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Autore: Dira_    31/05/2010    17 recensioni
La guerra è ormai finita, Harry è un auror e sta per avere il suo secondo bambino.
Degli strani sogni e la misteriosa comparsa di un neonato decisamente particolare turbano la sua pace, tornando a scuotere la famiglia Potter sedici anni dopo, quando Tom, il bambino-che-è-stato-salvato, scoprirà che Hogwarts non solo nasconde misteri, venduti come leggende, ma anche il suo oscuro passato...
La nuova generazione dovrà affrontare misteri, intrighi, nuove amicizie e infine, l'amore.
“Essere amati ci protegge. È una cosa che ci resta dentro, nella pelle.”
Può davvero l’amore cambiare le carte che il destino ha messo in tavola?
[Next Generation]
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Vi ringrazio tantissimo per le visite, e sopratutto per i commenti. Andiamo ragazzi, trecento? *sguardo avido come Gollum* Questo è un capitolone! *Speranzosa*
(Ormai Dira non ha più dignità)

@NickyIron: Spero di aver dato delle spiegazioni sensate con quest’ultimo capitolo! T_T Dimmi di sì!
@Pheeny: Tranquilla, la fine di questa parte è vicina. Penso proprio che ce ne sarà una seconda ;) Zabini hai ragione, in fondo è un bravo diavolo, ma… aspetta e vedrai! ;)

@Altovoltaggio: Eeehi, ehi, io non lascio mai nulla al caso! (*faccia da paracula*) Tom che fa tenerezza è un ossimoro, ma è vero, fa tenerezza! XD In effetti alla fin fine è un adolescente spaventato. Per l’imperio… ehm, sinceramente non saprei. So, da fonti certe, che con una grossa forza di volontà si possa scioglierlo. Mi spiego: se vuoi veramente scioglierlo, puoi riuscirci e combatterlo. Ma Tom ha anche il medaglione impregnato di magia nera di Voldemort… quindi diciamo che non sarà una passeggiata per lui. ;) Grazie grazie per i complimenti ad Al e Tom! Grazie! Davvero!
@Simomart: Ciao! Essì, ormai siamo alle battute finali! Mi mancherà! (Se non fosse che sì’, ci sarà una seconda parte) Per le due osservazioni, ecco qui: in effetti quella cosa delle parentesi è un po’ ridondante, e in questo capitolo l’ho tolta. Per quanto riguarda Al… in effetti sì, suona un po’ strano che riesca a far fesso un Tiratore. Ma ti ricordo che è un allievo e un tassorosso (almeno, preso per tale). E poi Harry ha fatto fessi gente peggiore! XD Tipo Lucius… però è vero, ho notato anche io che era un po’ esageratina come scena. Grazie per l’appunto, lo seguirò in futuro! Grazie per i complimenti sullo “spiegone” … ammetto che mi faceva paura, e non me ne sono ancora tirata fuori. Dimmi tu se sono stata efficace (a me in fondo Zacharias sta simpatico XD) Grazie anche per i complimenti, e sì, devo ammettere che i sogni di Tom fossero in qualche modo… premonitori. :P
@Trixina: Trixina! Tu sei una recensitrice di lunga data! Quindi capisci come me quante nostalgia provi a finire questa storia. MA, c’è un ma. A quanto pare avrò bisogno della seconda parte per spiegare tutto… quindi per un po’ non vi libererete di me e dei miei pg. XD Mi fa piacerissimo che tu abbia apprezzato questa storia e persino la musica (ti adoro!) che vi ho legato!
Grazie, grazie, grazie! Sono d’accordo con te sulla cosa dell’eroe. Non puoi piacere a tutti… e la Row questo lo ha fatto capire bene in quasi tutti i suoi libri. E per il resto… aspetta e vedrai! ;)
@Aga: Ciao! Eheheeh, grazie mille e sono FELICISSIMA che tu abbia capito la trama, avevo tanta paura che ci potessero essere dei punti oscuri. Comunque… no, Harry non sarà il solito eroe della situazione. ;)
 
 
****
 
Capitolo XLV
 

 
 
 
Look to the stars/ let hope burn in your eyes
And we'll love/ and we'll hope/ and we'll die/all to no avail…
(Stockholm Syndrome, Muse)¹
 
 
Appartamenti del professore di difesa contro le arti oscure.
Prima di cena.
 
James si passò le dita trai capelli, guardandosi critico allo specchio del bagno.
Non suo.
Era tutto iniziato da una legittimissima richiesta di chiarimento su una lezione. Davvero, i MAGO si avvicinavano, e lui aveva bisogno di voti piuttosto consistenti nel suo curriculum scolastico. E sapeva che Teddy non gli avrebbe mai regalato niente.
Quindi, richiesta di chiarimento. C’era stata, molto esaustiva. L’aveva assimilata… e poi la successiva cosa che ricordava dopo ‘grazie Teddy, andrò a farmi una lunga doccia bollente adesso’ era stato l’impatto della sua schiena contro la scrivania.
Teddy si era stappato, e i risultati gli piacevano tantissimo.
In quella situazione di stasi tremenda, con Tiratori del Ministero ovunque, con Tom scomparso… era bello poter trovare un’oasi di pace.
Fece un sorrisetto prima che gli occhi gli cadessero su una colonia dall’aria costosa.
La prese in mano. Aveva un nome francese.
Fece una smorfia.
Probabile fosse uno dei regali da cento galeoni di Victoire, che Teddy si sentiva sempre in disagio ad usare o indossare.  

Soppesò il profumo. Ci rifletté: beh, nessuno avrebbe sentito la mancanza di un odoraccio francese.
“… Jamie, che stai facendo?”
James, colto con la boccia di profumo svitata, in bilico sulle acque del gabinetto, ebbene la prontezza di spirito di… nasconderlo dietro una mano.

Veramente geniale, amico. Veramente geniale. – Lo rimproverò la sua Scorpius-coscienza. L’aveva ribattezzata così da quando il cretino Malfoy si era personalmente incaricato dell’onore.
“Provo a spruzzarmelo?” Tentò, tirando fuori la sua migliore faccia da schiaffi.
“A me sembra che tu stia per svuotarlo e tirare l’acqua, veramente.” Sospirò, raggiungendolo e prendendogliela di mano. “È un regalo.”
Serrò appena le labbra, tirandogli un colpo con la mano aperta sul petto nudo. Sogghignò quando vide l’altro sussultare per il dolore. “Lo so che è un regalo, tonto. È di Vitr… di Victoire?”
Teddy gli lanciò uno sguardo indecifrabile. Questo, prima di mettersi a ridere sinceramente.
Si sentì lievemente preso per il culo. “Che cacchio c’è da ridere?”

L’altro scosse appena la testa, sorridendogli paziente. Oh, quell’espressione la conosceva bene. Sapeva che c’era un margine di possibilità di evitare una punizione adesso!
No. Momento. Fece mente locale. 
Quale punizione? Stai semplicemente segnando il tuo territorio, uomo!
Lo guardò con sguardo cupo, senza sapere di risultare tremendamente imbronciato. “Che cazzo c’è? Non dovresti tenere i regali della tua ex!” Gli tirò un pugno sulla spalla. Stavolta sentì le nocche gemere. Il dannato Lupin aveva dei bicipiti d’acciaio.

Com’è possibile se l’unico sport che fa è il sollevamento delle tazze di the?!
Teddy stavolta reagì. Lo bloccò tra le sue braccia. James lo sentì sussultare appena, visto che aveva la faccia spiaccicata contro il suo collo. Stava ancora ridendo.
“Ma sei scemo?” Sbottò, cercando di divincolarsi. Si accorse, con suo sommo sgomento, che l’altro conosceva una presa praticamente ineludibile.
Stupida Accademia Auror! Io non ci sono ancora andato!
“Jamie, la smetti di tentare di lasciarmi lividi permanenti? Guarda che mi fai male…” Disse, con quel pedante tono paziente. Se solo non avesse avuto quel tono di voce dolce avrebbe dovuto ucciderlo.
“Sì, vedo. Tu e i tuoi inspiegabili bicipiti.” Borbottò, sentendosi piuttosto imbarazzato nel constatare che quella presa si stava trasformando in un abbraccio piacevole. Non era abituato a quel genere di post.
Di solito schizzava via dal letto il più velocemente possibile, dopo. Magari evitava anche la doccia, per risparmiare tempo. Con Teddy non poteva essere così, naturalmente.

“James?” Teddy lo richiamò. Si accorse di essere accoccolato in modo ignobile addosso a lui. Se avesse fatto le fusa non sarebbe stato così strano. Infatti Teddy gli fece un grattino scherzoso sulla nuca.
“Stronzo.” Lo gratificò. “Perché tieni i regali della tua ex?”
“Come stavo cercando di dirti prima che tentassi di rompermi un osso, non è un regalo di Vic. Ma di Fleur.”
“Di sua madre.” Fece una pausa. “Ne sei affascinato?”
“Beh, è una mezza-veela. Se non lo fossi, sarebbe strano…”
“Pensi che sarebbe strano se ti perforassi la carotide coi denti?” Chiese, sentendo la collera montare. Era ridicolo, se ne rendeva nebulosamente conto. Ma era geloso.

Ma non è poi così ridicolo visto che nell’ultima settimana ti sei svegliato tutte le mattine ringraziando un pantheon di entità spiritiche di vario genere perché Teddy ti considera finalmente come un essere degno di interesse sessuale.
Teddy gli diede un colpetto leggero sulla nuca, sciogliendolo dall’abbraccio. “Non capirò mai tutta questa tua animosità verso Vic e il lato francese della tua famiglia. Sono bravissime persone… Certo, Fleur è un po’ egocentrica, ma…”
Teddy.” Sospirò paziente. Con quei suoi grandi occhi dorati Teddy a volte sembrava il ritratto dell’innocenza. O del perfetto coglione. “Non è che li odio perché sono francesi, benché mi facciano schifo dei tizi che mangiano lumache. Ma perché ti hanno rubato.”
Teddy inarcò le sopracciglia. “Rubato?”
James sbuffò, recuperando un minimo di dignità mentre si infilava i pantaloni della divisa. “Victoire. Ha cominciato a piagnucolare appena finita la scuola che voleva tornarsene in Francia. E tu l’hai seguita. Sei stato sei anni in Francia, a farle da valletto.”
“Ero il suo fidanzato.” Replicò, suonando improvvisamente irritato.
James sentì una sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco. Ma non ribatté: Teddy aveva passato anni con Victoire, e per quanto potesse pestare i piedi, quel fatto non poteva cambiare.

Ci rifletté.  
Era una svolta niente male: capire che non poteva avere sempre ragione.  
Decise di sfruttare quel suo momento di maturità.
“Scusa. Hai ragione. Però… Cerca di capirmi.” Rettificò subito. “È che funziona così nei rapporti. La persona con cui stai, odia quella con cui stavi prima.”
James soddisfatto constatò come il suo momento maturo era andato a segno, visto che l’altro si sciolse in un sorriso.

“Sì, immagino di sì. Non ho mai avuto molte esperienze.” Ammise. Assunse un’espressione meditabonda. “Non te l’ho mai chiesto, ma…” Prese un’aria imbarazzata.
James capì subito. E sogghignò. “Quante? Io?”
“Immagino che dovrei saperlo…” Mormorò. Evitò il suo sguardo e capì che aveva una voglia matta di saperlo.
“Beh.” Concesse. “È un discorso lungo e complicato. E adesso dobbiamo andare  a cena, professore.”
Teddy corrugò le sopracciglia. Sembrò riflettere molto velocemente. “Sì, lo… No. Aspetta. Quante?”
James rise, avvicinandosi e afferrandogli il mento con una mano. Si specchiò in due iridi avide di risposte. Ora, quello gli piaceva. Gli stampò un bacio sulle labbra. Teddy lo ricambiò immediatamente, e forse fu solo una sua impressione, ma ci sentì il sapore del possesso in quel bacio.

“Senti…” Brontolò, staccandosi. “Non voglio essere, ma…”
“Non significavano nulla.” Lo anticipò, sfregandogli il naso contro la guancia liscia. Sospettava che con i suoi poteri evitasse di farsi crescere la barba. “Tu significhi.”
Teddy sospirò, sfregandogli il palmo della mano sulla testa, dove i riccioli erano ricresciuti e si arruffavano. “James…”
“Sì?”
“Sarà difficile. Lo sai?” Mormorò, staccandosi per guardarlo. “Questa cosa, dico.”

James scrollò le spalle. “Lo so. L’ho sempre saputo. Da prima di te. Ma so anche… che combatterò. Per noi due, intendo.” Borbottò, sentendosi decisamente esposto. “Se dovessi farlo.”
“Non è una guerra.”
“Lo sai che intendo.” 
Teddy sorrise, passandogli un braccio attorno alla vita. “A volte credo tu sia più maturo di me, Jamie…”
James sogghignò, passandogli le braccia attorno al collo. “Ci sei arrivato, eh?”

Per quanto ci provasse, non sarebbe mai diventato alto quanto lui.
Oh, non che gli importasse alla fine.
 
 
****
 
 
Dentro la Foresta Proibita.
Ora di cena.
 
Al si asciugò il sudore che gli si era condensato gelido sulla fronte.
Correva ed inciampava da almeno un paio d’ore. Se avesse trovato una superficie su cui lanciare un incantesimo orario, avrebbe anche potuto capire da quanto era dentro la Foresta.

Il sole era tramontato da un bel pezzo, comunque.
“Fanny…” Inspirò, guardando la fenice posarsi su un ramo. “Fanny, sono stanco. Aspetta…”
La fenice lanciò un verso acuto, quasi lo rimproverasse. Aveva smesso di cantare da un po’. Forse era stanca anche lei.

Faceva freddo: i rami coprivano la poca luce del sole invernale, e con il calare della notte aveva cominciato a spirare un vento che parlava di pioggia e di neve.
Si strinse il mantello addosso, riempiendosi i polmoni di aria gelata.

La fenice spiccò il volo, ma stavolta verso di lui. Fece un passo indietro, non aspettandoselo. Se la ritrovò a pochi centimetri dal viso, mentre si assestava su una delle radici secolari degli alberi, che intricate formavano dislivelli dove era facile inciampare.
Al esitò, poi levò la mano. La fenice non si ritrasse neppure quella volta, facendosi accarezzare le piume morbide. Era calda.

Certo, muore sublimandosi in una gigantesca fiamma…
Non era certo che Fanny sapesse dove si trovava Tom. L’aveva seguita… perché si fidava. O forse perché voleva fidarsi. Voleva trovare Tom, a qualunque costo.
Sapeva che suo padre era stato escluso dalle indagini. Sapeva che gli era stato proibito di entrare ad Hogwarts, e sapeva che adesso aveva le mani legate.

Non aveva neppure risposto alla sua lettera.
Serrò appena le labbra: aveva fiducia di lui, era naturale. Era Tom l’idiota che aveva nascosto tutto a tutti. Ma Harry Potter non era lì. Non era venuto a parlare con lui, aveva lasciato che Smith lo trattasse come un colpevole e…
Sentì un colpetto sulla tempia. Era il becco di Fanny. La guardò: sembrava davvero capire come si sentisse o addirittura cosa pensasse.
Le fenici sono animali leggendari… e si legano difficilmente ad un mago.
“Jamie morirebbe di invidia se ti portassi al Castello…” Ridacchiò.
Alzò lo sguardo. La luna si stava già levando, ne poteva intravedere il chiarore dalle fronde, e probabilmente in Sala Comune era già stata portata la cena.
Chissà se qualcuno si era accorto della sua scomparsa. Ne dubitava.
Hai passato gli ultimi giorni rintanato in camera, se non eri a lezione… direi che hai un buon margine per muoverti…
Non che la cosa gli desse coraggio, né tantomeno tranquillità. Anzi.
Non era un eroe, lui. Stava morendo di freddo, aveva fame ed era spaventato a morte. Solo la presenza di Fanny gli impediva di fare retro-front.
Sentì un rumore improvviso, come qualcosa che fosse stato calpestato violentemente. Legno.
Sobbalzò. La fenice lanciò un grido acuto e con un poderoso colpo d’ali si alzò in volo.
“Fanny!” Gridò, rendendosi conto, con orrore, che non poteva perderla di vista. Era in mezzo alla Foresta e non ricordava assolutamente la strada del ritorno. Le corse dietro mentre la fenice si intravedeva tra il fogliame umbratile. Era buio, troppo buio.
Lumos maxima!” La luce della bacchetta rischiarava una decina di metri oltre i suoi passi, ma per il momento gli bastava per poter vedere il volo della fenice.
Il panico cancellò via tutta la stanchezza, con un colpo di spugna. Si sentiva il respiro bruciare e i polmoni gelati dall’aria che inghiottiva. Ma non importava.
Non doveva perderla di vista.
“Fanny! Fermati!” Urlò sentendosi mancare il fiato. Era troppo stanco per poter correre a lungo. A Quidditch almeno era a cavallo di una scopa, non era goffo, non inciampava sui suoi stessi piedi. James lo prendeva spesso in giro, dicendo che i cercatori in aria erano delle aquile, ma a terra delle papere.
Quando sentì un ostacolo intralciargli i piedi, forse una radice, forse un sasso, pensò stupidamente che James aveva ragione.
Crollò a terra e si sentì trascinare verso il basso, a causa della maledetta forza di gravità.

Era inciampato al limitare di una scarpata.
Sentì il mondo capovolgersi un paio di volte e dei colpi tremendi alla schiena e ai gomiti, prima che la sua rovinosa caduta si fermasse.
Rimase per un attimo a terra, cercando di respirare. Sentiva dolore ovunque, ma era piuttosto certo di avere ancora la testa attaccata al collo.
Non male…  
Con sollievo ritrovò la bacchetta ai suoi piedi, sana.
Si guardò attorno: sembrava finito dentro quello che sembrava il greto secco di un torrente. Doveva essere prosciugato da anni, a giudicare dalla vegetazione che vi cresceva rigogliosa.

Guardò lo spicchio di luna che aveva fatto capolino dalle fronde degli alberi: rischiarava l’ambiente circostante, mostrandogli dolorosamente quanto si fosse addentrato nel bosco.
Di Fanny nessuna traccia.
Si rialzò cautamente: sentiva un dolore lieve alla caviglia, ma una storta non l’avrebbe ucciso.
Doveva mantenere la calma. Se avesse cominciato a piagnucolare e farsi prendere dal panico non sarebbe mai uscito da là dentro.
E non aveva tempo per darsi dello stupido, ad avere seguito un volatile.
Okay… sono dentro una foresta che pullula di creature mortifere. Ma ci sono anche creature buone… i Centauri. Quando non li indisponi. Gli unicorni. I Thestral.
Che probabilmente erano molto prima del punto in cui si trovava.
Deglutì, stringendo con forza la bacchetta tra le dita. Gli mancava un anno alla fine della sua formazione magica. Non era un primino sprovveduto.
Papà ha avuto a che fare con Voldemort e le acromantule qua dentro… Ed era più giovane di me!
Stese un sorrisetto nervoso.
E aveva molta più fortuna di quanto ne abbia tu, Al…
Doveva capire dove si trovava esattamente. Si guardò attorno, e poi vide qualcosa che attirò la sua attenzione. Pochi metri sopra il greto si trovava un accumulo di rocce, in parte franate… e l’entrata.
L’entrata di una grotta.
In sé non era nulla di notevole, le Highlands e quella particolare zona della Scozia ne erano piene. In una di esse si era nascosto per mesi il padrino di suo padre, Sirius Black.
Quello che lo attirò fu il fatto che proveniva luce, da quella grotta. Come se ci fosse qualcuno dentro.
Non un centauro… è troppo stretta. E di certo non qualche bestia come un acromantula, non sanno accendersi un fuoco o usare una bacchetta.  
Risalì il greto, aggrappandosi alle radici che sporgevano, con la bacchetta stretta trai denti. Non l’avrebbe persa mai più.
L’entrata della grotta era stretta, ma grande a sufficienza per farsi passare un essere umano.
Notò anche che era stata scavata: non era naturale. Qualcuno l’aveva allargata, forse con un incantesimo, forse con un piccone.
Era un posto perfetto per nascondersi. O per nascondere qualcuno.
Tese la bacchetta di fronte a sé, entrando. C’era odore di gelo, di terra bagnata… e di fumo.

Qualcuno aveva acceso un fuoco. La luce debole  che vedeva era quella di un falò.
La grotta, all’interno, era molto più grande di quanto non sembrasse: si snodava come l’intestino di una grossa bestia per metri, centinaia di metri. Chilometri, forse. Quando si trovò di fronte ad un bivio, completamente al buio, seppe che non ne sarebbe uscito se non avesse lasciato delle tracce.
Signum.” Mormorò, mentre la bacchetta sputava una macchia di colore opalescente sulla pietra umida. Brillava anche al buio e gli avrebbe indicato la via di ritorno.

Doveva solo seguire l’odore di fumo adesso.
Non aveva tempo per avere paura, per pentirsi. C’era qualcuno lì dentro, e chiunque fosse, era umano. Lo capì quando vide gli stessi segni che aveva lasciato lui, poco dopo aver svoltato l’ennesimo angolo. I segni provenivano da un altro cunicolo.

Forse ci sono più entrate…
L’odore del fumo si fece più penetrante, come la luce. All’ennesimo angolo svoltato, vide improvvisamente la luce filtrare attraverso quella… che sembrava proprio una porta.
Di legno, vecchia, con le assi spaccate in più punti. Ma una porta fatta da mani umane, babbane o meno che fossero.
La tastò con la punta delle dita. Era Era tenuta chiusa da una pesante catena rugginosa. Non c’erano serrature o chiavistelli.
Sembra la porta di un magazzino…
Recido.” Sussurrò a bassa voce. La catena cadde ai suoi piedi, tagliata come se fosse burro. Spinse la porta con una mano, tenendo la bacchetta di fronte a sé.
La stanza era ricavata da un anfratto naturale. Un fuoco, pallido e giallognolo, di sicura fattura magica brillava in un angolo…
E poi lo vide.
Sentì i polmoni comprimersi, e paura, gioia e terrore condensarglisi in una bolla bollente nel petto.
Era Tom.
Era seduto a terra, con la schiena contro la pietra e il viso chinato in avanti. Sembrava addormentato.
“Tom…” Sussurrò, sentendo la voce uscirgli soffocata. “Tom.” Lo chiamò di nuovo.
Non gli rispose. Dormiva o…
Percorse i pochi metri che li separavano, buttandosi in ginocchio di fronte a lui. Gli prese il viso tra le mani.

Era lui. Dimagrito, sporco… aveva il viso gelato. Le ciocche di capelli erano appiccicose, sudate.
“Tom!” Lo chiamò di nuovo.
Ti prego, svegliati. Svegliati…
Lo sentì irrigidirsi sotto le sue dita. Lo sentì respirare.
Merlino… Grazie, Grazie…
Per un attimo la vista gli fu offuscata da un improvviso fiotto di lacrime. Se lo pulì maldestramente, mentre Tom alzava il viso, socchiudendo gli occhi. Erano liquidi, la pupilla si fondeva con l’iride.
Lo guardava senza vederlo.
Gli scostò le ciocche di capelli dal viso, chinandosi su di lui. “Tom… sono io. Sono io, sono Al!”
Premette le labbra contro le sue, piano. Erano ruvide e fredde.

Il bacio funzionò.
“Al…” Disse finalmente, contro la sua bocca. La voce era poco più di un sussurro, come due sassi sfregati l’uno contro l’altro. “Al.” Quando lo ripeté sembrò capire. Gli occhi persero quella patina spenta e lo vide scostarsi per guardarlo. “Al, no… Cosa… che ci fai qui?”
“Ti ho trovato. Sono venuto, per te. Merlino, sei gelato!” Si tolse il mantello, slacciandoselo per metterglielo sulle spalle. “Sta’ tranquillo, ora ti porto via da qui.”
Anche se non aveva idea di come: Tom sembrava stare male. Dopo il sollievo che l’aveva investito come un treno si era subito reso conto delle sue condizioni: era pallido e l’angolo delle labbra era tumefatto, come colpito. Oltre a questo tirava respiri secchi, bassi, come se l’aria facesse fatica ad entrargli nei polmoni.

“Riesci ad alzarti?” Gli chiese. “Devi, dobbiamo uscire di qui…”
Tom lo guardò. C’era qualcosa che non andava in quella situazione. Sembrava troppo… calmo.

“Tom! Mi ascolti?”
“Devi andare… via.” Sussurrò. I suoi occhi sembravano enormi, terrorizzati. Lo realizzò. Era spaventato a morte. Da Doe?
In qualche modo capì che non era Doe il problema. Era spaventato da lui.

Da me? Ma perché?
“Non senza di te!”
“Sono io…” Tossì, e fu come se dovesse spezzarsi in due.

Merda.
“Sei tu cosa?” Gli prese di nuovo il viso tra le mani, accarezzandoglielo. Era come accarezzare una statua di marmo, realizzò. Ma Tom era vivo, lo guardava, respirava. Ce l’avrebbero fatta. “Guardami. Non sono arrivato fin qui per arrendermi. Non ti devi arrendere. È chiaro?”
 
L’imperio…
Non era un incantesimo che dava un unico effetto.
La prima volta aveva perso completamente il controllo del proprio corpo. Riusciva a vedere cosa stava succedendo, ma non riusciva a connettersi sufficientemente alla realtà per capirlo davvero.
Adesso era diverso. Adesso aveva pieno possesso dei suoi sensi.
Aveva sentito la porta aprirsi.
Aveva pensato che fosse Doe, per questo non si era mosso: in ogni caso, se gli avesse ordinato di alzarsi, l’avrebbe fatto anche a costo di sputare sangue dai polmoni.

Sì, l’imperio funzionava in tanti modi.
Poi aveva sentito la sua voce. Per un attimo aveva pensato ad un allucinazione: poteva essere… non era la prima volta che sogno e realtà si confondevano, in quei momenti.
Poi aveva sentito le sue mani sul viso, il fruscio del mantello. Le sue labbra erano caldissime.
Era buffo come certi particolari fossero stampati a fuoco nella sua mente senza che se ne fosse mai reso conto.
E allora aveva capito che era reale. Che Albus era lì.
Il suo Al…
Avrebbe voluto toccarlo, stringerlo. Sentire ancora il calore che sembrava emanare, come fuoco vivo, caldo, bellissimo.

Al che lo stava toccando, che lo stava chiamando.
E non c’era imperio più potente di quello. Aveva dovuto svegliarsi.
Per un attimo aveva sperato. Davvero. Che fosse tutto finito.
Ma poi si era ricordato.
Che idiota…
C’era un solo imperio. E lui era sotto di esso.
 
Al si sentì spinto via. Fu poco più che un tocco al centro del petto, Tom era troppo debole per spingerlo veramente.
“Va’ via.” Ringhiò, sordo come una bestia ferita. “Vattene.”
“Che stai dicendo?” Sussurrò incredulo. “Dobbiamo andare via assieme!”
“Questa situazione… è colpa mia. È troppo tardi. Vattene. Scappa. Sono sotto…”
Al serrò le labbra. “Certo che è colpa tua!” Sbottò. Tom batté le palpebre, per un attimo preso in contropiede. Ne doveva approfittare. “È assolutamente colpa tua, e appena ti sarai rimesso ti prenderò a calci nel culo! Anzi, ti pianto.” Inspirò, afferrandogli un braccio. “… No, non è vero, non lo farei mai.” Rettificò subito. “Ma faremo questo discorso dopo. Doe potrebbe tornare e io non sono in grado di difenderti… Quindi muoviti! Alzati!” Lo spronò, tirandolo.
Tom a quel punto si mosse. Fece una lieve smorfia e un lamento tristemente simile ad un guaito, ma si tirò in piedi.
“Ti fa male da qualche parte?” Si informò preoccupato. “Dove?”
“Ovunque…” Sussurrò, con un sorrisetto storto, che lo fece sussultare quando la ferita vicino alla bocca si tese dolorosamente. “Le ossa…”
“Hai la febbre.” Inspirò. “Non fa niente, Madama Chips ti metterà a posto in un batter d’occhio. Usciremo di qui.” Lo rassicurò, si rassicurò. Non sapeva come portarlo fuori senza essere scoperto. Perché Doe non poteva non aver messo qualche allarme all’imbocco della caverna. “Usciremo di qui e andrà tutto bene.”

Tom gli fece un mezzo sorriso. Gli sfiorò la guancia con le dita. “Sei caldo…” Disse. E poi. “Grazie.”
Al serrò appena le labbra, poi gli restituì il sorriso, cercando di non far tremare la voce. “Se vuoi baciarmi ti avviso che non mi fa una gran voglia… Hai un aspetto orribile.”
Lo vide fare una smorfia appena indispettita, che gli riscaldò il cuore, prima che sgranasse gli occhi. Guardando oltre le sue spalle.

 
“Guarda guarda. Si è intrufolato un topolino…”
 
Al si voltò di scatto.
John Doe stava sullo stipite della porta, con una lanterna in una mano e la bacchetta nell’altra.

Era la prima volta che lo vedeva.
Era il ragazzo biondo descrittogli da Rose. Eppure sapeva che non era un ragazzo. C’era qualcosa in lui di troppo storto, per rientrare nell’adolescenza.
Sogghignò. “Pensavi davvero che saresti riuscito a portarlo fuori di qui?”
“Mi basta liberarmi di te, no?” Ribatté, sentendo la paura strisciargli lungo la schiena.

“In questa stanza non si possono lanciare incantesimi.” Lo avvertì. Sembrava divertito. Sorrideva. “Puoi provarci, eh… Ma sarebbe fiato sprecato.”
“Allora non puoi lanciarli neanche tu.” Inspirò. Non doveva tremargli la mano.

John Doe inarcò le sopracciglia. “Beh. In effetti no. Ma non che mi serva.” Fece un cenno. Solo pochi secondi dopo capì che era rivolto a Tom. “Prendigli la bacchetta. Immobilizzalo.”
Al fu certo di non capire.  Poi sentì la mano gelata di Tom chiudersi attorno al suo polso e strattonare violentemente.
Si sentì afferrato, bloccato, immobilizzato. Perse la presa sulla bacchetta per il dolore e se la sentì sfilare dalle dita.
Cercò di voltarsi. E volle non averlo fatto.
Il viso di Tom era privo di espressione. Come una statua di marmo, immobile.

Imperio…” Mormorò, sentendosi quella parola, orribile, serrargli la gola.
Cercò di divincolarsi, ma la presa di Tom era innaturalmente forte. Aveva paura di fargli male, se avesse cercato di liberarsi.
“Già.” Confermò Doe. “Ma non te ne sei accorto? Ah, scusa… Probabilmente perché gli ho ordinato di tenere il segreto. Sai, giusto in caso.”
Si avvicinò e la luce della lanterna rischiarò i loro volti. Al si voltò verso Tom.
“Tom… ti prego…” Sussurrò. Sapeva che non c’era speranza, che Tom non poteva, semplicemente.

Doe fece una smorfia. “Che ne facciamo di questo topolino, mmh, Tom?” Lo squadrò. “Portalo fuori, intanto… siamo già in ritardo.”
Al si sentì strattonato violentemente. Cercò di pensare a qualche incantesimo non-verbale. Prima di ricordarsi che già normalmente gli riuscivano male…
E poi potresti fare male a Tom. È lui che ti immobilizza.

Guardò con odio Doe, quando fu fuori dall’ambiente a malapena riscaldato della caverna.
Doe piegò le labbra in un sorriso sgradevole, pizzicandosi il mento, come meditabondo. “Che ci faccio con te, topolino? Potrei farti uccidere da Thomas… Ma non ho la minima voglia di aggiungere cadaveri a quest’operazione. E poi puoi tornarmi utile. Perché no?”

“Mio padre ti fermerà!” Sputò, pensando, sperandolo.
Papà. Dove sei? Maledizione!
Doe sogghignò. “Oh, lo spero proprio. Ma intanto vediamo di chiuderti la bocca. Stupeficium.
 
 
****
 
 
Hogwarts, Sala Grande.


James entrò in Sala Grande sentendo lo stomaco brontolare vivacemente. Fece un cenno ai gemelli Scamandro e a Bobby Jordan, ma non si fermò. Doveva monitorare la situazione del clan Potter-Weasley.
Si avvicinò al tavolo dove di solito Rose e Lily sedevano; la cugina sembrava come al solito concentrata in un’arringa contro qualcosa, o qualcuno. Malfoy l’ascoltava paziente. Doveva essere iniziata da poco, perché non era già scattato a risolverle il problema.
È incredibile vedere come l’adora. Ma che ci troverà in lei?
Si sedette accanto alla sorella, persa nella contemplazione della propria manicure.
“Dici che il rosso ciliegia mi dona?” Gli chiese con aria corrucciata.
“Merlino, Lils, non ne ho idea.” Sbuffò esasperato. “Mi vedi girare con le unghie dipinte?”
“Ti donerebbero.” Replicò prima di tornare a sorseggiare il proprio succo di zucca. Prima però gli fece scivolare lo sguardo addosso. E sogghignò.

Lily era… la sua adoratissima sorellina, ma spesso si chiedeva quanto fosse davvero adorabile: a volte era  inquietante.
Sembra sempre leggermi nei pensieri… Quando ne faccio di turpi però.
“Qual è il problema di Rosie?” Chiese, per stornare l’attenzione da lui. “Che ha da protestare?”
Lily perse il sorriso, scrollando le spalle. “Si tratta di Al. Non è venuto a cena, neanche stasera.”

James fece una smorfia: Al… era rimasto ligio a ciò che ci si aspettava da un bravo bambino come lui, rimanendosene in disparte ad attendere gli sviluppi.
Ma persino un idiota si sarebbe accorto che aveva in faccia uno sguardo tremendo.
Solo bravo chi capisce a che diavolo pensa…
Si rivolse a Rose, che in quel momento sacramentava sull’ubicazione del suddetto. “Se volete sapere dove sta, perché non lo chiedete ai suoi amici serpeverde?” Indicò con un cenno della testa Zabini e Nott, ai propri posti mentre consumavano la cena.
Rose serrò le labbra, esitando. “Beh…”
“Potter ha ragione.” Replicò Scorpius, lanciandogli un’occhiata grata. “Loro lo sanno di sicuro.”
James lanciò un’occhiata a Rose. Sembrava stanca. Era una brava ragazza, rifletté, e anche se era certo che non reputasse Thomas innocente come un agnellino, era angosciata per come stava reagendo Al.

Non avrebbe retto una diatriba con dei serpeverde carognosi, no.
“Ci vado io a chiederglielo.” Si offrì, alzandosi in piedi. “E se non mi rispondono li sbatto come tappeti.”
Jamie!
“Vado io con lui.” La rassicurò Scorpius. “Torneremo vincitori, pantofolina.”

Quando giunsero di fronte ai due serpeverde, James ebbe la spiacevole sensazione che non gli avrebbero detto un bel niente. Zabini sembrava aver ingoiato un limone marcito, da come lo guardò.
Non mi guardavi così quando ti scopavo però, eh?
Suppose dovesse essere la faccia da utilizzare nelle occasioni pubbliche. O forse era ancora un po’ irritato per essere stato scaricato senza diritto di replica.
Forse.
“Salve ragazzi.” Sorrise amabile Scorpius. “Ci chiedevamo se potevate darci una mano.”
Loki alzò lo sguardo dal proprio piatto, dove divorava voracemente – ma con un certo bon-ton – una coscia di agnello arrosto. “Quanto?” Chiese con un sogghigno sgradevolissimo.

E Albie è amico di questi due imbecilli?
“Si tratta di Al.” Replicò Malfoy, senza scomporre il proprio sorriso.
James sentì a pelle che ci fu un mutamento nell’atmosfera. Impercettibile, certo, ma ci fu: da ostili divennero ancora più ostili e protettivi.
“E allora?” Chiese Zabini, tamponandosi le labbra con il tovagliolo. “Non ditemi che non riuscite a parlarci… pare che sia una condizione comune ai membri della sua famiglia.” Ironizzò.
Ehi, coglioni, è mio fratello!
Fece per scattare, ma Scorpius lo fermò con una mano, senza neanche guardarlo.
Possibile che tutti sappiano quando ho intenzione di strapazzare un idiota?!
“Siamo tutti preoccupati per la stessa persona mi sembra. Che senso ha farci la guerra?” Obbiettò ragionevole.
“Chiedilo a Potter.” Ribatté Zabini, scoccandogli uno sguardo disgustato. Non l’aveva mai guardato così.

Ha il dente avvelenato o cosa?
“Voglio solo sapere se mio fratello sta bene.” Sbottò, ingoiando l’impulso di tirare una testata a quel cretino. Che avessero fatto sesso per quasi tre mesi non era rilevante. Non gli piaceva neanche quando se lo portava a letto, dopotutto.
Zabini capitolò, finalmente. “È nella nostra Casa. Ma non vi daremo la parola d’ordine. Chiamatele misure di sicurezza. O semplice buonsenso.” Soggiunse, scoccando un sorriso lievemente meno ostile a Scorpius, che ricambiò.
“Non è là.”
La voce di Nott, notò James, era perennemente velata da una sorta di monotonia. Solo la sua espressione, furba e calcolatrice, stemperava il fatto che non fosse granché espressivo.

Stavolta però non sorrideva. Gli occhi bicolori, così inquietanti, trafissero Zabini.
“Che vuol dire che non è là? E dove dovrebbe essere?” Chiese l’altro serpeverde, perdendo per un attimo l’aria di aristocratica noia che lo contraddistingueva.
“Non ne ho idea. Ci sono passato prima, per prendere delle cose, e non era nella nostra stanza. Né in Sala Comune.”

“Che cazzo significa?” Sbottò James guardandoli. “Allora dov’è?”
Scorpius serrò le labbra, guardando oltre il grosso finestrone dietro il tavolo dei professori.
“È meglio chiamare i professori, Potter. Credo che il tuo fratellino si sia appena cacciato nei guai.”
 
****
 
Londra, Ministero della Magia.
Dipartimento di Applicazione della Legge sulla Magia.
Secondo piano.
 
 
“Beh, il ragazzo è nato morto. E adesso è vivo.” Scott fece una pausa sgradevole. “È la chiave.”
 
 
Harry batté più volte le palpebre, cercando di ricollegare quella frase a qualcosa di sensato.
Smith, accanto a lui, si mosse a disagio sulla sedia. “Che diavolo significa che è la chiave? Vogliono rubare i Doni della Morte, fin qui ci siamo arrivati… Si vogliono servire del ragazzo? E per quale motivo?”
Ethan Scott schioccò la lingua. “Thomas è stato usato come cavia… La Thule faceva esperimenti su esseri umani. Alchimia avanzata, Magia Oscura, molto potente… Thomas è nato morto, secondo le nostre informazioni, ma…”
“Ma adesso è vivo. Come hanno fatto a riportarlo in vita? Non si può, è una legge di natura.” Obbiettò con forza Harry: Era una delle poche certezze che aveva nella vita. I suoi genitori, i suoi amici, per quanto avesse avuto tra le mani oggetti potentissimi e fosse stato la nemesi di un uomo che aveva cercato l’immortalità, non potevano tornare dalla morte.

L’agente Scott esitò. Sembrava seriamente combattuto. “Quello che sto per dirvi sono informazioni confidenziali. Non dovranno uscire da questo ufficio.”
Smith fece una smorfia, ma fu tacitato da un’occhiata imperiosa della propria Direttrice.

“Parli, Scott.” Gli intimò.
L’agente incrociò le braccia al petto. “L’essere umano è composto da corpo e anima. È un assioma che persino i babbani riconoscono. Riportare in vita un’anima significa dare vita, respiro ad un corpo. Non a caso anima significa soffio, respiro, in latino.”
“Taglia corto.” Sbottò Smith nervoso. Lanciò un’occhiata ad Harry.
Per un attimo Harry pensò di essere salito nella sua scala di simpatia. Tra lui e quell’agente americano, sicuramente il Tiratore preferiva lui.

“Il ragazzo che chiamate Thomas Dursley è stato usato come cavia per una metempsicosi forzata. Una trasmigrazione dell’anima, se così si può dire.”
“Reincarnazione.” Spiegò la Direttrice. “Forzata? Nel senso che l’anima di qualcuno è stata fatta entrare nel corpo del ragazzo?.”
“Il corpo del figlio di Hohenheim.” Obbiettò l’americano. “Alla nascita il legame tra anima e corpo è labile. Il corpo è innocente, puro. I neonati infatti sono spesso usati come…”
“Non voglio saperlo.” Sbottò Smith. “Chi è l’anima che ha posseduto quel corpo?”
“Sappiamo da fonti certe che si tratta di…”
“Voldemort.” Lo anticipò Harry, mentre si sentiva in bocca un sapore ferroso, amaro. Aveva voglia di alzarsi e piantarla con quella teatrale chiacchierata.

Scott gli lanciò uno sguardo attento. Poi, semplicemente, annuì.
Merlino, Tom…

In fondo l’aveva sempre saputo. Da quando Coleridge, prima di essere divorato dalle fiamme dell’ardemonio gli aveva detto che sarebbe risorto. Da quando si era reso conto di come Tom fosse troppo spesso simile al ricordo che aveva scorto nel pensatoio di Silente.
Eppure non era Voldemort.
Non era Voldemort il bambino con cui aveva giocato, che aveva portato in moto con sé. Non era Voldemort il ragazzino che gli aveva confessato a mezza voce quanto avesse bisogno di conoscere il suo passato. Non era Voldemort il ragazzo che aveva sofferto mostruosamente in quei mesi perché lui non era stato capace di capirlo.
“Possedere l’anima di Voldemort non fa di lui Voldemort.” Sbottò dopo che la notizia aveva lasciato un silenzio sgomento nell’uditorio.
Scott scrollò le spalle. “Naturalmente… Non è Voldemort. Ma ha un legame con lei, Signor Potter.”
“La parte dell’anima di Voldemort che era dentro di me è morta.” Replicò. Eppure come controbattere? Lui stesso, da quando l’aveva salvato, da quando l’aveva preso in braccio aveva percepito un legame tra di loro.

Era quel legame il motivo per cui non l’aveva lasciato alle cure impersonali del Mondo Magico.
Ma non era più il motivo per cui lo amava come un figlio. Thomas, Tom… era semplicemente Tom. Il suo figlioccio.
Questo era certo.

L’americano scosse la testa. “Signor Potter, l’anima non può morire. È immortale, per sua stessa definizione. Può essere lacerata, frammentata… minata. Ma non può semplicemente scomparire. Rimane sempre una traccia, ovunque essa abbia abitato, forzatamente o meno.” Lanciò un’occhiata alla sua cicatrice, esile, eppure ancora visibile. “La sua cicatrice non è mai scomparsa completamente, non è vero?” E vi gettò un’occhiata.
Harry non rispose. Non doveva certo spiegazioni su un fenomeno che lui stesso non aveva mai compreso a pieno. Pose invece una domanda. “Per questo motivo hanno usato Tom come…”
“Come contenitore, sì.” Scott lo fermò con un cenno della mano. “Può non piacerle la definizione, ma a conti fatti è ciò che è stato. Era la scelta perfetta. Appena nato, con una potente forza magica dovuta alla sua Casata.”
“Quindi lei mi sta dicendo che vogliono usarlo per battermi e possedere i Doni della Morte?”
“Ne hanno già due.” Serrò la mascella Zacharias. “Il Mantello e la Pietra. Manca solo…”
“La bacchetta.” Sembrava che a Scott piacesse interromperli. O forse, a giudicare dalle spalle contratte e l’espressione tesa, sperava di poter concludere velocemente la conversazione. “Possedere i Doni della Morte. È questo ciò pensiamo voglia Hohenheim. E la Bacchetta di Sambuco sarà la sua ultima conquista se non lo fermiamo.”
“Allora non ha capito il suo vero utilizzo. È una bacchetta potente, ma maledetta.” Serrò le labbra Harry. “Io stesso non la uso. Ha portato solo morte. Il suo possessore non è affatto invincibile. Anzi.”
Evitò di dire che sarebbe bastato disarmarlo per poterla avere. Era molto più semplice far credere alla gente che avrebbero dovuto ucciderlo.

Uccidere e disarmare sono due cose completamente diverse.
‘Si deve avere tutt’altro tipo di coraggio per porre fine alla vita di una persona. Meglio che il segreto della Bacchetta rimanga tale…’ 
Era stata un’idea di Hermione, a suo tempo. E lui l’aveva sempre sposata in pieno.
“È ininfluente. I Doni sono ciò che vogliono la Thule e Hohenheim.”
“Potranno avere i primi due doni, ma il luogo in cui è custodita la bacchetta è sicuro.”
“C’è un entrata?” Chiese Scott. “Esiste un’entrata alla tomba di Albus Silente?”
Cadde un silenzio pesante. Smith serrò le labbra, guardando la Direttrice, mentre quella guardò Harry.

Scott sembrò capire al volo quel gioco di sguardi, perché si rivolse direttamente a lui. “Sappiamo dov’è nascosta… L’agente Zimmermann ne aveva scoperto l’ubicazione. È nascosta nel Mausoleo di Albus Silente. Quello che ci chiediamo… c’è un entrata?”
“Se sapete che è lì…” Mormorò Harry. “Non sapete che c’è un entrata?”
E poi capì. Ricollegò improvvisamente un elemento che fino a quel momento era rimasto fuori dall’equazione di John Doe. Il Grimorio. Ziel, o Zimmermann che fosse aveva scoperto dove e come era custodita la Bacchetta. E l’aveva scritto nel suo grimorio.

Che Doe ha rubato… che ha Doe.
Si alzò di scatto e afferrò l’agente americano per il bavero del mantello.
Potter!” Esclamò la direttrice Jones, alzandosi in piedi. “Cosa diavolo…” Si lasciò sfuggire.
“Avete scritto dove abbiamo nascosto la Bacchetta?” Sibilò a pochi centimetri dalla faccia sgomenta dell’uomo. “Il vostro agente ha lasciato una traccia scritta!?”
“Il Grimorio era al sicuro, l’agente Hardcastle doveva recuperarlo!” Scott sembrò improvvisamente a disagio. Era un errore tremendo, plateale, che evidentemente fino a quel momento aveva cercato di tenere nascosto. “Sappiamo che è stata una leggerezza…”
Leggerezza?” Sbottò Smith, saltando in piedi incredulo. “L’intero mondo magico britannico ha protetto questo segreto per anni! Ed arrivate voi americani e lo scrivete su un pezzo di carta?” 

“Su un grimorio. Che è stato rubato.” Continuò Harry con la mascella serrata. “Il furto nell’ufficio del Professor Lupin… Cercavano quello. Non era per la sua biblioteca.”
“Dannazione.” Sbottò Smith. “Dannazione!”

“Doe sta andando là?” Chiese Harry. “Voi lo sapevate e stiamo qui a chiacchierare?”
“Non siamo certi che conosca il modo per entrare!” Esitò Scott. “Che sappia dov’è l’entrata…”
La Direttrice a quel punto si schiarì la voce. “Smith. Allerti i suoi agenti. Circondi il perimetro dell’entrata. Chi è a conoscenza della sua ubicazione?”
“Il Preside. Io. Gente fidata.” Mormorò Harry. “Ma nessuno oltre a noi doveva sapere che la bacchetta era nella tomba!” Ringhiò, lasciando di colpo Scott, che si aggiustò il mantello, tirandosi in piedi piuttosto scombussolato.

“Voglio mettervi a disposizione i miei uomini.” Trovò la forza di dire. “Possiamo esservi utili.”
“Oppure volete prendervi il merito dell’eventuale cattura di John Doe.” Replicò il Tiratore, sarcastico.

“Il caso è sotto…” Iniziò l’americano.
“Il caso da questo momento è sotto la giurisdizione del Ministero della Magia inglese.” Lo interruppe la Direttrice, con un tono che ad Harry ricordò la McGrannit. “Stiamo parlando del rapimento di un mago minorenne inglese, su suolo inglese.  L’indagine appartiene al mio Dipartimento.” Fece una pausa, solo per sbattere una mano sulla scrivania, con violenza. Harry ricordò come quasi trent’anni prima fosse stata sensibile alla sua giovane età e al modo in cui era stato trattato dai Dursley. “Voi americani avete già fatto troppi danni e per colpa vostra un ragazzo sta rischiando la vita. Smith, vada. Adesso.” Ripeté. Poi trafisse con lo sguardo l’agente americano, che ancora esitava. “Ha bisogno che le indichi l’uscita, agente Scott?”
Quello serrò le labbra in una smorfia, ma sembrò capire l’antifona. “Avrete notizie dal mio governo.” disse semplicemente, prima di fare un leggero inchino e andarsene.
Harry non poté fare a meno di lanciarle uno sguardo ammirato. 

Smith intanto uscì senza obbiettare, ben felice di poter troncare i discorsi e tornare ad essere operativo.
Fece per seguirlo, quando la donna lo richiamò. “Potter. Dove crede di andare?”
La guardò attonito, serrando la mascella e sforzandosi di usare un tono cortese. “Con Smith, mi pare ovvio.”
“Crede che sia opportuno, considerando che l’agente Scott ha appena detto che il bersaglio di Doe è lei?”
“Si tratta del mio figliastro, Hestia.” Ribatté, contraendo e decontraendo i pugni. Doveva calmarsi, non aveva senso fare una scenata, rischiando, oltre che una sanzione disciplinare, di essere sbattuto nelle celle del Ministero. “Devo essere lì.”
La donna lo guardò quietamente. “Harry… come le ho già detto una volta, lei è convinto che il mondo intero sia sulle sue spalle. Non solo, che possa essere l’unico uomo della situazione. Ma non è così. Zacharias Smith è un ottimo agente. Uno dei migliori Tiratori. Può non piacerle, ma ha a cuore la salute del giovane Dursley quanto lei.”
“Questo ne dubito.”
“Non è un mio problema.” Replicò dura. “Lei resterà qui. È il bersaglio e la situazione è già abbastanza critica senza che lei si faccia uccidere.” Fece una pausa, inchiodando gli occhi nei suoi. “Questo è un ordine, agente Potter.”
Harry inspirò bruscamente, ma capitolò. Per quanto il suo intero essere si ribellasse all’idea di non essere lì, per prendere quel maledetto bastardo e fargli sputare l’anima a furia di cruciatus, sapeva bene, in fondo, che la donna aveva ragione.

Se venissi disarmato la Bacchetta non sarebbe più mia. Si scatenerebbe una nuova infernale spirale di omicidi… Gregorovich, Grindenwald, Silente, Piton…
Troppi hanno pagato. Troppi.
Non Tom. Non anche lui.
“Sissignora.” Si scollò dal palato, chinando la testa.
La donna fece un secco cenno di approvazione. “Adesso devo chiederle di andarsene. Torni all’ufficio auror e resti lì. In attesa di ordini.” Fece scivolare lo sguardo alla vetrata, da cui si vedeva la piazza principale del Ministero e la gigantesca fontana. “Io devo mandare alcuni Gufi. Questa situazione è stata gestita in modo intollerabile. Il ministro dovrà sapere.”

Harry fece un cenno di commiato, uscendo. Doveva esserle grato per avergli dato la possibilità di assistere a quella conversazione.  
Essere il Salvatore dà ancora i suoi frutti…
Quando le porte meccaniche dell’ascensore lo risputarono nella piazza principale, il desiderio di prendere uno dei camini e arrivare ad Hogwarts fu talmente forte che dovette metterlo a tacere con violenza.
Tom…
Era colpa sua se il ragazzo era in quella situazione. Per lui, per batterlo e prendere i Doni avevano…
Serrò le labbra.

Lo hanno creato.
Era orribile pensare che Tom era tornato in vita per soddisfare il bisogno di onnipotenza di suo padre. Che era stato rapito da un pazzo che non aveva salvato lui, ma il ricordo del suo signore, di Voldemort.
Fece una smorfia amara.
Che ironia… senza saperlo Robin gli ha dato il suo stesso nome.
Ma era diverso. Non c’era nulla, tranne qualche inclinazione caratteriale o qualche tratto somatico ad accomunare Tom Riddle con Thomas Dursley.
Se la sua anima era parte di quella cosa che aveva visto alla stazione di King’s Cross… no, decise che non gli importava.
Si diresse verso l’ufficio, notando con la coda dell’occhio come le persone gli facessero largo naturalmente. Doveva avere una faccia tremenda.
Quando fece per infilarsi nel corridoio che l’avrebbe portato al suo ufficio, si sentì afferrare un braccio al volo. Si violentò per non scattare; sentiva i nervi a fior di pelle.
“Harry!” Esclamò Ron. Aveva il viso stravolto e inghiottiva aria ad ampie boccate. Accanto a lui, c’era Hermione. Erano entrambi in abiti di casa: Ron era in borghese e Hermione era priva di uno dei suoi tailleur. “Finalmente ti abbiamo trovato! Ti abbiamo cercato per tutto il Dipartimento, credo persino di stare per avere un infarto!”
“Sono appena andato via dall’ufficio della Direttrice.” Spiegò, corrugando le sopracciglia confuso: l’espressione di Ron era stravolta. Troppo, persino per i suoi canoni. Hermione invece aveva un’aria angosciata, tormentata.

Maledizione. Cosa adesso?
“Che succede?”
Hermione inspirò, porgendogli una lettera spiegazzata. Non portava nessun sigillo, e sembrava contenere qualcosa.
“Harry, io…” Non fece in tempo a finire la frase, che l’uomo gliela strappò dalle mani, rovesciandola per guardarne il contenuto. Era una ciocca di capelli.
Sentì un brivido gelido ghiacciargli la nuca.
Era una ciocca di capelli castano scuro. Piuttosto lunghi, non rasati come quelli di James…
Merlino, no. No. No.
 
 
Ho i tuoi bambini, Padrone della Morte.
Facciamo uno scambio?
 
 
“Harry, non prendere iniziative avventate. Ti hanno detto di starne fuori, vero?” Hermione gli afferrò un braccio, stringendolo. “Harry, ti prego.”
Harry non scollò gli occhi da quella frase, scritta in una grafia quasi elegante.
“… Non è un bluff, non è così? Non mi stai dicendo che potrebbe essere un bluff, Hermione.”
La donna guardò il marito, come a cercare aiuto. Ron si morse un labbro.

“È arrivata una lettera di Teddy in ufficio, Harry. Me l’ha portata Stump. Albus… Albus è sparito. Non è più al castello.”
Benché l’atrio centrale del Ministero fosse pieno di gente, voci e suoni, attorno a loro sembrò formarsi una cappa di silenzio.
“Lasciami Hermione.” Sussurrò, mentre sentiva che ormai non c’era più niente, né carriera né ordini che potessero fermarlo. “Ha mio figlio.”
“Harry, non puoi…”
Adesso.” Ringhiò, piantandole gli occhi nei suoi. La donna lasciò immediatamente la presa, indietreggiando istintivamente verso il marito. Ron le prese delicatamente le spalle.

“Non ti fermeremo.” Disse serio. “Lascia solo che venga con te, mentre Hermione va da Gin. Non puoi andare da solo.”
“Lui vuole me.”
“Anche Voldemort. Sei mai rimasto solo?” Chiese il rosso, serio. “Verrò con te. Nessuna storia, amico. Stiamo parlando anche della mia famiglia.”

Harry non rispose. Voltò loro le spalle, incamminandosi verso uno dei camini. Sentì i passi di Ron dietro di sé, e come sempre, anche dopo tanti anni, fu il solo suono che gli impedì di impazzire.
 
 
****
 
Note:
Conto alla rovescia!
Prometto che i capitoli angosciosi finiranno con il prossimo. O al massimo quello dopo. Dipende se volete un capitolo risolutivo di cinquanta pagine o due comodi capitolini. ;)
Fidatevi di me, di Harry e del piccolo Albie.

*Scappa dalla finestra*
 
1. Qui la canzone.
 
Anche a questo capitolo sono stata onorata di meravigliose fan-art. Le amo profondamente tutte quante, quindi dateci un occhio. ;)
Family Portrait di Elezar81.
Our Moment (Scorpius/Rose)
Teddy Lupin
The Potter Kids di Iksia.
  
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