«Papà? Papà?!».
Ronald Weasley imprecò sottovoce quando il tono squillante e disturbatorio di suo figlio, lo distrasse dalla lettura della Gazzetta del Profeta per l’ennesima volta; abbassò il giornale e, con aria seccata, fissò gli occhi in quelli del bambino.
«Cosa c’è questa volta, Hugo?» domandò roteando gli occhi al cielo, «E’ la trilionesima volta che rileggo la stessa frase, dello stesso articolo, senza capirci un accidente!».
«Forse perché sei un po’ tardo, papino» lo rimbeccò Hugo, offeso; d’altronde era suo padre, e come padre aveva il dovere di ascoltarlo!
Ignorando l’espressione a dir poco allibita appena comparsa sul volto di Ron, Hugo prese a fissare un punto indistinto sopra di lui.
«Mi chiedevo cosa fosse quella cosa là» se ne uscì, indicando una macchiolina scura che, piano piano, avanzava molto lontano da loro dominando il cielo.
Ron alzò lo sguardo, curioso e, non appena scorse l’aeroplano indicato dal figlio, sorrise.
«E’ un aereo» rispose in tono pacato, «E’ un’invenzione babbana ed è molto utile per spostarsi di luogo in luogo».
In quel momento ringraziò mentalmente suo padre, Arthur, per le lezioni involontarie di cose di babbani e per avergli così impedito di fare una pessima figura con il figlio.
Il piccolo rimase per un attimo interdetto.
«Delle scope giganti volanti, insomma».
Ron ridacchiò. «Più o meno».
Calò il silenzio tra i due, che fu interrotto pochi istanti dopo da Hugo, proprio mentre Ron stava per riemergersi nella lettura.
«Voglio cavalcare una di quelle scope giganti e volanti!».
Inutile dire che il padre trasalì, sperando inutilmente che quella specie di passione appena confidata dal bambino, fosse solo una cosa passeggera, come quando gli aveva segretamente confidato che, da grande, avrebbe voluto fare il parrucchiere.