LE MEMORIE DI
ROSALIE
Premessa: questo racconto riprende il tema del ricordo
iniziato con le memorie di Alain, è altrettanto vecchio e nel corso del tempo,
ha subito varie modifiche sostanziali e radicali. È un’ idea che mi affascina, esplorare
la vita di Oscar e Andrè anche attraverso altre prospettive, e Rosalie, che per
un po’ è vissuta con loro, mi dava questa possibilità. Che cosa poteva aver
visto e intuito di loro, di ciò che li univa?
La nota piagnola Rosalie, risulta spesso esasperante;
so che non è molto amata, ma io ho cercato di vederla sotto una luce un po’
particolare. Qui è piuttosto diversa dal personaggio che ci ha restituito prima
il manga, e poi l’anime: ho cercato di renderla più forte e decisa, un po’
indurita dalla vita. Con tali premesse, spero vorrete provare a seguirmi in
questi suoi pensieri e nel suo vissuto. Come sempre i personaggi non mi
appartengono, ma sono nati dalla fantasia di R. Ikeda. Buona lettura.
******
Parigi,
1794
Scrivo queste note, una fredda
mattina di gennaio.
Seduta al tavolo della nostra
modesta casa, dalla finestra che si apre sulla strada, vedo i muri delle
abitazioni del quartiere che limitano la mia visuale.
La luce chiara invade la
stanza come i ricordi affollano la mia mente e trovano sfogo attraverso il
pennino che lascia i suoi segni neri, graffiando la carta con un rumore
morbido.
Mi viene naturale pensare a
un’ altra casa, a una tavolo laccato di fattura più ricca di questo, e ampie
vetrate che si aprivano su terrazze da cui osservavo con meraviglia i fiori
bianchi di un mandorlo rigoglioso in primavera. Da una di quelle stesse
terrazze, sotto l’esplosione delle piante in fiore, io restavo in silenzio ad
osservare per ore, due persone che danzavano sull’erba incrociando le spade, in
un muto linguaggio di corpi che celava ben altro mistero. Colori accesi,
profumi intensi di una vita lontana che sembra appartenere alla memoria dei
sogni. Fu anche la mia, per un breve lasso di tempo.
Pochi mesi possono sembrare
un tempo lunghissimo, quando il mondo intorno a te cambia tanto velocemente,
che non riesci ad abituarti. Neppure i ricordi fanno in tempo a sedimentare
nella tua anima, come se non ci fosse spazio per tutto. Tanti, troppi ricordi;
dai più belli, ai più tristi e dolorosi.
Ma io non voglio e non posso
dimenticare, e sono gelosa di ogni schiaffo, di ogni carezza che mi ha dato
questa vita straordinaria e terribile.
Non voglio scordare nulla,
perché tutto ciò che è legato a quei ricordi, mi ha fatto diventare la donna
risoluta che sono oggi, e non posso dimenticare, perché sarebbe fare un grave
torto a tutte le persone che hanno attraversato, anche per poco, la mia vita e
l’hanno cambiata, molto spesso in meglio.
Quello che sono diventata
oggi lo devo a loro.
Anche l’incontro, prima con
Maria Antonietta, e dopo con la vedova Capeto ha lasciato i suoi segni.
Con la morte della ex-regina
di Francia, è scomparso un mondo intero che avevo imparato a conoscere, senza
averne mai fatto parte veramente.
Maria Antonietta era l’ultimo
aggancio al mio passato, l’ultimo fragile legame che mi restasse di lei; posso
capire i suoi sentimenti e forse intuisco la sua delusione; chissà quanti dubbi
e quanto dolore deve aver nascosto in fondo al cuore già martoriato dalla
sorte.
Maria Antonietta fu incapace
di capire perché una delle persone a lei più fedeli l’avesse tradita; avrà
temuto che l’odio avesse preso il posto dell’amore nel cuore di Oscar. L’ho
rassicurata per quanto potevo che questo, in realtà, non è mai accaduto. Cosa
meglio del ricordo poteva confortarla su questo?
So perfettamente che fino
all’ultimo istante della sua vita, il suo affetto per Oscar non è mai mutato.
Quasi con sollievo ho
condiviso con la regina i ricordi di una vita; per un attimo essi hanno aperto
uno spiraglio di luce, tra le mura grigie della cella. Niente altro che ci
accomunasse, troppo diverse le nostre vite e il nostro passato; il mio fatto di
tanta sofferenza, il suo di luci brillanti e di stucchi dorati, di gloria e
opulenza.
In comune, abbiamo avuto il
medesimo affetto per una persona di valore e coraggio, che ha lasciato un vuoto
incolmabile nel cuore di entrambe.
Non ne parlerò con altri in
futuro, ma i francesi ricorderanno il 14 luglio e forse, la figura eroica,
quasi leggendaria, di un Comandante caduto sotto la Bastiglia.
Per questo sento l’esigenza
di mettere nero su bianco il passato.
Mi illudo forse, così, di
mantenere viva una parte importante della mia vita, che fu toccata
profondamente da tutte quelle persone che oggi non ci sono più, ma che
restarono coinvolte nelle vicende umane di cui sono stata indegna testimone.
Fra tutti, due sono le
persone i cui fili delle loro esistenze si sono intrecciati con quelli della
mia.
Oggi sono una donna sposata, cui
è stato concesso diventare madre.
Sì, da pochi giorni ho
scoperto che hai appena iniziato il viaggio che ti porterà in questo mondo, ma
neppure tuo padre, che pure ha avuto modo di conoscere e soffrire per quelle
persone, potrebbe capire l’affetto e l’amore che porto ancora nel cuore.
Un giorno figlio mio, se Dio
vorrà, tu leggerai queste mie memorie: è per te che sto rivivendo i miei
ricordi, prendili come un regalo attraverso cui conoscere tua madre e la sua
storia. Ma non solo per questa ragione, che di tutte, è la meno importante.
Vorrei che attraverso le mie
parole, seppur imperfette, tu potessi conoscere Oscar François De Jarjayes. A
dispetto del nome, non si trattava di un uomo.
Ma parlare di Oscar, vuol
dire parlare anche di Andrè, l’uomo che aveva disegnato la sua esistenza su
quella di Oscar.
Chi di noi oggi, può dire di
essere stato felice?
Erano questi i nostri sogni?
Erano questi i sogni di tuo
padre?
È questo il mondo migliore
fatto di giustizia sociale che auspicava per te e per tutti coloro che
sarebbero venuti dopo di noi?
Chi verrà dopo la
rivoluzione, cosa troverà?
A quale prezzo abbiamo cercato
di salvare la Francia, se il nostro odio verso le classi privilegiate, ci ha
fatto cadere ancora più in basso?
Era necessario allontanare
Maria Antonietta dai suoi figli e rivolgerle accuse false e infamanti come
quella d’incesto? [1]
Il mio istinto materno, come
quello di tante altre madri di Parigi, è stato mortificato da quell’azione
vile.
E ancora non è finita, perché
la sete di sangue della rivoluzione non si placherà tanto presto.
E mi chiedo quante altre
teste ancora dovranno finire sotto la scure della ghigliottina.
Non è per tutto questo
orrore, che Oscar è caduta davanti alla Bastiglia; non lo avrebbe voluto.
Ripenso alle parole di uno
dei soldati di Oscar; Alain, parlando di Oscar e Andrè, disse che furono felici
perché non videro le tragedie della rivoluzione.
Non hanno visto il sogno
infrangersi contro la realtà.
Solo la speranza mi fa
pensare che sia stato così, ma non ho certezze.
****
Ragazzo mio, la vita a volte
è davvero strana, per come può cambiare repentinamente. La mia è cambiata
improvvisamente un giorno di tanti anni fa, quando mia madre fu travolta dalla
carrozza su cui viaggiava una nobildonna che viveva alla corte del re di Francia.
Versailles e la reggia, un
fantasma lontano che i poveri di Parigi non sapevano concepire. Io non avevo
mai conosciuto altro che la povertà, il freddo e la fame. Così si viveva a
Parigi. Si doveva lavorare duramente per un misero tozzo di pane e non sempre
bastava. La fame più nera era la compagna costante della nostra povera
vita. Una morsa che prendeva lo
stomaco, un’ossessione per la mente che non ti abbandonava mai, crampi che mai
erano soddisfatti. Farò di tutto perché tu non debba mai provarla; se
necessario ruberò e ucciderò.
Io ero poco più di una
bambina e vivevo con mia madre malata e mia sorella Jeanne, in una stanza di
uno squallore tale che trasudava miseria.
Benché fossimo molto povere,
tanto da non riuscire a mangiare tutti i giorni, eravamo serene perché non
mancavano l’affetto e l’amore.
Queste erano cose che
potevano bastare a me, ma non a Jeanne, che un giorno si stancò di quella vita
miserabile e ci abbandonò per seguire i suoi sogni.
Ancora oggi ignoro se si
siano avverati almeno in parte e benché io sappia di quali delitti si è
macchiata, io non riesco a biasimarla. Non posso avercela con lei per aver
tentato di riscattare se stessa.
Direi anzi, che tendo a
giustificare le sue scelte.
Perché se dovessi farlo per te,
per il tuo bene, sono quasi sicura che agirei nello stesso modo.
Non esiterei e mi farei
marchiare la carne viva per evitarti le mie sofferenze; mi morderei le labbra a
sangue per trattenere le urla.
Sicuramente la vita le ha
dato un’occasione, che pochi al suo posto, avrebbero saputo sfruttare; mia
sorella ha afferrato tutto quello che poteva prendere, con avidità, senza
preoccuparsi delle conseguenze dei suoi atti, ma alla fine ha dovuto pagare un
prezzo enorme. Chissà se per Jeanne ne è valsa la pena.
Ricordo solo le parole amare
che mi disse un giorno su una spiaggia della Normandia, sul meritare qualcosa
dalla vita, dopo aver vissuto fra gli stenti.
“Hai ottenuto quello che
volevi sorellina: ora fai parte della famiglia Jarjayes.”
“Ottenuto? Io non sono come
te, io non tramo per avere qualcosa…”
“Ti ricordi Rosalie? Ricordi
cosa è stata la nostra vita? Ricordi la fame e i lavori più duri e miserabili
che abbiamo dovuto fare? Se ora la vita ci concede qualcosa dobbiamo
prendercela.”
“Non occorre diventare
disonesti, però…” tentai di obbiettare ingenuamente. Al tempo ero ancora
un’idealista.
“I nobili sono i veri
disonesti, se togliamo loro qualcosa pareggiamo i conti. Senti, ognuna di noi
farà la sua corsa e arriverà dove deve arrivare. Non mettiamoci i bastoni tra
le ruote.”
Parole che mi fecero capire
che la lotta per Jeanne non era mai finita.
Avrebbe lottato fino
all’ultimo dei suoi giorni… come Oscar.
In questo erano molto simili.
Dopo la fuga da casa, riuscì
a farsi accogliere presso una marchesa, che la prese sotto la sua protezione.
Fu una sorpresa per me
vederla passare in carrozza per le vie di Parigi, come una nobildonna elegante
e raffinata.
Ma sotto la patina dorata che
la ricopriva, si celava ben altro.
Mia madre stava male e io non
sapevo come curarla; se compravo il pane non potevo prendere le medicine, così
pensai di potermi rivolgere a lei, ma quando disperata chiesi il suo aiuto,
tentò quasi di uccidermi.
Con l’inganno e manifestando
una commozione che era ben lungi dal provare, mi fece credere che mi avrebbe
aiutato; invece mi ritrovai sola in una stanzetta con un uomo che mi prese a
frustate.
Non sono più tornata a
implorare il suo aiuto.
Mi sono tenuta le piaghe
sulla schiena senza lamentarmi e non ho mai detto a mia madre la verità.
L’ho tenuta dentro di me,
come sale che bruciava sulle ferite. Ma la mia scorza iniziava a diventare più
dura.
Jeanne era profondamente
cambiata, o forse quello era il suo vero volto che non avevo mai saputo vedere,
ed era disposta a tutto pur di nascondere il suo passato e raggiungere il suo
obbiettivo. Al colmo della disperazione, avrei commesso un errore irreparabile
se sulla mia strada, in quel momento, non fosse comparsa Oscar.
Luigi XVI era da poco salito
al trono e tutti ci aspettavamo migliori condizioni di vita, ma presto furono
deluse le aspettative di coloro credevano, che con il nuovo re sarebbe iniziata
una nuova era.
I prezzi aumentavano e io non
riuscivo a trovare un lavoro, quindi una sera decisi che mi sarei prostituita,
pur di racimolare i soldi che mi servivano. Non avevo più ritegno, né vergogna
o amor proprio.
Avevo solo la spinta della
disperazione, la mia pancia da riempire e una madre malata da curare.
Fermai la carrozza su cui
viaggiava Oscar e le proposi di comprarmi per una sera, convinta di trovarmi di
fronte ad un gentiluomo ricco ed attraente. In fondo, la cosa avrebbe potuto
essere piacevole. Non avrei mai capito che era una donna; mentre ridendo mi
rivelava la sua vera identità, fui presa dallo sconforto. [2]
Quando le spiegai le ragioni
del mio gesto, lei mi diede una moneta d’oro. Ci comprai pane, patate, anche un
po’ di legumi per oltre una settimana e per una volta, qualche scarto dal
macellaio. [3]
Quello fu il nostro primo
incontro che non scordai mai, per quanto fu bizzarro.
In seguito, fui messa a dura
prova dagli eventi.
Qualche mese più tardi, mia
madre morì, travolta da una carrozza su cui viaggiava una nobildonna diretta a
Versailles, una persona talmente coinvolta nella mia esistenza, da influenzarla
più di quanto io sospettassi.
Tuo padre fu testimone di
quel dramma della mia vita; all’epoca era un giovane giornalista pieno d’ideali
dal temperamento acceso, rammento ancora le parole infuocate che indirizzò
verso quella contessa.
“Voi nobili credete che vi
sia concessa ogni cosa? Perché non aiutate questa donna? Si è ferita per colpa
vostra!”
Ma quella contessa proseguì
la sua corsa, ignorando le parole di tuo padre e le mie lacrime disperate.
Disse solo che era attesa
dalla regina e che non poteva perdere tempo con noi.
Per lei come per tanti
signori nobili che si fregiavano di un blasone, che li poneva al di sopra di
tutto, non eravamo altro che pezzenti insignificanti, di cui non ci si doveva
curare troppo.
Mia madre spirò lì, tra le
mie braccia, nel fango della strada, dopo una vita passata nella melma, non
prima di avermi rivelato qualcosa che giudicai incredibile nell’immediato. Ero
sola, senza più niente. Non avevo più nessuno.
Mi era rimasto solo il mio
odio e la vendetta e forse, furono le sole cose che mi impedirono di
suicidarmi.
Anche l’odio può far sentire
vivi, ma solo a metà.
Alla fine, esso ti distrugge,
quindi figlio mio, non farti mai guidare da questa forza negativa.
Anche questo mi ha insegnato
Oscar.
“Non costruire la tua vita sull’odio
e sul rancore Rosalie, non ti poterà a nulla. Cerca di guardare al futuro con
speranza. Fallo per me…” insisteva a dirmi, quando io non facevo altro che
pensare alla mia vendetta giorno e notte,
applicando costantemente ogni mia energia al solo scopo di raggiungere
il mio obbiettivo.
Ore e ore, spese ad allenarmi
con la spada, a duellare con Andrè, sotto l’occhio vigile di madamigella Oscar,
immaginando di affondare la lama affilata nel petto di quell’assassina. Sarei
stata disposta a morire pur di ottenere quel traguardo.
Non ero certamente animata
dalla speranza, la sera che piombai a Palazzo Jarjayes, credendo nella mia
ignoranza, fosse la residenza reale. Lì tentai di uccidere la madre di
madamigella Oscar, che avevo confuso con la nobildonna della carrozza. Fu allora
che le nostre esistenze si incrociarono definitivamente.
Tutto può cambiare in un
baleno, figlio mio. Non sai mai cosa ti riserva il destino.
La mia vita cambiò così, come
se una fata avesse fatto un incantesimo, come quando all’oscurità profonda della
notte, segue l’alba più luminosa.
Rinascevo quel giorno, in
quel grande palazzo dove Oscar invece di cacciarmi, mi accolse con fiducia e
affetto. Non ero nulla per lei, quasi un’ estranea, eppure immediatamente,
decise di prendersi cura di me. Ancora oggi mi chiedo cosa la mosse veramente…
oh, generosità, certo.
Forse esisteva una spinta più
profonda in lei, qualcosa che non sarebbe mai stato soddisfatto, e mi pare di
capirlo ora, che ti sento muovere nel mio ventre.
Immagina come fu tutto
assolutamente nuovo e straordinario per me: mangiavo tutti i giorni a una
tavola riccamente imbandita, indossavo bei vestiti di seta ricamati, ero
servita e riverita, vivevo nel lusso e dormivo in un letto caldo e accogliente,
sormontato da cortine di broccato.
Godevo della compagnia di
Oscar, del tempo che lei dedicava alla mia educazione. Oscar mi insegnò a
leggere e scrivere.
Quindi, è anche merito suo se
tu un giorno leggerai quanto ora sto scrivendo.
All’inizio dubitavo che fosse
la realtà; mi addormentavo la sera, pensando che mi sarei svegliata nella mia
misera casa di Parigi, dove avrei ritrovato mia madre a stirare la biancheria
di qualche nobile signore.
Invece era la realtà,
splendida ma anche dolorosa e mi chiedevo perché la sorte fosse stata così
generosa con me.
Mi capitava spesso di pensare
a mia sorella Jeanne e mi chiedevo cosa ne fosse di lei, in quali avventure si
era imbarcata. Una strana fortuna mi aveva portato a entrare in quel mondo
senza volerlo veramente, invece lei vi era entrata di prepotenza. Forse un giorno l’avrei incontrata di nuovo
chissà…
Ero abbastanza certa che
sarebbe accaduto.
Intanto vivevo in una casa di
nobili. Come una di loro.
Imparai l’arte della
conversazione, a suonare il piano, a danzare con grazia. Diventai elegante e
raffinata nei modi e negli atteggiamenti, poteva sembrare davvero che nelle mie
vene scorresse sangue blu, ma nell’animo sarei sempre stata la ragazzina
cresciuta in un misero quartiere di Parigi. Non ho mai dimenticato le
sofferenze di quegli anni. Ripensavo spesso a tutte le persone che erano
rimaste là, in mezzo alla loro miseria disumana, persone che conoscevo e che
continuavano a soffrire. Avrei potuto aiutarle. Oscar mi fornì di una piccola
rendita per le mie necessità, che però non usai mai per me stessa e invece,
presi a distribuire tra i poveri.
Oscar mi aveva dato tutto e
io attraverso lei potevo rendere qualcosa agli altri. Potevo sdebitarmi.
Lei naturalmente approvò la
mia decisione.
All’inizio della mia convivenza
a palazzo, ripensavo spesso alle ultime parole di mia madre morente.
Io conoscevo così poco del
mondo, soprattutto di quel mondo. Non conoscevo i meccanismi che lo regolavano.
Era finto e chiuso nelle sue convenzioni sociali, nei contratti disumani che
stringevano alleanze di potere, nelle sue etichette. Era un teatro fatto di
luci abbaglianti che ti accecavano e stordivano, mentre dietro le quinte si nascondeva
il reale marciume che infettava una società apparentemente meravigliosa.
Prima di morire, la donna che
io credevo mia madre, mi disse che in realtà, io stessa provenivo da quel mondo.
Figlia della colpa e dell’inganno,
forse abbandonata per evitare lo scandalo.
Fu una notizia assurda e
incredibile.
Per me è esistita una sola
madre, e fu colei che mi allevò con affetto a amore, ma la donna che mi aveva
dato alla luce e subito abbandonata, si chiamava Martine Gabrielle. Apparteneva
all’aristocrazia.
Mi chiesi se fosse vero, o
era stato il delirio di una moribonda a parlare. Non potevo credere di essere
figlia di gente nobile, persone che odiavo per come ci facevano vivere, che ci
toglievano il pane di bocca e vivevano dei frutti del nostro duro lavoro,
derubandoci della nostra dignità. Avevo imparato a odiare gli aristocratici che
ci trattavano come bestie e ricordavo ogni insulto e umiliazione subita da due
bambine che a piedi nudi nell’inverno rigido, chiedevano l’elemosina per
strada.
Fino a quel momento li avevo
giudicati tutti uguali.
Invece scoprivo improvvisamente
che anche in mezzo a loro c’erano persone di buon cuore.
Era come se avessi trovato
una nuova famiglia; Oscar, André, la vecchia governante. Anche madame Jarjayes
era molto gentile con me, mi dissero che era una delle dame di compagnia della
regina, quindi il più delle volte alloggiava a Versailles. L’unica persona che
faticavo a comprendere era il generale Jarjayes. Era ritenuto dalla servitù un
buon padrone anche se era severo e inflessibile, soprattutto con madamigella
Oscar.
Il padre era sicuramente
molto orgoglioso della figlia, riponeva il lei grandi speranze, ma la cosa più
sorprendente era che la considerava in tutto e per tutto come se fosse stata
veramente un uomo.
Trovavo sempre sorprendente
che le si rivolgesse normalmente al maschile, non riuscivo ad abituarmi a
quella stranezza e Oscar pareva giudicare la cosa, assolutamente normale. Era
suo figlio, l’erede della famiglia Jarjayes. L’unico che pareva ricordare che
lei fosse una donna era Andrè.
Per Oscar, essere considerata
non alla stregua di un uomo, ma un uomo di fatto, sembrava non crearle alcun
problema.
In certi momenti, pareva si
divertisse a giocare su questa stranezza e il suo atteggiamento la faceva
apparire ambigua.
Compresi che la sua ambiguità
generava negli altri, anche forti dubbi sulla sua natura. Col tempo, arrivai a pensare
che lei nascondesse dietro il suo atteggiamento, un lato più intimo e personale
che tendeva a non mostrare mai a nessuno… eccetto, forse una persona soltanto…
Certo, anch’io mi ero
lasciata ingannare all’inizio, ma di fronte all’evidenza non capivo come si
potesse pensare che fosse un uomo.
Perché Oscar era davvero
bella, molto bella. Non solo esteriormente.
Lei era diversa da chiunque
io avessi incontrato in vita mia.
Prima di incontrarla, avevo creduto
che tutti i nobili fossero uguali; gente gretta ed egoista, interessata a mantenere
solo i loro privilegi a scapito della povera gente. Invece vivendole accanto,
scoprii giorno per giorno, che Oscar era una persona meravigliosa: era buona, idealista
e generosa come nessuna.
Se fosse stata veramente un
uomo, credo me ne sarei innamorata subito.
In fondo, il sentimento che
arrivai a provare nei suoi confronti, era molto simile ad una sorta di
infatuazione, per una donna, certo singolare e non comune.
Ne ero affascinata e non ero
l’unica che subiva il suo fascino.
Leggevo questa strana infatuazione
in tante persone che incrociavano il suo passaggio, sicuramente l’ho percepita
nitidamente nella sfortunata Charlotte De Polignac.
Questa scoperta per me fu
davvero bizzarra, ma mi abituai a questo fatto un po’ per volta.
Per uno strano pudore, non
ebbi mai il coraggio di chiedere direttamente ad Oscar, qualcosa della sua
strana vita, che mi aiutasse a comprenderla meglio.
Ma un giorno parlai con
André, il suo attendente; mentre lucidava il cuoio della sella di un cavallo,
presi a fargli un sacco di domande.
“Andrè, da quanto tempo
lavori per madamigella Oscar?”
“Oh, praticamente da sempre.
Sono venuto in questa casa da bambino dopo la morte dei miei genitori; posso
dire di essere cresciuto con lei…”
“Madamigella Oscar ha sempre
vissuto così?”
Andrè rise un po’ delle mie
perplessità.
“Sì, ha sempre fatto questa
vita. Alla sua nascita, il generale suo padre, non avendo avuto il dono di un
erede maschio, decise che l’avrebbe cresciuta come un ragazzo. Oscar aveva solo
14 anni, quando divenne capitano delle guardie di palazzo e da allora, ha
sempre seguito la carriera militare.”
“Ma Andrè… sono tante le
donne nobili che vivono come Oscar?”
Una domanda più ingenua non
avrei potuto farla e Andrè rise ancora di più, mentre terminava il suo lavoro.
“Lo trovi davvero singolare,
vero? No, Oscar è un caso unico… ma concordo con te; è una cosa bizzarra.
Eppure lei riesce benissimo in quello che fa, non trovi?”
“Oh, sì… certo.” Conclusi.
Che destino strano per una
donna.
Avrebbe dovuto essere già
sposata o quantomeno in procinto di farlo.
Invece, era il Colonnello
delle Guardie Reali del re di Francia.
Vivere come un uomo e
rinunciare a tutte quelle cose che avrebbe potuto desiderare una donna, non
sembrava pesarle affatto, forse non avrebbe voluto vivere in altro modo.
Appariva molto sicura di sé, era abilissima con le armi, ebbi modo di
constatarlo e almeno apparentemente sembrava soddisfatta della vita che
conduceva.
Era fiera e orgogliosa; non
sembrava manifestare alcun disagio per il suo modo di vivere.
Questa era l’immagine che
dava di sé al mondo esterno, ma in alcuni momenti mi sembrava di cogliere in
lei una sottile inquietudine, un tormento malcelato che si sforzava di
dominare. Non ho mai capito di quale natura fosse.
Oscar era una donna molto
riservata e schiva; in realtà non frequentava volentieri neppure la reggia di
Versailles e quel mondo che gravitava attorno ad essa. Nonostante questo, mi
fece dare l’educazione adeguata che mi avrebbe permesso di fare il mio ingresso
in quella società.
A volte era molto esigente,
ma era anche molto paziente, almeno con me.
Lei si interessava di me, era
sempre attenta a tutto ciò che mi riguardava, nessuno a parte mia madre, si era
mai preoccupato per me.
“Devi toglierti quegli abiti
bagnati Rosalie, o ti verrà un malanno… Fa freddo, mettiti il mantello…”
Mi insegnò ad usare la spada perché
sapeva che volevo vendicarmi, ma sperava col tempo, potessi dimenticare i miei
propositi.
Oscar tentava di costruirmi
un futuro, guadagnando tempo.
Quando le rivelai le parole
dette da mia madre prima di morire, decise di aiutarmi a trovare la donna che
mi aveva abbandonato. Anche per questo mi introdusse a corte, dove scoprii che
il colonnello Oscar era un personaggio molto popolare; suscitava l’ammirazione
e la stima di dame e gentiluomini.
Tutti erano affascinati da
lei, ma non mancavano coloro che le invidiavano l’amicizia della sovrana.
Fu durante un ballo a corte
che ebbi modo di incontrare per la prima volta la regina Maria Antonietta.
Ricordo l’impressione che ne ricevetti; non coincideva assolutamente con
l’immagine che mi ero fatta di lei: una donna dissoluta, dedita solo agli
sperperi, secondo la descrizione che ne facevano i poveri di Parigi.
Invece mi apparve bella come
una dea e di una dolcezza infinita.
Il re non impressionava altrettanto;
accanto alla regale consorte, appariva goffo, timido, a disagio ovunque. Eppure, era lo stesso re che la mattina dell'esecuzione affrontò il suo destino con coraggio e salì sul palco del supplizio a testa alta e senza vergogna.
La regina di Francia era una
donna di incredibile fascino: all’apice del suo fulgore, possedeva una grazia
ed un’eleganza indimenticabili. Era una leggiadra nuvola di luce, una farfalla
dai colori splendidi che si muoveva libera nell’aria, un caldo sole
abbagliante, e tutto il mondo dorato di Versailles gravitava attorno a lei.
Ricordo le dame di corte fare
a gara per imitarla, per avere il privilegio di una sua parola o un cenno di
benevolenza.
L’immagine splendida di
allora, vista da questa distanza sembra irreale; essa si sovrappone e scompare
davanti all’ultima della donna triste e consumata, con i capelli canuti come
quelli di una vecchia, che incontrai un anno fa, nella prigione della
Conciergerie.
A Versailles, il mio vero
obbiettivo era trovare l’assassina di mia madre e infatti, mi bastò quella sera per trovarla.
Si trattava della contessa di
Polignac, donna all’epoca molto potente, perché godeva della protezione e
dell’amicizia della sovrana. L’avrei uccisa quella sera stessa, davanti a tutti
i cortigiani presenti, se Oscar non mi avesse fermato, impedendo il mio folle
gesto, dicendomi che sarei morta senza scopo.
In verità, non mi sarebbe
importato di morire in quel momento, perché giudicavo la mia vendetta la cosa
più importante. Non ragionavo, accecata com’ero dal mio odio. Quello era il mio
scopo e non ne avevo un altro.
Oscar, dopo quel primo incontro, mi
esortò a dimenticare, a pensare solo al mio futuro; mi considerava parte della
sua famiglia e anch’io ormai nutrivo un forte affetto per lei. Sarei stata
felice di poter restare sempre al suo fianco, ma non riuscivo a dimenticare la
contessa di Polignac. Il mio odio per lei non diminuiva e a corte non tornai
mai volentieri, se potevo evitavo di incontrarla. Eppure le nostre strade si
sarebbero incrociate ancora, molto più di quanto io potessi volere.
Per una beffa del destino, un
giorno scoprii chi era veramente Martine Gabrielle.
Oscar aveva fatto delle
ricerche per trovare chi mi aveva messa al mondo. Scoprì che si trattava
proprio della contessa Di Polignac. Non ricordo cosa provai in quel momento, so
soltanto che restai inerme, come se avessi ricevuto uno schiaffo in pieno
volto. Sapere la verità non servì a cancellare il mio odio, mi restava il
desiderio della vendetta, ma alla fine mi mancò il coraggio di attuarla, pensando
ad una triste ragazzina di undici anni che sarebbe rimasta orfana.
Mi sforzai di dimenticare
anche per non dare un dolore a Oscar.
Quello che successe dopo, mi
fece pensare che la punizione divina aveva comunque raggiunto la contessa di
Polignac, perché perse la figlia giovanissima, tragicamente.
Ho pianto con dolore per
quella sorella trovata e subito persa.
Ma forse Dio mette a posto tutte
le cose in un modo che noi non possiamo capire e colloca le persone nel posto
esatto in cui devono stare.
E anch’io forse ero arrivata
lì per un motivo.
La mia vita continuava, in
qualche modo; la dividevo con Oscar e Andrè…
Così, fui testimone di un segreto che per
chiunque altro sarebbe rimasto ignoto…
Continua…
Non temete, non sarà una storia lunga, al
massimo due capitoli.
[1] Se non sbaglio, durante il processo farsa della regina, questa
era una delle accuse che le fu mossa.
[2] Naturalmente, qui faccio riferimento al manga, dove Rosalie cerca
davvero di prostituirsi; ferma la carrozza di Oscar e si vende a lei per una
sera. Anche nell’anime è presente questa scena, solo che in Italia è stata
tagliata e censurata.
[3] Io non so bene cosa si potesse comprare con una moneta d’oro,
cosa potesse valere, ma ho voluto pensare che Oscar sia stata molto generosa
con la piccola Rosalie.