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Autore: Bel Riose    04/06/2010    1 recensioni
La mia seconda one-shot "bizantina" ha per protagonista Giovanni V Paleologo, altro imperatore sconosciuto della dinastia Paleologa. Qui, egli narra per sommi capi le vicissitudini della sua vita.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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14 di febbraio dell’Anno del Signore 1391.
E’ uno strano tramonto quello che vedo dinanzi ai miei occhi, mentre sto appoggiato ad un muricciolo.
Un sole opaco, che emana i suoi raggi sulla piatta calma dell’acqua che bagna il Corno d’Oro.
Forse è l’ultimo momento di calma che vedrò.
Sento che le ultime forze sono in procinto di abbandonarmi, ma non sono dispiaciuto.
Tutt’altro.
Penso di aver visto e sopportato tanto, durante la mia vita.
Troppo.
Nove anni, avevo, quando mio padre, il basileus dei Romani, Andronico III Paleologo, lasciò questa vita.
Nove anni, quando divenni, almeno in teoria, l’imperatore di Bisanzio.
Ricordo bene quegli anni, così come tutti quelli che li succedettero. Come una maledizione ancestrale, la mia vita mi perseguita.
Ricordo quell’uomo che fu Giovanni Cantacuzeno, il mio reggente, amico di mio padre, e che tentò inutilmente di porre rimedio ad una situazione disperata.
Ricordo anche che a quell’epoca lo ritenni un incapace, poiché non riuscì a salvare ciò che restava dell’Impero(Impero! Che nome ironico!) dalle catastrofi che lo colpivano.
Credevo che io, nel cui sangue scorreva quello della nobile famiglia dei Paleologi, sarei riuscito in quella missione.
Beata giovinezza!
Quando rovesciai Giovanni VI, come si face chiamare da imperatore il mio reggente, pensai per un attimo di avere il mondo in pugno.
Quanto mi sbagliavo, me ne resi conto presto.
Scorrendo nella mia mente la storia del trono su cui siedo, dell’Impero su cui regno, della città che vedo, ora, al tramonto, ho potuto presto comprendere che una cosa, in tutte le infinite vicissitudini della storia, non è mai cambiata: abbiamo combattuto, sempre, senza mai arrenderci.
Questo era lo spirito che mi animava quando presi nelle mie mani le redini dell’Impero, e mi ha seguito per tutta la vita.
Non mi ha mai abbandonato.
Mai.
Non lo ha fatto quando seppi dello sbarco dei Turchi a Gallipoli, o quando i Serbi si impossessarono di parte del mio Impero.
Non lo ha fatto quando mi recai in Occidente per cercare aiuti contro gli ottomani, aiuti che non vidi mai. E quando, al ritorno, mi ritrovai prigioniero, umiliato come nessun altro imperatore prima di me, anche allora la forza di combattere non mi ha abbandonato.
Ricordo bene quando vidi mio cognato, Amedeo, che i più chiamavano il Conte Verde, a cavallo, mentre mi veniva a prendere, con la notizia che era riuscito a liberarmi.
O quando fu mio figlio Manuele a liberarmi, da un’altra prigionia, mentre il mio erede, Andronico, sedeva tranquillamente sul mio trono a Costantinopoli.
Non mi abbandonò, ancora, quando mi annunciarono la ribellione dello stesso Andronico contro di me.
La prima cosa che pensai, allora, fu che la storia si ripete sempre.
Mio padre aveva preso il potere esattamente allo stesso modo, ribellandosi al padre.
Non mi infuriai, quando seppi della rivolta.
Sapevo cosa provava mio figlio.
Era quello che provavo anche io.
Dopo secoli di lotte, l’Impero bizantino, l’Impero dei Romani, era divenuto vassallo dei turchi ottomani.
Quello che mio figlio non capiva, era che non avevo avuto scelta.
Ma non lo biasimai allora per questo, e non lo faccio tuttora.
Per salvare l’Impero, per evitare che tutto finisse per sempre, sono stato costretto a prendere le armi contro mio figlio.
Colpo dopo colpo, la sorte mi abbatteva, e con me trascinava tutto l’Impero.
Nella mia lunga vita, ho perso tutto: l’orgoglio, la dignità, l’affetto.
Ogni cosa.
Ho perso tutto perché volli salvare l’eredità dei Romani, perché volli seguire le mie profonde responsabilità.
E a cosa siamo arrivati? Padri che combattono contro figli per un misero pezzo di terra, vaga ombra della gloria di un tempo.
Sono passati sei anni, da quando mio figlio Andronico è morto, pure il suo spettro non mi ha abbandonato.
L’ho rivisto in suo figlio, che ironicamente porta il mio nome, e che si è ribellato, proprio come suo padre, solo pochi mesi fa.
L’ultima volta che l’ho visto, partiva assieme a suo zio per partecipare all’ennesima campagna militare del sultano.
Due Paleologhi, a capo chino, che si avviavano a servire i turchi.
Non credo ci sia immagine più straziante, ma allo stesso tempo più veritiera, di quello che è stato il mio regno.
Sono uno sconfitto.
Ho commesso i miei errori, e la sorte me li ripagati cento volte.
Quanto ancora durerà l’Impero di Bisanzio?
Non so dirlo.
Quello che posso dire, è che per esso ho dato tutto, e in cambio non ho avuto che sconfitte ed umiliazioni.
Posso solo immaginare quale sarà la mia memori presso i posteri, se mai sarò ricordato.
Il mondo ormai mi sembra così piatto, come il mare che vedo dinanzi a me.
Non c’è più colore, non c’è più vita.
Ora che anche la volontà di combattere mi ha abbandonato, non mi è rimasto davvero nulla.
Solo la morte.

Note dall’autore:
Ringrazio Diana924 per aver recensito la mia prima one-shot. Sono felice di aver potuto accendere dell’interesse per una figura mobilissima quale quella di Costantino XI, vero eroe dimenticato.
Ringraziamenti anche a farrahlennington, di cui condivido le parole. Con un’aggiunta: in effetti, la mia intenzione è quella di creare una serie di “novelle bizantine”, storie brevi che coprano possibilmente tutta la storia dell’Impero, focalizzandomi su personaggi rappresentativi seppur trascurati, in particolare negli studi scolastici, sperando di poterle un giorno anche pubblicare nella realtà, dando così una nuova immagine ad un Impero troppo spesso lasciato da parte.

  
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