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Autore: cartacciabianca    05/06/2010    3 recensioni
[Oblivion]
Due delle Gilde più potenti dell'Impero stanno per affrontarsi dopo secoli di scontri sotto tovaglia.
Elion, studentessa presso l'Università Arcana destinata a diventare la più grande Strega Bianca della contea di Cyrodiil, s'innamora un giorno di un giovane servo di Sithis, figlio eletto della Madre Notte, nonché membro e rampollo della Confraternita Oscura. Un triste gioco di tradimenti, congiure, bugie e passioni. Quando tutto sembra perduto e l’ultima battaglia giunge agli sgoccioli, tra il sangue di innocenti e l’acqua di purissime fonti, scorrono due vite intrappolate nel macabro disegno del destino. La verità verrà svelata ad ogni costo.
Il mio Romeo e Giulietta in versione The Elder Scroll, con un tocco di magia in più e l'aggiunta di qualche personaggio di mia creazione, sempre all'interno del gioco. Spero che abbia attirato la vostra curiosità.
[ Personaggi: Vicente Valtieri/Ocheeva (Confraternita Oscura) + Tar-Meena/Hannibal Traven (Gilda dei Maghi) + Nuovo personaggio x Nuovo personaggio ]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Attenzione.
Questo e i capitoli successivi conterranno una quantità elevata di spoiler sulle seguenti fazioni:
- Gilda dei Ladri
- Arena
- Gilda dei Maghi
- Gilda degli Assassini o Confraternita Oscura.


3. Sanguine, mio fratello

-Eccoti servito!- esultò una voce, e un attimo dopo il suo corpo si schiantava violentemente su un terreno duro e freddo. Il soldato che l’aveva lanciato in cella come un sacco di patate se la rise di gusto guardando la faccia sconvolta del ragazzo, quando questi si sollevò su un gomito e si guardò attorno chiedendosi cosa diavolo gli fosse successo e perché. Tutto attorno a lui vorticava senza un senso, le figure erano sfocate e i suoni ovattatati dallo stordimento.
-La bella addormentata si è svegliata- commentò la guardia della Legione con una nuova risata, affianco alla quale c’era un secondo uomo, più anziano. Questi fulminò il cadetto con un’occhiataccia che soffocò sul nascere una nuova battutina.
-Niente cibo e acqua per due giorni- ordinò l’ufficiale con la torcia, lasciando al soldato semplice il compito di richiudere a chiave la cella. –Voglio fargli rimpiangere altri piaceri, oltre a quelli della carne!-. Il ragazzo poté guardarlo in faccia, dove tra la barba grigia sfatta e le rughe della fronte, il giovane prigioniero lesse una gioia cattiva.
-Li conosco bene i tipi come te, sai?- cominciò l’anziano in tono solenne e arrabbiato. –Sempre a caccia di giovani vergini. Be’, la tua campagna finisce qui- disse il Priore della Prigione voltando le spalle, e si avviò nel corridoio portando con sé l’unica fonte di luce. Il chiarore della fiaccola e i passi degli stivali di entrambi i Legionari scomparvero inghiottiti da un’ombra nera di silenzio che, pochi istanti più tardi, avvolse ogni cosa. La Prigione piombò definitivamente nell’oscurità e una porta rinforzata sbatté chiudendosi in lontananza.
Il giovane servo di Sithis si trascinò a sedere con le spalle contro la parete, un ginocchio al petto e l’altro disteso. La stanchezza del dopo missione pesava sulle ossa dolenti. Gli occhi, nonostante fosse riuscito a socchiuderli, faticavano a restare aperti. Intorno a lui regnava un nero profondo. Ogni tanto saltava fuori un topolino che, squittendo, andava a mordicchiare le gambe del tavolino e della sedia, cibandosi delle fibre che riusciva a trovare nel legno grezzo. I condannati di tutta la Prigione lagnavano come cani bastonati. Se tendeva un po’ le orecchie era facile riconoscere le grida dei processati sotto tortura nelle stanze accanto. Non c’era una grande sorveglianza, ma le Prigioni Imperiali erano celebri per saper ingannare i fuggitivi meno esperti, che si perdevano nel labirinto di corridoio spesso addirittura costretti a tornarsene in cella da soli per non morire di fame.
Come c’era da aspettarselo, era stato spogliato di tutte le sue armi. Poiché privo di sensi non era nemmeno riuscito a nascondere un grimaldello, che gli sarebbe potuto servire a poco con quell’oscurità. Addosso aveva la sua fedele Armatura Velata, alcune parti della quale erano ancora bagnate.
D’un tratto il ragazzo ricordò ogni cosa: dalla sua missione nelle stesse Prigioni in cui si trovava, alla fuga attraverso le fogne; dallo scontro con la maga, al suo presunto svenimento. Dopo che quella strega gli aveva prosciugato tutte le forze, un alone di mistero sembrava aver avvolto gli episodi precedenti al suo arrivo in cella.
Non era la prima volta che finiva dietro le sbarre, ma mai in veste di Assassino per la Confraternita Oscura.
Quand’era bambino gli era capitato di passare la notte da recluso a causa di piccoli furti su commissione. Per tutta l’infanzia la Gilda dei Ladri, dalla quale era stato fruttuosamente addestrato all’arte del borseggio, del passeggio sui muri e sui tetti, si era preso cura di lui. C’era stato un tempo in cui aveva meritato l’onore, troppo giovane perché se lo ricordi, di conoscere il volto della Volpe Grigia.
Purtroppo, giusto pochi anni prima qualcosa era andato storto durante un grosso colpo nel palazzo della Contessa di Bruma, le cui ricchezze avrebbero garantito il benestare di tutta la gente del Porto per gli anni a venire. Lui e un compagno di sventura erano stati vittima di un’imboscata ancora prima di arrivare alle stanze private del Palazzo: una trappola tesa dai loro stessi informatori. A capo del battaglione armato che li aveva colti in fragrante c’era un uomo del cui sangue il ragazzo era stato costretto a macchiarsi le mani,  mentre il suo compare moriva nel tentativo di garantirgli la fuga. Le guardie della città non erano riuscite a catturarlo e lui era tornato al quartier generale a mani vuote. Da quel giorno in avanti le attenzioni per gli informatori sarebbero triplicate, ma per il caduto si era svolto un piccolo funerale e niente più.
La medesima notte, dopo essersi svegliato a seguito di un incubo, il ragazzo si era trovato di fronte un uomo completamente vestito di nero che sembrava confondersi con le ombre della sua piccola stanza. Da sotto il cappuccio che gli celava buona parte del volto, si era rivolto lui chiamandolo per nome. In un primo momento il ragazzo era scattato giù dal pagliericcio trascinandosi dietro buona parte delle lenzuola. Per lo spavento aveva afferrato un pugnale rimastogli in eredità del suo compagno e lo aveva puntato contro il misterioso visitatore. L’uomo gli aveva fatto i complimenti per la prontezza di riflessi e aveva dimezzato la distanza tra loro con passi così silenziosi da non essere uditi. Gli aveva scansato il braccio armato con un gesto delicato e il ragazzo, forse troppo spaventato, si era lasciato guidare dal suono suadente della sua e della voce di una terza presenza, incognita, nella stanza.
A grandi linee gli aveva narrato la gloriosa storia della Madre Notte e dei suoi figli. Poi Lucien Lachance gli aveva offerto l’opportunità di vivere una vita simile a quella per cui era stato addestrato fin dall’infanzia, con una sola differenza: essere il tramite di una volontà superiore, il portatore in terra del volere divino di Sithis, al fine ultimo di purificare il mondo da anime corrotte e prive di etica.
Tutto quel discorso aveva molto affascinato il ragazzo. Mentre l’Impero aumentava la taglia sulla sua testa a 3.000 monete d’oro, la sua reputazione da ladro e l’omicidio corposo del fratello della Contessa di Bruma avevano fatto il giro della Contea e lui non avrebbe dormito mai più sonni tranquilli. Aveva considerato l’eventualità di unirsi a Lucien come la fuga da una dimensione che stava torcendoglisi contro. Aveva visto nella Fratellanza una casa sicura e una nuova vita, proprio come aveva detto l’Assassino.
Aveva accettato la proposta di Lucien senza spiegare le sue ragioni, che il portavoce non sarebbe stato disposto ad ascoltare comunque. L’uomo incappucciato gli aveva affidato la Lama di Pena e il facile compito di sbarazzarsi di un certo Rufio. Quel vecchio scarto umano trascorreva i suoi giorni come un vegetale ad una locanda chiamata Cattivo Auspicio.
Una volta di fronte al suo letto, il ragazzo aveva esitato un fatale istante con la lama sollevata sopra il petto del moribondo, ripensando se fosse giusto cosa stava facendo e perché. Rufio si era accorto di lui nel dormiveglia ed era balzato giù dal letto rompendosi le ossa della fragile schiena. Una forza esterna, un flusso innaturale aveva guidato la sua mano intanto che la lama penetrava la carne e schizzava il pavimento di sangue, senza lasciare al morente possibilità di gridare.
In quel momento il mondo attorno alla sua ombra aveva vorticato impazzito e il ragazzo si era sentito imprigionare dalla propria coscienza, che chiamava quella di Rufio come una morte ingiustamente dolorosa. La pena e il sentimento gli avevano morso la gola e, cadendo in ginocchio, chino sul corpo di Rufio, aveva pianto tutta la notte fino al risveglio della badante del vecchio. Era una donna Guardia Rossa che giusto la sera precedente gli aveva sorriso con amore quando il ragazzo aveva affittato una stanza per non destare sospetti. Ora, invece, era piombata nella stanza, aveva estratto uno stiletto decorato dalla cintola e gli era saltata al collo, gridando “Assassino!”. Lo scontro tra i due era stato violento e insaziabile, ma l’unica cosa che il ragazzo pregava non accadesse era quella che le Guardie Imperiali accorressero a dar man forte alla donna. Dopo aver assaporato il proprio sangue a duello ed essere stato ferito in più punti, il ragazzo era riuscito a dare il colpo di grazia, uccidendo quella povera donna provato del minimo desiderio di farlo.
Lasciando al galoppo la locanda sul suo cavallo baio, con una mano premuta su una ferita profonda al fianco, il nuovo giovane servo di Sithis si era lasciato condurre al riparo dal suo fedele palafreno. Solo un estenuante viaggio di metà giornata l’aveva condotto moribondo alle porte di Cheydinhal, sotto una pioggia violenta e un cielo rimbombante di tuoni. Crollato di sella sul selciato, il ragazzo era stato sopraffatto da un gruppo di cappucci neri. Poi aveva perso conoscenza.
Al suo risveglio, un uomo dal volto troppo bianco per sembrare umano e canini pronunciati disse di aver vegliato su di lui durante la sua guarigione e di aver ricevuto dalla Grande Madre un messaggio che profetizzava il suo avvento e lo presentava alla Confraternita come l’Eletto.
Della sua vita precedente, prima di imbracciare la Lama di Pena, l’Eletto ricordava pochi e indefiniti episodi. I suoi addestramenti e i nomi delle sue vittime avevano persistito, ma tutto ciò che era stato per lui la Gilda dei Ladri era scomparso nelle mani della Madre Notte che, come gli aveva detto Vicente il Vampiro, l’aveva offerto alla Fratellanza assieme a grandi progetti.
Confrontandosi con altri aspiranti portatori del volere di Sithis, aveva acquistato capacità fisiche e atletiche che non avrebbe mai immaginato di possedere. Arrampicarsi sui muri più contorti e saltare da altezze spropositate senza riportare la minima contusione, avevano fatto di lui l’Uccisore perfetto.
In quegl’anni di servizio e dedizione per la Confraternita aveva conosciuto molta brava gente, tra cui una ragazza, Antoniette Marie, un Imperiale come lui. Una fanciulla troppo dolce, troppo bella per uccidere un uomo senza prima averlo infatuato di sé; e forse era proprio quella la tecnica che adottava sulle sue vittime. Ma per chiedere lei questo l’Eletto aveva troppo pudore. Il suo primo contratto ufficioso era stato un successo eclatante, grazie al quale si era guadagnato una grande ammirazione da parte di Ocheeva, reggente del Santuario, e suo fratello minore Teinaava, Alchimista della Compagnia della Mano Nera. Talaendril, un’assassina preceduta dalla sua fama, aveva cominciato a mostrare un certe interesse per le sue capacità e gli ronzava spesso attorno con modi che facevano intendere un solo obbiettivo. L’Eletto aveva intenzione di preservare la sua castità fin quando la Grande Madre Notte non avesse espresso il suo volere d’accoppiamento per lui. Col tempo, e comunemente per via delle sue gesta, era nato anche il completo disappunto di un Khajiit di nome M’Raaj-Dar, che riforniva gli assassini dell’equipaggiamento richiesto. In tutti gli incarichi fin ora svolti, l’Eletto era stato sempre respinto dal Khajiit, e perciò costretto ad arrangiarsi quando si trattava di far fuori qualcuno in modo “particolare”. All’uomo-micio piaceva rivolgersi lui con l’appellativo di scimmia, poiché la somiglianza con gli Imperial era ben nota a molti appassionati di natura o “membri” della stessa. M’Raaj-Dar l’aveva e avrebbe continuato a guardarlo dall’alto in basso, non stancandosi mai di chiamarlo apprendista o, nel peggiore dei casi, novizio. Eppure il ragazzo era già stato promosso al grado di Uccisore! Forse era proprio questo che al leoncino non andava giù. M’Raaj-Dar non era passato oltre quella soglia per il volere divino interpretato da Lucien durante la sua visita alla cerimonia di passaggio del Khajiit.
Quello sarebbe dovuto essere per l’Eletto il suo glorioso terzo contratto. Aveva appena squartato Valen Dreth attraverso le sbarre della sua cella senza allertare o ferire nessuna guardia della Legione. In cambio della massima discrezione, Vicente Valtieri gli aveva promesso la promozione e un bonus. Una volta uscito dal passaggio segreto che collegava le fogne ad una cella della Prigione, il ragazzo aveva puntato la freccia del suo arco contro Valen attraverso le grate. Ucciso il prigioniero, si era recato silenziosamente nella sua cella e, dopo aver estratto la freccia d’acciaio dal cuore, aveva riverso il corpo sul pagliericcio in modo tale che sembrasse dormire. Forse qualcuno avrebbe fatto caso alla sua parlantina folle improvvisamente assente, ma nessuno avrebbe sospettato di un omicidio per il tempo a lui necessario per ripercorrere i suoi passi. L’Eletto si era gettato nuovamente nel passaggio segreto e aveva fatto il percorso all’inverso. Intravista la luce del giorno alla fine del canale delle fogne, si era permesso di assaporare gli elogi di Vicente, le battutine sarcastiche del Khajiit sulla sua razza e le moine di Talaendril, alla quale aveva una mezza idea di cominciare a dare filo da torcere.
Tutto era andato perduto per colpa di quella maghetta dalle orecchie a punta, che gli era saltata addosso appena era uscito dalle fogne attraverso lo sbocco sul lago. Aveva provato a fuggire, allontanandosi con l’incantesimo d’invisibilità che il segno zodiacale dell’Ombra gli offriva, ma le Bretoni più pettegole e fissate con le buone maniere dovevano capitare tutte a lui! Era vero, l’Eletto non sapeva nuotare: per tutta la sua breve carriera da ladro e ancor più breve da Assassino non ce n’era mai stato bisogno, e di questo ringraziava unicamente l’Unicorno della Fortuna. Spesso e mal volentieri l’Eletto aveva ascoltato le lamentele dei suoi compagni Uccisori, alcuni dei quali erano stati mandati ad estirpare una colonia di infedeli e traditori in una grotta subacquea. Non aveva preso parte a quella missione chissà per quale benevolo volere Divino!
Il ragazzo, sentendosi un po’ meglio, si alzò da terra e andò ad affacciarsi oltre le grate della cella, posandovi le mani. Purtroppo la missione era stata compromessa da una streghetta strafottente, pensò l’Eletto serrando i denti e arroventando la presa delle mani sulle grate. Ora anche il suo bonus poteva andare a farsi fottere, per non parlare di M’Raaj-Dar, che avrebbe avuto un altro dolce pretesto per sfotterlo all’infinito! Ocheeva avrebbe scritto di lui nel suo diario di Custode del santuario come un fallimento fatto persona. Talaendril avrebbe smesso di strusciarglisi addosso smaniosamente ogni volta che ne aveva l’occasione, cercando invano di eccitarlo. Vicente lo avrebbe bandito, o peggio ancora, ucciso cibandosi della sua stessa carne.
Il ragazzo soffocò un grido di rabbia battendo la testa sulle grate. Il dolore fisico, fin da quando era entrato nella Fratellanza Oscura, lo aiutava a sopportare quello mentale. Per un breve istante dimenticava le stupidaggini che aveva fatto, gli errori commessi e le pene future concentrandosi sul fastidio momentaneo.
Ma che dico… non solo la missione è compromessa. Io sono compromesso! La Fratellanza lo è! Quando le guardie capiranno cosa ho fatto, quando noteranno che Valen è morto e si ricorderanno di avere un prigioniero di troppo, torneranno da me e mi tortureranno finché non confesso quello che aspettano di sapere da generazioni, ovvero dove è nascosto il quartier generale della Confraternita! Vicente mi ha avvertito di questo pericolo, ma è anche vero che confidando nelle mie capacità ha per tanto preferito non istruirmi su come uscire da questa maledetta prigione! E adesso eccomi qui, braccato peggio di un animale, senza né cibo, né acqua, tantomeno qualcosa con cui andarmene…
Stava per ripetere il gesto di sbattere la fronte al muro, quando un suono improvviso attirò la sua attenzione nel buio corridoio. Due topolini scapparono squittendo.
Il ragazzo sbirciò qua e là trattenendo il respiro. I suoi grandi occhi azzurri, sgranati dalla sorpresa e dalla circospezione, si scontrarono ad un tratto con due intense iridi castane e dolci come il cioccolato, comparse dal nulla e sospese a mezz’aria fuori dalla cella. Inizialmente, non seppe perché, ma pensò che si trattasse della maga incontrata sulle rive del lago. Un brivido tormentato gli risalì la spina dorsale.
-Ciao, bellezza- sussurrò una voce sensuale, femminile e inconfondibile.
La sua Armatura Velata la rendeva un tutt’uno con l’oscurità. Era sospesa a mezz’aria per via di una fune sottilissima e tagliente che scompariva sul soffitto, dove il ragazzo scorse la fessura di una pietra tondeggiante leggermente spostata.
Il giovane servo di Sithis indietreggiò nella cella.
Talaendril poté capovolgersi sulla fune e toccare terra coi piedi. Alcune ciocche dei capelli neri sfuggivano dal cappuccio e le cadevano in morbidi boccoli sulle spalle. La tenuta da Assassina aveva sempre risaltato il suo seno prosperoso in modo tale che difficilmente un uomo avrebbe saputo resisterle. Sulla schiena portava un prestigioso arco dedito solo ai migliori e la faretra decorata ospitava uno spaventoso arsenale di Rose di Sithis: frecce micidiali in grado di uccidere un orco – senza armatura - al primo colpo.
L’Eletto cercò invano di nascondere l’immenso sollievo che poco si addiceva ad un Uccisore esperto; piuttosto si scoprì ad arrossire. Sperando che l’Assassina non lo notasse, ringraziò i Nove di aver fatto loro dono del buio.
-Sono felice che tu sia qui- disse un po’ impacciato mostrando una sincera gratitudine.
-Non ringraziare me, Gabriel, ma Sithis- spiegò la ragazza forzando la serratura. –La Grande Madre ha predetto la tua morte, in caso fossi rimasto dentro, e ha preferito avvertirci in tempo-.
Lui sgranò gli occhi. –Cosa?! Io?! Ucciso?!- balbettò. –È impossibile, come…???-.
-Sssssh!- fece lei, azzittendolo con un dito sulle labbra. –Ti spiego tutto più tardi- disse aprendo finalmente la cella.
A quel punto i prigionieri delle celle vicine attaccarono baldoria chiedendo di essere liberati a loro volta.
Gabriel si tastò l’armatura in più punti. -Le mie armi, dobbiamo…-.
-Alla tua roba penso io; tu devi andartene subito- gli ordinò la donna indicando al ragazzo la fune che pendeva dal soffitto.
Talaendril si piazzò a profilo basso nell’oscurità, accovacciandosi in perfetto equilibrio sulle punte dei piedi. Con un movimento veloce e impercettibile, trasse l’arco e incoccò una freccia, pronta a far fuoco da un momento all’altro.
Gabriel eseguì gli ordini del suo superiore senza replica alcuna: si arrampicò sulla fune con la sola forza di braccia e gambe, evitando di dondolare troppo. Appena fu all’apice, scostò ulteriormente il blocco di pietra quel tanto necessario per passare. Emerse in una stradina deserta stretta tra due case, notando che era ancora giorno e la luce gli voleva male agli occhi. Facendo leva sulle braccia si accovacciò e si guardò attorno circospetto, assicurandosi che nessuno l’avesse visto o stesse ancora guardando. Poi lanciò un’occhiata nel pozzo scuro che erano le Prigioni Imperiali e assaporò la libertà come quando era bambino e se la dava a gambe con un solo grimaldello.
-Talaendril!- chiamò, ma non ottenne risposta.
Piuttosto udì i pesanti passi di due guardie e le vide affacciarsi alla sua cella ormai vuota.
Ma lei dov’è?! Si chiese con ansia nel dubbio.
-Il prigioniero è scappato!- disse il primo soldato con la torcia in mano.
-Presto, avverti il Priore!- aggiunse l’altro, mentre Gabriel riavvolgeva la fune alle loro spalle senza che se ne accorgessero. Fortunatamente il suo corpo faceva ombra sul foro e la luce del giorno non arrivava nel corridoio, o quei due scimmioni avrebbero notato la botola segreta della quale, prima di allora, neppure Gabriel conosceva l’esistenza. Gente esperta e di gerarchia superiore come Talaendril doveva sapere molto altro che ad un comune Uccisore era taciuto.
-Ehi, tu!-.
Per la sorpresa Gabriel balzò in piedi, ma nel momento in cui la sua figura si scansò dalla botola, la luce del sole poté filtrare attraverso il foro nel terreno. Mentre dalla Prigione salivano le imprecazioni delle Guardie e alcune bestemmie, assieme alle urla eclatanti di una mandria di prigionieri in fuga, Gabriel si trovò di fronte proprio il Comandante della Legione in carne e ossa: era un Imperial sulla trentina, forse suo coetaneo. In quel momento non indossava l’elmo, e i capelli castani gli cadevano riccioluti sulle spalle. Aveva occhi verdi selva e un accenno di barba che gli conferiva un aspetto più vissuto di quanto il fisico allenato e l’imponente armatura d’argento non gli regalassero già. Doveva essere capitato in quella stradina desolata per caso, durante una normale pattuglia o un’abituale passeggiata per la città.
L’Eletto si rese conto di aver fatto il grande errore di non tirarsi su nemmeno il cappuccio.
Il Comandante Fhenius Lex impugnò lo spadone d’argento con due mani e venne verso di lui a grandi passi. –La vostra puzza di fogna vi precede, Assassini!- esordì.
Gabriel, preso da un moto di rabbia, fece per portare la mano ad un’arma che ricordò di non avere. Il tempo perso gli costò un affondo del Comandante, che arrivò a sfiorargli la testa di pochi centimetri, ma l’agilità e la prontezza di riflessi di un figlio della Grande Madre non hanno eguali.
Gabriel scansò anche il secondo attacco, guadagnandosi l’odio profondo dal Capitano quando se lo vide fuggire via da sotto al naso.
Approfittando della sua distrazione, il ragazzo si arrampicò come un ragnetto sulla casa affianco e scomparve saltando sui tetti.
-Guardie! Guardie!- gridava quello dal basso.
Continuò a correre a lungo, saltando da un tetto all’altro, facendo attenzione alle tegole malferme e senza guardarsi indietro. Ad un tratto raggiunse il vertice di un edificio abbastanza alto e si stese a pancia sotto con un braccio attorno al comignolo.
La botola segreta sfociava nel distretto dei Giardini, dove alloggiava il popolo ricco della Capitale. I bei prati verdi, i fiori colorati e gli aromi intensi di quel distretto lo rendevano noto e ricercato per la sua serenità. In compenso il resto della città era un putiferio. Battaglioni di guardie a piedi andavano e venivano dal distretto delle Prigioni battendo più volte gli stessi metri di strada. Soldati a cavallo erano accorsi in soccorso del Capitano delle Guardie e sembravano avergliene ceduto uno. Ora Fhenius Lex aveva una vista sopraelevata del circondario e si spostava per le strade ad un galoppo agitato, con lo spadone nel fodero ed entrambe le mani sulle redini. La sua era una guerra personale contro gli assassini, che si diceva avessero ucciso i suoi genitori quand’era bambino. Poi il futuro Capitano aveva raggiunto gli zii nella Città Imperiale, e adesso eccolo lì, a disseminare il panico tra la gente di Cyrodiil chiedendo di un pericoloso Servo di Sithis sfuggito al suo pugno di ferro.

Nel giro di pochi minuti tutta Imperial City era sulle sue tracce, e presto o tardi il resto della Contea sarebbe stata informata e la prima guardia alla quale Gabriel si fosse rivolto, l’avrebbe riconosciuto senza indugi.
La taglia sulla testa di un assassino era così alta che Gabriel si sarebbe consegnato alla Legione di persona al posto di chi invece, come lo stalliere fuori le mura, si prendeva la briga di tenergli il cavallo tutte le volte che era in città.
-Se non fossi così vecchio, mi unirei volentieri al vostro ordine!- aveva detto una volta mentre Gabriel gli consegnava il suo baio, che il vecchio elogiava sempre come un cavallo di qualità eccezionali. –Conosco tanta di quella gente che meriterebbe l’Inferno! Quand’è che la vostra Dea farà un pensierino sugli esattori delle tasse?- poteva sembrare una battuta divertente sui favori che la Confraternita faceva al popolino, ma di fronte a parole del genere Gabriel non poteva far altro che tacere e ignorare il ricordo di essere stato presente quando pronunciate. Se qualcuno della Legione avesse saputo che lo stalliere trattava con gli Assassini, il poveretto avrebbe avuto l’onore di sperimentare sulla propria carne cosa aspetta i servi di Sithis nelle Prigioni, tra le torture e le peggio infamie.
Quella volta Gabriel ritirò il suo cavallo di gran corsa e fuggì al galoppo senza nemmeno salutare o pagare. Per raggiungere Cheydinhal ci sarebbero volute alcune ore di viaggio e non aveva la minima intenzione di farsi sorprendere disarmato da furfanti o altre guardie.

Finalmente aveva fatto notte, e sopra di lui si apriva un magnifico cielo stellato. Tirava un venticello fresco, tipicamente primaverile. Cheydinhal era il ritratto della tranquillità: le acque del fiumiciattolo che la traversava erano calme, le pattuglie controllavano le strade, i lampioni lungo i viali diffondevano una luce delicata, ma la gente era già sotto le coperte nelle proprie case. In lontananza, un gufo delle montagne cantava alla luna piena.
Gabriel camminava svelto sul sentiero di pietra che costeggiava il muretto basso di varie proprietà. Si strinse nel mantello che gli copriva le spalle ad una nuova folata di vento e sprofondò ancor più nel cappuccio, l’unica sicurezza che aveva di sé. Persino quand’era stato ladro per la Volpe Grigia aveva sempre preferito tenere il volto coperto, come se avesse comunque qualcosa da nascondere, anche se non aveva rubato nulla o ucciso nessuno.
Giunto nei pressi della Casa Abbandonata, Gabriel ripensò all’arciera che aveva lasciato nelle Prigioni a cavarsela da sola. Mentre scansava le assi che bloccavano la malandata porta d’ingresso, pregò che Talaendril portasse fede alla sua fama ancora una volta e sperò di poterla rivedere alla tavola della Fratellanza quella sera stessa; per poterla ringraziare, ovvio! e non solo per riavere il suo equipaggiamento.
Appena fu nel buio ingresso della casa, non esitò un istante su dove mettere i piedi: aveva percorso la strada per il Santuario abbastanza volte per poterla fare ad occhi chiusi, nonostante le finestre sbarrate e la mobilia rovesciata che ostruiva il passaggio. Quella catapecchia di casa puzzava di chiuso peggio delle fogne, dove almeno il flusso d’acqua era costante e si rinnovava spesso. Arrivò a toccare con mano la maniglia di una porticina scavata nel sottoscala. L’aprì e si avventurò nell’oscurità della cantina. Trovò una parete sfondata e proseguì oltre a passi svelti, senza mai voltarsi indietro.
In realtà non aveva troppa fretta di riferire a Vicente la riuscita parziale del suo contratto. Avrebbe dovuto uccidere Valen senza venir notato dalle guardie, figuriamoci farsi arrestare! Per di più, il Comandante non avrebbe scordato facilmente la sua faccia e non avrebbe tardato a sbatterla nelle locande, perché in città girava voce che fosse anche un bravo pittore oltre che un uomo col pugno di ferro in guerra e legge.
Gabriel fu costretto a fermarsi di fronte all’immenso portone scavato nella pietra che celebrava l’ingresso del Santuario, pur di non andare a sbatterci contro. Alzò lentamente gli occhi in quelli del grande teschio dipintovi di colori grotteschi e distolse subito lo sguardo rodendosi l’anima.
Per i guai che ho combinato, potrebbe essere l’ultima volta che attraverso questa porta! Si disse. Maga dei miei stivali! Ma perché non l’ho uccisa subito?! Si chiese con un nuovo moto d’ira che gli sarebbe costata una capocciata, se solo la voce del Santuario non avesse parlato dicendo:
-Di che colore è la notte?- il sussurro di Sithis riecheggiò nelle viscere del mondo e s’immerse nell’anima tormentata del ragazzo, acquietandolo.
Prendendo un gran respiro profondo, Gabriel alzò fieramente il mento, si raddrizzò composto e rispose: -Sanguine, mio fratello-.
E la porta si aprì.












.:Angolo d’Autrice:.
Questo capitolo ha innescato una serie di eventi affascinanti che mi stanno letteralmente intrappolando nella dimensione magica di Oblivion. Non riesco più a staccarmi da quel gioco se non per tornare davanti al PC e scrivere questa storia! XD Confesso di aver già pronti i 2 capitoli successivi, ma che prima di postarli mi piacerebbe leggere alcuni vostri commenti su un fattore particolare: il nome dell’Assassino. Gabriel mi attizzava, ma l’ho trovato estremamente banale nel corso della narrazione. Avreste qualche idea migliore? Ditemi di sì, vi prego! ._. Sono disperata! In caso posso anche lasciarlo tale… dipende da voi! XD
In secondo luogo, volevo chiarire che l’uccisione di Rufio nella Locanda Cattivo Auspicio è un reale contratto della Confraternita Oscura del gioco. Lucien Lachance è un personaggio, assieme al Khajiit al quale stanno sulle scatole gli umani, realmente presente nel gioco, assieme ad Ocheeva, Vicente, Antoniette Marie e Talaendril. Se siete un Assassino della Confraternita, potrete confermare la presenza di questi pg recandovi nel Santuario. Se ancora non lo siete, per diventarlo (e qui partono gli spoiler) vi basta uccidere un innocente come accaduto al mio Gabriel quando lavorava per la Gilda dei Ladri :3 che cosa tenera, vero? Questo ed altri sono i motivi per i quali la storia AFFONDA negli spoiler, che riguarderanno la Confraternita Oscura e la Gilda dei Maghi, con qualche collegamento anche ai combattimenti dell’Arena e alle commissioni della Gilda dei Ladri. (La missione per conto della Volpe Grigia, il capo della Gilda dei Ladri, fallita da Gabriel è di mia invenzione, almeno quella! XD) La missione nelle Prigioni, dove Gabriel ha ucciso Valen Dreth, è anche quella un contratto reale del gioco.

 x SnowDra1609: purtroppo non conosco Fallaut, perciò puoi stare tranquillo che lì non verrò a perseguitarti con le mie storielle strappalacrime! XD Sono consapevole, scrivendo questa fan fiction, di star romaticizzando un po’ l’atmosfera cupa e avventurosa di Oblivion, scrivendo di una storia d’amore che si avvicina (ma non è) a Romeo e Giulietta. Sono felicissima che tu abbia notato la compatibilità col gioco! Sto cercando di essere il più dettagliata e fedele possibile ai personaggi sia alle ambientazioni del videogame. “Orrori” di ortografia non ho dubbi che me ne sia sfuggito qualcuno. Purtroppo, anche quando mi metto di buna volontà a rileggere cosa scrivo 2, 3 volte, mi sfugge sempre qualcosa… grrrr, che rabbia! Grazie mille per la rece ^^ aspetto commenti! :D


x renault: se non hai ancora giocato il gioco, ma ti affascina il mondo del GDR, te lo consiglio vivamente. Io personalmente non sono una fans troppo accanita di questo genere di giochi, ma in Oblivion ho visto la luce! Amo davvero moltissimo le avventure che mi sta facendo passare! XD Un’altra cosa che ti consiglio col cuore, però (e un po’ forse ti dispiacerà) è quella di sospendere la lettura di questa fiction. Contiene davvero troppissimi Spoiler per una che non ha ancora iniziato l’avventura. Sappi che apprezzo moltissimo i tuoi commenti, mi piacerebbe sapere che tra le mani stringi una copia del gioco e ancora di più vederti tornare informata almeno sulla storia principale! XD Grazie mille per le rece! ^^

Detto ciò, mi defilo. È davvero tardissimo ed io non riesco a tenere gli occhi aperti.
Lettori silenziosi… timidoni! :D
Alla prossima! ^^
   
 
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