Libri > Le Cronache di Narnia
Segui la storia  |       
Autore: 68Keira68    12/06/2010    6 recensioni
Non ti accadrà niente, io ti posso giurare che non sarai mai più sola per davvero. Attraversa il varco e sarai protetta."... Volevo scoprire la verità e se il mio destino era dietro quella sfera, l’avrei afferrato senza altre esitazioni. Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo, dopodiché avanzai decisa all’interno del varco. Una ragazza con speciali e unici poteri magici cerca di vivere la sua esistenza nel nostro mondo, sentendosi perennemente isolata ed emarginata a causa delle sue capacità, finché un giorno le voci di due figure sconosciute, un leone e una donna, la invitano ad entrare nel loro mondo per non sentirsi più sola e per scoprire la verità che le era stata nascosta da sempre. La giovane accetta senza sapere le enormi conseguenze che avrà il suo gesto su tutti gli abitanti di Narnia, primo tra tutti il re Peter Pevensie, che incontra in circostanze burrascose ma con il quale instaurerà un legame dolce quanto pericoloso. In una Narnia già in lotta con il tiranno di Telmar, un nuovo male, proveniente direttamente dagli incubi più reconditi di ogni abitante magico, tornerà dal suo limbo più potente e assetato di vendetta che mai. NB: La storia segue gli eventi del secondo film e ci sono tutti i personaggi, anche se i principali sono Peter, Caspian, un nuovo personaggio e una vecchia conoscenza^^
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Aslan, Caspian, Jadis, Peter Pevensie
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ciao a tutti^^! Ho quasi paura ha postare dopo tutto questo tempo, avete ancora voglia di leggermi? Spero tanto di si! Anche perché qst è il cappy della battaglia, che finalmente giunge insieme ad un po’ d’azione dopo i capitoli precedenti riflessivi e più romantici. Solo la prima parte del capitolo è ancora sui toni dolci ed è dedicata ai fan di Susan e Caspian (come vi avevo promesso, dato che lo scorso capitolo ho parlato solo di Cate e Peter, qui fanno il loro ritorno il principe e la regina che compiono i loro piccoli passi avanti nelle loro complicata relazione^^). Ci sarà un colpo di scena finale che magari qualcuno aveva previsto, spero che vi incuriosisca, fatemi sapere cosa ne pensate e cosa vi attendete in seguito a questa svolta^^! Vi lascio alla lettura ora, un bacione e dato che è finita la scuola, BUONA VACANZE A TUTTIIIIIII^^!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

 

Ringraziamenti:

 

QueenBenedetta: Ciao! Sono contenta che Cate e Peter ti piacciano e grazie per i complimenti alla ficcyJ! Fammi sapere cosa ne pensi di qst’ultimo cappy ^^ grazie ancora, un bacione e a presto 68Keira68

 

Sweetophelia: ciao! Sono felicissima che la scena della dichiarazione sia riuscita e che ti abbia regalato quelle emozioni (anche io avrei dato nn so cosa per essere al posto di Cate, ti capisco hihi^^)! Effettivamente Peter ci ha messo un po’ per confessarsi apertamente, però lo h fatto principalmente per nn metterle fretta, ma alla fine si è deciso ^^! La fiducia che Cate ha in Jadis porterà ad alcuni problemi sia per lei che per Peter, quindi ha ragione a vederla di cattivo occhio, anche perché Aslan farà la sua comparsa ma ci vorrà ancora un bel po’ (si farà attendere come fa quasi sempre quindi ihih) mentre l’arrivo di Jadis è ormai alle porte cn tutti i problemi che ne conseguiranno… Sono contenta che le citazioni siano state apprezzate, anche perché sono tra le mie frasi celebri preferite e mi piaceva l’idea di riuscire ad inserirle ^^ spero che qst cappy non ti deluda, ma che ti piaccia quanto il precedente J sono curiosa di sapere le tue impressioni al più presto ^^! Ti mando un bacione grande grande 68Keira68

 

noemi_moony: ciao! Quanti complimenti grazie mille **!! Sei davvero troppo buona, nn sai quanto sono contenta nel sentire che la storia ti piaccia così tanto!!!!!! Anche a me nn dispiacerebbe incontrare un ragazzo come Peter, oltre ad essere bellissimo è pure caratterialmente perfetto, magari ne esistessero! Spero che anche qst capitolo ti piaccia così tanto J nn vedo l’ora di leggere la tua recensione J! Kisskisses 68Keira68

 

GilmoreGirl: Ciao! Wow, tutta d’un fiato? *me onorata* grazie mille per averla apprezzata così tanto!!!!!!! ^^ sn molto contenta e mi auguro che anche qst capitolo ti piacerà come i precedenti ^^ fammi sapere cosa ne pensi^^ un grandissimo bacio 68Keira68

 

Risotto: Ciao! Sono contenta che Peter ti sia piaciuto come il resto del capitolo, grazie infinite^^!! Per rimediare alla mancata presenza di Susan e Caspian nell’altro però ti anticipo che la prima parte di qst cappy è interamente loro che vivranno il loro momento di tenerezza J spero che ti piacerà ^^ fammi sapere cosa ne pensi della coppietta e del resto del cappy^^ ti mando un bacione 68Keira68

 

Marti_18: Ciao! Sono contenta che la storia e Cate e Peter ti piacciano, grazie **! Mi auguro ti piacerà anche quest’ultimo capitolo J kisskisses 68Keira68

Grazie mille anche a tutti coloro che mi hanno aggiunta tra i preferiti, tra le ricordate o tra le seguite o a coloro che hanno anche solo letto :-)

Buona lettura

Kisskisses

68Keira68

 

witch

12_La magia del tramonto prima della battaglia

 

 

Girò sul materasso, verso destra.

No, era una posizione scomoda per addormentarsi.

Si rigirò dall’altra parte.

Peggio di prima.

Calciò le lenzuola lontano da lei, la stavano soffocando.

Ma il caldo non diminuì neanche con la lontananza dal cotone.

Diede due pugni al cuscino, per ammorbidirlo, confidando che almeno quello stratagemma avrebbe funzionato, ma quando nemmeno quello le assicurò una posizione comoda, rinunciò ad appisolarsi e si sedette irritata sbuffando.

Era inutile. Da quando si era svegliata di soprassalto per colpa di un rumore molesto, non era più riuscita ad addormentarsi, nonostante si ripetesse che aveva bisogno di riposo. Quella notte ci sarebbe stata la missione per conquistare il castello di Telmar, avrebbe dovuto ristorarsi durante il pomeriggio non girare come una trattola tra le coperte!

Eppure, nonostante le sue logiche motivazioni, il sonno non giungeva. Avvilita, raccolse le gambe al petto e mise la testa sulle ginocchia, iniziando a dondolarsi dolcemente. Da bambina quel ritmato movimento aveva il potere di tranquillizzarla, forse avrebbe funzionato anche questa volta poiché il problema della dormita mancata non stava nel cuscino, bensì nei due pensieri che le martellavano incessantemente la testa.

Il primo, e il più comprensibile, era l’ansia per la battaglia imminente. Odiava la guerra, non sopportava l’odore del sangue, la vista dei soldati deceduti, il sinistro suono delle lame che cozzavano l’una con l’altra. Eppure sapeva che non poteva sottrarsi, la prosperità del suo popolo dipendeva anche da quanto lei era brava ad azzittire il suo Io e diventare una fredda e precisa arciera. Peccato però che fosse quasi impossibile far tacere la propria voce interiore, specialmente la sera, quando la consapevolezza di aver stroncato un centinaio di vite la raggiungeva in tutta la sua grandezza. E a nulla potevano le sue motivazioni, che fossero giuste o meno, perché in quei momenti niente le sembrava più sacro della vita che aveva spezzato.

Senza contare la paura di rimanere uccisa lei stessa in battaglia o, peggio ancora, il terrore che provava alla sola idea di perdere uno dei suoi fratelli o la disperazione che leggeva nei volti del suo popolo mentre piangeva le persone a loro care perse sotto il colpo di una spada.

Per non parlare delle conseguenze devastanti che avrebbe avuto una loro sconfitta. Non osava nemmeno rifletterci sopra. Se avessero perso, Narnia sarebbe stata spacciata. Telmar avrebbe vinto su tutti i fronti e a loro non sarebbe che rimasto stare rintanati da qualche parte ad attendere un miracolo o la fine.

Ciò le causa una lunga lista di ottimi motivi per soffrire di insonnia, ma a questi se ne sommava ancora uno, forse il principale. Caspian.

Il ragazzo, per una persona meno problematica e orgogliosa, sarebbe stato la chiave per allontanare le sue ansie, ma poiché lei era una persona problematica e orgogliosa rappresentava un altro motivo di preoccupazione.

Susan provava il disperato desiderio di vederlo. Voleva sentire la sua voce calda rassicurarla e stringere il suo corpo forte contro il suo per avvertirlo vicino a sé, presente come sempre per difenderla e sostenerla. Era sicura che le sarebbe bastato questo per scacciare i suoi pessimistici pensieri, la vicinanza di Caspian.

Ma non poteva uscire dalla sua stanza ed intrufolarsi in quella del giovane. Cosa avrebbe pensato lui? L’avrebbe presa per una scocciatrice che imponeva la sua presenza. In più ora stava certamente dormendo, come avrebbe dovuto fare anche lei, non poteva andare a disturbarlo. Era certa che l’animo gentile del ragazzo gli avrebbe impedito di cacciarla, ma lei non voleva rivestire il ruolo dell’importuna.

Quanto erano morbide le sue braccia che la cingevano però…

Susan sospirò e si alzò, stiracchiandosi gli arti. Si guardò attorno, pensando al da farsi. Ritornare a letto era fuori discussione. Non sarebbe riuscita ad addormentarsi nemmeno con mezza bottiglietta di sonnifero. Poteva uscire dalla stanza, fare dieci passi verso sinistra, bussare ad una porta simile alla sua e chiamare… No, anche quello non era fattibile. O meglio, non lo avrebbe fatto. Concluse che l’unica possibilità restante fosse uscire da quella angusta stanza e sperare che un po’ d’aria fresca le liberassero la mente dalle preoccupazioni.

Decisa, uscì svelta dalla camera. Una volta nel corridoio, con la cosa dell’occhio notò che la porta della stanza di Peter era aperta e che il letto era intatto. Sorrise al pensiero che il fratello aveva gradito il letto, e più specificatamente la sua ospite, della notte precedente a tal punto da ritornarci quel pomeriggio.

Almeno qualcuno che riesce a convivere felicemente con i suoi sentimenti c’è.

Mosse qualche passo con la mente rivolta a Cathrine e al re quando inaspettatamente si ritrovò dinanzi ad una porta. Non ad una porta ma a quella porta. La camera di Caspian.

Ci era giunta involontariamente poiché le scale per raggiungere il piano inferiore erano esattamente dalla parte opposta. Maledisse il suo subconscio che l’aveva condotta dove avrebbe voluto in cuor suo essere se fosse riuscita a mettere a tacere il suo raziocinio.

E ora che era giunta fin lì? Sarebbe entrata? La sua mano si protese verso la maniglia, ma appena venne a contatto con il ferro duro scattò all’indietro come se si fosse bruciata. Il cuore cominciò a batterle a mille. Sentiva sopra ogni altra cosa la presenza di Caspian dietro quella porta di semplice legno. Voleva entrare, ogni singola particella del suo essere voleva varcare quella soia, eppure la ragione prevalse, ancora una volta, e le sue gambe fecero un passo in dietro. Non poteva entrare e disturbarlo senza altra motivazione della sua voglia incondizionata di vederlo. Non era da lei e mai lo sarebbe stato.

Strinse forte i pugni e corse nella direzione delle scale. Doveva uscire, prendere una sana boccata d’aria fresca. Magari il vento, oltre all’odore delle fronde degli alberi e del muschio, avrebbe potuto portare via con sé i suoi desideri per riportarglieli solo quando sarebbe stata pronta per esaudirli.

 

Passi. Leggeri, delicati, sicuramente femminili, prima lenti nell’avvinarsi e dopo celeri nell’allontanarsi.

Li aveva sentiti distintamente risuonare nel quieto silenzio dell’edificio, proprio dietro la sua porta. Anzi, aveva la netta impressione che la proprietaria dei passi si era avvicinata di proposito alla sua stanza per poi distanziarsene in fretta, anche se non riusciva a capire perché e chi avesse compiuto un’azione apparentemente così illogica.

O meglio, c’era un nome che si era affacciato nella sua mente, ma sarebbe stato troppo bello anche solo sperare che Susan andasse da lui di sua spontanea volontà con il solo scopo di vederlo. Troppo bello, troppo irreale, troppo sentimentale trattandosi di Susan, era una spiegazione dettata più dal suo desiderio di averla con sé che dalla ragione.

La donna che gli stava sottraendo il sonno costringendolo a rigirarsi inutilmente tra le lenzuola da ore non avrebbe mai compiuto un gesto guidato solo dai sentimenti senza il supporto della logica. Era più probabile che la stanchezza gli avesse giocato un brutto tiro facendogli udire suoni inesistenti.

Era stanco, ma più mentalmente che fisicamente. Era stanco di ripensare alle parole di Susan per riudire il suono della sua voce nella testa, era stanco di riportare alla mente le sue fattezze, i suoi morbidi capelli setosi e i suoi vivaci e fermi occhi castani. Stanco di torturarsi con il desiderio insoddisfatto di posare un delicato bacio su quei petali che erano le sue labbra. Ma purtroppo sapeva bene che era un desiderio ardente quanto irrealizzabile per il momento. La regina gli aveva chiesto del tempo per metabolizzare i suoi sentimenti e lui le aveva giurato che l’avrebbe attesa. E avrebbe rispettato la sua promessa ad ogni costo.

Se sopravvivo allo scontro di questa notte.

La riflessione gli era giunta come un fulmine a ciel sereno. Quella notte si sarebbe tenuta la battaglia alla fortezza di Telmar, la battaglia per la quale tutta la popolazione di Narnia si era preparata lavorando sodo per mesi. Il pensiero fisso di Susan gli aveva fatto mettere in secondo piano tutto il resto.

Incredulo per aver quasi dimenticato una simile questione, adirato con se stesso poiché un principe non poteva certo permettersi una mancanza del genere, si alzò dal letto e andò a recuperare la spada, con l’intenzione di uscire fuori ed allenarsi, come per espiare la sua colpa.

Almeno si sarebbe certamente sentito più utile e attivo fuori a tirare fendenti all’aria che lì a stropicciare il lenzuolo riflettendo sul sorriso di Susan.

Cercando di non far eccessivamente rumore, richiuse la porta dietro di sé e si accinse a percorrere il corridoio illuminato fiocamente dalle torce. Nonostante i buoni propositi di non soffermarsi con il pensiero sulla ragazza non poté impedire ai suoi occhi di guizzare veloci sulla porta della sua stanza. Era lì, sulla parte del corridoio opposta a dove era la sua. Era chiusa, probabilmente Susan stava dormendo come avrebbe dovuto fare anche lui. Certamente non passeggiava dinanzi all’ingresso della sua camera come aveva sperato ingenuamente qualche minuto fa.

Fissò la porta con insistenza, tanto che si stupì nel non vederla andare a fuoco. Aveva un desiderio inestinguibile di aprirla ed andare da lei, sapeva che il semplice gesto di girare quella maniglia, sarebbe equivalso per lui ad avere l’accesso al Paradiso. Ma era ben conscio che se l’avesse fatto avrebbe infranto la promessa di aspettarla e lei si sarebbe allontanata un’altra volta. A quel punto riconquistarla sarebbe stato ancora più arduo, se non impossibile.

Scosse la testa desolato e proseguì lungo le scale, arrivando presto nella sala centrale, attualmente deserta. A tutti era stato consigliato di andare a dormire sin dal primo pomeriggio per essere riposati e in forma per la battaglia di quella notte a Telmar. Un’ottima idea suggerita da Lucy, ovviamente se qualcuno non soffriva di insonnia per cause di cuore come Caspian.

Uscito dalla sala, venne accolto dal sole pomeridiano, il cui calore veniva piacevolmente smorzato da un venticello fresco e leggero. Un clima ideale per allenarsi e distendere la mente.

Avanzò lungo il grande ed immenso prato che circondava l’edificio, delimitato in lontananza dagli alberi secolari, con la lieta prospettiva di poter smarrire i suoi pensieri nei gesti automatici dell’arte della scherma. Adorava tirar di spada, ma ancora di più il magico momento dove il suo braccio si fondeva con la fidata arma di metallo, diventando un tutt’uno efficace quanto letale, dove non aveva più bisogno di riflettere sulla tecnica o sulla prossima mossa in quanto ogni movimento e attacco diventavano naturali come respirare.

Tirò fuori la spada dal fodero, calibrò l’arma pregustando l’inizio dell’esercitazione e caricò il primo colpo alzando lo sguardo sopra un nemico invisibile.

Il braccio rimase fermo a mezz’aria, pietrificato, bloccando l’affondo. L’aveva vista appena aveva guardato dinanzi a sé. Non era un’allucinazione, era la realtà. Lei, la ragazza che l’aveva fatto alzare dal letto, la ragazza che desiderava con tutto se stesso, la ragazza che occupava ogni suo singolo neurone. Lei era veramente là, seduta da sola in mezzo alle rovine dell’arena, intenta ad osservare il cielo azzurro sovrappensiero. Gli bastò un attimo per capire di chi erano i passi uditi poco prima. Erano veramente di Susan, era andata da lui per vederlo ma all’ultimo doveva averci ripensato ed era corsa via. Il sentimento che l’aveva portata davanti alla sua porta era stato ancora una volta battuto dalla ferrea logica che l’aveva già allontanata da Caspian.

Il principe si chiese se fosse saggio avvicinarla, considerando che era appena fuggita dalla sua porta. Forse la sua presenza l’avrebbe infastidita e avrebbe fatto meglio a tornare dentro.

La mente del ragazzo scacciò subito quell’opzione. Era stata lei la prima ad andare da lui, ciò voleva dire che aveva il suo stesso desiderio di vederlo ma gli mancava la forza di perseguirlo. In tal caso il meglio che il giovane principe potesse fare era di aiutarla andandole incontro ed esaudendo di conseguenza l’ambizione di entrambi.

Ripose la spada nel fodero e si avvicinò con calma alla figura esile della regina.

Seduta con la schiena appoggiata ad una delle lastre di marmo, fissava assorta il cielo, gli occhi limpidi e pensierosi, i capelli sciolti prede del vento, il viso leggermente inclinato verso destra. Nel quadro, la donna più bella che avesse mai visto. Il cuore di Caspian aumentò la velocità dei battiti mentre posava il suo sguardo su di lei, discreto come una lieve e timida carezza. In quel frangente, priva della solita austerità e senza doveri immediati da eseguire, ma immersa in una personale oasi di pace, ispirava dolcezza e fragilità. Fragilità che strideva con l’idea che da lì a poco avrebbe dovuto incoccare frecce per assottigliare le linee nemiche. Fragilità che la portava ad essere la persona che Caspian meno che mai avrebbe voluto vedere in guerra. Fragilità che esigeva un custode che la proteggesse dagli avversari e da ogni possibile ferita, e lui sarebbe stato quel custode. Il suo custode. L’avrebbe difesa da ogni persona, da ogni spada e da ogni freccia che avessero anche solo osato considerarla come un bersaglio.

Talmente era immersa nelle sue riflessioni, che Susan nemmeno si accorse dell’arrivo del principe finché egli non rivelò la sua presenza richiamando la sua attenzione.

“Non riesci a dormire?” le chiese, prendendo posto accanto a lei.

Susan sobbalzò dalla sorpresa nell’udire la voce calda di Caspian. Posò il suo sguardo su di lui e un lieve rossore, raro da trovare sulle sue gote, si fece strada sul volto mentre realizzava il nuovo giunto. Il cuore prese a batterle forte, tanto che temette che lui potesse sentirlo. Accidenti, odiava essere presa alla sprovvista, specialmente se l’artefice del sentimento era capace di bloccarle la parola già normalmente. Deglutì, e cercò di riprendersi dalla sorpresa, soffocando la risposta sincera e completa che aveva in mente per rispondere alla sua domanda -“si, perché continuo a pensare a te”- e recuperando un minimo di contegno.

Felice del fatto che non fosse tenuta a fornire una risposta particolareggiata, si limitò a dire la prima parte, quella meno insidiosa.

“Si” confermò, esibendo un timido sorriso. “Neanche tu vedo” constatò poi.

Caspian ricambiò il sorriso, contento di appurare che aveva avuto ragione nel credere che la sua presenza non sarebbe risultata sgradita alla ragazza.

Il giovane si sistemò meglio accanto alla regina, slacciandosi il fodero della spada dalla vita e posandolo poco distante. “Paura per la battaglia?” si informò, considerando che la causa più probabile della sua insonnia fosse il timore per l’esito dello scontro che si sarebbe tenuto quella notte. Era plausibile che fosse in apprensione per il suo popolo, per i suoi fratelli e per se stessa.

Un calore quasi palpabile si propagò lungo il suo petto al pensiero che quando aveva sentito la necessità di essere confortata avesse pensato a lui invece che a Peter o a Edmund. L’idea che fosse andata alla sua porta in cerca di sostegno morale era verosimile. Che si fosse fermata all’ultimo vergognandosi della sua debolezza era poi possibile quanto sbagliato poiché Caspian la stava incoscientemente aspettando a braccia aperte da tutto il pomeriggio. Ma al mancato conforto si poteva facilmente rimediare, il principe le era seduto accanto per quello.

“Sono un po’ preoccupata. A parole il nostro piano sembra infallibile ma, come si dice, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Basta un minimo imprevisto perché il nostro attacco sia un fallimento. E non oso nemmeno immaginare quali sarebbero in tal caso le conseguenze per noi” mormorò a testa china. Sospirò e scosse leggermente la testa, come a voler scacciare quei funesti pensieri.

Caspian avvertì il suo cuore stringersi nell’udire la paura che riusciva a trapelare dalle sue parole, nonostante sapesse quanto la ragazza cercava di nascondergliela. Era sorpreso, non era abituato a vedere Susan così fragile. Di solito si presentava come la regina di Narnia, ferma, forte, sicura e inarrestabile quanto irreprensibile, eppure ora, bagnata dalla luce di un sole morente, in quel magico momento a confine tra il giorno e la notte dove il tempo pare fermarsi per qualche istante, Susan gli si presentava dinanzi esattamente per quello che era. Una giovane donna neanche ventenne che si liberava di una corona troppo pesante per il suo gracile collo per concedersi un istante di umana debolezza. Aveva paura che il suo popolo perdesse e venisse distrutto. Aveva paura che i suoi fratelli e le persone a lei care morissero in battaglia. Probabilmente aveva paura che lei stessa morisse in battaglia, troncando violentemente la sua vita appena iniziata.

Dinanzi agli occhi non aveva Susan, regina di Narnia, ma solo Susan. La sua Susan.

Spinto dalla tenerezza, azzardò un contatto per farle comprendere che le era vicino. Con due dita le accarezzò il mento e glielo girò nella sua direzione, in modo da guardarla negli occhi, quelle due sfere castane che avevano momentaneamente rotto gli argini di austerità per far traboccare un mare di emozioni. Timore, angoscia, apprensione, insicurezza. Ed ora che il suo sguardo si stava incatenando al suo forse anche… emozione? Aspettativa? Felicità?

“Andrà tutto bene. Tuo fratello non è uno sprovveduto, è il re più capace che Narnia abbia mai avuto e il tuo popolo sa come deve difendersi e come deve lottare. Abbiamo riveduto il piano cento volte e ci siamo esercitati a lungo e senza sosta. Siamo pronti.” Le disse con il tono più risoluto che aveva. Voleva convincerla della veridicità delle sue parole. Desiderava ardentemente scacciare via l’inquietudine dalle sue iridi nocciola. “Con questa notte, Narnia riconquisterà le sue terre e, cosa ancora più importante, la sua libertà” concluse.

La sua ricompensa fu la comparsa di un sorriso, anche se appena accennato. “Ne sei certo?” chiese in un sussurro.

“Si” le assicurò senza esitare.

Sapevano entrambi che nessuno avrebbe potuto prevedere con certezza l’esito di quella futura e determinante battaglia, ma quando si era sospesi nel tempo risultava facile crearsi un proprio futuro e credere intensamente ad esso. Ecco perché il sorriso di Susan divenne a poco a poco più sicuro e sollevato.

La giovane si avvicinò al principe e si accoccolò tra le sue braccia, mettendo la parte destra del volto a contatto con il suo petto per farsi cullare dal ritmico e costante battito del suo cuore. Il giovane rimase interdetto solo per un secondo, poi, con il volto illuminato dalla gioia, cinse la schiena di Susan con il braccio destro e prese ad accarezzarle il volto con la mano sinistra.

La felicità che provava in quell’istante era indescrivibile. Il sogno di poche ore prima era divenuto realtà. L’oggetto del suo desiderio e del suo amore era lì tra le sue braccia che si stringeva a lui in cerca di conforto, di sicurezza, di pace. La guardò con dolcezza. Aveva le palpebre chiuse e il volto finalmente rilassato, privo dell’angoscia con la quale l’aveva trovata, come se avesse scoperto nella vicinanza con il giovane l’unico antidoto per le sue preoccupazioni.

Anche le sue afflizioni si erano dissolte nel nulla. Il desiderio inesaudito che gli aveva tolto il sonno si era avverato poiché ora lei era lì a riposare sul suo petto, dove il cuore palpitava di gioia. Appoggiò la testa con delicatezza tra i suoi capelli di seta e inspirò a fondo. Lo investì il suo odore, gli ricordava quello intenso dei fiori di campo. Gli trasmetteva pace e tranquillità, come anche il calore che irradiava il suo piccolo e aggraziato corpo disteso sopra il suo.

La sensazione di fragilità e dolcezza che gli trasmetteva aumentò. L’avrebbe protetta ad ogni costo, quella notte nessuno avrebbe osato avvicinarsi alla sua piccola regina.

Chiuse gli occhi e si lasciò cullare da quella dolce sensazione di benessere e di completezza che finalmente era giunta, unendosi spiritualmente a lei in quella magica empasse tra giorno e notte, dove il tempo si ferma congelando ogni questione terrestre per cedere il passo a quella divina dell’amore.

 

*

 

Non era possibile. Non era proprio possibile. Sollevavo massi, risvegliavo foreste, addormentavo persone e non riuscivo a fare questo? Non era proprio possibile.

Sbuffai irritata e gettai di mala grazia la corazza sul letto. Maledizione a lei e a tutti i suoi lacci. Erano dieci minuti buoni che cercavo di infilarla e ancora non ero riuscita nell’intento. Quell’arnese si era rivelato più difficile da indossare che un corpetto. Il che era tutto dire.

Una risata divertita catturò la mia attenzione. Mi girai con sguardo omicida.

“Continua a ridere e te la tiro addosso” minacciai offesa e ancora più irritata alla vista di Peter perfetto nella sua smagliante armatura da cavaliere. La cotta di maglia spuntava da sotto la sua corazza recante l’effigie di Aslan, la spada era appuntata al fianco e i gambali erano allacciati correttamente a protezione delle gambe. Perché ci aveva impiegato meno di cinque minuti a vestirsi da capo a piedi? Ma soprattutto, perché la mia rabbia sbolliva mentre fissavo la sua figura slanciata, resa argentata dal riflesso dei raggi lunari sull’armatura che lo faceva sembrare il principe azzurro delle fiabe? Ero certa che nemmeno Re Artù in carne ed ossa potesse eguagliarlo in bellezza e regalità, specialmente in quelle vesti. Accidenti, non mi era concesso nemmeno di adirarmi con lui.

Peter mi si avvicinò con ancora l’ombra del sorriso sulle labbra. “Permettimi di aiutarti” si propose galante.

Accettai rassegnata. Almeno avrei evitato di passare un’altra mezz’ora buona a litigare con i lacci.

Recuperò la corazza dal letto e mi si avvicinò, iniziando a posizionarla sapientemente sul mio petto. Con poche mosse riuscì finalmente a farmi indossare la parte superiore dell’armatura sopra un vestito blu notte di Lucy, adatto per mescolarsi tra le ombre di notte. Per fortuna non era necessario che indossassi le altre protezioni, anzi dovendo assistere allo scontro vero e proprio da una posizione appartata e riparata era già un eccesso di zelo farmi indossare la corazza.

Scontro.

Quella terribile parola rimbombo nelle mie orecchie con l’eco del suo significato funesto. Tra poco sarebbe avvenuto lo scontro per il quale ci stavamo preparando da tempo. Lo scontro con la quale Narnia cercava di riacquistare la sua legittima libertà. Lo scontro alla quale io avrei partecipato per mettere fuori gioco le sentinelle e aprire la grata. Lo scontro dove i Pevensie e in particolare Peter potevano perdere la…

Un tremito violentò mi impedì anche solo di concludere il pensiero.

Il giovane re si accorse del mio stato d’animo e mi accarezzò il volto. Gli bastò guardarmi negli occhi per intuire i miei pensieri. Quei pensieri che avevo cercato di tenere alla larga fino all’ultimo, persino prendendomela con la corazza, ma che alla fine mi avevano raggiunta.

Cercai di fare un profondo respiro per tranquillizzarmi, ma sapevo che era inutile. L’ansia per la battaglia imminente stava per giungere, inarrestabile e portatrice di dolorose preoccupazioni.

“Peter” lo chiamai simulando una calma che in realtà non possedevo “mi prometti che andrà tutto bene?” gli domandai cercando nei suoi zaffiri quella sicurezza che solo lui sapeva trasmettermi. Purtroppo però in quel cielo primaverile quella volta trovai solo l’afflizione che gli causava il desiderio irrealizzabile di farmi una promessa che sapeva non poter donarmi. Io per prima ero conscia del fatto che la mia domanda era infantile e sciocca. Come poteva sapere lui che ogni cosa sarebbe andata per il verso giusto? Che saremmo stati tutti sani e salvi domani mattina? Non poteva.

Si morse il labbra, indeciso su quale risposta fornirmi. Poi un lampo di fermezza gli attraversò le iridi cristalline e la sua voce mi giunse vellutata alle orecchie mentre mi sollevava il mento con delicatezza.

“Questa è la mia promessa” disse ad un soffio dalle mie labbra prima di poggiare su di esse le sue, morbide come le aspettavo.

Ricambiai il bacio, aggrappandomi ad esso come se fosse l’unico punto fermo, l’unica certezza che potevo portare con me verso il futuro incerto. Socchiusi le labbra e accolsi la sua lingua che firmava un tacito contratto di sostegno e comprensione con la mia. Una sua mano cinse la mia vita per stringermi di più a sé, facendo sbattere le due corazze l’una contro l’altra con un metallico clangore, mentre le mie corsero ad immergersi tra i suoi capelli dorati, percorrendo i lineamenti del suo viso perfetto prima di giungere alla meta. 

Quando interruppe il bacio, rimase a pochi millimetri dalle mie labbra, bloccando la mia testa poggiando una mano dietro essa.

Quando parlò, il suo alito fresco mi investì insieme al suo odore che tanto adoravo.

“Ti prometto che qualunque cosa succeda questa notte, tu sarai al sicuro. Non permetterò a niente e a nessuno di nuocerti. Anche se Miraz dovesse vincere nella peggiore delle ipotesi, tu sarai al sicuro” ripeté l’ultima frase scandendo con calma e fermezza ogni sillaba.

Rimasi incantata dal magnetismo dei suoi occhi zaffiro trasudanti convinzione. Come potevo dubitare delle sue parole? Soprattutto se suggellate precedentemente con un bacio intriso di sincerità quanto di amore come era stato il nostro appena avvenuto.

Annuii impercettibilmente, ma non accennai ad alcun sorriso. Anche se le sue affermazioni mi rassicuravano -e mi facevano più effetto di quello che avrei desiderato- , non era la mia incolumità quella che mi stava più a cuore.

“E tu?” sussurrai, esprimendo la mia principale preoccupazione. Se sopravvivere a quella notte equivaleva a dire sopravvivere senza di lui, non ero così certa di voler scampare alla battaglia. Perché in tal caso, la mia intera esistenza futura sarebbe stata un sopravvivere come lo era stata prima di incontrare Peter, poiché solo da quando il ragazzo aveva intrecciato il suo destino con il mio aveva realmente cominciato a vivere. Morto lui, sarei morta anche io dentro, tornando ad essere la ragazza senza affetto e con il cuore sigillato che il re aveva trovato nel bosco la prima volta che ci eravamo visti.

Il secondo di esitazione che scorsi nei suoi occhi fu prontamente sostituito dal giovane sovrano da un’espressione spavalda, ma, purtroppo per me, c’era stato ed io lo avevo scorto. Tuttavia cercai di non darci peso, preferivo credere alla sua facciata di guerriero indistruttibile con la quale potevo nutrire il mio cuore con grandi speranze di rivederlo intatto e vivo domattina.

“Cathy, una volta lasciata alle spalle questa questione, sai dove saremo io e te domani pomeriggio?” chiese incurvando gli angoli delle labbra all’insù.

Scossi la testa leggermente, incuriosita.

Lui si chinò su di me e accostò la sua bocca al mio orecchio, con l’aria di confidarmi un segreto. Fece scivolare entrambe le braccia attorno alla mia vita e mi abbracciò.

“Alla nostra spiaggia. Faremo il bagno insieme, ci sdraieremo sulla sabbia per riscaldarci al sole e poi cammineremo tra gli alberi che tu hai risvegliato. Solo io e te, come sempre, e tutto questo non sarà che un brutto ricordo”

Le sue parole sussurrate tracciavano il quadro della mia completa e assoluta felicità. Lasciai che penetrassero nella mia mente, scacciando via la logica assieme ad ogni preoccupazione razionale. Non volevo ascoltare per ora, volevo solo proiettare me e il mio re tra le onde cobalto e la sabbia fine e bianca.

Ricambiai la stretta e nascosi il viso nell’incavo del suo collo, inebriandomi del suo odore.

“Non vedo l’ora” mormorai.

“Anche io”

Il cigolare della maniglia ci costrinse a separarci, seppur a malincuore.

La slanciata e seria figura di Susan, con già l’arco e la faretra in spalla, si presentò sulla soglia della mia camera da letto.

“Siamo pronti” disse lapidaria.

Emisi un respiro deciso, raccogliendo tutto il coraggio di cui necessitavo. Non c’era spazio per i ripensamenti e il tempo per la rassicurazioni era purtroppo finito.

Il momento atteso quanto temuto, era infine giunto.

 

Nel prato che circondava l’edificio, tutto l’esercito di Narnia era pronto per partire per la battaglia. I centauri calibravano un’ultima volta le spada, preparandosi per quando avrebbero dovuto utilizzarle contro i nemici. Qualche minotauro limava per l’ennesima volta un’ascia probabilmente già mortalmente affilata. I fauni assicuravano l’arco alle spalle, mentre i grifoni attendevano i loro cavalieri per partire in volo.

I cavalieri in questione erano i Pevensie, Caspian ed io. Edmund sarebbe salito in groppa con me ed insieme saremmo planati sulla torre di vedetta sinistra, dove avremo messo fuori gioco la prima sentinella e alzato il cancello. O meglio io avrei fatto ciò mentre lui mi avrebbe protetto in caso di attacchi imprevisti.

Inizialmente si era fermamente proposto Peter per il ruolo di custode, ma insieme poi si era decretato che la sua presenza attiva nello scontro era di vitale importanza. Il re non poteva restare in disparte mentre il suo popolo combatteva, doveva dare l’esempio, guidare i suoi uomini alla carica, aiutarli lottando e comandandoli. Quindi, nonostante la preoccupazione del biondo di non essermi fisicamente vicino durante la battaglia, si era optato per lasciare che Edmund rivestisse il compito del mio difensore privato. Personalmente avrei preferito Peter, ma non lo avrei mai sottratto al suo popolo in un momento tanto critico per motivazioni puramente egoistiche. Inoltre ero del parere che non avrei dovuto temere niente finché Edmund mi fosse stato accanto. Come spadaccino era abile quanto il fratello e sapevo che teneva a me, quindi non avrebbe mai permesso che mi succedesse qualcosa di spiacevole. Anche perché sospettavo che Peter lo avesse minacciato di terribili conseguenze per ogni ipotetico graffio avessi potuto subire.

Con la coda dell’occhio notai Lucy cercare di catturare la mia attenzione. Mi stava indicando una scena alle mie spalle che non tardai a visualizzare. Un sorriso malizioso mi si dipinse sul volto mentre scorgevo leggermente in disparte Susan e Caspian, vicini e immersi in una fitta conversazione dai toni teneri a giudicare dalle espressioni di entrambi. Evidentemente la regina aveva trovato il coraggio di aprirsi un poco con il giovane principe. Mi volsi e vidi Lucy farmi l’occhiolino divertita e compiaciuta. Dopotutto la maggior parte del merito per quell’avvicinamento andava a lei.

“Se siete tutti pronti, possiamo andare” la voce perentoria di Peter risuonò tra gli astanti.

No, mi ero sbagliata, quella che avevo udito non era la voce di Peter. Era la voce del re di Narnia. Mai come in quel momento ammirai la sua figura regale nell’armatura. Testa alta, schiena dritta, sguardo fiero e mano appoggiata all’elsa, fissava i suoi uomini prima della battaglia.

“Con questa notte, noi riprenderemo le nostre case e il nostro controllo legittimo sulla florida terra di Narnia. Faremo vedere a Telmar e a Miraz chi comanda su queste pianure verdi e magiche. Narnia è nostra. Ma, cosa ancora più importante, ci riprenderemo la libertà che ci è stata ingiustamente sottratta. Libertà!”

L’esercito fece da eco all’ultima parola pronunciata dalla bocca del biondo. La mia ammirazione crebbe. Peter sapeva come incitare i suoi soldati, come infiammare i loro cuori e spronarli all’attacco anche solo con una piccola arringa. Era un sovrano nato.

Si avvicinò a me e scorsi nei suoi occhi un poco di quella preoccupazione che cercava a tutti i costi di nascondere. Mi guardò teso e serio, incatenandomi con il suo sguardo.

“Io farò tutto ciò che è in mio potere per proteggerti e trarti in salvo, ma tu non fare nulla di avventato, d’accordo? Resta con Edmund, con lui sarai al sicuro. Non fare niente di più di quello che abbiamo concordato, nessun atto folle e apparentemente eroico.” Ordinò con il tono di chi non ammetteva repliche.

Non mi fu difficile acconsentire. Per quanto volessi ardentemente la vittoria di Narnia, ero troppo codarda per tentare gesti da eroe. Avrei fatto utto ciò che potevo per rendermi utile, ma non mi sarei inoltrata nel vivo della battaglia. Quello era troppo per me, nonostante l’alta causa che avrei sostenuto.

“Bene, in sella allora” concluse a voce alta. Mi diede un ultimo bacio a fior di labbra, sfiorandomi la guancia con la mano. Fu veloce e piccolo ma il suo significato era immenso. Equivaleva a dire: abbi cura di te, non temere nulla, ti difenderò, tra poco saremmo di nuovo l’uno accanto all’altra.

Senza ulteriore indugio, mi avvicinai al grifone di nome Plumage, come mi aveva informato Susan, che si chinò gentilmente favorendomi la salita sulla sua groppa. Sistemai le gambe all’attaccatura delle possenti ali e immersi le mie dita tra le morbide piume dorate della creatura. Salire su un grifone era un’esperienza che superava di gran lunga quella già particolare di galoppare su un cavallo parlante. Ero sopra una bestia mitologica, le mie mani erano aggrappate alle sue penne vellutate e lucenti che avvertivo reali sotto il mio tocco. Era strabiliante, sopportabile solo se si riusciva ad accettarlo senza analizzare nel dettaglio la situazione. Più o meno come ho fatto finora, rammentai a me stessa.

Poco dopo Edmund montò anche lui, più agilmente di me, e mi fu dietro.

“Pronta al decollo?” chiese retoricamente e senza aspettare la mia risposta, il grifone spiccò il volo.

Quando le sue zampe si staccarono da terra trattenni a stento un urlo. Non avevo mai volato su qualcosa senza motore e carburante. Sbarrai gli occhi, temendo che se avessi guardato di sotto e calcolato a che distanza ero da terra, sarei svenuta. Mi artigliai al piumaggio della creatura, minimamente cosciente che avrei potuto farle male, troppo stordita dal battere furioso del mio cuore. Mi diedi mentalmente della stupida per non aver pensato di chiedere a Peter o a qualcun altro di darmi lezioni di volo prima di quella sera. Sapevo che saremmo arrivati al castello in sella a dei grifoni, eppure, presa com’ero a preoccuparmi solo della  battaglia, avevo tralasciato il piccolo dettaglio che per me sarebbe stata la prima volta che utilizzavo quelle bestie per volare. Serrai le ginocchia attorno al fianco del grifone, ripetendomi come un mantra che, al pari di Fulmine, anche Plumage sapeva cosa fare e non mi avrebbe disarcionata.

Passai una manciata di minuti con gli occhi testardamente serrati, ama un violento scossone, dovuto ad una corrente d’aria più forte delle altre, mi costrinse ad aprirli. La sensazione fu indescrivibile. Forse avevo sbagliato a privarmi della vista. Lo spettacolo che mi si presentava davanti era talmente strabiliante da farmi dimenticare la paura di cadere nel vuoto.

Stavo volteggiando in un cielo stellato, talmente in alto che mi sembrava di far parte del firmamento. Il buio ci avvolgeva, ma non ci era ostile, copriva il nostro arrivo, accogliendoci e rendendoci parte di esso. Il vento sferzava contro il mio viso, facendomi lacrimare gli occhi, ma insieme all’odore fresco della notte, portava quello dell’adrenalina che mi entrava dentro scorrendo assieme al mio sangue, più veloce ad ogni colpo d’ala.

La sensazione di euforia che mi stava pervadendo scomparve però bruscamente quando in quel cielo nero vidi stagliarsi delle guglie aguzze illuminate dal chiarore della luna. Il palazzo di Telmar era vicino.

Deglutii a vuoto.

“Stai calma, andrà tutto bene” cercò di tranquillizzami Edmund, probabilmente accorgendosi del mio irrigidimento improvviso, peccato che la sua voce per prima suonasse tesa. Era meno abile del fratello a nascondere le preoccupazioni evidentemente. Nonostante ciò annuii, apprezzando comunque il gesto.

Guardai alla mia destra, dove sapevo stavano volando Peter e, poco più in là Susan e Caspian. Un’occhiata e un cenno di intesa segnalarono l’inizio concreto della missione.

Edmund diede un colpetto al grifone che ci trasportava ed esso con una virata ci condusse verso la torre più vicina, dove avrei dovuto neutralizzare il soldato per poi prenderne la posizione di vedetta.

Feci un grande respiro per cercare la concentrazione, il timore del volo completamente cancellato. Ora toccava a me.

Quando fummo abbastanza vicini, chiusi gli occhi e individuai l’aura del soldato. Era davanti a me, passeggiava calmo lungo il perimetro circolare del torrione di destra. Chiamai a raccolta i miei poteri e indirizzai una piccola ondata di energia con forza a penetrare la barriera della sua aura. Il soldato si accasciò al suolo come un sacco di patate poco prima che Plumage planasse silenziosamente sulla guglia. Edmund scivolò con agilità lungo la schiena della creatura alata, finché non si ritrovò in piedi sul balconcino. Si volse verso di me e protese le mani per aiutarmi a scivolare giù a mia volta. In pochi secondi mi ritrovai accanto a lui e solo allora, conquistata la torre con il soldato addormentato a terra, mi permisi di tirare un sospiro di sollievo. La prima mossa era stata compiuta con successo.

Mi protesi dal parapetto con gli occhi rivolti verso il cielo. La seconda azione era di Peter, Susan e Caspian.

Focalizzai le loro figure ancora in groppa ai grifoni. Stavano planando veloci e silenziosi verso il corridoio tra le due torri di destra. Quando furono vicini a sufficienza Susan scoccò dall’arco due frecce e atterrò due soldati, precisa come sempre. Peter smontò a qualche metro da terra e atterrò con un salto sul corridoio dietro alle spalle di un soldato. Quest’ultimo non ebbe nemmeno il tempo di realizzare cosa stava accadendo che fu trafitto dalla spada implacabile del re che venne raggiunto poco dopo da Caspian e Susan.

Insieme tutti e tre si diressero verso la torre in fondo a destra e con l’aiuto delle corde e dei picconi si calarono giù dal torrione fino a raggiungere la finestra di sotto, quella che dalle informazioni di Caspian dava l’accesso alla camera del suo tutore. Li vidi entrare dentro furtivi e indisturbati e chiudersi la finestra alle spalle. Da lì avrebbero dovuto raggiungere la camera di Miraz e contrattare la resa di Telmar.

“Bene, sono dentro” commentò soddisfatto Edmund, appoggiato al parapetto vicino a me. “Ora devi aprire il cancello” mi ricordò.

Annuii, affatto preoccupata. Quella era il compito più semplice da svolgere.

Mi volsi verso l’inferriata, protesi entrambe le mani verso essa e richiamai la magia nei palmi. La sentii subito scorrere nelle mie vene e convogliarsi nelle mani. Il cancello era pesante e non avrei saputo tenerlo aperto a lungo solo con le mie forze, ma per fortuna si trattava unicamente di aprirlo e porre poi un blocco alla ruota posta accanto ad esso, in modo che non si richiudesse.

La mia magia, una volta liberata, avvolse le sbarre di ferro e cominciò a sollevarle piano, cercando di fare il meno rumore possibile. Occorsero pochi minuti affinché il cancello fosse completamente spalancato, al che concentrai la maggior parte della magia sulla mano destra per poter utilizzare la sinistra per azionare il blocco della ruota sottostante. Ascoltai il “click”, avviso che il meccanismo era scattato, con immenso piacere.

“Il cancello è aperto e così rimarrà finché vorremo” affermai con certezza.

“Perfetto” mi rispose sorridendo “Ora dobbiamo aspettare il segnale di Caspian prima di chiamare l’esercito”.

“Ora aspettiamo” confermai io. Appoggiandomi con la schiena alla balaustra.

“Secondo te quanto ci impiegheranno?” chiesi, poco dopo.

Edmund alzò le spalle. “Poco. Devono raggiungere la camera senza essere visti e grazie a Caspian non dovrebbe essere un problema. Dopodiché Caspian tornerà indietro per dirci di far entrare l’esercito mentre Peter e Susan terranno sotto tiro Miraz e negozieranno la resa di Telmar” mi spiegò.

Pregai tra me e me che tutto andasse liscio come lo descriveva lui. Passarono altri dieci minuti in silenzio. Entrambi eravamo troppo tesi per chiacchierare di frivolezze ed era inutile disquisire ancora sulla missione in corso. Ma non era un silenzio imbarazzante, l’ansia lo riempiva a sufficienza per scacciare ogni altro sentimento.

Il velo di apparente tranquillità della notte fu però squarciato da un grido.

Sia Edmund che io scattammo in piedi, preoccupati e sorpresi, e ci protendemmo dal parapetto.

Ciò che vidi mi bloccò il respiro. Peter e Susan stavano combattendo nel cortile di pietra con tre soldati.

“Il segnale! Cathrine, dai il segnale!”

La voce altisonante del giovane re mi giunse chiara e forte nelle orecchie. Andai nel panico. Non doveva succedere questo, sarebbe dovuto arrivare Caspian dicendo che Peter e Susan avevano raggiunto la stanza del re di Telmar e che era giunto il momento di fare entrare l’esercito per prendere il castello. Perché Peter e Susan stavano combattendo ora?

“Catrhine” Edmund fece presa sulla mia spalla, richiamandomi. “Devi lanciare il segnale, subito!” l’urgenza nella sua voce era palpabile e riuscì a penetrare il mio smarrimento.

Mi concentrai per tornare presente e alzai una mano verso il cielo. Iniziai a lanciare diverse sfere di luce in aria, abbastanza in alto affinché i soldati di Narnia, poco distanti, le vedessero e capissero che era giunto il loro momento.

Funzionò perché nel giro di neanche un minuto sentimmo con sollievo la carica del nostro esercito attraversare in forze il ponte levatoio abbassato. In quello stesso momento il suono di un corno rimbombò nell’aria e il cortile si popolò dei telmarini con le spade sguainate. Lo scontro era cominciato.

Vidi con angoscia crescente fauni e centauri combattere con coraggio contro il grande numero degli uomini di Miraz. Il clangore di spade contro spade, il sibilo delle frecce scoccate da archi precisi, le grida di dolore e di incitamento si confondevano insieme ferendomi le orecchie. Ferita che si propagava fino al cuore mentre cercavo disperatamente e inutilmente di scorgere Peter in quella baraonda di armi e combattenti. Era sparito, non riuscivo a distinguerlo, e per questo la mia ansia cresceva a dismisura. Il mio re era stato inghiottito intero dalla battaglia.

“Cosa può essere andato storto?” chiesi ad Edmund, senza però distogliere lo sguardo dal cortile, con la voce che sfiorava le tre ottave.

“Non lo so. Spero solo che non sia successo niente a Caspian, non era con Peter e Susan prima” notò il giovane re.

Corrucciai la fronte, riflettendo sulle sue parole. Era vero, il principe non si trovava con i due ragazzi prima che scoppiasse la battaglia, dove era finito?

Edmund colpì con un pugno il parapetto, digrignando i denti. Era preoccupato anche lui, ma in più sembrava frustrato. Smaniava per agire ma era costretto a restare con le mani in mano accanto a me per proteggermi da potenziali aggressori. Mi sentii in colpa, ma ero troppo vigliacca per decidere di restare da sola e permettergli di partecipare alla battaglia. Mi giustificai pensando che Peter non gli avrebbe permesso di lasciarmi, anche se sapevo che era troppo piccola come scusa per mettere a tacere la mia coscienza.

“Puntare e… tirare!” una voce autoritaria richiamò la nostra attenzione.

Dalla balaustra che collegava le torri di destra si erano affacciati gli arcieri di Telmar, pronti a fare cadere sui soldati di Narnia una pioggia di letali frecce.

“No” urlai spaventata e senza accorgermene compii un ampio movimento con il braccio, facendo partire un’onda di magia che si propagò lungo tutto il cortile deviando la direzione delle frecce e diminuendo la loro potenza, facendo si che cadessero a terra come semplici ramoscelli guidati dalla forza di gravità.

Ammirai basita il mio inaspettato risultato. Avevo reso futile l’intervento degli arcieri.

“Grande Cate” si congratulò Edmund, strabuzzando gli occhi.

Un’espressione decisa si fece strada sul mio volto. Forse avevo trovato un altro modo per rendermi utile a Narnia. Potevo deviare i loro dardi, compito che non mi esponeva a rischi  e che poteva salvare diverse vite.

Vidi che gli arcieri, sbigottiti che il loro attacco era stato inefficace, si stavano preparando per riprovare a colpire. Mi preparai anche io, confluendo la magia in tutto l’avambraccio. Appena scoccarono le frecce, io lancia l’incantesimo deragliandole nuovamente.

Questa volta gli arcieri si guardarono attorno, irritati e increduli che i loro colpi non andavano a segno. Sorrisi tra me e me pensando che sicuramente non avrebbero mai potuto pensare che la causa della loro inefficacia fosse la magia. In più da quella posizione appartata poteva agire indisturbata.

“Cate, guarda là”

Edmund spinse la mia attenzione su un punto in basso, sulla sinistra vicino al colonnato. Impiegai qualche secondo per comprendere cosa voleva farmi notare, e quando scorsi una chioma bionda in mezzo alla mischia mi si ghiacciò il sangue nelle vene.

Peter stava combattendo con tre soldati contemporaneamente ed era in netto svantaggio. Cercava di tenere coraggiosamente testa a tutti e tre, ma era in difficoltà ed era evidente che non avrebbe resistito ancora a lungo. Con il cuore che iniziava a battere furioso e preoccupato, guardai freneticamente attorno a lui sperando di scorgere Susan o qualcun altro che stava venendo in suo soccorso, ma nessuno pareva essersi accorto della situazione, impegnati com’erano a scontrarsi con gli altri soldati.

“Non puoi lanciare una sfera o aiutarlo in qualche modo?” domandò agitato Edmund.

“Non posso, se lanciassi una sfera rischierei di colpire Peter, si muovono troppo per prendere la mira” dissi concitata.

Cosa si poteva fare?

Trattenni il fiato quando vidi la lama di una spada sfiorargli il viso, e lì presi la mia decisione.

“Vai tu” proposi risoluta.

Edmund mi squadrò non comprendendomi.

“Come?”

“Vai tu” ripetei “posso farti volare e planare accanto a lui” spiegai veloce, in preda all’apprensione. La vita di Peter era in pericolo e agire in fretta era fondamentale per salvarlo.

La decisione disegnò in un lampo i suoi lineamenti. “Se puoi farlo davvero, fallo subito” mi intimò, accettando la mia proposta senza ulteriore indugio.

Senza rispondergli, mi affrettai a radunare la mia magia e ad impegnarla per farlo volare, priva di qualsiasi esitazione. La paura di rimanere sola sulla torre, preda di possibili attacchi, era svanita alla luce del fatto che Peter aveva bisogno di aiuto. Avrei volentieri affrontato tutto l’esercito di Telmar da sola se fosse servito a salvarlo.

Così, incurante del fatto che aveva fatto lievitare solo me e Peter prima di allora e che lo avevo fatto incoscientemente, avvolsi il corpo di Edmund con la mia magia, lasciandomi guidare dalla ferrea volontà di salvare la persona senza la quale non avrei potuto andare avanti.

Concentrandomi sulla figura snella del giovane, urlai “vola” mentalmente. La magia funzionò e il ragazzo si librò in aria subito. Non mi diedi il tempo per gioire di quel piccolo successo e subito mi concentrai per farlo volteggiare oltre il parapetto, sopra le decine di soldati che si combattevano tra loro. Scorsi un velo di preoccupazione negli occhi castano scuro di Edmund, data dal fatto di trovarsi sospeso a decine di metri da terra senza un sicuro sostegno ad evitargli una possibile caduta, però i lineamenti del suo volto erano ancora atteggiati nella smorfia di certezza che gli avevo visto poco prima.

Lo portai esattamente sopra a dove si trovava Peter e poi lo feci scendere perpendicolarmente al cortile. Ad un paio di metri da terra Edmund aveva sguainato la spada e aveva atterrato uno dei tre soldati colpendolo di sorpresa dall’alto.

Peter nel frattempo era riuscito ad abbattere un secondo uomo mentre Edmund concludeva con l’ultimo rimasto. Solo a quel punto trassi un sospiro di sollievo. Peter era salvo. Mi appoggiai con le braccia alla balaustra, leggermente affaticata per la magia appena compiuta e per la tensione provata. Un rivolo di sudore mi scese lungo la tempia mentre osservavo con un sorriso divertito Peter che squadrava Edmund incredulo di trovarselo a fianco. Potevo immaginare il loro dialogo. Peter, soprassedendo sul fatto di essere appena stato salvato dal fratello, stava probabilmente inveendo contro il povero Edmund per avermi lasciato sulla torre da sola. Al che il moro avrebbe sicuramente risposto che senza di lui sarebbe morto, che ero stata io ad insistere per farlo volare in suo soccorso e che ormai, dato che era lì ed io non correvo alcun pericolo imminente, era inutile litigare ma occorreva andare avanti con la battaglia. A quel punto Peter avrebbe annuito ma ero certa che non gliela avrebbe perdonata facilmente e che la discussione era solo rimandata.

Mentre formulavo questo pensiero, il biondo in questione si volse verso la mia direzione, carico di apprensione.

Gli sorrisi per calmarlo, ma mentre alzavo una mano per fargli segno di non preoccuparsi, una freccia sibilò a poco distanza dal mio orecchio.

Mi pietrificai mentre vedevo Peter sbiancare anche da quella distanza. Deglutendo diressi il mio sguardo verso la provenienza del dardo. Pochi secondi dopo però avrei preferito non aver visto. Una decina di soldati, capitanati da un uomo in armatura senza elmo a nascondergli una barba nera e a punta, mi stavano puntando dal balcone di fronte. Sudai freddo. Diavolo, mi avevano vista, probabilmente mentre facevo volare Edmund. E adesso?

Li vidi preparare tutti e dieci la balestra nella mia direzione. Il mio cuore cominciò a battere furioso, ma fortunatamente il mio istinto di sopravvivenza prevalse e mi spinse a ripararmi in fretta dietro il parapetto di pietra, impenetrabile per le loro armi.

Chiusi gli occhi e mi riparai la testa con le braccia, precauzione superflua ma che mi faceva sentire più protetta, preparandomi al rumore sibilante che avrebbe accompagnato l’arrivo delle frecce. Ma non fu un rumore fischiante a raggiungere le mie orecchie, bensì quello di un oggetto pesante in ferro in caduta libera e quello di diverse urla. Confusa uscii fuori dal parapetto quel tanto che bastava per avere una visione completa della scena sottostante.

Mi ci volle un secondo per comprendere e riempirmi d’orrore. I dardi non erano giunti a me perché all’ultimo il loro capitano li aveva fermati, dando l’ordine di colpire invece con una lama la corda che tratteneva il peso posta sopra la ruota della cancellata che cadendo avrebbe chiuso definitivamente proprio l’inferriata -fonte del rumore da me udito-, chiudendo ogni possibilità di fuga ai combattenti di Narnia.

Il cancello però non si era chiuso del tutto. Un minotauro infatti si era coraggiosamente interposto tra esso e il pavimento, sostenendo con la sua sola forza l’inferriata.

Ma non avrebbe retto a lungo. Lo sapeva il minotauro, lo sapevo io, lo sapeva Peter che con la coda dell’occhio constatai come fosse stato spettatore dell’accaduto, e lo sapeva il comandante degli arcieri, che con un ghigno vittorioso stava ordinando ai suoi uomini di caricare nuovamente le armi e puntarle contro il nostro soldato.

Quando vidi le frecce partire ed andare a conficcarsi nel corpo già provato del minotauro, mi uscì un “No” soffocato e pieno d’angoscia. Ero inorridita a tal punto da non riuscire a concentrarmi per lanciare un incantesimo. Il soldato si chinò dal dolore e l’inferriata scese di qualche centimetro. Ancora qualche minuto e si sarebbe chiusa definitivamente, e con essa la nostra speranza di vittoria.

Guardai Peter, fiduciosa che sapesse cosa fare per salvare i suoi uomini. Con piacere vidi subito che la mia fiducia non sarebbe stata tradita. Il re stava urlando di ritirarsi e i soldati di Narnia avevano colto l’ordine immediatamente, e si stavano dirigendo in massa verso il cancello, cercando di uccidere quanti telmarini potevano al loro passaggio.

Presi un profondo respiro, riflettendo sul fatto che re Peter aveva preso in mano la situazione e che avrebbe portato i suoi soldati alla salvezza. Poco importava che non avevamo preso il castello, lo avevamo comunque attaccato, dando una grande dimostrazione di forza per una popolazione che teoricamente sarebbe dovuta essere estinta, e avevamo inflitto un gran numero di perdite ai nemici. Questo già di per sé era una grande risultato.

Notai gli arcieri di Telmar prepararsi ad un nuovo attacco, ma questa volta ero pronta. Deviai con facilità il loro attacco. Peccato che dopo però non ebbi il tempo di gioirne in quanto il loro capitano, compreso subito stavolta da dove provenisse l’interferenza, si diresse nella mia direzione con una balestra pronta e scoccò una freccia. Con una prontezza di spirito che non credevo di possedere mi buttai nuovamente al riparo del parapetto, giusto un secondo prima che la freccia vibrasse micidiale sopra la mia testa. Sospirai di sollievo per il pericolo scampato. Sollievo che si disperse quando avvertii il rumore metallico del cancello che si abbassava ancora.

Mi alzai in piedi ed osservai con angoscia il minotauro che si accasciava a terra e l’inferriata che centimetro dopo centimetro segnava la fine di tutti gli abitanti di Narnia ancora all’interno del cortile.

D’istinto alzai le mani e richiamai velocemente la mia magia per fermare la discesa del cancello. Lo arrestai ad un metro da terra e concentrandomi riuscii a rialzarlo di un altro paio. Sapevo che non potevo bloccarlo come avevo fatto prima, in quanto il meccanismo era stato rotto dalla caduta del peso, e ciò implicava che avrei dovuto tenerlo aperto solo con la magia finché non fossero usciti tutti. Ma la grata era davvero pesante e io già provata dagli incantesimi svolti finora, non ultimo quello di levitazione. Non avrei resistito a lungo.

Cercai con lo sguardo Peter, certa di trovarlo ancora dentro le mura del castello, e lo scorsi poco distante dalla posizione dove lo aveva visto prima.

Urlai il suo nome con quanto fiato avevo in corpo. Dovevo assolutamente ottenere la sua attenzione. Il primo richiamo però fu inutile, ma non mi persi d’animo e riprovai altre tre volte, con il cuore che batteva sempre più forte per l’agitazione. Finalmente, al quarto grido, il re mi udì e si voltò nella mia direzione. Notando le mie braccia alzate, fece saettare il suo sguardo da me al cancello sospeso a metà e gli bastò un secondo per comprendere la situazione.

“Fai uscire tutti, non reggerò a lungo” gli intimai a gran voce.

Lui mi sentì e annuì con la testa, dopodiché ripeté ai suoi uomini il comando di ritirarsi con rinnovato vigore, urlando la necessità di fare in fretta. Lo vidi poi correre nella mia direzione, sul volto un’espressione preoccupata visibile sin da quassù.

“Chiama Plumage subito! Vattene da lassù, i soldati di Miraz ti hanno puntata!” mi gridò.

Lo guardai aggrottando le sopraciglia. “Se io me ne vado, il cancello si chiude e voi morirete tutti” gli dissi di rimando, sconcertata dal fatto che non lo avesse compreso e cercando di non notare quanto sforzo mi stesse costando anche solo parlare mentre sostenevo l’incantesimo.

“Lo so, ma cosa intendi fare? Rimanere lì in eterno?”

Una lampadina mi si accese. Peter aveva inteso alla perfezione, ma non voleva andarsene sapendomi ancora in territorio nemico.

Gli sorrisi comprensiva, cercando di ignorare la debolezza che la magia prolungata mi stava causando. La testa iniziava a girarmi e cercai di scuoterla per scacciare via le vertigini.

“Non ti preoccupare, appena tutti, tu compreso, vi sarete messi in salvo, lo chiamerò subito e sarò via prima che Miraz se ne accorga” lo rassicurai, cercando di apparire sicura di me.

Lui scosse la testa. “Cathrine, non intendo rischiare, tu devi…”

“Io devo tenere l’inferriata aperta.” Lo interruppi decisa. Chiusi gli occhi per colpa di un giramento di testa più forte degli altri. La magia mi stava prosciugando le forze. Tra poco sarei crollata, non potevo sprecare tempo ed energie a discutere con Peter, doveva andarsene via presto.

Caspian arrivò tempestivamente in groppa ad un cavallo nero tenendo per le redini un secondo cavallo castano probabilmente per il re e seguito da un terzo destriero portante un signore anziano che non riconobbi. Fui felice del suo arrivo, pensando che forse lui avrebbe convinto il re ad andarsene comprendendo la situazione.

Infatti vidi i due giovani reali discutere tra loro e infine Peter montare contrariato sul suo destriero. Sospirai di sollievo, ma un altro giramento mi investì forte. Barcollai ma tentai di riprendermi subito udendo il malefico clangore metallico che mi ricordava che ad ogni mio piccolo cedimento il cancello si avvicinava al pavimento. Le mie braccia stavano tremando, tese fino allo spasimo per sostenere il flusso continuo di magia che andava da me alla cancellata, ma dovevo resistere, almeno finché Peter e Caspian non fossero usciti.

“Chiama Plumage, così inizia a dirigersi verso di te mentre noi ce ne andiamo” mi urlò il biondo.

“Ok” gridai in risposta, senza abbassare lo sguardo. Se serviva per far si che se ne andasse, lo avrei accontentato.

Con una forza che trassi da una fonte sconosciuta, alzai una delle due mani e lanciai veloce una sfera in aria, il segnale concordato con il grifone, per poi riportarla immediatamente a tenere alzato il cancello, che intento si era abbassato di un altro paio di centimetri.

L’ulteriore dispendio di energie mi causò un giramento di testa più forte degli altri e per qualche istante ogni cosa si fece buia. Feci un lento e lungo respiro per calmami e riprendere il controllo della situazione. Dovevo tenere duro ancora poco, dopodiché sarei tornata alla base con il grifone, da Peter. Mi aggrappai all’idea che domani saremmo stati alla nostra spiaggia per vincere l’affaticamento, ignorando i rumori  della battaglia sottostante che volgeva alla fine.

Con la coda dell’occhio vidi il re di Narnia, ancora restio ad andarsene, che guardava nella mia direzione, mentre Caspian lo istigava alla fuga. Fortunatamente il giovane principe sembrò riuscire a convincere infine il re ed insieme galopparono fuori dalle mura del castello, protetti dal manto della notte, con mio grande sollievo.

Le braccia ormai tremavano in maniera incontrollabile e non so grazie a quale divinità riuscivo ancora a sostenere l’incantesimo. Resistetti ancora cinque minuti per dare il tempo a tutti gli abitanti di Narnia di fuggire. Quando vidi il cortile completamente sgombro dai combattenti di Peter, potei finalmente fermare la magia.

Caddi priva di forze sulle ginocchia, accompagnata dal metallico suono dell’inferriata che si chiudeva definitivamente. Con le braccia ancora tremanti e il respiro affannoso, riuscii a girarmi di schiena per appoggiarmi al parapetto in attesa di Plumage. Mi accorsi solo in un secondo momento che una sostanza vischiosa e umida mi stava invadendo le labbra. Mi pulii con il dorso della mano, ritrovandomelo dopo sporco di un liquido rosso vermiglio. Sangue. Lo sforzo dell’incantesimo mi aveva fatto perdere sangue dal naso.

Meglio dal naso che non da qualche ferita, pensai, soddisfatta del mio operato nonostante le conseguenze fisiche. Alzai lo sguardo al cielo, godendomi la vista delle stelle mentre cercavo delle piume dorate in avvicinamento, cercando di ignorare le voci dei soldati telmarini che cercavano di salvare i feriti e di lavar via le tracce della battaglia appena avvenuta. Il petto mi si alzava e abbassava furioso, in cerca disperatamente di ossigeno.

Quando fui sicura di riuscire a reggermi in piedi se appoggiata ad un sostegno, mi alzai, se pur con qualche fatica, abbarbicata al parapetto. Seppellita al riparo della balaustra era improbabile che il grifone mi vedesse e potesse giungere in mio soccorso, riflettei. Peccato che non pensai al fatto che se ero visibile per Plumage era più che visibile anche per i soldati di Telmar come mi fece notare un grido d’allarme proveniente dal cortile.

L’urlo mi perforò il timpano più per il suo significato che per la forza effettiva del suono.

Con il cuore in gola mi girai in tempo per vedere i telmarini che indicandomi si apprestavano a raggiungere la torre dov’ero.

Terrorizzata, mi sporsi dal parapetto e iniziai a gridare il nome della bestia alata, cercando di non badare alla testa ch aveva ripreso a girare violentemente, causandomi una forte nausea. Ma dove diamine era finito quel grifone? Sarebbe dovuto restare nei paraggi pronto per arrivare!

Lo sguardo mi cadde poi in un punto del prato circostante il castello e il respiro mi i mozzò in gola. Anche nel buio della notte, la figura piumata accasciata a terra, color dell’oro, era inconfondibile. Plumage era stato abbattuto. Nessuno sarebbe venuto a prendermi, realizzai con angoscia crescente. Nessuno mi avrebbe salvata, non sarei scesa da quella torre. Non avrei rivisto Peter.

Il panico prese il sopravvento. Cosa potevo fare? Ero da sola e priva di forze. Se avessi avuto le energie necessarie avrei tentato di lievitare giù dalla torre, oltre le mura, ma nelle condizioni in cui ero non riuscivo nemmeno a sostenermi sulle mie gambe.

Quando sentii la porta della piccola torre aprirsi con violenza, seppi che ero perduta.

Cinque soldati fecero il loro ingresso squadrandomi guardinghi, ma appena si accorsero che il loro avversario era niente di più che una ragazza di diciassette anni, un’espressione beffarda si fece strada sui loro volti.

Tremai, questa volta dalla paura, ma cercai di non darmi per vinta. Non mi sarei arresa docilmente, non davanti agli uomini che avevano causato tanto dolore e sofferenza al popolo di Narnia e ai Pevensie. In quel momento rappresentavo loro, non potevo deluderli dimostrandomi debole. Così cercai di mascherare quanto più possibile il terrore che mi stava attanagliando il cuore e l’angoscia per ciò che sarebbe potuto accadere in loro nome.

“Una ragazzina?” esclamò uno dei soldati incredulo.

“Già. Vediamo se è tanto intelligente da consegnarsi senza storie” commentò un altro ironico, avvicinandosi di un passo, estraendo la spada ma senza impugnarla con convinzione.

Ignorando la frase, spinta dalle motivazioni che mi ero elencata, richiamai le forze rimaste per incanalarle in una sfera e gliela lanciai. Con essa però, scemarono anche le energie. Vidi lo sgomento negli occhi dei miei avversari, sentimento che li spinse ad afferrare tutti la spada, mentre sentivo nuovamente il sangue colarmi giù dal naso. La vista si appannò, i contorni di ciò che avevo attorno cominciarono a divenire sfumati, mentre la mia coscienza andava alla deriva, tanto che udii lontanamente le voci sorprese dei soldati accanto a me. Le gambe cedettero e tutto si fece velocemente nero mentre scivolavo nell’inconsapevolezza dove non esisteva né Telmar né un mio futuro in certo, ma solo la voglia di trovare riposo e pace tra le braccia di un angelo biondo…
   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Le Cronache di Narnia / Vai alla pagina dell'autore: 68Keira68