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Autore: velenosa    03/06/2010    0 recensioni
mia prima "fanfic" ... un po deprimente,lo so, solitamente non sono cosi pessimista, però credo che tutti prima o poi possano sentirsi "cosi". piccola oneshot che parla di un bellissimo angelo e del suo primo volo.
Genere: Malinconico, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Mob… che fai Mob?”
Il giovane si guardò le mani con espressione incredula, come per persuadersi di essere veramente li.
Erano mani piccole e grassocce, arrossate sulle nocche dal freddo di quei giorni.
La voce nella sua testa continuava a sussurrare “Mob, cosa vorresti fare, piccolo Mob?”
La voce di sua madre era sempre stata un po’ nasale, petulante. E poi quel soprannome.
“Mob”
Cioè, da piccolo gli piaceva, è vero. Adorava quando sua madre lo stringeva al seno florido, tanto forte da fargli quasi male, e gli mormorava, col suo alito caldo che sapeva sempre un po’ di aglio, “ Mob, mio piccolo Mob”
Ora però Mob era cresciuto, la madre era vecchia e le sue braccia erano solo ossa, ricoperte di pelle rugosa. Il suo abbraccio era molle e freddo.
Alzò finalmente il viso al cielo: le nuvole si assiepavano l’una sull’altra in infinite tonalità di grigio.
Presto sarebbe piovuto.
Si avvicinò al parapetto dell’alto edificio color cemento. Le antenne televisive fiorivano dal pavimento come alberi supplici di preghiere inascoltate.
Chiuse gli occhi, mentre la voce familiare della madre era sempre più flebile, come ovattata “Mob, torna a casa, ti prego”
Qualcosa pareva stringergli la gola in una morsa. Tentò di deglutirla ma non ci riuscì.
Aprì gli occhi e guardò dinnanzi a sé. La città splendeva di frammenti d’argento sotto al cielo plumbeo, gonfio di pioggia.
Un'unica lacrima scivolò dalle sue palpebre, scorrendo lenta sulla guancia.
Finalmente c’era riuscito. Era riuscito a diventare ciò che si era sempre sentito di essere.
Il vento cominciò ad aumentare sommuovendo i lunghi capelli biondi. Il giovane sorrise inclinando un poco il capo.Gli occhi color indaco brillavano, mentre inspirava con piacere l’aria fredda. Scrollò le spalle tornite, appena celate da una tunica bianca, e due grandi ali si spiegarono in tutta la loro magnificenza coprendo il suo corpo atletico. Si voltò a guardarle, ridendo sommessamente.
La voce nella sua testa non era più che un flebile rumore di sottofondo, lontana oramai mille e mille miglia.
Salì sul parapetto, guardando la caotica via cittadina sotto di lui, ingombra di auto in sosta vietata e autobus in coda. Aprì le braccia, stirando una per una le sue dita affusolate, nella posizione che aveva visto assumere ai tuffatori della tv.
Si gettò nel vuoto, mentre lacrime di gioia si nebulizzavano attorno a lui.
E fu bellissimo.
Oh si, bellissimo. E pensò che si, ne era valsa la pena. I palazzi roteavano sotto di lui come buffi caleidoscopi, i panni stesi lo salutavano simili a palloncini colorati, il rumore del traffico divenne sibilante fino a farsi musica sottile. E allora si sentì finalmente felice. Si sentì vivo.
Un tonfo sordo. Grida, rumori di auto, rumori di sirene. Una donna prese per la casacca un giovane vestito di bianco “l’ho visto, s’è buttato! S’è buttato!”
Sembrava sconvolta, indicava quello che avrebbe potuto essere un cencio grigiastro riverso sull’ asfalto. Un uomo. Un uomo di mezz’età, stempiato, vestito con una giacca e dei pantaloni di cattiva qualità. Era grassoccio e di corporatura tarchiata. Da sotto al suo cadavere fluiva un liquido denso e rosso che colorava il cemento. Molta gente si radunò attorno al morto.
Alcuni dicevano “era un pazzo”
Altri suggerivano “era un depresso”
Uno disse “era un codardo”
Una bambina si chinò sul corpo raccogliendo qualcosa, prima che gli infermieri potessero allontanarla.
“ no, era un angelo” disse stringendo nella mano una meravigliosa piuma bianca.
  
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