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Autore: Hika86    04/06/2010    0 recensioni
Il gruppo di punta della Johnny's Enterateinment compie il decimo anniversario di attività e l'azienda avvia uno speciale progetto per la promozione dell'evento. Per l'occasione la collaborazione di artisti dal resto dell'Asia sarà un'ottima occasione per Aiba, Jun, Sho, Nino e Ohno... e per Lei.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La JH, abbreviazione di Johnny's House, era a tutti gli effetti un campus: un mondo a parte ed un piccolo paradiso provvisto di ogni cosa per chiunque lavorasse nel campo della musica pop. Nell'area, sistemata a verde (il che non pareva strano in quella zona dato che il grande parco di Ueno non era molto distante), si trovavano moltissimi edifici che comprendevano: centro conferenze e uffici, dormitori, una biblioteca, diversi impianti sportivi, mensa, un piccolo conbini interno e,infine, un intero edificio, il più grande, che ospitava sale di registrazione video e audio, postazioni internet, sale di lavorazione e montaggio, ampie sale alcune a specchi (per il ballo), altre ingombre di scenografie.
Dato che la Johnny promuove esclusivamente idol di sesso maschile non accadeva spesso di avere ospiti femminili nel complesso, ma dato che non vi risiedevano solo gli idol e dato che era capitato e poteva ancora capitare di ospitare qualcuna era stato costruito un dormitorio più piccolo, a fianco di quello più grande e principale, per gli artisti della Johnny, dedicato proprio alle ospiti che si fermavano al campus. Quella sarebbe stata la sistemazione di Yun-seo nei mesi invernali per la lavorazione dei video e la promozione del progetto. Takechi, che lei nella sua testa aveva ribattezzato Takechin, le aveva dato tutte le indicazioni per raggiungere l'edificio e poi l'aveva abbandonata all'entrata per andare agli uffici del campus a sistemare le ultime cose. Yun-seo attraversò il parco del campus guardandosi intorno: gli alberi erano spogli e i prati verde scuro parevano addormentati, i lampioni sparsi qui e là erano già accesi ed il buio cominciava a calare in fretta facendoli risplendere sempre di più, in giro vi erano poche persone mentre le finestre illuminate erano sempre di più.
Il cellulare squillò improvvisamente e smise altrettanto repentinamente. Lo recuperò dalla tasca ed aprì lo schermo luminoso 「Com'è andato il volo? Spero non ci sia stato nessun problema :-) Quando ti sei sistemata possiamo sentirci? Aspetto una tua chiamata. Chang」Lo richiuse di scatto con un sospiro seccato, solo quando tornò a far caso al campus intorno a sè si rese conto di aver continuato a camminare senza controllare la propria direzione già dallo squillo del cellulare e quindi doveva aver girato un angolo sbagliato: ma sbagliato da che parte? E quale? Guardando nella semioscurità delle strade si mise a ridacchiare tra sè quindi si mise una mano sugli occhi, chiudendoli e prese a girare su se stessa «Vediamo se funziona. Il dio degli stupidi è con me: allo stupido che perde la strada, il dio degli stupidi la ritrova» cantilenò come i bambini prima di bloccarsi sentendo di aver urtato qualcosa con la mano. «Cos'è? Un gioco coreano?» domandò la persona che si ritrovò davanti. Yun-seo riaprì gli occhi e arrossì fino alla radice dei capelli non prima di aver fissato il tipo per un paio di secondi, incapace di accettare il fatto di aver appena fatto una figura di quelle memorabili. «No» biascicò abbassando lo sguardo, si mise ad osservare l'asfalto come se potesse trovarvi scritto un suggerimento per uscire da quella situazione imbarazzante. Quello che aveva davanti non solo era uno di quelli che stavano nella sala quel mattino, alla presentazione del progetto, ma era pure uno dei membri del gruppo: uno dei protagonisti principali, uno di quelli con cui avrebbe dovuto lavorare e quindi uno di quelli con cui avrebbe preferito mantenere un atteggiamento professionale, serio e distaccato. I propositi erano ottimi, peccato non essere riuscita a rispettarli a lungo. «E' un...» farfugliò cercando una scusa ad un atteggiamento che era manifestamente stupido e quindi difficile da far passare come normale. Dopo due secondi di riflessione si arrese «E' un'uniforme» ammise infine con un sospiro, sperando nella bontà della persona davanti a lei che, nonostante tutto, sorrideva di genuino divertimento
«Un'uniforme?» domandò quello guardandola stupito: il divertimento era sparito dal suo viso per lasciar spazio allo sbigottimento
«Si, me l'ha insegnato un amico...» cominciò a spiegare sperando di potersi salvare in qualche modo
«Ah! Intendi un incantesimo!*» la corresse il ragazzo davanti a lei, che tentò di trattenere una risata
«Eh? Ah, si» ammise arrossendo una seconda volta «Si, intendevo incantesimo»
«Ah ecco» annuì per poi stringere le labbra tra loro in un sorriso divertitissimo e aggiungere «Che incantesimo era?» domandò questi scherzoso sempre nel tentativo di mischiare le risatine che gli scappavano con le parole che pronunciava
«Eh? Un amico mi ha insegnato un incantesimo da fare se mi fossi persa, ma è una sciocchezza, stavo solo giocando! E' solo che non ricordo da che parte andare...» tentò di giustificarsi portando la discussione sulla sua "penosa" situazione piuttosto che sul suo penoso errore «Dato che non c'era nessuno a cui chiedere tanto valeva provare una strada a caso e allora ho scelto chiudendo gli occhi!». A quella spiegazione fu impossibile trattenersi oltre e il ragazzo si piegò in due: perchè non era riuscita a mantenere un tratto serio e professionale almeno per le prime ventiquattro ore? «Non... NON IMPORTA!» esclamò chiudendosi meglio il bavero della giacca «L'incantesimo ha indicato quella parte, io vado. Con permesso» concluse facendo il giro intorno a lui e avviandosi a passi pesanti: era stata colta in un momento stupido, d'accordo, ma era maleducato da parte sua riderle in faccia a quel modo!
«Aspetta, hai detto che non funziona» pronunciò questi dopo aver preso un profondo respiro per riprendersi «E' la direzione sbagliata»
«Che? Diamine...» si bloccò all'istante guardando il bivio davanti a lei con lo sconforto nel cuore, oltre al danno anche la beffa
«Ti accompagno io per farmi perdonare» si propose questi raggiungendola e allungando una mano per prenderle il borsone che portava a tracolla (era stato il suo bagaglio a mano durante il volo) «Lo porto io, posso? Vai al dormitorio femminile, giusto? Andiamo» e accennò alla sua sinistra con il capo attendendo di vederla muovere un passo
«Grazie» disse lei con un lieve inchino, tornando seria. Due secondi dopo però alzò lo sguardo su di lui aggrottando le sopracciglia «Non era da questa parte?» domandò vedendolo entrare in un edificio
«Il dormitorio è questo» spiegò alzando il dito verso un cartello a fianco dell'entrata con le porte a vetri scorrevoli «Ci eri davanti» spiegò ridacchiando ancora mentre entrava nell'atrio: poteva andare peggio di così? Allungò il passo e lo raggiunse all'interno dove lo trovò a parlare con l'inquilino di quella che era una piccola portineria «Hai la stanza 6, al secondo piano» le spiegò porgendole la chiave «La aiuto con la valigia e scendo» disse all'omino oltre il vetro quindi si avviò. Ancora se la rideva tra sè e sorrideva tutto divertito anche quando entrarono nell'ascensore. Un volta dentro, però, caddero nel più completo silenzio: Yun-seo non aveva intenzione di aprire la bocca dato che tutte le volte che l'aveva fatto ci aveva ricavato solo brutte figure, in più era irritata da tutto il ridere di quel ragazzo che sfociava nella maleducazione. «Devi perdonarmi: tu sei la prima ballerina, giusto? Di nome...» disse questi ad un certo punto
«Ahn Yun-seo» rispose secca, uscendo per prima dall'ascensore e cercando con lo sguardo la porta della camera, smaniosa di esser lasciata in pace
«Giusto, non mi è subito facile capire i nomi stranieri. Io son...»
«Trovata, grazie mille» lo interruppe allungando la mano sul borsone e facendo un sorriso forzato e poco convinto «Buona serata» aggiunse per lanciare un chiaro segnale all'altro
«Ah, si... hai ragione. Sarai stanca per il viaggio, allora ti lascio disfare le valige. A domani, generale Ahn-san!» fece questi che, scherzando, si mise sull'attenti una volta che lei ebbe preso la borsa «Ci vediamo, non perderti di nuovo, mi raccomando» quindi fece un lieve inchino e si voltò per tornare verso l'ascensore. Yun-seo ne osservò la schiena ampia mentre si allontanava e si accorse in quel momento che non aveva giacca: che fosse uscito di fretta dal suo dormitorio solo per aiutarla vedendola spaesata? Con un piede in stanza e l'altro ancora fuori si sentì in colpa per la freddezza mostratagli, nonostante il suo atteggiamento non fosse stato dei migliori con tutte quelle risate forse non si meritava tanto. «Non so leggere i kanji, quindi non avrei riconosciuto il palazzo» disse mentre lui premeva il bottone per far aprire le porte dell'ascensore «Quindi grazie» l'altro girò lo sguardo su di lei, con un'espressione stupita dipinta in viso, ma non gli diede la possibilità di rispondere dato che, dopo quell'ennesima umiliazione, non avrebbe retto un secondo di più a guardarlo in faccia per quella sera. Fece un rapido passo indietro e richiuse la porta con decisione: orribile prima impressione, ma forse sarebbe riuscita a migliorare. Ma come, dopo quell'ultimo ringraziamento che, seppur dettato da buone intenzioni, gli era uscito dalle labbra così sgarbato? Poteva solo sperare che non andasse a raccontare il fatto a tutto il resto del gruppo.
Appoggiò il borsone in un angolo, con profondo sospiro, e si tolse la giacca. Bussarono alla porta quando si trovava a metà del gesto di buttarla sul letto «Si, arrivo» disse afferrando la maniglia ed aprendola di un poco «Nh?» sgranò gli occhi ritrovandosi davanti lo stesso ragazzo di prima
«Scusami. Sul serio, scusami» disse piegando il capo «Mi rendo conto di non essermi comportato bene, sono stato veramente un cafone a ridere in quel modo»
«Si, lo sei stato» rispose senza pietà
«Si, lo so. Hai tutte le ragioni di essere arrabbiata, eppure... mi hai ringraziato lo stesso» aggiunse guardandola «Grazie»
«Sei senza giacca» spiegò dopo un secondo, presa leggermente in contropiede da quelle parole «Ho pensato che fossi uscito solo per aiutarmi e poi... beh.. credo che chiunque avrebbe riso al tuo posto: ho davvero fatto una cosa stupida»
«Come si chiama il tuo amico dell'incantesimo?»
«Jae-joong...»
«Dì al tuo amico Jiajon...» fece cercando di assumere un tono solenne
«Jae-joong» lo corresse
«Sì, lui» annuì sbrigativo per riprendere la sua frase «Digli che le sue tecniche sono per prestigiatori da quattro soldi: ti insegnerò io le formule corrette per trovare la strada giusta e stavolta funzionerà» concluse con un sorriso orgoglioso prima che le porte dell'ascensore si aprissero e ne uscisse una donna, anch'ella con qualche borsa tra le mani. I tre si scambiarono un inchino poi attesero che questa sparisse nella stanza otto. «Va bene, io vado, altrimenti gli altri si chiederanno dove sono finito. Buona notte»
«Buona notte» rispose Yun-seo, rivolgendogli un sorriso divertito, ma del tutto sincero.

Non appena raggiunse il secondo piano corse rapidamente lungo il corridoio, già intravedendo Takechin infondo. «Yun-seo san!» esclamò questa non appena la vide a sua volta, sentendone anche i passi in lontananza che si avvicinavano rapidamente «Dov'eri finita? Mi spiace infinitamente io...»
«No, no! E' colpa mia! Maledizione!» aggiunse la giovane coreana una volta che l'ebbe raggiunta «Non lo so io cosa ho fatto! Ho girato a destra, invece era sinistra. Le mensa era lì, ma l'edificio non era quello giusto e poi.. non lo so, non lo so» spiegò con una serie di concetti random che chiarivano solamente come si fosse nuovamente persa
«Avrei dovuto disegnarti una mappa del campus, è colpa mia!» insistè la manager continuando a chinare il capo e stringersi nelle spalle, mortificata
«Avrei potuto studiarmela da sola o procurarmela!» ribattè la ballerina, con il fiato leggermente corto
«Ma sei stata affidata a me! Era compito mio!» pensava che se la manager si fosse inchinata di nuovo le vertebre della schiena avrebbero fatto i bagagli per abbandonare la loro padrona e i suoi metodi di sfruttamento
«Va bene, allora è colpa tua, ma non perdiamo ancora tempo» sospirò Yun-seo sbirciando oltre il vetro della porta, dove c'era già gente che ballava «Andiamo?»
«Si» annuì Takechin, sempre più afflitta. C'era effettivamente poco da star allegre, l'occhiata dei responsabili, quando le videro entrare nella stanza, fu a dir poco agghiacciante. O infuocata, l'effetto era uguale. Una persona però stava ancora ballando, con la musica lanciata a tutto volume nelle casse del mega stereo della sala da ballo, quindi alle due disperate venne lasciato qualche secondo per orientarsi nella stanza e scegliere l'angolo migliore per ricevere la prima sonora ramanzina della giornata, nonchè di tutto il progetto "Arashi nantoka nantoka**" come lei lo aveva rinominato dato che con l'inglese non ci andava molto d'accordo.
La stanza era effettivamente molto ampia e a pianta rettangolare: la parete dove si trovava la porta dalla quale erano entrate era, a parte per quei pochi metri dell'ingresso, ricoperta di specchi per tutta la sua lunghezza; la parete opposta era dotata di ampie finestre scorrevoli che illuminavano perfettamente lo spazio dell'intera sala. Le altre due pareti, i lati più corti del rettangolo, erano dotate l'una di panchine e appendiabiti, l'altra di tre porte scorrevoli in vetro e la parete era del tutto trasparente lasciando vedere dall'altra parte una stanza identica, forse leggermente più piccola. La parete trasparente e le finestre erano tutte dotate di tende da tirare in caso di bisogno.
Tutti quanti avevano appoggiato le proprie cose sulle panchine e si erano seduti più o meno in fila o a piccoli gruppi sotto le finestre, che cominciavano a circa un metro da terra per raggiungere quasi il soffitto. In un angolo vicino agli specchi era stato preparato un tavolo dove stavano sedute delle persone con un'aria perfettamente seria e solenne che cozzava con le loro tute multicolori creando un effetto comico notevole, tanto che Yun-seo non potè trattenersi dal sorridere divertita non appena li vide. Un tavolo uguale, ma dalla parte delle finestre, vedeva come occupanti i cinque membri degli Arashi: persino loro vestivano in maniere tanto differenti da formare un quadro quanto mai eterogeneo, ma perlomeno parlottavano, ridevano, si sgomitavano, cercando nel frattempo di seguire la dimostrazione in corso. La giovane coreana riconobbe il ragazzo con cui aveva parlato la sera prima e, nel resto del gruppo di ballerini, un paio di facce viste quella mattina a colazione quando, comunque, non aveva avuto occasione di parlare o conoscere nessuno. Lei e Takechin si accomodarono nell'angolo più lontano dai tavoli, più vicine alle panche che alle finestre, ma questo non valse loro la possibilità di essere dimenticate dagli istruttori e direttori che supervisionavano quella dimostrazione. Quando il ballo in corso si concluse e gli applausi sfumarono, infatti, il meglio piazzato del gruppo -un palestrato che sarà stato alto quasi due metri, a giudizio di Yun-seo- si alzò e le apostrofò ad alta voce «Takechi-san! E' arrivata la vostra ballerina?» domandò retoricamente
«Si, maestro, è arrivata. Mi scuso per il ritardo, mi scuso tantissimo» rispose la giovane scattando in piedi e inchinandosi profondamente
«In qualità di prima ballerina ci aspettiamo che il suo atteggiamento sia d'esempio al resto del corpo di ballo ed in qualità di prima ballerina del "Arashi (nantoka nantoka)" ci aspettiamo responsabilità, impegno e puntualità. L'opportunità che le è stata data non è qualcosa che si trova girato l'angolo, spero che di questo se ne renda conto. Mi hanno detto» aggiunse rincarando la dose «Che anche il giorno della presentazione Ahn san ha fatto ritardo. Data l'importanza e la portata del progetto, dato il duro lavoro da svolgere per i prossimi mesi a venire, è auspicabile che dimostri di aver compreso e apprezzato l'opportunità datale con un cambiamento di atteggiamento nei prossimi giorni». Takechin, in tutto questo, non si era ancora rialzata: eppure non aveva visto vertebre allontanarsi con dei bagagli in mano; con un lieve sospiro si alzò in piedi a sua volta e imitò la manager esclamando «Mi scuso. Non si ripeterà più» e nient'altro, anche perchè di tutti i paroloni detti dal palestrato non aveva capito quasi nulla: paradossalmente avrebbe compreso di più un maleducato "non fare più ritardo, cafona irrispettosa", piuttosto che quell'ipocrita ramanzina infarcita di termini formali.
Seguirono altre frasi simili da parte di qualche istruttrice dopodichè una di loro si avvicinò, staccandosi dal tavolo (o era più corretto chiamarlo "banco d'inquisizione"?) «Come prima ballerina speravamo di vedere la tua esibizione per prima, ma dato che non c'eri abbiamo cominciato con gli altri»
«Esibizione?» domandò di punto in bianco Yun-seo, ancora inchinata
«Puoi alzarti» le sussurrò Takechin, che si era rialzata da un pezzo. Nell'aula si sollevò qualche risatina soffocata che improvvisamente ruppe il silenzio tombale che segue tipicamente una qualsiasi lavata di capo. «Ahn-san non sapeva che doveva fare una dimostrazione stamattina?» domandò sbigottita la signora in tuta lilla e verde pisello. Effettivamente no, non ne sapeva niente, ma era chiaro che invece avrebbe dovuto saperlo. Le tornò in mente l'opuscolo con il progetto dei primi mesi di lavoro alla JH: era ancora sul tavolo in camera sua, o meglio sul tavolo sotto la valigia aperta per essere disfatta. Sentì Takechin irrigidirsi di fianco a lei e sentendo già che qualche borbottio di protesta si alzava dal tavolo rispose prontamente «Potete continuare con gli altri, non voglio intralciare il lavoro più di quanto non abbia già fatto. Farò per ultima» si inchinò ancora. Bastò a farli desistere «La prossima è l'ultima, in ogni caso» e chiamarono la persona successiva. Entrambe si sedettero su una panchina facendo un rumoroso sospiro -che gli altri non potevano sentire dato che era partita la musica. «La dimostrazione» piagnucolò la manager tenendosi il viso tra le mani «Ieri sera ho dimenticato di leggerti il programma, almeno quello di oggi o di questa settimana»
«E io ho dimenticato di chiederti di farlo. Takech... i san» si corresse automaticamente «Il problema è mio. Questo causa lavoro in più a te e ha sempre causato disagi a chi mi stava intorno da quando sono piccola. Dovrei, quindi, essere la prima a ricordarmi cosa c'è da fare per ovviare alla cosa, invece non è così»
«Sarai stanca per il viaggio, è comprensibile» mugolò l'altra che sembrava volersi proprio prendere tutte le colpe
«Ci risiamo, questo comunque non risolve il problema che non abbiamo letto il programma e non so cosa dovrò fare oggi» sospirò la coreana guardando distrattamente il ballo di chi si stava esibendo in quel momento, ma l'urletto della manager la riportò a guardarla
«Hai ragione! Non c'è scampo!» esclamò «C'era una traccia da portare, un ballo preparato da mostrare, tutte cose che non possiamo inventarci su due piedi» scosse il capo guardando il parquet lucido della sala «E' la fine»
«Non esageriamo. Questo è il mio campo, quindi sono io a decretare se siamo finite o meno. Mentre i miei ritardi sta a te dire quanto sono gravi, qui si parla di musica e di ballo e se sono la prima ballerina significa che qui dentro nessuno ne sa meglio di me, non tu e nemmeno i cinque Arashi» annunciò con sicurezza aprendo la borsa che si era portata dietro
«Nemmeno loro?» domandò perplessa la giovane giapponese che con tutta la preoccupazione e la pressione che si sentiva addosso sembrava invecchiata di colpo «Sono professionisti da dieci anni, come puoi dirlo con sicurezza»
«Perchè sono idol, Takechin. Io invece sono una ballerina» le spiegò con un sorriso tanto raggiante da spazzar via tutta l'insicurezza della manager. Frugò in una tasca laterale e ne tirò fuori un paio di CD. Li osservò uno alla volta, leggendone l'etichetta e alzando lo sguardo al cielo, farfugliando tra sè qualcosa in coreano, per poi guardare il CD successivo. Alla fine del brano che suonava si alzò dalla panchina scegliendo un disco tra tutti e affidandolo al ragazzo vicino allo stereo. Una volta spenta la musica si alzarono i soliti applausi e, a malincuore, Yu-seo capì perfettamente tutto quello che le persone in quella stanza dissero: «Ottimo, è il turno della prima ballerina» «Prima in cosa? In ritardi?» «Ma siamo sicuri che sia brava?» «Se non sa nemmeno leggere l'orario come fa ad imparare dei passi?» «Per me non è buona» «Sicuramente è per quello che le hanno affidato una manager alle prime armi come Takechi san» «Se la rispediscono a casa chi ci va al suo posto?» «Ci vai tu?» «Perlomeno la mia manager è una persona seria e non così incapace» «Lei è sicuramente meglio di questa qui» «E abbassa la voce che ti sente!» «Ma figurati!» «Può pure sentirlo, tanto non è giapponese» «Ma prima le hanno parlato in giapponese» «Non lo è?» «No, non sapevi che fosse coreana?» «Io nemmeno» «Non avrà capito nulla» «Si capiva dalla sua risposta corta di prima, l'accento è diverso» «E' coreana, che ci capisce quella di giapponese?».
Tutto: ma non poteva dirglielo. Anche se erano fastidiose, come insinuazioni, non poteva rispondere: la sua arma non erano le parole, ma il ballo e aveva in mente un modo molto più divertente degli insulti per far loro rimangiare tutto, fino all'ultima sillaba.
«Sicura di volerlo fare?» domandò l'istruttore palestrato «Mi è sembrato di capire che non fossi pronta»
«E' vero» ammettere la sua impreparazione a quel punto andava solo a suo vantaggio «Ma volete una dimostrazione delle nostre capacità reali, sarebbe vera se mi preparassi qualcosa prima? Conosco questo ballo, chiaramente, non improvviserò, ma non l'ho preparato per oggi, quindi non l'ho fatto recentemente» ammise scuotendo il capo «Giudicate voi se non sono stata chiamata proprio perchè le mie abilità rispondono al bisogno di un progetto importante e unico come questo. E il tutto a dispetto della mia nazionalità e dei miei problemi di orario» pronunciò quelle parole arroganti e dalle quali non riusciva a cancellare una nota di rabbia per ciò che aveva sentito, quindi si voltò e si mise vicina agli specchi girata verso di essi. Il ragazzo dello stereo fece partire il disco e la musica partì. Era "Mirotic"***: impossibile che non lo conoscessero dato che i DBSK (da loro conosciuti come Tohoshinki) erano famosi in tutta l'Asia ed il singolo era rimasto in testa alla classifica Oricon per un bel pezzo. Chiaramente, non prevedendo affatto di doverlo far ascoltare, il suo CD conteneva la versione coreana e non quella cantata in giapponese. Era un ballo che faceva il suo effetto in gruppo, ma anche da sola sapeva come valorizzarlo: movimenti fluidi alternati a scatti rapidi e ritmati, si inventò dei passi dato che non li ricordava effettivamente tutti, quindi, dato che aveva tutta la stanza a disposizione, si concesse qualche spostamento più ampio che, se gli riusciva e se non stava esagerando, avrebbe dovuto essere abbastanza teatrale. Nonostante questi accorgimenti tecnici da parte sua lei non stava effettivamente pensando a cosa fare: stava ballando e quella era la sua dimensione, poteva avere tanti difetti e incontrare migliaia di problemi in un paese straniero, ma la danza era sempre stata e avrebbe continuato ad essere un linguaggio internazionale e lei, di quel metodo di comunicazione, conosceva tutte le regole, i vocaboli e le espressioni. Come un interprete parla una lingua senza più dover ragionare sulla costruzione della frase, come un musicista suona senza dover più guardare le proprie dita, lei non pensava affatto ai passi da compiere: ascoltava la musica, il suo corpo la riconosceva e ripeteva dei gesti impressi nella sua memoria e, dove non riusciva a recuperare un ricordo, continuava a muoversi seguendo l'ispirazione del momento, seguendo il movimento precedente o contrastandolo a seconda di quello che le note suggerivano.
Effettivamente non le dissero nulla, nè dei complimenti, nè delle frecciatine velenose per salvarsi la faccia, il pubblico si limitò ad applaudire come alle presentazioni precedenti. Aveva avuto la sua personale vendetta a tutte le cattiverie dette su Takechin e sulla messa in dubbio del suo talento, ma ancora quelle parole le bruciavano, quindi non fece nemmeno un inchino e tornò verso la panchina dove proprio lei applaudiva entusiasta. «Bene, avete del tempo libero e poi il pranzo. Ci vediamo qui questo pomeriggio alle tre per cominciare la suddivisione in gruppi per il lavoro. A più tardi» annunciarono dal tavolo, ma lei stava già frugando nella borsa per trovare l'asciugamano: "Mirotic" non era una canzoncina tranquilla da ballare. «Sei stata fantastica!» esclamò la manager ancora applaudendo «Non credevo che fossi così brava! Voglio dire... sapevo che eri brava o non ti avrebbero mai scelto per questo ruolo, ma non pensavo... non pensavo tanto!» parlava ricolma di ammirazione. Yun-seo la guardò con metà del viso ancora affondato nell'asciugamano, era così entusiasta ed eccitata che le fece tenerezza: potevano dire tutto quello che gli pareva, ma in quel momento si sentì contenta di trovarsi a lavorare con quella manager e non l'avrebbe cambiata con nessun'altra. Fece per risponderle, ma venne interrotta proprio mentre prendeva fiato «Complimenti» si sentì dire notando, con la coda dell'occhio, una persona che si avvicinava
«Oh, Masaki san, buongiorno!» salutò cortese la manager inchinandosi verso il ragazzo
«Takechi san, buongiorno» ricambiò il giovane. Era particolarmente alto, dai capelli corti, castano scuri e leggermente ondulati, le sorrideva mentre applaudiva leggermente con le mani «Sei stata impressionante, veramente. In senso buono, chiaro! Non pensavo fossi così brava!» l'avevano tutti sottovalutata?
«Grazie» rispose educatamente chinando il capo «Aspetto di vedere come ve la cavate voi»
«Probabilmente accadrà domani mattina, questo pomeriggio saremo impegnati con la registrazione di una trasmissione, ma da domani cominceremo a lavorare insieme» le rispose lui
«Si, per favore» concluse Yun-seo con l'ennesimo mezzo inchino, notando come alcune ballerine li stavano fissando dalle panchine a cui si erano avvicinate per recuperare le loro cose. «Takechi san» un secondo ragazzo, di poco più basso dell'altro, lo raggiunse e salutò verso la manager «Aiba chan» aggiuse poi mettendogli una mano sulla spalla
«Jun» rispose il primo girandosi verso di lui
«Dobbiamo andare o faremo tardi agli studi» gli ricordò per poi lanciare un'occhiata a Yun-seo, prima di voltarsi e raggiungere gli altri. Fu un attimo rapido, ma guardarlo negli occhi a sua volta era stato sufficiente a far intendere ad entrambi parecchie cose l'uno dell'altra. Da parte sua lo trovò irritante: la sua occhiata era stata gelida, come se l'avesse analizzata e non l'avesse trovata di suo gusto, sentiva come se ci avesse appena litigato; contemporaneamente aveva trovato in lui uno sguardo profondo al punto tale da farle venire un brivido. «Allora io vado, con permesso» annunciò l'altro facendo un inchino rapido e raggiungendo il gruppo che usciva dalla stanza in quel momento. Alcune ballerine assistettero all'uscita dei cinque con sguardo sognante, il più di loro seguiva con occhio languido i passi del moro: il fatto che fosse particolarmente bello glielo rese ancora più irritante. «Yun-seo, quando hai avuto occasione di conoscere Masaki san?» domandò Takechin curiosa
«Mh? Ieri, quando sono arrivata. E' stato molto gentile e mi ha aiutato a portare le valige in camera» spiegò approssimativamente
«E devi aver fatto qualcosa a Matsujun» riflettè ancora la manager, leggermente preoccupata «Non ti ha nemmeno salutato anche se era venuto fin qui»
«E' quello moro e riccio vero?» domandò come conferma
«Si lui» annuì Takechin con un sorrisino imbarazzato «E' sicuramente il più bello dei cinque ed ha moltissimo stile... beh insomma, voglio dire che generalmente è una persona molto gentile e disponibile ed è sempre il primo che vuole conoscere i collaboratori e tutti quelli che lavorano con il gruppo. E' molto responsabile» cercò di spiegarsi, dandosi nuovamente il contegno professionale perso già davanti al ritardo della coreana poco prima «E' quindi strano che non abbia cercato di conoscerti, dato che sarai una di quelle che lavorerà di più con loro in persona»
«Takechi san sei una fan di Matsumoto san?» domandò la ballerina, ma aveva già intuito la risposta
«Eh? Io?» fece questa confusa «No beh.. lo ammiro professionalmente, riconosco la sua serietà e l'impegno che riversa nel suo lavoro. A dispetto di quanto pensa la massa, il mondo dello spettacolo non è solo soldi e divertimento: spesso ci vogliono giornate intere, a volte mesi per preparare eventi, trasmissioni e spettacoli che si esauriscono invece in pochissime ore. E' il pubblico a divertirsi in prima istanza, per chi è del settore prima viene il lavoro e l'impegno, il divertimento è solo effetto di ciò che si è fatto in precedenza»
«Brava Takechi san, così si parla» ridacchiò prendendo la borsa e mettendosela in spalla dopo averci rimesso l'asciugamano «Hai abilmente sviato la mia domanda, ma anche la mancanza di una risposta esplicita è una risposta, quindi sei una fan di Matsumoto san e ti piace parecchio»
«No, no! Solo professionalmente!» ribattè debolmente mentre uscivano per ultime dalla sala «Piuttosto, Yun-seo, sbaglio o prima mi hai chiamato "Takechin"?»
«Affatto. O al massimo ho aggiunto una enne sbagliando la pronuncia, non sono brava col giapponese io. Andiamo a pranzare?» effettivamente doveva esserselo lasciato scappare, ma prendere un po' in giro la sua manager teporanea si stava rivelando molto divertente.

* Yun-seo ha detto "soroi" (uniforme), invece di "noroi" (incantesimo).
** "nantoka" è l'equivalente di "eccetera" in giapponese, in giapponese suonava molto più musicale che in italiano, quindi ho preferito dargli un nome giapponese XD
*** per darvi un'idea di come sia questo balletto (e per farvi sentire la canzone) cliccate QUI (è il video di alcuni alunni di una scuola di danza coreana, così da darvi l'idea di come sia il ballo fatto da gente che NON sono i DBSK XD)

  
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