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Autore: solarial    30/05/2010    2 recensioni
Ghignò malignamente mentre proseguiva la propria avanzata, con le mani giunte dietro la schiena e la punta della lingua che accarezzava le labbra, immaginando di poter sentire su di esse il tepore del sangue versato per la sua causa, fino a scavare di più e scorgere l’odore ed il sapore di quello più pregiato, innocente e candito come i petali di un fiore che lui stesso avrebbe macchiato, quello della sua piccola, indomita e coraggiosa preda: Claire Redfield.
Partecipa allo Sfiga Fandom Fest.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albert Wesker, Claire Redfield
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Bloody Flower

Note dell’autrice:
Bene. Ci siamo. No, non guardate me, io non c’entro e sono innocente, è stato tutto merito colpa di quell’esserino diabolico che prende il nome di BlueMary, ormai soprannominata “La traviatrice” che non si è mica accontentata di farmi conoscere questo fandom; no, ovviamente. Lei è andata oltre, perché prima mi ha fatto perdere la testa per il carissimo Alby Wesker, l’uomo perfetto che tutte le donne vorrebbero avere <3 (rischiando di fare così ingelosire il mio adorato Itachi Uchiha) per poi spingermi a scrivere qualcosa che sfociasse vagamente in una Wesker/Claire. E diciamolo pure dai, ha fatto bene dato che è stato amore a prima vista per Wesker oltre che per questa ship <3 Sono così perfetti assieme *__*
Oh, e menomale che il giorno prima di scrivere questa fic le ho praticamente detto “Chi? Io scrivere su di loro? Ma anche noi! Figurati se mi metto a rovinare questo fandom e i suoi personaggi!” Eh…  infatti, si è visto XD Quindi, ripeto, la responsabilità è tuuuutta di Miss Traviatrice 2010 che, a quanto pare, è rimasta contenta del risultato finale.
Scherzi a parte, è davvero un piacere essere qui, dato che mi ha permesso di uscire da quella specie di blocco dello scrittore che da mesi mi bloccava. Quindi, questa piccola storiella, scritta senza alcuno scopo di lucro, dove i personaggi appartengono a chi li ha creati, è dedicata tutta a lei oltre che a Calbalacrab, mia, ormai, compagna di traviate <3

Storia che partecipa allo Sfigafandom di FW.it, con il prompt “Resident Evil, Wesker/Claire, fiore dannato”.

***

  

“Buon giorno Miss Redfield, hai dormito bene?” Le disse con voce suadente. La vide sussultare, e quasi si sorprese nel vederla non rispondere.
Dandogli le spalle, Claire si limitava a sistemarsi i capelli in una coda alta; eppure, nonostante tutto, non gli era affatto difficile poterla immaginare mentre si mordeva a forza il labbro inferiore in modo da reprimere la voglia di rispondergli. Ma sarebbe durato poco, lui lo sapeva; dopotutto, la conosceva più di quanto lei conoscesse se stessa.

Come si divertiva a manipolarla…
“Oh, non te l’ha mai detto nessuno che è poco educato ignorare le persone quando ti parlano?” le domandò con quella voce che, sebbene fosse incolore, lasciava trasparire la derisione.
“Gente?”
Ghignò quando la vide voltarsi di scatto mentre stringeva i le mani in pugni in una morsa dettata dalla collera improvvisa.
“Quale gente?” aggiunse poi ironica “Io vedo soltanto un mostro malato di potere che ha preferito rinnegare la propria umanità per...”
Non fece nemmeno in tempo a completare la sua frase che si ritrovò dapprima sollevata in aria da una forza sovraumana per poi venire scaraventata con una violenza inaudita alla parete di quella cella che da settimane era diventata la sua nuova dimora. L’impatto con il muro le mozzò il fiato.
Sarebbe di certo scivolata per terra se una morsa non avesse stretto il  collo per sollevarla affinché non toccasse con i piedi il terreno. Con incredibile fatica sollevò le braccia in aria fino a che le mani non si posarono su quelle del suo carceriere, nella vana speranza di rallentare la presa sul suo collo. Con gli occhi semichiusi che gli bruciavano sia per il dolore che poteva sentire saettarle per tutto il corpo, sia per via delle lacrime che cercavano di uscire, vide riflettersi il proprio sguardo attraverso le immancabili lenti da sole di Wesker e, nonostante tutto, avrebbe tanto voluto potergli strappare via quell’espressione calma e misurata con cui la stava squadrando, facendola sentire niente se non un semplice insetto da schiacciare. Ed era così umiliante il non riuscire a sottrarsi da quella stretta d’acciaio, così come da quello sguardo.
“Pensavo di essere stato abbastanza chiaro la prima volta che ti ho condotto qui, Miss Redfield. Eppure, noto che ancora oggi tu non sappia cosa sia la parola rispetto.”
Oh come avrebbe voluto rispondergli lei, se solo avesse potuto; ma tutto ciò che riuscì a fare fu sputargli in faccia, dritto su quelle lenti scure. Fu allora che lui aumentò la pressione delle dita impedendole quasi del tutto di respirare. Non poté evitare di tremare dalla rabbia, collera e dalla paura per poi cercare, spinta più dalla disperazione che da altro, di contorcersi in modo che Wesker la lasciasse libera. E quando sembrava che ormai fosse finita, lui la lasciò andare all’improvviso, guardandola mentre scivolava inerme ed inerte per terra, come una bambola usata e priva di vita.
“Questo è l’ultimo avvertimento che ti do, Claire” Un brivido le percorse la schiena quando lo sentì pronunciare il proprio nome di battesimo con quella voce che, sebbene sembrasse priva di emozioni, lasciava trapelare tutta la minaccia che il suo corpo le trasmetteva.
“Prova ancora a rispondermi in quel modo, a prenderti gioco di me o a fare qualunque cosa che possa arrecarmi fastidio, e mi vedrò costretto a farti del male, molto male, più di quello che stai provando adesso” Disse mentre con calma studiata si toglieva gli occhiali da sole “Siamo intesi?” Le lasciò il tempo di rispondere, ma notando che lei teneva la testa bassa con la frangetta a coprirle gli occhi, quasi scocciato, si abbassò in modo da prendere tra le dita il mento, costringendola, con forza, a guardarlo dritto negli occhi, dove lei poté sentire bruciare su di sé quelle iridi rosse come il sangue.
“Non mi pare di aver sentito la tua risposta prima, Miss Redfield. Siamo intesi?” Ripeté lentamente.
Avrebbe tanto voluto rispondere di no e di andarsi a fare fottere, ma il suo corpo sembrava quasi animato da una forza misteriosa tanto da trovarsi ad annuire suo malgrado.
Wesker sembrava compiaciuto da quella risposta perché, dopo averle sfiorato con una strana dolcezza i segni sul collo, come se fosse costernato, si alzò per poi volgersi verso la porta. 
Stette lì qualche secondo e, prima di chiudersela alle spalle, disse quelle parole che dal primo giorno non aveva mai smesso di ripeterle, quasi volesse inculcarle e scolpirle in profondità. 
“Ah, quasi dimenticavo, ti mando i saluti dal tuo patetico fratellino Chirs. Sai, l’ultima volta che abbiamo avuto il piacere di conversare, non mi sembrava poi così felice di vedere la sua adorata sorellina piangere addolorata, piena di lividi. Che duro colpo per lui vederti così e non poter fare niente per impedirlo, non trovi? E questo non niente, è solo l’inizio.
E pensare che un giorno sarai tu a farlo quando vedrai la sua vita scivolare via dalle mie mani, Dear Heart.”

E sarà presto, molto presto.

   Bloody Flower

 

Attraverso le lenti scure dei suoi occhiali da sole, lanciò un'occhiata sbrigativa all'orologio appeso alla parete laterale della sua scrivania; accorgendosi dell'ora tarda, con gesto veloce, dettato più dall'abitudine che d'altro, si apprestò a spegnere il suo portatile.
Non si accertò nemmeno di aver salvato perfettamente il suo lavoro; non aveva bisogno di controllare, non quando lui stesso poteva contare su qualcosa di unico e raro: la perfezione.
Perché lui non era altro che l'essere perfetto, e questo equivaleva soltanto ad una cosa: a non errare mai.
Avrebbe potuto anche stare lì tutta la notte – non sarebbe stata di certo la prima volta – per sentire il dolce sapore della sensazione di fatica sciogliersi via come la neve al sole, per poi ritrovarsi a deridere l'inutile capacità di quegli esseri umani, stolti e inutili, di dover sottostare ai limiti imposti dal loro corpo umano. E allora si sarebbe sentito onnipotente, perché avrebbe dimostrato, ancora una volta, di essere superiore a tutto e tutti. Ma c'era qualcosa per cui valeva la pena di interrompere il suo lavoro per quella notte, e non solo quella. Sorrise compiaciuto mentre si alzava dalla comodissima poltrona di pelle nera per lasciare il suo laboratorio.

Attraversò il lungo corridoio con una lentezza quasi disarmante: non aveva mica fretta lui, anzi, più lentamente avrebbe raggiunto il proprio obiettivo, maggiore sarebbe stata la soddisfazione personale. D’altronde, perché compromettere le cose con la fretta quando si può ottenere ciò che più si desidera lentamente, aumentando persino l’agonia per pregustarsi quella che sarebbe stata poi la sua vittoria finale?
Non c’era niente di meglio, e lui questo lo aveva sempre saputo.
E poi, lui era un professionista, badava solo al meglio, ed il meglio si otteneva solo con la logica, la pazienza e la razionalità.
Non aveva di certo bisogno di lasciarsi andare e coinvolgere dai sentimenti che quei patetici umani provavano nel profondo fino a farsi schiavizzare. Di certo, non era adatto per farsi comandare dalle emozioni, semmai era lui che lo avrebbe fatto, piegandole e spezzandole al proprio volere.
Era nato umano, era vero, ma non era stata una sua scelta, tanto che aveva preteso di pensare come un Dio, e lo era diventato davvero.

Lui non era altro che colui che avrebbe sostenuto il mondo sul palmo della propria mano, tessendo quei fili che avrebbero manipolato i suoi abitanti, dominandoli e possedendoli uno per uno.
E se quel Dio, in cui tanto gli umani dicevano di aver fede, aveva concesso loro il libero arbitrio, lui lo avrebbe spodestato della sua presunta carica, perché avrebbe distrutto anche la più misera delle loro insulse speranze. Sarebbe stato colui che avrebbe deciso se schiacciarli o farli restare in vita. Sarebbe stato la loro coscienza, il tutto o il nulla.
Ghignò malignamente mentre proseguiva la propria avanzata, con le mani giunte dietro la schiena e la punta della lingua che accarezzava le labbra, immaginando di poter sentire su di esse il tepore del sangue versato per la sua causa, fino a scavare di più e scorgere l’odore ed il sapore di quello più pregiato, innocente e candito come i petali di un fiore che lui stesso avrebbe macchiato, quello della sua piccola, indomita e coraggiosa preda: Claire Redfield.

Era diventata la sua ossessione, la piccola Claire, e in quanto tale doveva essere punita lentamente e nel peggiore dei modi per avergli fatto commettere il gravissimo errore di essergli entrata dentro fino a ramificarsi nella profondità di quell’anima che egli stesso pensava di aver perso.
Più la desiderava, più sentiva la bestia dentro di sé urlargli di possederla. Più la bramava, più non riusciva a frenare gli impulsi umani che, nonostante tutto, non era riuscito a domare, non da quando c’era lei, la sua voce, il suo sorriso, la sua risata, il pulsare di quel cuore a tormentarlo… e questo non gli faceva altro che desiderare di poterla rompere con le sue stesse mani. 
E l’avrebbe fatto, un giorno. 
Oh, sì.

Era così caritatevole la sua Claire, e che cosa avrebbe spezzato la sua candida anima se non vedere la gente che tanto professava di amare, crollargli ai piedi senza volontà?
Oh, ma non sarebbe stata di certo solo una preda lei; no, affatto. Sarebbe stato così… troppo poco. Avrebbe assistito a tutto non come una semplice prigioniera, ma come la sua regina che egli stesso avrebbe incoronato. Avrebbe assistito al suo trionfo senza tuttavia poterlo impedire, né ribellarsi, versando quelle lacrime che lo avrebbero compiaciuto, perché l’avrebbe piegata al suo potere. Oh. Lei sarebbe stata libera di potergli camminare accanto, ma pur sempre schiava dei suoi desideri; così per sempre.

Era forte e coraggiosa lei. Non si era mai tirata indietro, nemmeno quando la situazione richiedeva di mettersi da parte, dimostrando una forza di volontà che lo aveva sempre affascinato ed incuriosito, fin da quando aveva fatto la sua conoscenza. Quasi rise ripensando prima agli eventi di Raccoon City e poi al modo in cui l’aveva conosciuta, quando con una violenza inaudita si era scagliato su di lei per farle assaggiare la sua presenza e farle capire chi era lui e a cosa sarebbe stato disposto a fare pur di ottenere ciò che più bramava.
Sebbene non si era mai sottoposta ad alcun addestramento, si era dimostrata all’altezza delle aspettative, gettandosi nella mischia senza macchia né timore.
Ma com’è che si dice? Buon sangue non mente, giusto? E lei lo aveva dimostrato con orgoglio tipico che caratterizzava i Redfield. 

Abbassò la maniglia della porta per poi aprirla lentamente in modo da non fare alcun rumore: non voleva di certo svegliare la sua “ospite” prediletta. Doveva pur lasciarla riposare, ogni tanto. E poi se l’era guadagnato visto che per una volta si era dimostrata, stranamente, mansueta durante la sua visita pomeridiana. Forse per paura di ripetere lo spiacevole incontro di quella mattina, oppure sperava forse che, se avesse collaborato, come egli stesso le aveva più volte intimato con le parole e soprattutto con i gesti, un giorno l’avrebbe lasciata libera di potersene andare? Oh, che illusa. La sua collaborazione avrebbe sancito solo una permanenza più piacevole, per lei, nient’altro.
Eppure c’era una cosa che lo faceva ancora sorridere: nonostante fossero passati mesi dalla sua prigionia, nonostante le torture, il dolore, la solitudine, non aveva mai smesso di ribellarsi e lottare per quell’assurda libertà. Lo vedeva come un diritto che gli era stato brutalmente negato.
Che strano, sbagliava o gli era sembrato di essere stato abbastanza chiaro quando, dopo averla catturata, le aveva chiaramente detto che non avrebbe mai più aperto le sue ali? Poiché lui stesso l’avrebbe spogliata di quel mando candito, vedendolo strappare, giorno dopo giorno e una dopo l’altra, ogni singola piuma.

Sarebbe stato così piacevole.

C’era buio dentro quella camera, ma lui non aveva di certo bisogno di luce per vedere quella figura piccola ed indifesa che stava tra le lenzuola bianche, non quando la sua vista perfetta gli permetteva di poter vedere dove l’essere umano non sognava neppure di arrivare. Nemmeno le lenti scure e pesanti degli occhiali da sole che indossava quasi perennemente diventavano un ostacolo. Non esisteva la parola “ostacolo” nel suo vocabolario, anche perché non c’era niente e nessuno che potesse fermarlo.
Nonostante sapesse che non si sarebbe svegliata tanto presto, almeno finché l’effetto del sedativo non si fosse esaurito, si avvicinò a lei lentamente, quasi temesse di poterla destare dal quel sonno profondo e privo di sogni. Ma non di incubi, pensò. Perché se doveva tormentarla tanto quanto lei faceva con lui, doveva farlo per bene, per continuare a gioire della sua disperazione. Non c’era niente di meglio che tramutare i suoi dolci sogni, in incubi ricorrenti; e purtroppo per lei, nemmeno lì sarebbe stata padrona delle sue azioni, oh no! Doveva capire ed imparare che ormai era sua, e che ogni parte di se stessa, persino il suo subconscio, gli apparteneva.

Allungò una mano fasciata dal guanto di pelle fino a sfiorarle la fronte matita di sudore prima di sedersi sulla sedia che da interminabili notti usava per osservare da vicino ogni singolo particolare di quella creatura. Non era la prima nottata che passava così, a vegliarla e guardarla, eppure non riusciva proprio a comprendere il perché non si fosse ancora stancato di farlo. Anzi, sembrava quasi che ogni sera potesse scoprire una nuova sfumatura di quella donna che dormiva ignara della sua presenza.
Forse era dovuto al fatto che solo così poteva guardarla senza che lei ricambiasse lo sguardo con odio. O forse era perché avrebbe potuto toccarla senza che lei si allontanasse, in preda alla paura o al disprezzo, ma piuttosto si sarebbe avvicinata alla ricerca di quel calore che nemmeno lui immaginava di poter tramandare con i suoi gesti. D’altronde, quelle erano le mani di un assassino freddo e calcolatore. Di un mostro, come lei stessa gli aveva più volte ripetuto.
Stranamente trovava piacevole il fatto che lei cercasse il suo tocco, e la cosa non faceva altro che incuriosirlo e affascinarlo al punto da chiedersi il perché non lo trovasse fastidioso o repellente. Dopotutto, lui era sempre stato restio a qualsiasi tipo di rapporto umano, fisico o meno che fosse; ma lei, lei era diversa. Lo stimolava in modi che non credeva potessero esistere.
E poi, guardarla così propensa alle sue "carezze"… si domandava che cosa avrebbe detto o fatto lei se solo lo avesse saputo: si sarebbe vergognata o avrebbe provato ribrezzo per se stessa?
Oh, per sapere la risposta bastava soltanto renderla partecipe dei suoi stessi gesti e sarebbe stato così divertente vedere la sua espressione mutare al suono di quella verità tanto amara per lei quanto dolce come un vino pregiato per lui.
Le sfiorò i capelli, lasciati liberi dalla coda di cavallo, con una dolcezza che gli era sconosciuta, per far scorrere sulle dita il colore di quelle ciocche ramate che avrebbero potuto competere con il sangue, se solo fossero state più scure. Ma a lui andavano bene, erano perfetti così com’erano. Lei era perfetta, lo era per lui.
Quasi si maledisse per non essersi tolto quella guaina di pelle che gli proteggeva le dita tanto da impedirgli di poter sentire al meglio la sofficità di quella pelle tenera come quella di un bambino, per poi sfiorarle le labbra e sentirne il respiro caldo e smanioso di chi è tormentato. 
Povera piccola, innocente e dolce Claire, che aveva lasciato la sua gabbia dorata, i suoi studi universitari, per gettarsi dritta tra fauci del leone cattivo. E tutto per cosa? Per cercare di salvare il suo adorato fratellino. Era persino disposta a morire per lui, sacrificandosi, e sarebbe di certo stata una grande perdita quella della morte della giovane Miss Redfield. E questo lui non lo voleva, non ancora.

“Quanto amore porti dentro, Miss Redfield” sorrise beffardo mentre le sussurrava all’orecchio quelle parole.
“E’ davvero un peccato che nemmeno questi sentimenti umani ti potranno salvare, sai?” Fece una pausa mentre continuava ad accarezzarle, con gesti misurati e calmi, quasi volesse consolarla nonostante il tono di voce e quelle sue parole che l’avrebbero lentamente uccisa dall’interno.  “Oh, no, anzi, sai cosa penso… Claire?”  
Fece scorrere le dita dell’altra mano fino a sfiorarle il collo e accarezzare quei segni che egli stesso le aveva provocato durante la sua ultima e vana ribellione, per poi scendere, senza alcuna fretta, così da godersi ogni singolo attimo di quel momento, in mezzo al solco tra i sui seni dove poteva sentire indistintamente il battito accelerato del suo cuore. Chiuse per un attimo gli occhi, lasciando la mano lì dove poteva sentire meglio, rilassandosi al ritmo di quel suono che non era altro che musica per le sue orecchie.
“Penso che saranno la tua completa dannazione, ti rovineranno un giorno. Ed io lo aspetterò con ansia, perché questo amore, che tanto covi dentro, non farà altro che mostrarti la strada dell’eterna dannazione che ti farà soffrire come non mai. E le emozioni che scorrono dentro di te ti spezzeranno e addoloreranno al punto tale da non poter più tornare indietro.
Ti conosco, Claire, so che, da brava essere umana, cercherai in me, tuo malgrado, la compassione e la comprensione che non c’è e non è mai esistita, e questo ti farà morire dall’interno, e quando lo farai, perdendo l’ultimo dei tuoi petali, che io stesso ti avrò strappato a forza, sarà allora che risorgerai tra le mie mani, per essere la mia prediletta regina. Il mio fiore dannato.
Sì, io sarò lì a guardare tutto, Dear Heart, per assaporare la tua ossessione nei miei confronti e cibarmi delle tue debolezze, e solo quando sentirò il dolce suono del tuo cuore frantumarsi in mille pezzi, e l’ultimo battito scemare dal tuo petto, solo allora sarò soddisfatto… forse.”
La sentì rabbrividire al suono della sua voce fredda e liscia come una lama tagliente e non poté fare a meno di reprimere una risata. Era così bello poterla tormentare così. Quasi più soddisfacente che uccidere Chris.
“Chissà come si sentirà il caro Chris quando saprà che sarai diventata mia quel giorno? Non vorresti saperlo? Oh, ma lo vedrai. Sarà solo questione di tempo. Ma dopotutto, io non ho alcuna fretta, posso aspettare ancora e ancora il giorno in cui sarai mia, per poi farti assistere al dolore negli occhi del sangue del tuo stesso sangue, prima di ucciderlo lentamente. E solo allora potrai assistere alla venuta del tuo Dio.” 

 

Fine

 
 

Beta: Naco chan, che ringrazio come sempre per il suo lavoro <3

Dear Heart: è il modo di Alby di chiamare Claire in Resident Evil: Code Veronica. Siccome non riesco a tradurlo in modo consono, perché il risultato finale è o “troppo poco”, oppure “troppo troppo”, ho preferito lasciarlo così, che mi piace tanto *__*
Bene, questo è tutto. Spero che questa lettura sia stata di vostro gradimento, e chissà… alla prossima? Chi può dirlo XD

 Solarial

   
 
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