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Autore: PiccolaWriter    10/06/2010    3 recensioni
L'incontro tra Edward e Bella che ho sempre immaginato.
Inspirato dalla melodia Monday di Ludovico Einaudi.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Twilight
- Questa storia fa parte della serie 'Melodie di Parole'
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Monday






Nascosto dal fogliame umido, seduto s'un alto braccio di un abete della grande foresta verde di Forks, osservo il sole arancione che pian piano scende dal cielo, accostandosi sempre di più alla terra scura. Nel cielo violaceo posso già intravedere il profilo tondo e pallido della luna.
Lunedì.
Un piccolo, minuscolo, quasi invisibile granellino di sabbia scende nella clessidra della mia esistenza eterna, segnando il passare di un altro insignificante giorno. Insignificante, come tutti gli altri, da quando sono nato per la seconda volta.
La mia gola arde improvvisamente quando, distogliendo gli occhi dal cielo, una flebile fragranza mi sfiora il volto, sospinta dal vento.
Una fragranza dolce come il nettare più prelibato, calda e dissetante, l'unico rimedio al fuoco che mi attanaglia le viscere e la mia gola.
Mi sporgo dal ramo su cui sono acquattato, aguzzando lo sguardo, desideroso di individuare al più presto la fonte di tale delizioso profumo; ovviamente, un qualcosa di così irresistibile può essere solamente del sangue, ma non quello di un animale qualunque, no.
Lo sento: è sangue, sangue umano.
Silenzioso, scatto con un salto, atterrando s'un ramo possente, più in basso.
Chiudo gli occhi e mi concentro nell'ascoltare: percepisco silenzio nella mia mente, ma tutt'intorno a me è come un leggero brusio sussurrato all'orecchio. Il fruscio delle piume che si lisciano gli uccelli nascosti sugli alberi, come me. Il picchiettare delle gocce di rugiada che cadono dalle foglie, spostate dal vento. Il leggero frinire delle cicale. Il gracchio secco delle zampe dei piccoli insetti nascosti sotto la corteccia dell'albero.
E il rumore d'erba che viene piegata sotto il peso d'un passo leggero.
E un altro passo. Un altro ancora.
Mi concentro ancora di più sul suono ritmato, calmo e lento di quei passi. Aspetto che il solito flusso di pensieri rumorosi e fastidiosi accompagni quel movimento, ma rimango stupito - e il bruciore in gola quasi si attenua per la sorpresa - quando mi rendo conto che non sto percependo alcun pensiero.
Apro gli occhi; a velocità sovrumana, ma in silenzio, sfreccio s'un altro ramo d'albero, e procedo così, saltando da un ramo all'altro, dirigendomi verso il rumore di passi - a cui adesso si è aggiunto anche il battito frenetico d'un cuore e un respiro affannato.
Mi scopro interessato alla mente muta di quell'essere umano - chiunque egli sia - allo stesso modo in cui sono attratto dalla fragranza dolce del suo sangue, che si fa sempre più forte via via che mi avvicino.
Mi blocco s'un ramo robusto d'un pino. E volgo lo sguardo in basso.
E' una ragazza umana. Giovane e spaventata.
Procede lentamente - naturalmente non s'è accorta della mia presenza - si guarda intorno come un animale impaurito, o come un bambino che cerca la madre persa.
Sul viso candido c'è un espressione contrita, dispiaciuta, sconfortata. Le sottili sopracciglia scure sono aggrottate sulla fronte, i capelli lunghi e lisci, scuri come il mogano, le coprono le spalle e metà del viso.
Gli occhi profondi e scuri, color cioccolata.
Si stringe le braccia, tremante. Forse sente freddo.
Il labbro inferiore, leggermente meno carnoso di quello superiore, tremola per un istante; nell'aria davanti al suo viso si formano delle piccole nuvolette di vapore, formate dal suo respiro irregolare.
La sua figura così snella, gracile, in un certo senso anche aggraziata, mi fa pensare che sia la persona meno adatta a vivere a Forks, o a passeggiare in una foresta al crepuscolo.
Ma solamente dopo questi miei ragionamenti e dopo averla osservata attentamente riemerge nella mia testa il ricordo di quella fragranza attraente che emana il suo sangue, e che adesso mi avvolge completamente, mandando in fiamme la mia gola: la ragazza, incespicando, si avvicina all'albero su cui sono rannicchiato, sempre più vicina.
Per un istante mi vedo volare giù dall'albero, avventandomi su di lei e sul suo collo chiaro e succulento, nutrendomi del suo sangue dolce.
Ma cancello subito quella fantasia: riporto alla mente gli insegnamenti di mio padre Carlisle, la storia della nostra famiglia vegetariana, tutti i sacrifici per la conquista di quel briciolo di umanità che agogna tutta la mia famiglia, compreso me.
Decido di trattenere il respiro - posso farne anche a meno - e mi sporgo di poco per osservare meglio la ragazza: si sposta verso il grosso tronco del pino, e voltandosi poggia la sua schiena contro di questo. Abbassa le palpebre color lavanda sugli occhi color cioccolata, e si lascia scivolare, sedendosi sul il sottobosco umido.
La sua espressione è ancora triste, spaventata. Disperata.
Ed è allora che senza pensare agisco.
Con un leggero balzo, scendo a terra, atterrando leggero al suolo, proprio di fronte a lei.
Ancora incredulo per il silenzio della sua mente, la osservo.
La ragazza apre gli occhi e mi guarda. Sul suo volto non c'è paura, non c'è timore. C'è solo un grande dolore e una grande meraviglia che posso vedere anche se non le leggo la mente.
Le sorrido, cercando di non mettere in mostra i miei canini.
La ragazza pare incantata, il suo respiro incespica, il cuore perde un battito prima di cominciare a galoppare violentemente.
Le guance candide si tingono di un delizioso rossore.
«C-ch-chi s-s-sei?», mormora, immobile.
La sua voce è morbida e incerta.
«Mi chiamo Edward, Edward Cullen», dico, scandendo bene le parole, senza staccare gli occhi dai suoi, «tu come ti chiami?», domando poi, con la massima gentilezza.
«Isabella Swan», bisbiglia, scuotendosi dal torpore che l'avvolge e cercando di mettersi in piedi, traballando, «ma puoi chiamarmi semplicemente Bella».
Ora è in piedi di fronte a me, i visi sono poco distanti. Con un gesto imbarazzato si sistema una ciocca di capelli scuri dietro l'orecchio.
Per parlare ora ho bisogno di fare riserva d'ossigeno; blocco tutti i muscoli del mio corpo e inspiro lentamente dalle narici, cercando di pensare a tutto fuorché alla fiamma viva che sento nello stomaco quando l'odore più delizioso del mondo incontra i miei sensi olfattivi.
«C'è qualcosa che non va...?», mi domanda, guardandomi rossa di vergogna di sottecchi.
Mi rendo conto che il mio sguardo, come il mio corpo, è innaturalmente teso.
Ma come potrei spiegarglielo senza farla scappare via urlante?
Scusa se mi comporto in maniera così poco inusuale, ma di solito percependo odori così attraenti come quello del tuo sangue e stando così vicino ad un umana come te reagisco in questa maniera. Sai, è questo l'effetto che fai ad un vampiro come me.
Ostentando naturalezza, scuoto la testa.
«Scusami, va tutto bene. Io abito in questa zona, vicino Forks, e sono rimasto sorpreso vedendoti camminare qui da sola. Perciò mi sono avvicinato», spiego, sforzandomi di fare un sorriso.
Isabella mi guarda in maniera strana, un misto fra sospetto e ammirazione.
«Ti sei persa, forse?», le domando.
«Be', sì, è così», ammette, mordicchiandosi il labbro inferiore. Le sue guance chiare arrossiscono ancora, un richiamo quasi irresistibile.
Calmati, Edward. Non sei un mostro. Non devi esserlo, mi ripeto, mentalmente.
«Posso mostrarti la strada per tornare a Forks, se vuoi. Conosco bene la zona», propongo, cercando di non intimidirla troppo con il mio tono di voce teso.Ma ogni boccata d'aria, accanto a lei, è fuoco, e mi risulta molto difficile apparire tranquillo e disinvolto come sempre; strano, quest'effetto, perché mai nessun'altro sangue umano mi era sembrato così irresistibile.
«Te ne sarei molto grata, Edward», sussurra timida.
I suoi occhi color cioccolata indugiano per un istante in più su di me; la guardo confuso, e quando lei se ne accorge volta improvvisamente lo sguardo altrove. Arrossisce di nuovo, e io non mi sono mai sentito più predatore di adesso, in sua compagnia, che in tutti i miei cent'anni di esistenza, con qualsiasi altro essere umano.

* * *


Isabella Swan, sei proprio una stupida con la polizza.
Comincio ad incamminarmi, seguendo Edward, con questo pensiero che mi ronza costantemente in testa. Lo sguardo lo tengo ben piantato sul suolo, e ho la sensazione che lo terrò così per tutto il resto del cammino.
Che imbranata; arrivata solo da pochi giorni a Forks, già comincio a combinare guai. Eppure era proprio per evitare di combinare altri danni che avevo deciso di nascondermi per il resto della mia esistenza in quel buco umido di cittadina chiamata Forks, in compagnia del solitario Charlie Swan, mio padre.
Chissà come si sarebbe preoccupata mia madre Renée sapendomi in una foresta, al calar della sera, nientepopodimeno che in compagnia di un misterioso ragazzo apparso improvvisamente dal nulla.
Un ragazzo che mi ha letteralmente incantata.
Con la coda dell'occhio, lo guardo.
La sua pelle è molto pallida, i suoi capelli ramati e spettinati, le spalle larghe, il fisico asciutto, la voce suadente. Il profumo aspro e dolce allo stesso tempo, una fragranza che mi stordisce. Ma non è dopobarba, è il profumo della sua pelle, lo sento.
Improvvisamente, Edward si ferma, volgendo lo sguardo verso un punto preciso della foresta; purtroppo per me, che non sono mai stata una tipa molto agile, mi accorgo del suo veloce movimento troppo tardi, e finisco per scontrarmi con il suo petto.
Prima che possa accusare il colpo, sento Edward afferrarmi per le braccia, come per fermarmi. Stupita, rimango a fissare i suoi pettorali.
La pelle delle sue mani, venuta a contatto diretto con la mia, è anormalmente fredda e dura. Le mie guance si riscaldano, arrossendo, ancora , e sento il mio cuore che inciampa e riprende a battere forte come un martello pneumatico, ancora.
Pur avendo diciassette anni, con i ragazzi non avevo mai avuto una grande fortuna. E nemmeno dei contatti così intimi e ravvicinati come quelli che sto avendo con Edward Cullen in questo momento.
Solo il sentire le mani di Edward sulle mie braccia, il suo respiro stranamente freddo sul volto, anche solo il vedere i suoi occhi dorati - bellissimi - che mi squadrano da capo a piedi, come se fossi qualcosa di desiderabile, è un qualcosa del tutto nuovo per me.
Lo guardo, e non riesco a concepire come un ragazzo assolutamente perfetto, bello, misterioso e affascinante come lui possa trovarsi nella stessa foresta in cui io mi sono persa, non riesco a concepire come mai lui sia vicino a me, insieme a me.
«Scusa», mormora Edward, liberandomi dalla sua stretta.
Scuoto la testa, cercando di fare mente locale. Stare così vicina ad un ragazzo come lui mi ha fatto sentire confusa e non poco.
«No, scusami tu. Avrei dovuto avvertirti della mia goffaggine».
Lui sorride, bellissimo e gentile, e io inevitabilmente arrossisco nuovamente, abbassando lo sguardo sui miei piedi.
«Non importa, Isabella. Mi ero fermato un attimo perché credo di aver intravisto il sentiero», mi spiega, indicando un punto della foresta con la mano pallida.
Guardo in quella direzione, ma non vedo assolutamente niente di diverso, né alcun sentiero: avvisto le solite erbacce verdi e bagnate di pioggia, altri alberi, ma nessuna traccia di terra battuta.
«Se continuiamo lungo questo percorso lo troveremo subito», dice.
Io annuisco, riprendendo a camminare dietro di lui.
Guardo con attenzione ogni pianticella, ogni tronco, ogni pietra che trovo lungo il mio cammino; ognuna di queste insignificanti cose potrebbe essere la causa della mia epica caduta - figura da idiota - davanti al ragazzo più gentile, bello e affascinante che io abbia mai visto.
Edward, mentre procede sicuro, si volta di poco, scrutandomi.
«Che stai facendo?», chiede, curioso.
«Ehm», balbetto, sorpresa dal suo interessamento, «cerco di camminare evitando di inciampare in pietre, erbacce, tronchi d'albero e...».
Naturalmente, quella mia piccola distrazione è la causa della disgrazia: il mio piede destro inaspettatamente si scontra con qualcosa che non riesco a identificare in tempo.
Ma, com'era successo poco prima, non cado: all'improvviso sento solo le braccia fredde di Edward che mi tengono per la schiena, questa volta, e che mi portano a stringermi contro di lui.
Quando riapro gli occhi - che avevo chiuso in vista dell'imminente caduta - incontro solo lo sguardo color miele di Edward, molto più vicino del previsto.
«Isabella...», sussurra, chiudendo gli occhi ed inspirando profondamente dell'aria dal naso, come se volesse rilassarsi.
Un groppo alla gola - forse il mio cuore - m'impedisce di proferire parola. Il groppo s'ingrossa ancora di più non appena sento che Edward mi sta stringendo più forte con le sue braccia fredde e dure, senza farmi male, solo per sentirmi più vicina al suo petto.
Ho i brividi.
«Isabella...», sussurra ancora, con la voce roca e bassa che mi fa accapponare la pelle; ma so benissimo che questa volta non è paura.
«Sì?», riesco appena a bisbigliare, cercando di mantenere un respiro regolare, malgrado i polmoni abbiano deciso improvvisamente di non sottostare più ad un ritmo respiratorio normale.
«Cosa diresti se io ti rivelassi che non conosco il sentiero per tornare a Forks?», mi domanda, sempre a voce bassa, sospirando forte, facendo spostare alcune ciocche dei miei capelli dal mio collo.
Sento che con la punta fredda del naso sta cominciando a tracciare una linea immaginaria che parte dalla mia spalla destra, mentre la sua mano sinistra mi accarezza la schiena, lentamente.
«Direi che... non voglio più tornarci», mormoro, con voce strozzata.
«Rimarresti con me?», mormora roco al mio orecchio.
In quel momento, non appena Edward pronuncia quelle parole, qualcosa scatta dentro di me. Ora capisco tutto: è lui ciò che voglio.
Perché non mi era mai accaduto di desiderare un ragazzo così intensamente e con tanto trasporto. Sento che potrei amarlo lì e per sempre, mentre le sue parole lente mi danno i brividi. Sento che ogni cellula del mio corpo non desidera altro che lui, che mi stringa più forte, mentre la sua mano accarezza dolcemente la mia schiena.
E sento che per lui è lo stesso, quando i nostri sguardi s'incontrano e s'intrecciano, quando vedo il suo desiderio ardere nelle iridi dorate, specchio delle mie.
«Sì...», allora rispondo, avvicinandomi di più al suo viso.
Ma improvvisamente, Edward mi lascia andare, allontanandosi da me.
Stupita e confusa, lo osservo. E' lontano almeno dieci passi, mi da le spalle e non accenna alcun movimento. Il mio cuore batte ancora impazzito, questa volta per l'angoscia che ha scatenato in me questo suo allontanamento così repentino.
«Edward», lo chiamo, a voce bassa. Non riesco a trattenere il fiotto di sconforto e delusione che mi inonda lo stomaco.
Forse ciò che era accaduto prima era stato solo un abbaglio. Una mia illusione.
«Scusami, Isabella».
Dopo aver detto questo, rimane in silenzio, fermo come una statua.

* * *

Edward Cullen, sei proprio un idiota con la polizza.
Ma cosa mi stava passando per la mente?
Stringo i denti e la mascella, cercando d'inghiottire il veleno che fuoriesce dai miei canini. Ero a pochi centimetri dal suo collo, dalla sua pelle chiara, candida, pura... e stavo per macchiarla con la mia natura mostruosa. Stavo cercando d'imbrogliarla con le sue stesse parole.
Rimarresti con me?
Ma come mi era venuto in mente di dirle qualcosa del genere? Era solo una ragazza innocente, un umana senza alcuna colpa. E io stavo per perdere il controllo, stavo per mettere fine alla sua vita, solo per la mia mostruosa stupidità.
E quando sento che lei sussurra ancora il mio nome riesco a malapena a nascondere il tremore che mi vorrebbe scuotere violentemente. Il mio nome sulle sue morbide, calde, rosate e dolci labbra umane...
Il fuoco che arde nella mia gola infuria sempre di più. E questa volta non è il solo fuoco che mi brucia dentro: sento che ce n'è un altro, della stessa intensità, che mi arde. Che mi infiamma le viscere, la testa, l'intero corpo.
Mi volto. La guardo.
Ora so qual'è quell'altro fuoco. E' un bisogno, non un desiderio.
Perché non mi era mai accaduto di desiderare una ragazza così intensamente e con tanto trasporto.
Mi avvicino fulmineo a lei. Non voglio più nascondere la mia natura, non voglio più mentire: al diavolo l'anonimato e il mantenimento del segreto.
Quando t'innamori, non ci sono più regole.
Isabella mi guarda, l'espressione dolce e affranta, gli occhi di cioccolato lucidi di lacrime mai scese.
Come suo solito, volge lo sguardo in basso e le sue guance s'infiammano per l'imbarazzo.
Ma questa volta, cercando di essere più delicato possibile, mi faccio più vicino e le accarezzo il volto. Non bado più alla fragranza ammaliante del suo sangue, perché ora ho capito ciò che desidero realmente.
«Mi dispiace, Isabella. Ma non tornerai più a Forks. Vedi, per mia natura non posso lasciarti andare, ora. Non posso più lasciarti andare. Voglio che tu sia mia, voglio averti accanto a me. Ti desidero, ti pretendo, ti amo».
Lei alza di poco lo sguardo, prima impaurita, poi improvvisamente decisa. Accenna un sorriso. Un sorriso dolce, puro, umano, che la illumina tutta. Il suo ultimo sorriso da umana.
La abbraccio forte, e lei si lascia stringere.
«E sarà Lunedì per sempre, Isabella».
Ed è allora che lascio che le mie labbra scoprino i canini, prima che quest'ultimi si avventino sul suo collo.


* Monday
   
 
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