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Autore: Happazza    06/06/2010    15 recensioni
I nostri eroi hanno una strana sensazione...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ave gente! Vi ricordate di me?

No??

Come no!

(Happo piange disperatamente utilizzando le tende del balcone come fazzoletto, ma poi si accorge che nessuno le ha risposto, è solamente la voce di Iggy Pop alla radio)

Ecco una piccola pazzia che dedico a Lau_82, ram e Nana_vampiro! Ragazze siete fantastiche!!

 

 

In Spiaggia Dopo La Pioggia

 

 

Duff


Guardare la pioggia che cade non è esattamente la mia più grande aspirazione.

Dovrei provare con i Loaded oggi, ma non ne ho voglia e ho rimandato tutto. Me ne resto qui, nella mia auto, a fissare il mare, aspettando che smetta di piovere per fare una passeggiata a riva.

Oggi mi sento strano.

Mi sento nostalgico.

Tipico. Per quale altro motivo dovrei essere qui in questa data?

Osservo le goccioline scendere giù per il finestrino, tracciando disegni immaginari che la mia fantasia scolpisce abilmente, proprio come quando, da bambini, si interpretano a proprio piacimento le forme bizzarre delle nuvole.

Ero un bravo ragazzo io… o, per lo meno, fino a quando non compii dodici anni.

Sorrido ai ricordi felici che passano in un attimo nella mia mente e mi guardo dallo specchietto retrovisore, da cui pende un piccolo, ma particolareggiato revolver imprigionato nel gambo spinoso di una rosa violentemente rossa. Un piccolo ricordo di quello che sono stato.

Ma cosa sono diventato?

L’immagine che lo specchio mi restituisce non è delle migliori. Avevo un aspetto magnifico, fino a qualche anno fa.

E ora mi faccio schifo. La pelle del viso è un tantino raggrinzita e, anche se adesso ho un’immagine totalmente virile, mi preferivo nella bellezza (a volte quasi femminea) dei miei vent’anni.

Sto facendo ricrescere i capelli: d’altronde, se li avessi corti, non sarei più io. In tanti mi hanno amato. E tanti impazzivano anche per la mia chioma.

Guardo la forma dei miei pettorali e rido. Quando mai mi sono preoccupato di mostrarmi palestrato?

Oggi è una necessità, visto che non ho più la sicurezza della giovinezza. Che dono ho avuto!

E come l’ho buttato via, affogandolo in coca e alcol!

Sono quasi morto qualche anno fa e se ora mi trovo qui, vivo, è tutto merito della mia volontà.

Ora non tocco alcolici. Li temo, anche se rimpiango i tempi in cui nelle mie vene scorreva birra.

“King of beer”

Era proprio questo uno dei miei soprannomi. A volte mi capita di riguardare vecchie interviste fatte da ubriaco: ruttavo, ridevo e non riuscivo a coordinare più di tre parole messe insieme.

Che tempi!

Erano gli anni ottanta e se non trasgredivi non eri ammesso alla vita.

Accendo la radio, sintonizzandola sulla mia stazione rock preferita, ma la spengo subito, quando riconosco le note di una canzone familiare.

Paradise City.

Non voglio pensare a quel periodo. Mi brucia.

E perché ora mi trovo proprio qui?

Tiro fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca dei jeans e me ne accendo una, aspettando che succeda qualcosa.

Ho una strana sensazione ed essa è così violenta, che non posso fare altro che attendere che accada qualcosa. Si ripropone, esattamente come è già successo una volta e, accidenti, ne è valsa la pena.

Aspetto.

 

***

Izzy


Lafayette non è un posto bellissimo d’estate.

Per questo ho preso un vecchio rottame e me ne sto tornando a Los Angeles.

Guido da ore completamente solo, a parte la voce gracchiante di qualche cantante rock alla radio.

Il rock moderno non ha niente a che vedere con il mio concetto di musica. Niente riff memorabili, niente di niente. Solo voci stupide e tanto, tanto sintetizzatore. È diventato qualcosa di psichedelico. Non che sia da buttare, ovvio, ma non ti entra nel cuore, come il rock vero. Certo, era da un po’ ormai che io stesso non faccio più hard rock. Ho armoniosamente contaminato la mia musica con qualche impronta country e reggae, ma ho sempre saputo perfettamente cosa sia il rock vero.

Ho scritto diverse canzoni che sono entrate nella storia del rock.

Non da solo, però.

Sorrido al pensiero e mi ritengo fortunato di essere l’unica cosa in comune che gli altri quattro scimmioni litigiosi hanno, oltre al passato. Ho suonato come ospite nei Guns N’Roses qualche anno fa e con Axl Rose posso dire di avere un buon rapporto. Non come ai vecchi tempi, quando lui era il mio migliore amico, ma quasi. Sempre meglio di niente. Ancora mi fa un strano effetto vedere un gruppo di sconosciuti mascherarsi dietro la nostra bandiera, capitanata da un leader depresso.

Si, Axl è depresso.

Invece, qualche mese fa ho incontrato gli altri tre. Abbiamo suonato tutti insieme ed è stato come tornare indietro nel tempo. Steven è ancora in forma come vent’anni fa, Slash ormai è una leggenda e con Duff fa culo e camicia. Mi è piaciuto molto.

Ah… sto diventando vecchio. Sento la vescica chiedere pietà e mi metto a cercare una stazione di servizio.

Accidenti! Mi sono fermato meno di mezz’ora fa e devo di già svuotare il pappagallo?

Eccone una! Inizio a cercare un parcheggio.

Sbuffo. Non lo ammetterò mai: non ho quasi cinquant’anni. Ne ho solo qualcuno in più di quaranta.

Scendo dall’auto e mi avvio al cesso, mentre lancio uno sguardo alla mia immagine riflessa nella fiancata di una vecchia mercedes grigia. Sono uguale a prima, no?

Capelli neri (perché continuano a dire che siano castani? Sono neri! Neri!), occhiali scuri, giacca strampalata e coppola siciliana.

Uscendo dal cesso- quasi morto per la puzza di piscio-, mi fermo ad osservare un cartellone, su cui è disegnata una grande mappa della zona e mi rendo conto di essere quasi arrivato alla mia destinazione.

Perché sto andando lì?

Non lo so.

Oggi è una giornata speciale e devo andare in quel posto.

Sento che, recandomi in quel luogo, avrò delle risposte. Nel frattempo, vedo un grande nuvolone nero che copre la città. Perché cazzo piove proprio quando arrivo io?

 

***

 

Steve


Cazzo. Mi fanno male le braccia! Perché devo suonare come un contorsionista?

Questa mattina abbiamo provato per tre ore: domani sera si suona in quello strano locale pieno di specchi.

Cazzo! Io già sono brutto di mio, poi devo guardare la mia immagine riflessa per l’intera durata del concerto? No! Farò mettere dei tendoni davanti agli specchi più vicini. Almeno non mi spaventerò per nulla!

“Ehi Steve! Riprendiamo tra dieci minuti?” fa la voce disinteressata di Chip Z'Nuff.

Chip N’Zuff? Ma che cazzo di nome è?!

Dovevo chiamare la band “Eat us”, non “Adler’s Appetite”! Uno dei miei soprannomi è Pop Corn. Lui è una patatina fritta…

“Sei frocio?” gli chiedo col mio sorriso smagliante.

“Eh?” domanda lui, sgranando gli occhi. Oh, Cristo, ora somiglia più ad un manzo, né ad una patatina.

“Niente, niente…” faccio, con un gesto della mano.

Lo terrò d’occhio perdiana! Uno che si fa chiamare “Patata” non può essere mica normale, no?

“Allora?” dice di nuovo Chip e Ciop.

“No… per oggi ne ho abbastanza. Proveremo domattina!” dico, vedendolo sorridere. Sarà esausto anche lui!

“Comunicalo agli altri!” dico, prendendo le mie cose e avviandomi verso l’uscita della porta, dopo essermi messo un asciugamano (non so di chi sia…. meglio scappare prima che qualcuno lo reclami) sulle spalle. Esco fuori e…

Diluvia!

Ma come? Tre ore fa c’era un sole tremendo e faceva un caldo boia!

Poi mi rendo conto di un altro piccolo particolare: cazzo!

Sono venuto in bici e devo attraversare tutta la città per tornare a casa!

Chiamo un taxi, ma non ho un soldo (perché esco come un barbone?).

Prendo la bici, ormai fradicia e, dopo essermi messo l’asciugamano in capo, mi avvio saltando in sella.

Sembro Madre Teresa di Calcutta!

Inizio a pedalare per le strade iperaffollate della città, bestemmiando in greco antico.

Poi qualcosa mi sconvolge: una sensazione strana, primitiva.

Mi viene improvvisamente in mente che oggi è una giornata particolare.

Devo andare lì.

Prendo una strada secondaria e, fradicio, pedalo verso la mia destinazione.

 

***

 

Slash


“Peeeeeeeeerla!” urlo a pieni polmoni.

Nessuno risponde.

“Peeeeeeeeeerla!” chiamo ancora, ma senza essere udito.

Sbuffo sonoramente e mi avvio alla ricerca di mia moglie, dispersa in quel labirinto di casa.

Vado in cucina, nelle stanze dei bambini, nei cessi della casa, ma non trovo un cazzo.

“Ma dove cazzo è finita quella fottutissima donna?” dico, a voce alta.

“Mi cercavi, dolcezza?” dice la voce di mia moglie apparsa improvvisamente alle mie spalle. Nascondo il balzo spaventato che ho fatto - ovviamente senza successo, a giudicare dallo sguardo divertito della mia donna-  e mi accingo a risponderle, cercando di apparire arrabbiato:

“Perlamiseria! Che fine hai fatto?! Dov’eri?”

“Ero in cucina!”

Ma io ci sono andato in cucina! Forse era nascosta sotto il tavolo, o dentro la dispensa…. lì non ho mica controllato! Soddisfatto di quella brillante deduzione, mi metto a gongolare.

“Perché mi cercavi?” domanda Perla amabilmente.

“Chi? Io?” casco dalle nuvole “Ah! Si! Dov’è la mia maglietta di Pepé Le Pow?”

“Chi?” fa lei, senza capire.

“Pepé Le Pow! La mia puzzolina bianca e nera!”

Lei sembra capire e abbassa il capo… desolata?

“Cosa ne è stato?” chiedo lentamente.

“L’ha divorata il serpente” dice candidamente, con un sorriso.

“Cosa?” dico, incapace di pensare ad altro. Cosa? Cosa? La mia fottutissima maglietta di Pepé… in bocca al mio piccino?

“Hai sentito bene” ribatte lei, calma e per nulla turbata.

“Eh… cazzo! Tu me lo dici così?” domando.

“Non ti arrabbiare, su! È solo una maglietta!”

Solo una maglietta? Solo una cazzo di maglietta?

Come può pensare questo di Pepé? È impazzita questa donna? Pepé è un pezzo di me! È un pezzo di storia!

Quante volte abbiamo scoreggiato insieme… compagno di bevute, di sesso, di droga.

“Pepééééé!” urlo disperato aprendo la finestra alla mia destra.

“Cazzo urli, coglione!” fa la vocetta di quella mummia che abita qua accanto. Ma quanti cazzo di anni ha questo? 2-300?

“Forse dorme in una bara” penso a voce alta, richiudendo la finestra.

“Ma chi, tesoro? Pepé? No, lui è nel pancino del tuo serpentino!” fa Perla, amorevole, passandomi una mano sulla spalla, mossa da compassione.

“Lo so che è colpa tua, non fingere. “

“Certo, caro, come vuoi tu” ovviamente mia moglie non mi ascolta.

“Cazzo!” borbotto, incrociando le braccia al petto e battendo un piede a terra.

“Ora sai che fai?” le dico, irritato “Ora vai da un fottuto negozio di animali, compri venti puzzole, le chiami Pepé e poi me le fotocopi su una maglietta, chiaro?”

“E poi cosa ci faccio?” domanda, con un sopracciglio alzato.

“Seppelliscile in giardino, che cazzo di domande fai?” le dico, con ovvietà.

Le donne non capiscono un cazzo. Questo è risaputo.

“Quando torno a casa voglio vedere la mia maglietta e venti tumuli nel prato!” tuono.

“Ora, però devo correre via” dico, prendendo il chiodo e precipitandomi verso la porta.

“Dove vai?”

“Cazzo ne so?!” dico, sbattendo la porta, dopo averle dato un bacio, sorridendo.

Ho mentito. So perfettamente dove andare. Mentre pensavo a Pepé, ho avuto una strana sensazione.

Dovevo andare lì.

Fanculo agli Snakepits ( che dovrei incontrare tra due ore).

Sento che devo andare in quel posto, a pareggiare qualche conto con il mio destino.

Piove, cazzo. Prendo le chiavi dell’auto di Perla dalla tasca dei jeans e mi precipito verso la spiaggia.

 

***

Duff


Una saetta passa davanti al mio sguardo.

“Cazzo è?” mi sono quasi spaventato.

Esco dalla macchina a controllare e, sotto la pioggia, mi rendo conto che si tratta di un tipo che sfreccia in bici… mi correggo: sfrecciava.

In effetti si è appena aggiudicato l’Oscar come miglior capitombolo della storia. Non si muove, imprigionato in quell’ammasso di ferraglia che è la sua bicicletta.

Mi muovo per verificare che stia bene e dare una mano, ma qualcuno mi ha già anticipato. Dall’auto posteggiata giusto davanti alla mia, è uscito un tizio stranamente familiare, che subito corre a prestare soccorso.

“Bisogno di aiu… ehi, ma che cazzo ci fai tu qui?” dice la voce stralunata di Izzy Stradlin.

“Ma che cazzo ne so!” risponde un contrariatissimo Steven Pop Corn Adler, spingendo la bici in un fosso e alzandosi a controllare di essere tutto intero.

“Sempre col culo a terra,  Adler?” dico con un sorriso, comparendo alle spalle di Izzy.

I due si voltano verso di me e restano per un momento sbigottiti a fissarmi, poi ricambiano il sorriso.

La sgommata stridente di un’auto a pochi passi da noi, ci interrompe.

“Serve un passaggio, checche?” dice la voce beffarda ma felice di Slash, al volante di… un’utilitaria?

“Fottiti!” rispondo “Ma che cazzo di merda usi per andare in giro?” gli dico avvicinandomi.

“Ehi, man, è di Perla! Lei l’ha scelta, cazzo vuoi da me?” dice, poi si mette a parcheggiare l’auto, infilandola davanti alla mia.

“Ragazzi” fa Steve pensieroso “Cosa cazzo ci facciamo tutti qui oggi?”

Ma, da uno sguardo che ci scambiamo, ci rendiamo conto di sapere già la risposta.

Siamo qui perché nessuno di noi ha mai dimenticato.

O forse si, a giudicare dall’unica persona che manca all’appello.

“Credete che quel cazzone verrà?” domanda Steven, dando voce al pensiero di tutti.

Ma nessuno risponde. Abbassiamo tutti lo sguardo, consapevoli di essere stati degli idioti ad esser venuti qui il giorno del venticinquesimo anniversario della nascita dei Guns N’Roses.

“Ricordate ancora?” dice Slash, con una strana luce negli occhi.

“Certo, rotto in culo!” dico entusiasta.

“Rotto in culo io? Ma ti sei visto Mr McKazzo?” ribatte Slash animatamente.

“Fottiti, frocio!”

“Come mi hai chiamato? Come mi hai chiamato? L’avete sentito? Mi ha chiamato “frocio”! Scommetto che se ti si mette Steve nel culo neanche te ne accorgi, tant’è che ce l’hai largo!” ormai Slash ci ha preso gusto.

E io anche.

“E tu, allora? Scommetto che nel tuo ci entrano Steve e queste tre fottute macchine del cazzo tutte insieme!”

“Cazzo, che c’entro io?” ci interrompe Steve con gli occhioni da cerbiatto.

“Fottiti!” conclude Slash, rivolto a me.

“Prima le signore!” ribatto io, ghignando e facendo un gesto cavalleresco rivolto a lui.

“Ha smesso di piovere” osserva Izzy, interrompendo la guerriglia verbale.

“Si” faccio io “dev’essere stato più o meno quando sono sceso dall’auto”

Ci guardiamo perplessi, poi Izzy ne spara un’altra delle sue che ci lasciano di stucco:

“Sempre in ritardo, eh?” si rivolge a qualcosa alle mie spalle e, vedendo Slash irrigidirsi, posso ben capire di cosa si tratti… o di chi.

“L’ho sempre detto: arriverò in ritardo persino al mio funerale!” esclama la voce tranquilla di Axl Rose.

“Sei…. qui” dice Steven incredulo.

“Come tutti voi, del resto” risponde beffardo Axl Rose. Sa di essere una sorpresa, è evidente.

Ed è anche evidente che, se non fosse stato per quella strana sensazione che lo ha assalito come è accaduto a tutti noi, non sarebbe mai venuto.

“Stai bene” osservo asciutto, mentre mi studia.

“Anche tu” dice secco, subito dopo.

Ci voltiamo automaticamente verso Slash. È l’unico che non ha neanche aperto bocca. Fissa Axl, con un’espressione impenetrabile. La tensione è quasi palpabile.

D’altronde è ovvio, no?  Tra i due è avvenuto il litigio peggiore: si sono insultati per anni, disapprovandosi a vicenda. Devo riconoscere, però, che Slash è stato sempre un signore nei confronti di Axl: è stato sempre quest’ultimo a criticare e ad insultare il chitarrista, mentre l’altro ha sempre ribattuto tranquillamente, facendosi scivolare le parole dure addosso.

Dopo interminabili secondi, in cui i due non riescono a non fissarsi, Slash sorride sincero, senza rancore,  e dice:

“Hai detto tante cose su di me”

Axl ricambia il sorriso e dice, tranquillo:

“Anche tu”

Ed è questo il momento in cui tutti ci rendiamo conto che è il suo modo di chiedere scusa a tutti.

Senza sapere come, né quando, ci ritroviamo in un lungo e soffocante abbraccio di gruppo.

“Froci del cazzo!” esclama la voce di un passante.

“Ancora tu, vecchia mummia? Ma mi segui o sei il mio angelo rompicoglioni?” dice Slash, riconoscendo la figura del passante.

“Fanculo!” esclama la voce del vecchio.

“Fanculo a te!” dice ancora, mentre il vecchio, indignato, si allontana indignato, borbottando. Poi, rivolto a noi, Slash spiega “È quel rotto in culo del mio vicino! Mi segue dappertutto e sta sempre a sbraitarmi contro. Si, Duff… è più rotto in culo di te!”

E tutti irrompiamo in una grossa, grassa risata.

È finita.

Significa qualcosa, lo sento.

Ci avviamo, senza parlare, verso la riva e ci sediamo a terra a chiacchierare e a ridere, esattamente come venticinque anni fa.

Il 6 Giugno 1985 facemmo il nostro debutto nella scena musicale al Troubadour, a Hollywood. Il concerto era stato strepitoso: il pubblico era in delirio e noi eravamo più che gasati.

Dopo esser stati ringraziati a dovere con denaro, donne ed alcolici, spendemmo tutti i nostri risparmi in taxi e bottiglie di zio Jack, facendoci portare qui, su questa spiaggia, a festeggiare. Fu la prima serata da vere rockstar. Ancora non eravamo nessuno, è ovvio, ma tutti avevamo la fortissima sensazione –proprio come quella che ci ha portato qui oggi- che quello fosse l’inizio di qualcosa di grande.

“Steve,  volevo chiedertelo da un po’…” dice Axl.

“Cosa?” fa l’altro, cadendo dalle nuvole.

“Ma che cazzo ti sei messo sul capo?”

In effetti avevo notato qualcosa di strano sulla testa di Steve, ma la gioia e lo stupore, mi avevano fatto dimenticare di chiederglielo.

“Oh… merda!” disse, togliendosi un asciugamano fradicio dai capelli “Ecco perché mi sentivo la testa pesante, cazzo!”

 

Beh… questa è…. è… è…

Boh?! Spero che vi sia piaciuto!

Baci,

Happo

 

  
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