Ciao a
tutti!
Grazie
Berry di avermi commentato e scusa se non riesco più a
commentarti,
ma non mi va internet è Chiara cha mette tutti i miei
capitoli su rete e mi
dice come vanno i commenti e così via, quindi leggo un
po’ solo da lei,
peccato, mi dispiace.
“Sole”
mi piaceva molto, ma sono indietro di due capitoli. Li
leggerò
presto e scusami ancora per i commenti mancati.
Ma tu hai
tante letture quindi non preoccuparti. Alla prossima ok? ^^
_________________________________________________________________
Capitolo
22
Irea
camminava a grandi passi per quei corridoi bui
sperando di essersi sbagliata, doveva essersi sbagliata.
Se
aveva ragione, era un disastro, un immenso disastro.
Raggiunse
la porta e chiuse gli occhi, cosa poteva essere
successo a Caen?
Poteva
anche essere morto.
Rabbrividì
al solo pensiero, no, non era impossibile non
poteva davvero essere accaduto, l’avrebbe sentito,
l’avrebbe capito.
Bloccò
i suoi pensieri lasciando solo silenzio nella sua
mente e appoggiò la mano sulla maniglia, la girò
lentamente.
Guardò
dentro e per un attimo il tempo le sembrò
immobile, rarefatto, come se averne una cognizione fosse impossibile.
Tutto
era statico, come alleggiante in un eterno
incantesimo.
Caen
era lì, nella biblioteca proibita, steso a terra, il
mantello che si avvolgeva al suo corpo rendendone anonime le forme.
I
capelli rossi erano scarmigliati e il viso sciupato,
tirato in un’espressione sofferente, gli occhi erano
socchiusi e i pensieri
agitati da chissà quali incubi.
Nella
mano sinistra stringeva un libro, stranamente nero,
mentre i libri bianchi, quelli proibiti, erano sparsi disordinatamente
attorno
a lui.
Lei
scrutò il suo viso quell’espressione sofferente
eppure così immensamente dolce, sentì il cuore
farle un balzo nel petto…
No,
non poteva distrarsi in pensieri inutili, doveva
salvarlo, prima che arrivassero i Sacerdoti, prima che fosse la fine.
-Caen?-
lo mormorò piano, quasi pentendosi di aver rotto
quell’incantesimo.
Lui
si riscosse lentamente sbattendo più volte le
palpebre e alzandosi a sedere, la luce calda delle torce donava al suo
volto
ombre scure che gli sottolineavano i lineamenti scarni.
-Irea…-
mormorò con voce roca tenendo ancora fra le mani
il piccolo libro nero.
Nei
suoi occhi, che lei aveva osservato tanto a lungo, vi
leggeva una consapevolezza nuova e entrambi le parevano di quel azzurro
glaciale.
-Irea
che ci fai qui?- Caen si massaggiò la testa e con
un’espressione
pensosa guardò il libro che teneva fra le mani e lo
lasciò improvvisamente
cadere a terra, quasi ne avesse paura.
-Cosa
ci fai tu!- ringhiò lei facendo il tono più basso
che poteva –Siamo nella libreria proibita!
Lui
riassemblò velocemente tutti i suoi ricordi e i suoi
pensieri –Io…che ore sono?Da quanto tempo sono qui?
-Sei
qui da stamattina, credo, sono le nove di sera.
Caen
si massaggio di nuovo la testa, non avrebbe mai
dovuto leggere quel diario, eppure, eppure sentiva che era giusto, che
doveva,
per se stesso, per Josh…
Soprattutto
per Josh.
Raccolse
il libro e se lo infilò in una tasca del
mantello, Irea gli parlava preoccupata, nervosa forse, non
l’aveva mai vista
così, anche lei sotto quella scorza di immobilità
provava sentimenti “umani”.
Ma
lui non l’ascoltava davvero, la guardava muoversi, e
ascoltava il suono delle parole senza coglierne davvero il senso.
Le
sorrise, un sorriso sghembo e inquietante che la
colpì, era come se il vecchio Caen si fosse perso nei
meandri di quelle lastre
di ghiaccio che aveva al posto degli occhi e ora fosse perduto per
sempre.
Cos’era
successo ai suoi occhi? Dove chiederglielo, forse
nemmeno lui sapeva…
No,
non doveva distrarsi, doveva portarlo via –Caen non
fare così, dobbiamo andarcene!
Lui
sembrava non capire, Irea allora prese la mano del
rosso fra le sue, era calda e la sentiva così
vicina…
-Se
arrivano i sacerdoti siamo finiti!
Stavano per
uscire, potevano farcela, potevano…
Improvvisamente
una voce severa dall’accento duro li
fermò gelandoli dal terrore –Dove state andando
voi due?- a parlare era un uomo
alto, massiccio, completamente incappucciato in un mantello bianco: un
sacerdote.
Caen
si voltò verso l’uomo, il suo sguardo bruciava
d’ira
e un sorriso di sfida gli si era dipinto in volto sfigurandolo.
Era
impossibile per lui immaginare quale mostro
sanguinario si nascondesse in quella figura, dietro quel cappuccio,
sperò che
il suo sguardo lo trapassasse da parte a parte come infinite lame.
Il
Sacerdote sembrò sostenere la sua occhiata da sotto il
cappuccio, eppure tremare pensando a quegli occhi di ghiaccio.
Chi
è questo ragazzo che mi fissa con tanto odio?
La
luce era potente, potentissima, tutto era bianco,
accecante e violento.
La
donna sbatté le palpebre più volte e al bianco si
contrappose il volto di un ragazzo: vedeva i suoi capelli castani, un
ciuffo
che gli cadeva disordinato sugli occhi, poi nient’altro,
tutto era sfocato come
in un sogno.
La
fissava preoccupato dall'alto in basso -Stai meglio
ora?- la sua voce era calda, accorata e quegli occhi grigi la fissavano
in modo
quasi paterno.
Lei
si massaggio le tempie, non ricordava com'era
arrivata lì, chi era quel ragazzo?
Che
era successo?
Ma
il semplice domandarselo le fece ritornare alla mente,
vividi, prepotenti e devastanti quei ricordi che avrebbe voluto non
avere.
Istintivamente
si sfiorò il collo con la mano, sentiva
ancora un dolore tremendo e la pelle bruciava.
-Stai
meglio?- le chiese ancora il ragazzo avvicinando il
suo volto pericolosamente al naso della donna.
Lei
arrossì -Io... - la sua voce era roca e strozzata
come se ancora qualcuno le stesse stringendo il collo, -sì
sto meglio.
Il
ragazzo sorrise, un sorriso strano, che sembrava
nascondere un'anima ben più complessa.
Prima
che lei riuscisse a domandargli qualsiasi cosa lui le
porse una tazza di latte fumante ammutolendola, il fumo usciva
rassicurante e
le penetrava nel naso scaldandole le guancie.
Lei
soffiò cautamente sul latte e poi bevve lentamente.
Il
suo cuore, che ancora batteva frenetico nel petto, si
sentì scaldato da quel liquido dolce che le scendeva
bollente lungo la gola.
Solo
allora ebbe il coraggio di domandare -Come ti
chiami?
Il
ragazzo smise di bere il latte e le sorrise mostrando
denti bianchi e regolari -Harry - pronunciò -Mi chiamo
Harry, tu?
-Nadia...-
mormorò lei schiva bevendo subito dopo un
sorso di latte che la scaldò piacevolmente.
-Come
hai fatto?- chiese poi a bruciapelo sorprendendo il
castano.
-A
fare cosa?- domandò lui fingendo di non capire a cosa
potesse alludere.
-Come
hai fatto a salvarmi?- chiese di nuovo Nadia
-Voglio dire, non offenderti, ma lui era così massiccio e tu
così...così
gracilino.
Harry
deglutì a vuoto, le mani che si muovevano nervose
–Ehm, io non ho visto l'uomo che ti ha aggredito, doveva
essere solo un ladro e
quando ha sentito i miei passi sarà fuggito.
Mentiva,
lei lo vedeva, le pupille si agitavano nuotando
disperate per la stanza, ma per il resto dei suoi lineamenti sembrava
essere
rimasto impassibile, come se fosse abituato a mentire.
Inoltre
Nadia si ricordava benissimo quella frase
"Toglierti l'anima", non sembrava scherzare, per di più il
suo
aspetto era così strano.
La
ragazza studiò ancora il misterioso ragazzo e decise
che forse era meglio tenersi quei dubbi lancinanti solo per se.
-Dove
mi trovo?
-Non
molto lontano dal luogo dell'aggressione, a casa
mia.
Lei
lo guardò stupita -Così giovane e già
vivi da solo?-
lei, che già frequentava l'università da due
anni, non se la sentiva ancora di
vivere da sola.
Lui
ridacchiò -Oh no, hai frainteso, ci vivo con mia
madre, sono ancora minorenne io e poi non c'è voluto molto a
convincerla a
lasciarci soli.
Rimase
un attimo in silenzio con lo sguardo perso nel
vuoto, uno sguardo che le sembrò tristissimo -Lei
sa…- riprese lui mormorando –Lei
sa che io ho molti segreti.
Gli
occhi di Harry si riflettevano nel bianco del latte
con rassegnazione, c'era qualcosa di sbagliato in lui, qualcosa di
radicato
profondamente nel suo cuore.
La
ragazza sussultò, pentendosi di aver sentito quella
frase –Scusa- balbettò –Io non volevo,
cioè non credere che…
Lui
le sorrise ancora, un sorriso mesto e falso: -L’ho
detto di mia spontanea volontà, mica mi hai forzato a farlo.
Nadia
lo fissò, la domanda le premeva nella gola e lei
cercava di resisterle.
Ma
quello sguardo profondo e quegli occhi color del cielo
d’inverno la perdevano e la sua anima affogava in quel grigio
lago di
tristezza.
Deglutì
a vuoto –Ascolta, io…- si interuppe studiando lo
sguardo del ragazzo -Io
ho sentito
quell’uomo dire una cosa strana…
Harry
sgranò gli occhi, ma cercò di non tirare in alcun
modo gli altri muscoli del viso –Cosa?
-Ha
detto che mi avrebbe tolto l’anima, per di più era
strano, i suoi occhi…- tremò fermandosi era
terribile ricordare.
-Toglierti
l’anima?- Harry finse di non sapere, era un
bravo attore, dopotutto aveva recitato per così tanti anni
una vita che non gli
apparteneva.
Per
troppi anni.
Nadia
non rispose ancora sconvolta, quell’immagine del
viso dell’uomo vicinissimo al suo, il suo alito, le sue mani
attorno al collo
che la stringevano, le sue braccia muscolose e il suo sguardo.
Degli
occhi tremendi, carichi d’odio e affogati nella
rabbia: uno dorato e l’altro azzurro.
Strinse
le mani contro la ceramica della tazza, doveva
farsi coraggio, alzò il volto, e fissò con aria
fiera Harry –Tu, tu ne sai
qualcosa, vero?- il castano la guardò spaventato e poi finse
di sorridere.
-Cosa
dici?Io ti ho solo salvato non ho visto nulla.
-Lo
hai visto, sono sicura, la sua pelle scura, i suoi
occhi uno diverso dall’altro, i suoi lineamenti marcati, il
suo mantello.
Harry
la guardò fingendosi divertito – Tizio strano eh?
Non devi preoccuparti lo denunceremo alla polizia con un aspetto
così non
passerà certo inosservato.
-Zitto!-
lei gli gridò guardandolo con rabbia –Ho capito
che nascondi qualcosa, lo so, ti prego dimmi chi era
quell’uomo!
-Io
non so niente!- ruggì Harry ignorando l’occhio che
improvvisamente
bruciava -Io non so assolutamente niente!
Si
alzò in piedi voltandole le spalle, la rabbia che
fremeva dentro di lui in modo inconcepibile, i pensieri che viaggiavano
impazziti susseguendosi fin troppo velocemente.
Nadia
lo guardò: le sue spalle le sembravano così
grandi
e piegate da così tanti ricordi tremendi da non poterne
sostenere più.
-Harry?-
allungò un braccio e strinse fra le sue dita la
mano del ragazzo.
Lui
sussultò e si voltò, fu un attimo, una visione
fugace, appena accennata, ma vide un odio disumano sfigurare il volto
del
ragazzo.
Harry
si allontanò sempre mostrandole le spalle –Basta!-
ringhiò trattenendosi –Se stai meglio, vattene,
c’è qualcosa di sbagliato in
me, ma non puoi capire- riprese il respiro che si era fatto tremolante.
–Io
sono, - si passò una mano con disperazione sul volto -Sono
sbagliato, non sono quello che credi, io.. - si interruppe, delle mani
gli
cingevano lo stomaco e sentiva il volto della ragazza sprofondare
contro la sua
schiena.
Quell’abbraccio
lo stringeva dolcemente e le mani di lei
lo trattenevano materne, il petto di Nadia poggiato sulla sua schiena e
il suo
viso nei suoi capelli.
-Io
sono sicura che non ci sia nulla di sbagliato in te-
il tono della sua voce era dolce e ogni parola scendeva come miele su
Harry
inondandolo.
Però
ancora le sue mani tremavano pronte a uccidere la
ragazza senza pietà, con un gesto veloce e tremendo.
Il
fremito si interruppe, il calore del corpo di quella
ragazza era dolcissimo su di lui, tutto si sciolse e sentì
il bruciore svanire
dal suo occhio.
No,
non poteva lasciare che quel momento durasse.
La
stava spingendo verso di lui, verso l’inferno, verso
un baratro da cui non c’era uscita, no, non anche lei.
La
spinse via con malagrazia facendola cadere sopra il
divano –Vattene!- gridò –Non puoi
capire, non sono che un mostro!
Nadia
lo fissò comprensiva, gli occhi acquosi e
risplendenti di una luce calda-Io non credo che tu sia un mostro.
-Sta
zitta!- il suo occhio sinistro bruciò –Non puoi
capire, io sono uguale a chi ti attaccato non credermi diverso solo
perché ho
provato pietà per te!
La
ragazza rimase in silenzio e si alzò in piedi, il suo
braccio si avvicinò al volto di Harry scostandogli i capelli
che ora gli
cadevano sopra gli occhi –Non dirti queste cose.
-Non
punirti da solo.
Improvvisamente
la ragazza sussultò continuando a
guardarlo confusa negli occhi, il castano perso nei suoi non
decifrò la sua
espressione.
Il
ragazzo vagava nella sua immaginazione, dove ora vi
era solo lei, il suo sorriso bellissimo, i suoi occhi color nocciola,
la sua
pelle rosea, i suoi lunghi capelli.
-I
tuoi occhi!- esclamò lei tremante senza smettere di
sostenere con la mano i ciuffi di Harry.
Il
ragazzo trasalì chiudendoli, era stato stupido credere
che Nadia potesse anche solo fidarsi di un assassino come lui.
Si
allontano da lei –Non volevo che tu vedessi la
verità-
mormorò –Anch’io sono uguale a
quell’uomo- Harry si interruppe soppesando le
parole da dire -Le
mie mani sono
macchiate di così tanto sangue che è ormai
impossibile ripulirle.
Vite
su vite si sommavano sulle sue dita, litri e litri
di sangue lo inquinavano, era solo un assassino, una creatura orribile
senza
pietà e indegna di provare sentimenti umani.
-Harry…-
mormorò lei cercando di avvicinarlo –Cosa
significano quei occhi?
-Significa
che non sono umano…- lo disse con difficoltà
vomitando quelle terribili parole con fatica, dirlo a lei era come se
una
freccia gli trapassasse il cuore.
-Vattene
ti prego- sussurrò il ragazzo -Non voglio che tu
cada in questo baratro, se qualcuno di quegli assassini ti avesse visto
con me,
saresti già morta.
Si
voltò verso di lei, gli occhi entrambi grigi e
malinconici –Non voglio che succeda.
Nadia
lo guardò, non poteva fare nulla per lui, sentì
il
suo cuore spezzarsi sotto quello sguardo mesto e profondo.
*Milli
Lin*