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Autore: Meissa    10/06/2010    12 recensioni
Sapeva che l’avrebbe ucciso lei, ben prima dell’istante in cui lo aveva avuto come avversario in duello nella lotta al ministero.
Era una consapevolezza che risaliva ad anni e anni addietro, ben prima del suo arrivo ad Azkaban e delle insinuazioni avvelenate sibilate tra i freddi muri di pietra che dividevano le loro celle.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Narcissa Malfoy, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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She knew




Sapeva che l’avrebbe ucciso lei, ben prima dell’istante in cui lo aveva avuto come avversario in duello nella lotta al ministero.
Era una consapevolezza che risaliva ad anni e anni addietro, ben prima del suo arrivo ad Azkaban e delle insinuazioni avvelenate sibilate tra i freddi muri di pietra che dividevano le loro celle.
Bellatrix se ne era resa conto, con un gorgoglio in gola e la febbre dell’eccitazione negli occhi, un remoto pomeriggio di diverse estati precedenti, nella residenza di famiglia al cospetto di tutti i familiari, le tuniche eleganti che frusciavano delicatamente sull’erba verde di un raro pomeriggio assolato.
La giovane strega, gli occhi che scrutavano intensamente il cielo terso, si era domandata se non fosse stata opera della magia quel tempo così propizio, che interrompeva una settimana di pioggia scrosciante e favoriva così la riunione organizzata mesi prima.
Bellatrix aveva distolto lo sguardo e si era concentrata sul resto degli invitati quando aveva sentito la nuca perforarsi sotto gli occhi di fuoco di Druella, sua madre, che dopo aver ottenuto la sua attenzione l’aveva invitata con gesti misurati ed eloquenti alla partecipazione.
Allora aveva notato Narcissa muoversi sorridente tra gli ospiti, intrattenendo chiunque si trovasse davanti, nonostante la giovane età. Era bella, i ciuffi biondi che le incorniciavano il viso e l’interesse per l’argomento espresso tramite gesti calcolati, senza mai eccedere. Narcissa era nata per questo ambiente, dove era l’ape regina attorno a cui si muoveva lo sciame.
Bellatrix si era ritrovata a sorridere malignamente pensando che al di fuori di balli eleganti, cerimonie e occasioni ufficiali Narcissa era solamente una ragazzina di dodici anni con la puzza sotto al naso, allontanata da tutti tranne che pochi purosangue affascinati dal suo nome e dai vantaggi che avrebbero potuto ricavare dalla sua frequentazione.
Aveva salutato, alzando il calice d’argento lavorato dai globin, un vecchio parente di cui non ricordava il nome, troppo insignificante nel suo abito scuro perché lei ne avesse memoria, e si era diretta con passo spedito verso i genitori, accorgendosi solo in quel momento dell’assenza della sorella minore.
L’aveva fatto presente alla madre con discrezione, e Druella aveva socchiuso gli occhi, tradendo così tutta la sua disperazione, e l’aveva supplicata con una stretta sconsolata del polso, tanto leggera da sembrare una carezza, di trovarla.
Bellatrix aveva annuito e si era allontanata con passi leggeri e un sorriso così distaccato da far desistere chiunque ad avvicinarsi a lei.
Aveva vagato nel giardino per un quarto d’ora, prima di trovare Andromeda seduta sotto una vecchia quercia, il vestito chiaro sporco di terra e lo sguardo basso, imbarazzato; si era avvicinata di poco, sforzandosi di contenere la propria irritazione per un comportamento così poco adatto all’occasione.
Andromeda si era alzata spolverandosi il vestito non appena aveva sentito la voce profonda della sorella chiamare il suo nome, e l’aveva raggiunta con l’aria di un condannato ad Azkaban.
Bellatrix aveva sbuffato e stretto le palpebre, poi aveva sussurrato con voce roca “altri cinque minuti”, e Andromeda aveva sorriso genuinamente; per un secondo nella sua mente –e nei suoi occhi- era balenata l’idea di abbracciare la sorella maggiore, ma uno sguardo gelido di quest’ultima l’aveva fatta desistere.
Bellatrix si era accorta allora che Andromeda era inadatta a quell’ambiente quanto Narcissa si trovava a suo agio; era troppo spontanea, troppo emotiva, troppo ingenua per trovarsi bene in un ambiente apparentemente perfetto, lindo e scintillante. No, Andromeda era troppo per sorridere in modo misurato e mostrarsi interessata.
Andromeda era una sempliciotta, e prima o poi li avrebbe traditi tutti. Bellatrix aveva visto la bruciatura sull’arazzo di famiglia in sostituzione del nome di Andromeda quel giorno, diversi anni prima che accadesse effettivamente.
Una volta trascorso il tempo pattuito aveva accompagnato la sorella nel vivo della festa, e si era avvicinata alla madre indicandole con un cenno del capo la presenza della figlia. Druella aveva sospirato e le aveva regalato uno sguardo di approvazione, che Bellatrix aveva accettato e dimenticato nello sbattere di ali di una cavolaia che volava lì attorno.
Aveva appena preso in mano un calice di vino elfico quando la sua attenzione era stata catturata da una voce infantile e impertinente.
Si era voltata, appena in tempo per vedere la zia rimproverare aspramente il figlio maggiore, che sembrava totalmente indifferente alle parole della madre, quasi annoiato dalla situazione.
Bellatrix aveva guardato il cugino negli occhi e aveva visto dentro un mondo. Nei suoi occhi chiari aveva visto l’arroganza, l’impertinenza, la sregolatezza e la voglia di sfida, la vita che straripava, e aveva capito. L’avrebbe ucciso lei.
Erano uguali loro due, si sarebbero ammazzati a vicenda. Se c’era qualcuno in grado di farlo, quello era lui, ma non sarebbe accaduto; lei era migliore, l’avrebbe ucciso lei.
E quando aveva visto gli occhi di Sirius così pieni di gioia, di entusiasmo, immerso nell’impeto della battaglia, aveva capito che quel momento era finalmente arrivato.
E aveva riso, l’aveva provocato, l’aveva visto parlare con Harry Potter, il suo adorato figlioccio, e dopo che il suo incantesimo lo aveva colpito in pieno petto, aveva sentito una gioia primitiva ribollirle nelle viscere e fuoriuscire dalla gola con un gorgoglio che era l’eccesso di una risata, prima che Sirius volasse oltre il velo e i suoi occhi così vivi diventassero vitrei e spenti: sapeva che l’aveva ucciso.
Sapeva da tempo che l’avrebbe ucciso lei.
   
 
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