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Autore: Folle_camille    08/06/2010    10 recensioni
Remus non ha mai perso la consapevolezza di quell'odore, la voglia di quello star bene che solo Sirius sapeva trasmettergli. Nasconde la testa nell'incavo del collo bianco di Sirius e questi non tarda a stringerlo a sé.
Speranze e ricordi che si mescolano nel clima della nuova guerra.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Disclaimer ~ I personaggi purtroppo non sono miei, ma di quella geniale donna che è la Rowling :) La storia è stata scritta solo per intrattenimento, senza alcuno scopo di lucro.

Note ~ 
• Il titolo è preso da una canzone dei Muse, Uprising
• La storia è ambientata nel periodo successivo al rincontro di Sirius e Remus, dopo la fuga di Sirius da Azkaban. Il tutto è stato scritto nell'arco di tempo che va dalle 9 di sera alle 4 del mattino, perciò vogliate scusare gli eventuali errori ;) E' la prima storia che pubblico qui su EFP, spero che l'apprezzerete! Ah, sono ben accette recensioni di tutti i tipi, anche di una sola sillaba, giusto per capire i vostri gusti e migliorarmi...grazie :D



                                 ~ Another promise, another scene, another.


E' notte, a Grimmauld Place. Due figure nere si dirigono velocemente verso il numero 12; il vento strattona i loro mantelli, la neve vecchia attutisce il rumore pesante dei loro passi, ridotto ormai ad uno scricchiolio. Un solo lampione al centro della lugubre piazza getta una luce arancione sulle facciate dei palazzi lerci, sui sacchetti d'immondizia abbandonati sul marciapiede, mentre uno stereo pulsa rock in lontananza. Un lampo illumina il cielo per una frazione di secondo.

-Sirius, vuoi che...?- accenna esitando uno dei due uomini, non appena le loro ombre s'immobilizzano davanti alla porta nera e scrostata.

-No- lo interrompe l'altro bruscamente.

Un attimo dopo una chiave gira rumorosamente nella toppa arruginita e l'uomo chiamato Sirius spalanca la porta con un calcio, bestemmiando al suono cigolante prodotto dallo schianto. 
Con un rantolo sommesso l'uomo si decide ad entrare, lentamente, e dopo un sospiro - lumos - l'ingresso s'illumina di una luce bianca e accecante, rivelando l'evidente stato di abbandono della casa. Il secondo uomo lo segue all'interno, con il viso rivolto al soffitto a scoprire le profonde cicatrici sul suo collo. Il ticchettio di un orologio scandisce il suono dei loro passi, goffi e indecisi, sulla moquette consunta.

-E' passato troppo tempo- Sirius dice, in un mormorio confuso -ma questa casa mi fa ancora schifo, nel nome di Merlino-

L'altro si limita a guardarlo con i suoi occhi stanchi, un tempo d'ambra luminosa.

-Andiamo- Sirius incita l'uomo al suo fianco, riprendendo a camminare, ma sembra più che lo stia ordinando a se stesso.

I due si fermano nell'antico salotto di pietra, immenso e tappezzato d'argento. Due grandi finestre celate parzialmente da pesanti drappi verde scuro mostrano stralci dello squallido paesaggio di fuori. Al muro sono attaccati numerosi arazzi, uno dei quali, posto al di sopra di un vecchio divano a tre posti, mostra l'albero genealogico dei Black - costellato qua e là di piccole bruciature nere. L'uomo dagli occhi d'ambra vi si avvicina e passa una mano sulla bruciatura in basso a destra, che copre parzialmente il nome di Sirius Black. La foga folle dei Black era tale da spingerli ad eliminare le tracce di coloro che consideravano traditori, colpevoli solo di aver voluto condurre una vita diversa da quella del mangiamorte, colpevoli di non aver sacrificato la propria esistenza a Voldemort. Sirius evoca della legna secca con un gesto deciso e la scaglia nervosamente nel camino, avendo cura di non alzare lo sguardo per non soffermarsi su tutti quei ricordi dolorosi, malvagi come una coltellata alle spalle. Poi si lascia cadere sul divano di fronte al camino, fissando lo sguardo nelle fiamme. 
L'altro uomo nota il suo sconforto e si avvicina in silenzio, prendendo posto accanto a lui.

-Remus- riesce a dire quello, solamente.

-Sei sicuro di farcela, Sir?- replica Remus comprensivo -Vuoi davvero che usiamo la tua casa come Sede?-

-Cos'altro potrei fare?- è la pronta, irata risposta -Non ho niente da offrire, un cazzo di niente. Tu almeno lavori tra quei dannati lupi. Ed io? Cos'ho io da offrire all'Ordine? Merlino, quanto mi sento inutile-

Remus abbassa lo sguardo, indeciso su cosa dire. Sa bene quanto quei lunghi anni ad Azkaban abbiano cambiato Sirius, quanto di lui sia rimasto a marcire sul pavimento di quella lurida cella, o aspirato dai Dissennatori. E sa che Sirius deve aver raggiunto il limite della disperazione per ammettere di sentirsi addirittura inutile. Perfino lui fatica a riconoscerlo. Quell'uomo ossuto e scontroso, cupo, con il viso scavato e gli occhi spenti, le nocche delle mani bianche e i capelli striati di grigio; non c'è più allegria nella sua voce, la sua risata canina non esiste più; cosa rimane del vecchio Sirius? Della sua vivace arroganza, della sua affascinante retorica? Della sua passionalità semplice e sincera...?
Ma Remus ammette a se stesso di essere a sua volta completamente diverso da allora. Quando Sirius è stato portato ad Azkaban, lui era un ragazzo di vent'anni, sognatore e innamorato. Era sicuro di sé, timido e spaventato dalla guerra. Aveva il fisico morbido e definito di un ragazzino che sta per diventare un uomo e la sua risata era calda ed avvolgente. 
Era tutto diverso allora. Tutto così meravigliosamente perfetto.
E poi un flash nella sua mente
Mani aggrappate ai drappi rossi di un baldacchino, gemiti sommessi. Le gambe muscolose di Sirius strette intorno alla sua schiena, i suoi capelli d'ebano sparsi disordinatamente su un cuscino. Le sue labbra rosse, i suoi occhi grigi, i suoi baci di fuoco. Poi un orgasmo sconvolgente, impetuoso; fin troppo breve.
Si porta le mani al viso. Erano almeno dieci anni che quei ricordi non affioravano alla sua mente.
Decide di far scorrere un braccio sulle spalle magre di Sirius e lo stringe a sé; quasi geme sentendolo così fragile e debole, così arrendevole al suo affetto. 
Sirius non si scosta, semplicemente si lascia abbracciare, respirando a fondo e chiudendo gli occhi. 
Non passa molto tempo prima che Remus avverta le sue lacrime cadergli sui pantaloni. Non avverte tremiti, né lamenti. Solo lacrime, pesanti e calde. Non gli domanda nulla, accetta quel suo modo silenzioso di sfogarsi premurandosi di stringerlo un po' in più.
E poi, inaspettatamente, Sirius fa quanto Remus aveva temuto accadesse.

-Ci siamo ancora noi-

Remus resta in silenzio, mentre un'enorme senso di vuoto gli si allarga nello stomaco.

-Voglio dire. Ora che ci siamo -- riincontrati, potremmo ricostruire qualcosa...qualcosa di bello-

Remus fa una pausa prima di rispondere. -Di bello?- è l'unica cosa che riesce a dire.

Sirius avverte il gelo nella sua voce e non replica. Gli sembra ovvia la reazione di Remus, così scontata. Sarà perché si conoscono troppo bene, anche se non hanno avuto alcun tipo di contatto per 13 anni. Sarà perché effettivamente la sua richiesta è davvero esagerata. 
Nella immensa sala buia l'unico rumore è il crepitio violento del fuoco, che consuma lentamente i suoi ceppi anneriti. Remus continua a stringere forte il suo vecchio compagno di vita. Entrambi hanno lo sguardo fisso nel fuoco, lingue danzanti che si allungano e si deformano sotto i loro occhi. Non si rendono conto di quanto tempo abbiano passato lì, immobili ed in silenzio, fino a quando Remus decide di rompere quel triste idillio alzandosi e dirigendosi verso la cucina.
Sirius non protesta. Solo sospira e si alza a sedere, buttando un altro ceppo nel fuoco. Sente Remus armeggiare in lontananza con qualche pentola e presuppone che stia dandosi da fare per preparare il té. 
Come sospettato, dopo qualche minuto Rem torna in salotto con due tazze bollenti e riprende posizione sul divano, accennando un lieve sorriso. Sirius prende la tazza che gli viene porta senza troppi complimenti e beve avidamente, come se non avesse mai assaggiato niente di più buono. 
Remus posa la sua tazza vuota sul pavimento e allunga di nuovo un braccio sulle spalle di Sirius. Poi gli alza il mento e lo bacia.
Una lieve pressione, così tremendamente familiare. 
Sirius si scosta, terrorizzato. Ma dopo qualche secondo si calma. E' Remus. Il suo Remus.

-Mi ami ancora?- gli chiede in un mormorio, con il suo vecchio tono da bambino presuntuoso.

Remus non risponde, sebbene conosca perfettamente la risposta. 
Un turbine di immagini irrompe violentemente nella sua testa. Il Sirius bambino che gli porge una mela appena caduta da un albero. Quel disastroso volo sulla scopa conclusosi con una notte in infermeria, durante la quale avevano parlato di ogni genere di cose e avevano mangiato cioccolata. La sera del collaudo della mappa, il loro indimenticabile primo bacio. Le notti passate in giro per il castello. Le aurore trascorse nella vasca del bagno dei prefetti, dove si erano confessati i segreti più impensabili. Il giorno del diploma e la promessa di non lasciarsi mai più.
Remus sa che è passato troppo tempo e che l'amore è come un fuoco che ha bisogno d'essere alimentato continuamente. Un fuoco sul quale bisogna gettare legna ogni giorno, ogni minuto, per far si che non si estingua. Sa che quell'uomo scarno e spaventato non somiglia per niente al ragazzo vivace di cui si era innamorato tempo fa. Sa che sono entrambi troppo cambiati, che i tempi di Hogwarts non sembrano neanche più un ricordo lontano, ma quasi avvenimenti estranei alla loro vita. E sa bene che la guerra contro Voldemort diviene ogni giorno più pericolosa, più letale, sconvolge il mondo magico e babbano; che non c'è tempo per amare spensieratamente e per ricostruire una relazione, perché domani potrebbero cambiare un'altra volta e soffrire il doppio, domani potrebbero morire. 
Ma sa anche che quel corpo fragile che si trova fra le sue braccia è stato l'unico a farlo sentire in paradiso, un tempo, ed è stato l'unico corpo di cui conoscesse ogni cicatrice, ogni neo, ogni minuscola piega. La loro intesa non si è consumata il giorno in cui Sirius ha scoperto la sua vera natura di lupo, né il giorno dello scherzo a Piton; il loro amore ha superato anche quello; Remus non ha mai perso la consapevolezza di quell'odore, la voglia di quello star bene che solo Sirius sapeva trasmettergli.
Nasconde la testa nell'incavo del collo bianco di Sirius e questi non tarda a stringerlo a sé. 
Remus si lascia cullare dai pensieri, da quei ricordi lontani, ascoltando il silenzio rotto solo dal ticchettare della pioggia sui vetri.

E' infine un debole -Sì-, sussurrato nella stoffa del mantello di Sirius, a rischiarare quella notte fredda.

E' l'inizio di una nuova promessa.

   
 
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