Passammo due giorni indimenticabili insieme. Uscii pure a pranzo con i suoi genitori, persone gentili e solari, proprio come Martina. Tutte le sere, dopo averla riaccompagnata in hotel, la chiamavo e passavamo interi quarti d’ora a parlare di cose stupide. Ma mi piaceva sentire la sua voce ed i suoi respiri.
Joe mi considerava impazzito e forse lo ero veramente. Non mi riconoscevo più. Sentivo qualcosa di strano nascermi dentro ogni volta che la vedevo. Ed i suoi baci mi facevano perdere completamente la testa: erano dolci, delicati, ma allo stesso tempo pieni di passione. Non volevo mai smetterla di baciarla.
Era la favola più bella di tutte. Ma si sa, le cose belle non durano per sempre. Arriva sempre qualcosa contro il quale non puoi lottare che ti separa da tutto il tuo mondo. Una mattina ti svegli e sei solo, completamente abbandonato al tuo destino che qualcuno ha già scritto per te, contro la tua volontà. Vorresti essere con lei, non importa dove, ma in sua compagnia. Vivere ovunque, fare un lavoro qualunque, avere una vita normale, con i problemi quotidiani, dover stirare le camicie, fare la spesa, pagare le bollette a fine mese. Rinunceresti a tutto pur di vivere per sempre con la tua amata. Però non puoi. C’è sempre un qualcosa, una piccola virgola che scombussola il periodo. Non capisci quando è arrivata, chi l’ha voluta. Sai solo che lei non c’è più, mai la rivedrai, di lei non saprai più nulla. Soffrirai, si. E anche tanto. Ma lei di più, perché, anche se involontariamente, sarà sempre aggiornata sui tuoi spostamenti. Internet, televisioni, riviste. Tutto parla di te, dei tuoi gossip, dei concerti. E lei non può fare a meno di piangere.
“E dai, Nick” ridacchiò tra i miei baci. Adoravo giocare con i suoi capelli, legarli intorno alle dita e guardare come tornavano sempre lisci.
“Nicholas, basta” disse un po’ malvolentieri. Appoggiò una mano sulla mia guancia e lentamente mi allontanò. La guardai per qualche istante in tutta la sua bellezza. L’abbracciai e la baciai di nuovo, non potevo farne a meno. La sentii ridere e alla fine cedere al fatto che sarebbe rimasta mia prigioniera ancora per un po’. Ma proprio non le dispiaceva.
Eravamo appena scesi di macchina dopo una serata al Luna Park. Davanti al suo albergo regnava il silenzio rotto solamente dalle nostre labbra che coincidevano perfettamente.
“Nick, ti devo dire una cosa” iniziò.
“Anch’io,” le sorrisi passandole una mano sul collo “ma prima tu”.
“Bè, ecco… Non so come dirtelo” era impacciata; forse avevamo la stessa idea in mente.
“Dai, non penso sia una cosa così brutta” la incoraggiai. Lei distolse lo sguardo dal mio ed increspò la bocca.
“Nicholas, domani ripartiamo” sputò tutto d’un fiato strizzando gli occhi.
“Cosa?” esclamai. L’eco della mia voce risuonò per tutto il viale.
“Lo sai che sarebbe successo prima o poi… Domani torniamo in Italia”. La sua voce rotta da qualche singhiozzo.
“No, non partire. Resta qui con me” le risposi rapido. Non avrei sopportato la lontananza. Lei dall’altra parte del mondo era una cosa inconcepibile per il mio cuore.
“Come faccio?”. Aveva il volto rigato dalle lacrime che le scendevano lente e silenziose.
“Solo tu ed io. Tu ed io, qui”. Sapevo che le mie proposte erano vane.
“Nick, abbiamo diciassette anni. Una vita davanti. E non sappiamo se la passeremo insieme…”. Un singhiozzo più forte le fece perdere il controllo della voce. Si lasciò andare tra le mie braccia. Aveva ragione; quello che le chiedevo non era possibile. Lei aveva il suo spazio in Italia, io in America. Sapevamo che sarebbe finita, prima o poi. Ma nessuno dei due ci voleva pensare. Mi ero ripromesso di non prendere la cosa sul serio, di godermi ogni momento in sua compagnia senza l’angoscia della fine di tutto. Ma mi era risultato difficile: Martina era perfetta per me. Tutto quello che avevo mai desiderato lei lo aveva. E così, come l’avevo trovata la dovevo perdere, lasciarla andar via per sempre.
Non avevo niente da dire, non trovavo più parole. La strinsi forte a me, forse le feci male, ma non disse niente. Era la nostra ultima sera insieme. Io e lei.
Stare con le ginocchia strinte al petto in un angolo della mia camera non serve a niente.
Guardare continuamente il cellulare in attesa di un suo messaggio è completamente inutile.
Controllare l’orologio incessantemente è una perdita di tempo.
Il mio umore non migliorerà.
Lei non mi cercherà.
E nemmeno tornerà da me.
Più, mai più.