la distanza che li separa”. La penna tracciò una linea che collegava i due punti. “Ma”, la donna alzò l’indice della sinistra. “Se voi poteste fare così” e afferrando i lembi del foglio li avvicinò, piegandolo a metà, in modo che i due pianeti – pur trovandosi ancora ai due opposti della mappa improvvisata – fossero quasi sovrapposti. “Allora spostarsi da un punto all’altro sarebbe decisamente più rapido. Pensate all’Universo come a una roccia piena di fori, e avrete l’immagine del subspazio. Purtroppo non è possibile utilizzarlo in qualsiasi punto dello spazio si voglia, visto che i tunnel subspaziali sono presenti solo in particolari punti del cosmo; ma dato che ne esistono centinaia di migliaia solo fra quelli conosciuti e normalmente utilizzati, in realtà il problema è piuttosto relativo. Tutto chiaro?”.
“Direi di sì”, rispose Riccardo. Gli altri tre annuirono a seguire.
Haruhi, dal canto suo, era ancora nella posa sconvolta di poco prima.
“Bene”, disse Inez Fressange, sorridendo. In una delle tasche del suo camice qualcosa pigolò: una specie di bizzarro incrocio fra un cellulare e il Radar del Drago di Bulma, come tutti poterono constatare dopo che la donna l’ebbe tirato fuori. “Oh, pare che qualcuno necessiti di una spiegazione sull’antigravità dalle parti di Betelgeuse. Alla prossima!”. E svanì nel nulla prima che qualcuno avesse possibilità di spiccicare parola.
Haruhi sembrò riprendersi dalla pietrificazione. “Ma chi diavolo era, quella tizia?”, domandò, con un filo di voce.
Pietro aggrottò la fronte. “Non hai mai visto Nadesico?”.
Lei scosse la testa. “Se intendi la nave da guerra sì, è una delle più famose classe S esistenti… Almeno in fotografia l’abbiamo vista tutti. E quindi quella tizia farebbe parte del suo equipaggio?”.
“Boh?”, rispose il ragazzo. “Ai tempi della serie sì”.
“E se ne andrebbe in giro teletrasportandosi a casaccio con il rischio di essere arrestata?”, ribatté Haruhi in tono scettico. “La Nadesico è una nave fuorilegge”.
“Beh, come nell’anime”, disse Riccardo. “Credo. Non ho mai capito bene chi stesse da che parte”.
“Neanche io”, aggiunse Elena. “E come serie non è che mi fosse piaciuta poi tanto”.
“Sentite, se volevo ascoltare delle chiacchiere da otaku andavo a parlare con Sanzenin”, replicò Haruhi.
“Sanzenin?”, domandò Marco, alzando la testa. “Per caso è Nagi Sanzenin? Una ragazzina bionda con un maggiordomo dal sesso ambiguo?”.
“Perché? Conosci pure lei?”, chiese Haruhi di rimando. “Sì, comunque dovrebbe essere lei. Quella a cui sta pensando ha anche una tigre e un gatto come animali da compagnia?”.
“Ti ricordi che ti ho detto che avevo parlato con una tigre?”, disse Elena, guardando Marco. “Dev’essere la sua”.
“E poi chi altro c’è a bordo?”, domandò Riccardo. “Prima, quando io e Pietro abbiamo girato la nave, non abbiamo beccato nessuno, tranne degli strani omini colorati che sono fuggiti quando ci siamo avvicinati”.
“Ah, quelli”, disse Haruhi in tono di evidente disprezzo. “Sì, abbiamo dovuto prenderli a bordo quando ho fatto, ehm… più o meno esplodere il loro pianeta”.
“Esplodere?!”, ripeté Elena, scandalizzata. “E che vuol dire ‘più o meno’? Una cosa esplode o non esplode!”.
“Ehi! Non è mica colpa mia!”, tentò di difendersi Haruhi. “Non proprio, almeno. Diciamo che… Non ero ancora molto pratica con le armi di bordo, ecco. Però era un pianeta molto piccolo”.
E sarebbe una giustificazione?, pensò Marco, perplesso.
“In ogni caso”, continuò intanto il capitano. “I cannoni al plasma non l’hanno fatto implodere proprio subito… Quindi siamo riusciti a salvare buona parte di quei cosi, e ora ovviamente dobbiamo portarceli dietro”.
“E non ti senti in colpa?”, le domandò Elena. Era improvvisamente impallidita, gli occhi pieni di sconcerto. “Hai distrutto migliaia, forse milioni di vite, e tutto quello che riesci a dire è ‘dobbiamo portarceli dietro’?”.
Haruhi la fissò. “Secondo te perché me li porto dietro invece di mollarli sul primo pianeta che trovo, eh?”, le rispose, in tono serissimo. “Perché vederli mi ricorda che non devo evitare di agire in modo avventato, in futuro”.
Se smettessi di agire in modo avventato non ti chiameresti più Haruhi Suzumiya…, pensò Marco, ghignando.
Elena, però, non era ancora soddisfatta. “Beh, mi sembra il minimo!”, sbottò. “Ma questo non cambia il fatto che…”.
La porta della stanza era rimasta aperta dopo l’arrivo improvviso di Inez Fressange, quindi nessuno si accorse del nuovo arrivato, soprattutto perché non era entrato ma stava in piedi in corridoio, appena oltre la soglia. Tutti e quattro i terrestri, però, potevano vedere con chiarezza il lungo naso adunco che svettava oltre lo stipite di due centimetri buoni. “Capitano, la pregherei di limitare il volume delle sue scenate, se fosse possibile… Sto cercando di preparare un filtro che richiede una certa concentrazione, nella stanza accanto”. Il tono di voce del nuovo arrivato era supponente e viscido, come se fosse sul punto di vomitare da un attimo con l’altro per la disgustosa sensazione data dal trovarsi nello stesso Universo con esseri chiaramente a lui.
Nel cervello di Marco, come una serie di lampadine, si accesero i termini di un’equazione:
Spocchia + naso aquilino + pozione = …
“Professor Piton!”, esclamò.
L’uomo varcò la soglia. Era proprio lui, mantello nero e capelli unticci compresi. Si guardò intorno, scrutando i quattro ragazzi che avrebbe fatto con dei porcellini di terra trovati sotto una roccia. “E chi sarebbero… questi?”, domandò, voltandosi verso Haruhi.
“I nuovi arrivi”, rispose semplicemente lei.
“Capisco…”, fece lui, a denti stretti. “Immagino che ci staremo dirigendo verso la sede della Confederazione per fare rapporto sul nuovo pianeta, allora”.
“Esatto”.
“Bene. Dovremo discutere della faccenda con il professor Silente, e…”.
“Silente è un membro della Confederazione?”, esclamò Pietro, la bocca spalancata. Poi si accorse che tutti si erano voltati a guardarlo e si affrettò ad arrossire.
“È il professor Silente, pezzo di Babbano”, rispose Piton trasudando veleno. “Dunque sarebbero loro, giusto?”, domandò poi ad Haruhi.
“Già”, disse lei.
Lui sospirò e scosse piano la testa. “Beh, non sembrano granché svegli. Ma se davvero provengono da quel pianeta, dovremo accontentarci. Hanno dato segno di essere…”.
La capitano scosse la testa. “Non ho certo i mezzi per saperlo. Quando arriveremo alla Confederazione immagino che riusciranno a stabilirlo, in qualche maniera”.
Ma lo stanno facendo apposta o davvero non si ricordano che siamo qui anche noi?, si chiese Marco. Quei brandelli di dialogo gli stavano mettendo addosso una tremenda curiosità, ma non osava esprimerla. C’era sempre la probabilità che Piton lo trasformasse in un tritone o cose simili; soprattutto, conoscendola, c’era anche la possibilità che Haruhi avrebbe approvato la metamorfosi in questione.
“Meglio che vada, ora”, disse Piton. “Vedete di limitare il rumore, qui”, e dopo un’ultima occhiataccia ai quattro, lasciò la stanza con uno svolazzo di mantello. “Simpatico come nei libri, devo dire…”, borbottò Elena, quando la porta si chiuse alle spalle dell’uomo.
“Ehi, portagli un po’ di rispetto!”. Haruhi intervenne, abbastanza a sorpresa. “Quell’uomo, insieme alla vecchia Totenkinder, è l’unico su questa nave che faccia qualcosa di utile”.
Beh, quantomeno sono gli unici per cui tu porti un po’ di rispetto, visto che ti sei disturbata a imparare i loro nomi e non li chiami “ehi, tu”, oppure “quello là”, rifletté Marco.
“In ogni caso, appunto, la vecchia Totenkinder è l’ultima dei passeggeri che ancora dovete incontrare. Non siamo in molti, insomma”. Il capitano sospirò. “Non vedo l’ora che mi affidino una nave di classe A, con un vero equipaggio…”. Spostò lo sguardo sui quattro terrestri, e gli occhi le si illuminarono all’improvviso, in modo quasi minaccioso. “Ma forse, grazie a voi, riuscirò a ottenere la mia tanto sudata promozione!”.
“C’entra per caso qualcosa ciò che vi siete detti lei e il professor Piton?”, domandò Pietro.
“Lo saprete quando arriverete alla sede della Confederazione, non prima”, rispose lei, in un tono che non ammetteva repliche. “E ora andate dove vi pare, questa lezione è già durata fin troppo…”. Mentre usciva dalla stanza aggiunse, a bassa voce. “Il capitano ha davvero bisogno di un bagno. Un bagno bello lungo”.


La nave su cui i Gold Saint viaggiavano era una classe F talmente piccola che nessuno si era disturbato a darle un nome. A differenza di Haruhi, che l’avrebbe considerata un astronave tanto quanto una lavatrice con il cestello sfondato, i tre non avevano nulla di che eccepire.
“Tunnel subspaziale fra tre minuti luce”, informò Saber, rigida e pratica come suo solito.
“Capito”, Kurama, che si trovava al timone, si voltò verso Gray. “Qualcuno ci sta seguendo?”.
Il mago scosse la testa. “Nessuno che gli strumenti possano rilevare, quantomeno”.
Il demone sorrise. “Bene. Non avevo voglia di pensare a qualche manovra evasiva. Ci avrebbe solo fatto perdere tempo”. Sui tre scese il silenzio, interrotto solo dal ticchettio di qualche strumentazione. “In ogni caso… Secondo voi siamo riusciti a fare quello che dovevamo?”.
Gray inclinò lo schienale della sedia, gli occhi fissi sul soffitto cromato dell’astronave. “Beh, se avessi capito qual era il senso della nostra missione potrei anche risponderti…”.
“Dovevamo presentarci davanti al Consiglio e chiedere la destituzione di Akio Ohtori dalla sua carica”, rispose Saber, senza la minima inflessione nella voce. “Ed è ciò che abbiamo fatto”.
“Tu la fai sempre troppo facile, non credi?”, ribatté Gray. “Quello che intendevo era perché ci è stato affidato un compito del genere”.
Kurama sogghignò. “Scommetto che in questo momento se lo stanno chiedendo anche i membri del Consiglio… Perché quei tre avrebbero dovuto rischiare la vita e presentarsi qui facendo accuse assurde senza nemmeno uno straccio di prova?”.
“Insomma, mi stai dicendo che ci hanno affidato una missione senza senso?”, replicò il mago.
“Affatto”, replicò Kurama. “Semplicemente – ed è la conclusione a cui immagino arriveranno anche loro – abbiamo fatto capire loro che potevamo arrivare lì senza alcun problema”.
“Una dimostrazione di forza”, riassunse Saber.
“Precisamente. Non so che cosa questo porterà, se ad un loro aumento nei controlli, oppure se qualcuno di loro inizierà a sospettare che effettivamente Ohtori nasconda qualcosa… In ogni caso, gli sviluppi saranno senza dubbio interessanti”, e Kurama si lasciò scappare un sorriso molto poco rassicurante.
“Ugh, mi fai venire i brividi…”, borbottò Gray, voltandosi verso lo schermo. “Per un attimo mi è sembrato di trovarmi davanti al Santo della Vergine”.
“Tunnel subspaziale raggiunto”, disse Saber.
“Bene, signori, reggetevi forte!”, esclamò Kurama. Un paio di secondi, e la piccola astronave scivolò nella faglia dimensionale e scomparve, diretta verso casa.



HARUHI: Ehi! Quella tizia di prima è tornata per le anticipazioni!

INEZ: Salve! Avete bisogno di una spiegazione?

MARCO: Mh… No, al momento direi di no.

HARUHI: Un attimo, un attimo! Ce l’ho io una domanda!

INEZ: Dica pure, capitano Suzumiya.

HARUHI: Se lei sa veramente tutto… Allora come si intitola il prossimo capitolo?

INEZ: Beh, mi aspettavo qualcosa di più difficile! Il quarto capitolo di “Il cielo è un’ostrica, le stelle sono perle” si intitola “La venuta delle ombre”. E se avete bisogno di una spiegazione, non esitate a chiamarmi!

RICCARDO: E finalmente ci sarà un po’ d’azione! …Forse.







Ed eccoci al terzo capitolo! L’ho postato con un po’ d’anticipo sul previsto perché poi sarò via per il week-end, ma ci tenevo comunque ad aggiornare!
Come avrete notato, in questo capitolo compaiono un sacco di nuovi personaggi! Fateci l’abitudine, anche nei prossimi capitoli ne appariranno un bel po’!XD

Ma ora passiamo alla cosa più importante, le risposte alle recensioni!

Per Suikotsu: Wow, anche stavolta il primo a recensire! Sono contento che tu abbia apprezzato, davvero… Il riscontro dei lettori è essenziale! Per quanto riguarda il genere dell’opera, diciamo che anche se per il momento ci si mantiene sul comico, come hai giustamente notato, più si proseguirà con la storia più le parti drammatiche inizieranno ad affiorare (già in questo qualche assaggio c’è stato, nel prossimo avverrà qualcosa che coinvolgerà direttamente i protagonisti) senza per questo compromettere anche la vena comica, comunque!
E se ci sono degli errori, ti supplico: fammeli notare! Non preoccuparti, non mi offendo ma anzi ne avrei molto piacere; se possono aiutare a migliorare la storia è tanto di guadagnato!^^

Per Morens94: Uh, felice che tu abbia deciso di commentare!*_*
In effetti noi Davide non siamo tantissimi ma ci difendiamo bene!XD
Quanto alla tua aspettativa… Posso dirlo? Yuno mi fa paura. Se la inserisco nella storia poi finisce che mi ammazza tutto il cast!XD
Però magari le farò fare un cameo da qualche parte!

Per Anonimo9987465: Wow, ho sempre paura di sbagliare la sequenza di numeri che compongono il tuo nick!XD
Le tue recensioni sono sempre piene di brio, eh?XD Spero che il capitolo ti sia piaciuto! E gli asterischi non mi infastidiscono, anche se quando ne vedo troppi tutti insieme iniziano a sembrarmi tanti ragnetti…




Bene, per il momento direi che mi fermo qui. Ci vediamo, se vi va, al prossimo capitolo!
Davide

  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Crossover / Vai alla pagina dell'autore: Dk86