Breve oneshot ambientata in un ipotetico pre “God of War
1”, e
tutta incentrata su Kratos e il suo passato.
Non chiedetemi il perchè del paragone con le olive, ma ai
miei occhi
sembrava un paragone azzeccato, e perchè no pure poetico.
Alcuni si scordano che Kratos, per quanto sia spietato e sanguinario,
è pur sempre un uomo che ha perso moglie e figlia. E per
giunta di
propria mano.
Vabbè, vi lascio alla lettura e spero apprezziate! Tra
l'altro,
questa è la prima volta che scrivo sul fandom di un
videogame.
Buona lettura!
La vita è una oliva (ed è aspra sulle tue labbra)
Una volta qualcuno gli
aveva detto, che la vita di una persona poteva essere paragonata ad
una oliva. Semplice, essenziale, con un tocco aspro nella polpa
verdognola.
All'epoca in cui gli venne
dettato tale paradigma, per Kratos non poteva esistere idiozia
più
grande.
Non poteva immaginarsi che
tale affermazione però, sarebbe stata più vera di quanto si
sarebbe mai
aspettato.
La vita era una oliva, ed
era aspra dentro la sua bocca.
Con una mano pallida di
ceneri perennemente ardenti, frugò annoiato nella cesta di
vimini
prelevata ad un banco di frutta abbandonato, per
pescare
l'ennesimo frutto suo magro pasto di quel dì.
Una smorfia disgustata
affiorò lievemente sul suo volto duro come la roccia, nel
constatare
che quel misero contenuto altro non erano che verdi olive dalla polpa
succosa.
Ne prese in mano un paio,
e sotto la luce di un sole morente che stendeva d'oro il mare
all'orizzonte, se le cacciò in bocca con fare sbrigativo.
Ancor prima di una vita di
vagabondaggi; ancor prima di essere noto a tutto il mondo come il
“Fantasma di Sparta”; egli era semplicemente
il generale
Kratos, servitore della nazione Sparta e devoto al dio della guerra.
Altri tempi, e quei
ricordi gloriosi con il tempo si erano trasformati nel suo incubo
peggiore.
Da glorioso soldato, a
efferato assassino della propria famiglia, il passo era grande. E
l'ombra delle sue imprese passate ora più che semplici
sassi, erano
macigni che gravavano incessanti sulla sua schiena.
I molari schiacciarono con
forza la verde polpa del piccolo frutto, generando così un
suono
umido e volgare all'interno della bocca, mentre il succo dell'oliva
si riversavano nel palato.
Kratos mugugnò a
quell'aspra sensazione, distratto nel guardare il mare e il sole del
dio Elio morire tra le sue onde, dal piccolo molo su cui aveva deciso
stupidamente di riposarsi.
Ad ogni suo passaggio la
gente fuggiva al suo sguardo assassino come se stesse passando una
empusa in pieno giorno.
Lo guardavano
terrorizzati, ricordandogli in ogni istante il mostro in cui si era
trasformato in una notte di tanto tempo fa, decretando così
la sua
fine da stupido umano in cerca di gloria.
Una gloria effimera che lo
appagava costantemente ogni volta che gridava il nome di Ares in
battaglia, ma che mai come in quegli anni di solitudine si era
ritrovato a maledire con tutte le proprie forze.
E allora ecco che i
ricordi tornavano prepotenti all'interno della sua testa,
trasformandosi in tormento di giorno, scanditi dai colpi inflitti in
battaglie senza fine, a incubi che lo avvolgevano durante la notte.
Togliendogli il sonno e
facendolo risvegliare in un bagno di sudore freddo.
Un sudore che mai e poi
mai avrebbe lavato via il pallido segno di quell'infausta notte,
segnandolo nella psiche come un fregio nella roccia.
Una vita aspra e dura, il
cui paragone con una oliva era quanto mai azzeccato.
Non poteva non paragonare
le sensazioni di gusto che provava all'interno della bocca, ai
momenti più interessanti della propria esistenza.
Ad attimi preziosi
condiviso con persone speciali, che rappresentavano tutta la sua
vita.
Collegare il sapore aspro
che in quel momento gli pizzicava le labbra, a sua moglie e alle sue
labbra che spesso toccavano le sue.
Al ricordo torturatore di
quando facevano l'amore, all'insolita dolcezza che lei gli riversava
quasi come una madre al figlio.
Una dolcezza sostituita
unicamente dall'immenso coraggio di quella donna nell'affrontare le
sue decisioni, senza abbassare la testa come avrebbe fatto qualunque
altra femmina.
Non lei, non una qualunque
spartana di tutta la Grecia.
Una donna che, per
produrre anche una sola goccia d'olio, si sforzava lei di muovere la
pietra del mortaio di modeste dimensioni dentro casa, anziché lasciarlo
fare ad
un qualunque schiavo come lui costantemente le ricordava di fare.
Inconfondibile il sapore
delle olive in bocca applicato ai ricordi della sua defunta moglie.
Aspro e dolce al contempo, un particolare che lo portò ad
abbozzare
miseramente un sorriso stanco sulle labbra sporche di ceneri perenni.
Poi la polpa finiva.
Poi finiva quel gioco
quasi perverso tra il gusto aspro e dolce dell'oliva, e si giungeva
a toccare il nocciolo duro come la roccia.
I molari di Kratos
strinsero forti e sorpresi quella piccola pietra
traditrice,
rischiando di spezzarsi per la troppa pressione esercitata nell'atto
di spezzarlo.
Il bianco guerriero
mugugnò contrariato a quella spiacevole sensazione, sputando
a terra
il primo nocciolo e tentando di distruggere il secondo rimasto in
bocca.
Stizzito, se lo rigirò e
rigirò in bocca, avvertendo sempre di più i nervi
tendersi per il
paragone naturale che gli veniva da fare a quel piccolo seme.
Gli avevano detto che la
vita era come una oliva, e quando giungeva la fine, quando la polpa
raffigurante l'intera esistenza di una persona se ne andava via,
rimaneva la dura realtà della morte.
Il nocciolo, sempre e
comunque era duro anche per i denti più forti in assoluto, e
nella
sua semplice durezza ben si adattava alla fine della vita di Kratos.
La sua fine giunse per sua
stessa mano, la notte in cui sua moglie e sua figlia perirono e
affogarono nel proprio sangue. Per intercessione di un dio aveva
fatto ciò che nessuno avrebbe mai dovuto fare, spolpando del
tutto
quell'aspra oliva e toccando il nocciolo con i denti fino a
spezzarseli.
Facendosi male. Ma davvero
tanto male.
Il sole sull'Egeo nel
frattempo, si era inabissato all'orizzonte dei regni di Poseidone,
tingendo di cupo rosso un manto notturno in procinto di coprirsi di
stelle.
La roccia sulla quale si
era seduto in precedenza, stava iniziando a raffreddarsi con
l'avvento della notte, e con l'arrivo dei suoi fantasmi più
noti.
Per tal motivo il Fantasma
di Sparta non aveva più motivo di rimanersene li, e fare stupidi
paragoni con le olive e la propria, squallida, esistenza.
Sputò sul selciato di
pietra anche il secondo nocciolo dal guscio traditore, e si
apprestò
ad abbandonare quel piccolo villaggio di pescatori tutti fuggiti in
preda al panico appena lo avevano visto arrivare.
Se la vita era come una oliva, la sua decisamente assomigliava interamente ad un nocciolo.