Legami di Famiglia
Zoro
non aveva genitori, ma aveva avuto un’amica e aveva promesso sulla sua tomba che
sarebbe stato forte anche per lei. Aveva lottato continuando a combattere senza
fermarsi mai, giorno dopo giorno, taglia dopo taglia pattuendo prezzi e
barattando vite marce in cambio di spiccioli.
Una
volta, oltre la fine del vicolo imboccato, aveva trovato anche uno scopo che
lo convincesse a cambiare strada e a comprendere che concedersi delle pause di
tanto in tanto non fosse grave. Che addormentarsi e risvegliarsi per via del
fracasso di altri per esempio non fosse poi così orribile, ma un compromesso accettabile, quasi piacevole.
Zoro
poteva capire.
Nami
aveva una sorella e una madre, ma se l’una non le aveva rivolto la parola per
anni considerandola alla stregua di una traditrice, l’altra l’aveva persa in
una bufera di sangue e spade.
Da
allora aveva giurato di proteggere ciò che era rimasto della propria famiglia, decidendo
di diventare una gatta ladra per non soffrire più, non perdere altre persone
care.
Avrebbe
capito e probabilmente pianto per lui, indossando il suo cappello e tenendolo
ben calato sul viso. Nami che sembrava forte, ma voleva esserlo solo per loro.
Usop
non aveva avuto sorelle, ma tre amici, una madre e la ragazza dei suoi sogni. E
di sogni si era cibato sin da quando aveva compreso che avere un padre era
possibile immaginandolo.
Avrebbe
pianto e gli avrebbe mentito raccontandogli dell’esistenza di una fantomatica lampada
magica in grado di far avverare i desideri, ma lui questa volta non avrebbe
creduto a quella bugia pur volendo con tutto se stesso fosse vera.
Sanji
aveva un vecchio di cui preoccuparsi, ma non fratelli né sorelle e il suo amore
lo esprimeva in cucina prendendosi cura dei suoi clienti e ora di loro.
Avrebbe
fumato una sigaretta dopo l’altra spegnendo i mozziconi sotto le suole e calpestandoli
con più energia del dovuto, poi gli avrebbe preparato i suoi piatti preferiti. Lui
non li avrebbe toccati e il cuoco allora si sarebbe lamentato degli spuntini
fuori pasto che gli rovinavano l’appetito e dandogli dell’idiota quasi per
sbaglio gli avrebbe dato una pacca sulla spalla.
Chopper
aveva avuto una famiglia che l’aveva rinnegato da cucciolo per il suo naso
blu cobalto, un padre che era morto perché aveva cercato di salvarlo con i
metodi sbagliati e una strega per nonna-maestra a cui doveva essere grato se i
suoi strumenti ora erano giusti, riuscivano a ricostruire ciò che veniva
danneggiato, a far sopravvivere chi gli chiedeva aiuto.
L’avrebbe
visitato serio e composto, enumerandogli le ferite e descrivendogli ciò che avrebbero
comportato al suo organismo. Lo avrebbe medicato e gli avrebbe ordinato di
starsene buono, a letto a riposare e di non fare movimenti bruschi per non
riaprire i tagli ricuciti.
Lui
sarebbe uscito dallo studio e solo allora, vedendolo chiudersi la porta alle
spalle e togliendosi lo stetoscopio, Chopper avrebbe pianto, forse chiedendosi
se esistesse un modo altrettanto efficace per guarire le altre di ferite che
lui però aveva tralasciato nei suoi studi.
Nico
Robin non aveva conosciuto che nemici ad inseguirla, braccarla come un animale e
la gentilezza di un solo viso amico a rendere quella corsa senza fine più sopportabile,
ma non meno odiosa.
I
libri a consolarla e l’odore di vecchio delle pagine friabili tra le dita che
sapeva di passato e ricordi, ma anche di casa.
L’avrebbe
guardato e avrebbe taciuto, leggendogli in viso ciò che le premeva sapere.
Non
avrebbe pianto, ma da qualche parte lontana da lui forse altri suoi occhi non
avrebbero fatto lo stesso.
Franky
aveva avuto un padre, una sirena con la passione per il vino e un fratello che
lo avevano spinto a seguire il suo sogno mettendolo alle strette. Tanti altri fratelli
tolti alla strada, due sorelline e un rospo di cui occuparsi. Aveva un cuore
grande Franky, quasi quanto il senso della colpa incolpevole che per anni
l’aveva divorato.
Avrebbe
indossato gli occhiali da sole e stretto i pugni, portandosene uno al volto. La
cresta azzurra abbacchiata sulla fronte e nessun super gridato tra le risate divertite degli altri.
Brook
prima di incontrarli aveva perso tutto e non aveva nulla a fargli compagnia se
non fantasmi. Una vita l’aveva vista distruggersi e con loro ne aveva iniziata
una daccapo.
Avrebbe
capito più di chiunque altro e avrebbe cominciato a fischiare dando musica al
dolore di tutti.
Erano
i suoi compagni, la sua ciurma dopotutto e l’avrebbero compreso, sostenendo il
loro capitano.
Si
sarebbero seduti intorno a lui, standogli accanto e soffrendo insieme, come una
famiglia. Legami preziosi ed invisibili ad intrecciarne le vite, saldi come le
sartie che reggevano l’albero maestro.
Zoro,
Nami, Usop, Chopper, Robin, Franky, Brook però non c’erano e ora che anche Ace
era scomparso, si sentiva più solo che mai.
Ma
in fondo poteva essere considerato un bene che fossero lontani, sperduti chissà
dove. Vederlo in quello stato li avrebbe demoliti. La ciurma ha sempre bisogno
del suo capitano e il capitano della sua ciurma, ma in quel momento Rufy era
solo un ragazzo che aveva perso suo fratello e piangendo ne invocava il nome, niente di più.
Non
avevo mai seguito il manga più del dovuto per il semplice limite posto dalla
mole di capitoli da recuperare, che rappresentavano l’unica cosa a frenarmi dal
gettarmici sopra come un avvoltoio. A giudicare da ciò che provo ora, credo
avrei fatto meglio a frenarmi ç___ç. Le ultime scan che non avevo quindi mai
letto, mi hanno fatto semplicemente sciogliere in lacrime. La morte di Ace e
Barbabianca in un sol colpo è un boccone difficile da mandare giù, ma vedere
Rufy piangere e urlare e dimenarsi e soffrire a quel modo mi ha spezzato il
cuore. Perdere un fratello è la cosa peggiore si possa immaginare. Se si è soli
poi, credo il dolore diventi semplicemente insopportabile. Forse Rufy
reagirebbe e si riprenderebbe più facilmente con gli altri accanto o forse no,
ma sperare che presto si ricongiungano non può che mitigare il tutto no? Un
saluto a tutti voi!