My Second Gazetto’s Dream: Me
and Uruha in love (?)
Eravamo
in giro per questo piccolo paese italiano, dopo che io e lei avevamo
finalmente
trovato gli amori della nostra vita. Le nostre anime gemelle, come
avevamo
sempre desiderato. Così, io e la mia stupenda migliore
amica, eravamo in
autostrada, a piedi, con Aoi-san e Uru-pon. L’idea di
arrivare al centro
commerciale a piedi era stata solo ed esclusivamente mia. D'altronde,
lei, in
quel paese, ci era stata sì e no tre volte, forse. Le
avevo mostrato sempre le stesse cose, e
non mi andava di farle vedere anche ai due: forse avevo paura di fare
brutta
figura, in un certo senso.
Tornate
dal Giappone, prima avevamo presentato Aoi-san alla famiglia di lei,
poi venne
il mio turno con Uruha. Oh, come ci era rimasta mia mamma! Solo pensare
al suo
sguardo esterrefatto mi fa sorridere, anzi, forse anche ridere. Lui
poi, si era
divertito tantissimo a fare battute che io ero stata costretta a
tradurre in
italiano. Si poteva parlare un inglese fluente con mia mamma, che come
me,
aveva sempre eccelso nelle lingue straniere. Con Kouyou a casa, si
provava a
parlarlo, e Dio mio! quante figuracce aveva fatto tentando di
cimentarsi nella
formulazione di una frase un tantino più complessa!
Però era tenerissimo: mia
mamma sorrideva a gli porgeva il tè, io tentavo di
nascondere dei risolini
stupidi portando la mano sulla bocca e lui invece, arrossiva e
sorridendo,
abbassava un po’ la testa. Magari poi, quando ci trovavamo in
camera da soli,
gli accarezzavo una guancia e anche prendendolo un po’ in
giro gli dicevo «Amore
mio, sei davvero un fenomeno quando parli inglese!
Per non parlare della tenerezza che mi fai!», e lui,
ovviamente, sorrideva,
arrossiva ed abbassava il capo di nuovo.
Quel
giorno mia mamma aveva detto «Perché
non uscite anche con Aoi e Yuuwa? E’ una così
bella giornata! Magari andate in
città. Qui, lo sai, non c’è proprio
nulla. Soprattutto per lui, lo dico: chissà
come si sente? Dover passare praticamente dalle stelle alle stalle...
Dal
grande, moderno, raffinato Giappone, a questo piccolo, arretrato paese
pieno di
ignoranti!». Non che anche la città accanto al
nostro paesino di campagna fosse
chissà quale grande centro culturale! Magari il porto, il
mare, i bei locali,
la rendevano una centro ancora abbastanza vivibile, nonostante i
delinquenti e
la malavita fossero ormai arrivati anche lì, ma non poteva
essere decisamente
messa a confronto con una città come Kyoto, Tokyo, la nostra
amata Osaka o
anche solo Nagoya, Sapporo..
Così,
avevo pensato sarebbe stato
meglio fare un giro per negozi, e magari passare un po’ di
tempo nella
discoteca o uno dei locali accanto il centro commerciale, appena fuori
il mio
modesto paesino. Eravamo all’entrata dell’infinito
parcheggio, ma non avevamo
ancora del tutto superato l’autostrada. Il sole aveva ormai
superato
l’orizzonte, e il cielo, come ero abituata a vedere da quando
ero piccola, era
prima di un bell’azzurro, per poi diventare arancione, quasi
rosso in
prossimità del confine. Le grandi ed ovattate nuvole,
prendevano le stesse
sfumature di quel cielo così sereno. Forse non ci avevo mai
fatto tanto caso
come durante quel pomeriggio. Probabilmente, la solita sensazione di
serenità
che provavo guardando il sole tramontare, era amplificata dal fatto che
mi
trovassi con lei ed Uruha. Sì, doveva essere sicuramente
così.
Eravamo
dentro ormai da ore. Pensavamo
di essere lì solo da qualche minuto, e invece, il tempo era
passato tanto
velocemente, che non ci eravamo accorti dell’avviso della
direzione diffuso
grazie agli altoparlanti sparsi in tutta la struttura: il centro
commerciale
avrebbe chiuso entro qualche minuto. Io, come sempre disattenta, Yuuwa,
altrettanto e quei due che di italiano cosa potevano capirne, avevamo
continuato a camminare ignorando l’avviso. Così,
quando le luci si spensero e
si chiusero le saracinesche di tutti i negozi, fummo costretti a
trovare un
modo per sopravvivere: dormire sulle panchine che si potevano trovare
vicino il
bar interno, oppure sui bordi delle fontane agli ingressi. Da mangiare
si
poteva trovare di tutto nell’ipermercato, per cui eravamo a
posto!
«Amore,
mi accompagni in bagno?» Queste
le ultime parole che avevo sentito dalla bocca di Yuuwa quella sera.
Aoi sì,
l’aveva accompagnata, e io ed Uruha eravamo rimasti seduti su
quella panchina
ghiacciata. Quella era solo ed esclusivamente per noi, accanto
c’era quella di
Aoi e Yuuwa. Eravamo quasi sdraiati, in qualche modo, ed io, ero
stretta dalle
sue braccia. L’unica luce proveniva dall’insegna
del bar, e potevo notare in
lui una certa aria divertita. Avevo avuto occhi solo per Kouyou sin da
tre mesi
prima di quella giornata, e speravo con tutta me stessa che continuasse
ad
essere così per sempre. Sì, lo so: un desiderio
scontato per una giovane donna
innamorata! Lo vidi avvicinare il suo volto al mio
«Promettimi che non mi
lascerai mai», sussurrò. E io, ovviamente, risposi
«Sì», con voce a dir poco
tremante. Mi baciò, appoggiando appena le labbra alle mie.
Credo di aver
provato meno tensione quando avevamo fatto l’amore per la
prima volta. Faccenda
pazzesca a dir poco.
«Ti
amo», mormorò poi, prima di
addormentarci entrambi in un posto assurdo come quello.