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Autore: Ely79    31/05/2010    17 recensioni
Teddy è alle prese con un compito molto difficile: deve scrivere un tema sul lavoro che farà da grande, lui però non ha ancora deciso...
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Black, Teddy Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'La famiglia Lupin'
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Cosa farò da grande
Il venerdì pomeriggio per Teddy equivaleva ad una Passaporta per il divertimento. Appena uscito da scuola filava dritto dalla nonna a fare i compiti, in attesa che mamma e papà andassero a prenderlo. E per quell’ora, doveva essere più che sicuro di aver terminato quanto la maestra aveva assegnato. Solo in quel caso, la Passaporta l’avrebbe trasportato in un mondo di svago con i genitori, meglio noto come week-end.
Quel giorno però, pareva che qualcosa non girasse per il verso giusto. Persino la chioma castano dorata stentava a tornare turchina.
«Allora, tesoro, che compiti ti aspettano per lunedì?» domandò affabile la nonna, posando la merenda fra i libri ed i quaderni sparsi sul tavolino del soggiorno.
Era una scena che la riportava indietro di anni, quando su quello stesso tavolo, nell’identica baraonda, c’era sua figlia. L’unica differenza tra i due stava nel fatto che il caos creato da Teddy sembrava avere un che di metodico: ogni materia aveva il suo mucchio di quaderni, penne, pennarelli, libri e ammennicoli vari, ben distinto dalle altre. Il risultato finale era una serie di rilevati che trasformavano il mobile nella miniatura di un variopinto paesaggio da far-west.
«Devo fare un tema» rispose annoiato, adocchiando la crostata di pesche e il succo di zucca lì vicino.
Lo stomaco gorgogliò con maleducata allegria. Cercò lo sguardo della nonna, per scorgervi un segno d’assenso che arrivò un istante dopo.
«Un tema? Molto bene, me la sono sempre cavata egregiamente in questo genere di cose. Per cui, se ti serve una mano, chiedi pure»
«Voglio farlo da solo, nonna»
Andromeda rimase molto colpita dalla risposta. Di solito accettava il suo aiuto senza batter ciglio, anzi, il più delle volte lo cercava con mille moine.
«E come mai? Non rifiuti mai quando ti do una mano» lo stuzzicò.
Nonna Andromeda era sempre molto disponibile da quel punto di vista e a Teddy piaceva quando lei spiegava le cose. Sarebbe stata molto più brava della sua maestra se avesse saputo cosa studiavano i bambini Babbani, ma non sapendolo spesso il suo aiuto era più simile ad un sostegno morale. Mamma invece faceva sempre un gran confusione e finiva a raccontargli cose di magia che poi non doveva dire in giro. Anche fare i compiti con papà era bello, perché era stato il maestro di zio Harry a Hogwarts e sapeva come rendere le lezioni interessanti. Ed era paziente quando non capiva. Però anche papà talvolta infilava creature e oggetti magici negli esempi che faceva e lui non poteva usarli. Insomma, era un bel pasticcio.
«La maestra ci ha detto di scrivere un tema sul lavoro che vogliamo fare da grandi. Io però non lo so mica cosa voglio fare… Ci sono ancora taaanti anni prima di diventare grande!» esclamò, allungandosi fra il quaderno di matematica e il libro di geografia, rovesciando l’astuccio.
«Suppongo tu abbia tempo per decidere,» disse la donna, riordinando le matite colorate con un colpo di bacchetta, «ma davvero non c’è niente che ti piacerebbe fare? Non so… il domatore di draghi, ad esempio»
Teddy la guardò scettico.
«Nonna, zio Charlie l’ha detto un milione di volte che i draghi non si possono domare! Se non lo sa lui!»
«Potresti essere il primo» suggerì divertita, ma il nipotino seguitava a mostrare la poca considerazione che aveva della cosa. «Oh, va bene! Che ne dici del medimago? Con tutti i cerotti che metti a tua madre e tuo padre… Oppure conducente del Nottetempo? O il giocatore professionista di Quidditch?»
«Ma se dici sempre che mi faccio male se vado sulla scopa!» protestò.
«Giusto. Bene. Almeno sappiamo cosa non farai» sottolineò categorica. «Il naturalista? Insomma, sei sempre a zonzo con i tuoi amichetti a cercare gli animali più assurdi…»
«Nonna, non lo so! Sono piccolo!» sbuffò, addentando la fetta di torta.
«Sciocchezze! Hai otto anni e sei mio nipote, hai un quarto di sangue Black! Fidati di quel che ti dice la nonna: noi sappiamo sempre qual è il nostro destino, fin dalla nascita!» esclamò orgogliosa.
Da dietro il bicchiere, gli occhi castani del bambino la fissarono colmi di sorpresa.
«Tu sapevi che finivi a fare la casalinga, nonna?»
La donna trasecolò, tentando di non darlo a vedere. Si alzò e, dirigendosi impettita verso la cucina, gli intimò torva:
«Mangia e scrivi quel dannato tema» sibilò.
Non se l’era presa per la domanda di Teddy, sarebbe stato sciocco. Quello che la feriva era aver detto una cosa priva di qualsiasi fondamento, una tipica frase dei Black per giunta. Se fosse stato come aveva detto, avrebbe saputo in anticipo della morte di Ted ed avrebbe potuto fare qualcosa per evitarla. Avrebbe impedito a Bellatrix di allearsi con Vodemort. Avrebbe fatto tante cose se avesse conosciuto il suo destino in anticipo. Sarebbe stato tutto diverso.
Tornò a riprendere il piattino ed il bicchiere, ormai sconsolatamente vuoti. Era passata un’ora ed il foglio era immacolato. Sedette accanto al nipote, sul divano.
«Ancora nessuna idea?»
«No» sbuffò, i capelli che stazionavano su una smorta tonalità verde muschio.
Andromeda guardò la pila di giornali che il piccolo aveva sfogliato inutilmente in cerca d’ispirazione. Con ogni probabilità Strega moderna e Cucina magica non erano letture adeguate allo scopo.
«Forse una soluzione c’è. Potresti barare»
Il bambino si voltò con un’espressione indecifrabile sul viso.
«Barare?» chiese perplesso.
«Sì. Racconta del lavoro di qualcuno che conosci e a cui vuoi bene. Un lavoro che possa essere scambiato per un lavoro da Babbano. Tua madre e Harry sono un Auror, e fra i Babbani c’è una cosa chiamata polizia, no? Potresti parlare di quello. Oppure il signor Paciock, che s’intende di piante e potrebbe essere un erborista. Così avresti un mestiere da raccontare senza problemi e dire che un giorno vorresti fare quello, anche se non è vero. Nessuno t’impone di…»
«Mamma!» tuonò una voce femminile dietro di loro.
I due sobbalzarono, scoprendo alle loro spalle una donna dai capelli rosso acceso, irti come gli aculei di un istrice, e gli occhi completamente neri da vampira.
«Ninfadora, quando sei arrivata?»
La Metamorphomagus girò rapidamente intorno al divano, trascinandosi dietro la borsa, il tappeto ed una sedia. Dietro di lei, il marito agitava la bacchetta per impedire danni peggiori.
«Sono arrivata in tempo per non farti trasformare mio figlio in un… un… non lo so nemmeno io cosa!» sbraitò, allungando un calcio al tavolino e facendo franare malamente i monticelli di dote scolastica.
«Il mio voleva essere solo un suggerimento»
«Anche l’Avada che mi ha lanciato zia Bella era un suggerimento?» ringhiò.
Andromeda balzò in piedi, infuriata quanto la figlia. Non le piacevano quei paragoni.
«Ninfadora…»
Teddy guardò con gratitudine suo padre mettersi in mezzo con cautela.
«Calma, signore, siamo appena arrivati. Non c’è bisogno di scatenare la terza guerra magica per un compito»
«Calma?!? Calma un Fico Strombo*, lupacchiotto! Questa volta ha passato il segno! E non tentare di farmi ragionare!»
«Perché? Ci sono mai riuscito?»

***

«Fi-ni-to! Fi-ni-to!» canticchiò Teddy entrando trionfante in cucina.
Mentre gli adulti di casa sgombravano la tavola dopo cena, lui era corso a terminare i compiti. Finalmente il tema era pronto per essere portato a scuola il lunedì successivo, previe correzioni.
«Leggi! Leggi, papà!» disse cacciandogli tra le mani il compito.
«Ecco, lo dovevo sapere che avrebbe scritto che vuol fare il professore!» borbottò Tonks. «Professor Lupin due, la vendetta delle codine pelose!»
Sapeva che quando suo figlio puntava una persona in particolare, questa era direttamente coinvolta in quel che lui aveva fatto. In questo caso, visto che tra l’infinita serie di proposte avanzate per solleticare la sua fantasia c’era anche l’insegnamento, era evidente che il più interessato fosse suo marito.
«No, no, mamma! Io non voglio fare quello. Voglio fare quello che fa papà!»
Remus, Andromeda e Tonks si scambiarono un’occhiata perplessa. Il lavoro al Ministero non era niente di entusiasmante, solo un mucchio di scartoffie e qualche creatura che veniva a lagnarsi di tanto in tanto.
«Va bene, vediamo cosa ambisci divenire nel prossimo futuro» sorrise Remus, prendendo in mano il quaderno.
Il testo era piuttosto sintetico, all’incirca una pagina. D’altronde non era richiesto ad un bambino di quell’età di prodursi in poemi epici. La calligrafia sghemba e piuttosto larga era intervallata da cancellature e macchie d’inchiostro.
Cominciò a leggere. Ad ogni parola, un po’ di colore scivolava via dal suo volto e gli occhi si spalancavano sempre più. Miracolosamente, la bocca restava semichiusa, atteggiata in qualcosa che avrebbe potuto essere una sorta di ghigno isterico.
«Tesoro, tutto bene?» ma l’uomo non rispose, continuando a scorrere il tema con aria a dir poco sconvolta.
«Teddy, cos’hai scritto? Tuo padre non ha un bell’aspetto» chiese Andromeda preoccupata.
«Ma no, è bello! Vero, papà che è bello?» domandò speranzoso, saltellando aggrappato alla sedia.
Finalmente, il genitore parve riaversi e guardò la cucina come fosse la prima volta che vi si trovava. Allungò la mano dietro di sé, scompigliando i capelli turchesi ed abbozzò un sorriso stentato.
«Forse è meglio che anche la mamma e la nonna ascoltino il tuo componimento, che dici?»
Remus si schiarì la voce e cominciò a leggere.

Cosa farò da grande, di Ted Remus Lupin

Io da grande voglio fare il lupo mannaro.
I lupi mannari aiutano a mettere in ordine le soffitte delle case. Spostano gli scatoloni e i mobili vecchi che la gente mette nel sottotetto perché in casa non ci stanno più o perché non servono o sono scassati. Così quando la gente sale a cercare le cose che ha messo via le trova sempre in ordine, perché il lupo mannaro gliele ha sistemate. L’unica cosa è che bisogna stare attenti a non fargli sistemare l’argenteria, perché sono allergici e se la toccano perdono tutto il pelo e gli si staccano le orecchie e la coda.
Nessuno va a dire ai lupi mannari cosa devono fare o va a sgridarli, perché sono bravissimi a fare quello che fanno da soli. Loro salgono di sopra prima che fa buio e dopo aver salutato tutti, perché sono molto educati e rispettosi. Poi non li si vede più fino alla mattina dopo, quando scendono per fare colazione. Pure lì salutano tutti anche se sono davvero tanto stanchi e gli fa male dappertutto. Certe volte si addormentano sulla tazza dei cereali.
Non bisogna andare a disturbarli quando stanno lavorando nelle soffitte, perché a loro piace restare sempre molto concentrati su quello che fanno, così possono farlo meglio. Non sono degli scansafatiche e si capisce perché mentre lavorano non si lamentano e non brontolano, anche se fanno tantissimo baccano e i muri tremano. Non rompono mai niente: i lupi mannari sono fortissimi e hanno le mani giganti, così le cose non gli scappano sul pavimento. Se le cose si spaccano è perché erano già un po’ rotte prima. Ululano per far capire quando hanno finito di fare qualcosa, così la gente è avvertita.
Lavorano una volta sola al mese, di notte e con la luna piena per vederci meglio, così non fanno spendere i soldi della luce alle persone. Possono fare le cose anche d’inverno quando fuori fa freddo e c’è il ghiaccio, perché hanno la pelliccia e non devono riscaldarsi. L’unico problema che hanno è che sbavano un po’, ma quando finiscono di lavorare puliscono sempre e non si accorge nessuno che hanno sporcato.
Siccome i lupi mannari lavorano tanto in una sola volta, il resto dei giorni dormono o vanno a giocare o fanno altre cose.

«Ti piace papà? Sei contento?» domandò trepidante l’autore.
«Ecco, Teddy… come dire… è…» iniziò la madre.
«Sì, vero… è… Remus?» proseguì incerta la nonna.
«Un’interpretazione affascinante» concluse il padre.

***

Erano quasi le ventitré, quando i coniugi Lupin si affacciarono nella cameretta del figlio. Il bambino dormiva tranquillo, una gamba penzoloni e la casacca del pigiama sollevata fino al mento.
«Vorrei proprio sapere come gli è venuto in mente di voler fare il licantropo» disse piano Remus.
Una punta di tristezza gl’incrinava la voce. Mai avrebbe pensato che suo figlio avrebbe visto la sua maledizione come una cosa positiva. Lui non c'era mai riuscito.
«Già, chissà…» fece eco la moglie, allontanandosi di un passo e sbattendo col ginocchio contro la gamba del consorte.
Cercò di arrancare verso la camera da letto, ma si trovò la strada sbarrata da un dolorante lupo mannaro.
«Chissà chi gli avrà detto che sto di sopra a mettere in ordine tutte le cianfrusaglie che trovo?» mugolò, massaggiando dov’era stato colpito.
«Mah! Evidentemente, nostro figlio ha un’immaginazione galoppante» e tentò di fintare a sinistra per passare a destra, ma lui non cadde nel tranello e dovette restare dov’era.
«Tu davvero non ne sai niente?»
«Io?!?» sbottò, tuffandosi nel poco spazio tra l’uomo il muro, incastrandosi nel mezzo. «Ma come ti vengono certe idee?!?» ansimò dibattendosi a più non posso.
Era appena riuscita a sgusciar via e a fare due passi, che si sentì afferrare per un braccio. Guardò con la coda dell’occhio dietro di sé. Gli occhi vagamente fosforescenti di Remus erano socchiusi e indagatori.
«Dora?»
«Sì?» rispose melensa, sbattendo sfacciatamente delle ciglia da cerbiatta per farlo calmare.
«Perché hai i capelli color mandarino?»
Rispondere era inutile, il risultato dell’equivalenza le si era stampato addosso a caratteri cubitali. Si lasciò trascinare indietro senza opporre resistenza e sospirò sconfitta.
«Uff… e va bene, sono stata io. Ma è solo colpa tua!»
L’accusato strabuzzò gli occhi.
«Mia?»
«Sì! Non gli hai mai permesso di vederti durante la trasformazione e io ho…»
«Dora, sai quanto…» attaccò a urlare, tappandosi la bocca ad un lamento del bambino che si rigirava nel letto, per proseguire sottovoce. «Sai quanto può essere pericoloso! La Pozione Antilupo non sempre lascia intatte le mie facoltà mentali! Correrei il rischio di aggredirvi, lo capisci?»
«Certo! Ma cosa dovevo raccontargli? Che giocavi a Sparaschiocco? E poi lamentati con Harry, è a lui che è scappato che sei un mannaro! Teddy ha voluto approfondire. È un bambino, cosa t’aspettavi? Che non chiedesse cos’è esattamente il suo papà?»
Per un attimo le parole incespicarono nella mente di Remus. Aveva fatto una bella tirata d’orecchie ad Harry per essersi fatto sfuggire quel dettaglio anzitempo. Voleva spiegare a Teddy il suo problema di persona, una volta che fosse stato abbastanza grande da capire come stavano le cose, invece era andato tutto a monte.
«C’è una bella differenza tra il dirgli cosa sono in realtà e trasformarlo in un mestiere» obbiettò risentito.
«Con tutto il casino che fai, dovevo trovare una spiegazione! Cosa dovevo dirgli? “Non preoccuparti Teddy, questo è papà che sta masticando una trave”? Oppure “Oh, questo è papà che cerca di scardinare la botola. Tra un po’ viene qui e ci mangia”! Pensaci un attimo. Avrebbe cominciato a starti lontano se gli avessi detto la verità. Avrebbe avuto paura e lui non può aver paura di te, sei suo padre! Così mi sono inventata la storia delle pulizie. Insomma, raspavi dappertutto, spostavi le cose… Ora sa che non deve venire su quando lavori e che non sei un lupo cattivo» concluse dolcemente.
«Dora, io sono…» provò a ribattere.
«Sei suo padre e fai due lavori. Fine della storia» ribatté perentoria entrando in camera da letto e lasciandolo solo nel corridoio a rimuginare.
«Ehm… Remus?»
L’uomo si girò appena. Lei sorrideva, mostrando maliziosa una coscia fra la porta e lo stipite.
«Ci sarebbe da riordinare la nostra camera… conosci qualche lupo mannaro abile e molto volenteroso?»

*Fico Strombo: vi prego, non chiedetemi cos’è. Non lo so nemmeno io.

Dedico questa one-shot a tutti coloro che hanno letto la mia precedente "Un bagno con papà". Grazie mille per tutte le letture e le recensioni!
   
 
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