Ciao
a tutti^^! Ho quasi paura ha postare dopo tutto questo tempo, avete
ancora
voglia di leggermi? Spero tanto di si! Anche perché qst
è il cappy della
battaglia, che finalmente giunge insieme ad un po’
d’azione dopo i capitoli
precedenti riflessivi e più romantici. Solo la prima parte
del capitolo è
ancora sui toni dolci ed è dedicata ai fan di Susan e
Caspian (come vi avevo
promesso, dato che lo scorso capitolo ho parlato solo di Cate e Peter,
qui
fanno il loro ritorno il principe e la regina che compiono i loro
piccoli passi
avanti nelle loro complicata relazione^^). Ci sarà un colpo
di scena finale che
magari qualcuno aveva previsto, spero che vi incuriosisca, fatemi
sapere cosa
ne pensate e cosa vi attendete in seguito a questa svolta^^! Vi lascio
alla
lettura ora, un bacione e dato che è finita la scuola, BUONA
VACANZE A
TUTTIIIIIII^^!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Ringraziamenti:
QueenBenedetta:
Ciao! Sono contenta che Cate e Peter ti piacciano e grazie per i
complimenti
alla ficcyJ! Fammi sapere cosa ne pensi di
qst’ultimo cappy ^^ grazie ancora, un
bacione e a presto 68Keira68
Sweetophelia:
ciao! Sono felicissima che la scena della dichiarazione sia riuscita e
che ti
abbia regalato quelle emozioni (anche io avrei dato nn so cosa per
essere al
posto di Cate, ti capisco hihi^^)! Effettivamente Peter ci ha messo un
po’ per
confessarsi apertamente, però lo h fatto principalmente per
nn metterle fretta,
ma alla fine si è deciso ^^! La fiducia che Cate ha in Jadis
porterà ad alcuni
problemi sia per lei che per Peter, quindi ha ragione a vederla di
cattivo
occhio, anche perché Aslan farà la sua comparsa
ma ci vorrà ancora un bel po’
(si farà attendere come fa quasi sempre quindi ihih) mentre
l’arrivo di Jadis è
ormai alle porte cn tutti i problemi che ne conseguiranno…
Sono contenta che le
citazioni siano state apprezzate, anche perché sono tra le
mie frasi celebri
preferite e mi piaceva l’idea di riuscire ad inserirle ^^
spero che qst cappy
non ti deluda, ma che ti piaccia quanto il precedente J sono curiosa di sapere le tue
impressioni al più
presto ^^! Ti mando un bacione grande grande 68Keira68
noemi_moony:
ciao! Quanti complimenti grazie mille **!! Sei davvero
troppo buona, nn sai
quanto sono contenta nel sentire che la storia ti piaccia
così tanto!!!!!!
Anche a me nn dispiacerebbe incontrare un ragazzo come Peter, oltre ad
essere
bellissimo è pure caratterialmente perfetto, magari ne
esistessero! Spero che
anche qst capitolo ti piaccia così tanto J nn vedo l’ora di leggere
la tua recensione J! Kisskisses 68Keira68
GilmoreGirl:
Ciao! Wow, tutta d’un fiato? *me onorata* grazie mille per
averla apprezzata
così tanto!!!!!!! ^^ sn molto contenta e mi auguro che anche
qst capitolo ti
piacerà come i precedenti ^^ fammi sapere cosa ne pensi^^ un
grandissimo bacio
68Keira68
Risotto:
Ciao! Sono contenta che Peter ti sia piaciuto come il resto
del capitolo,
grazie infinite^^!! Per rimediare alla mancata presenza di Susan e
Caspian
nell’altro però ti anticipo che la prima parte di
qst cappy è interamente loro
che vivranno il loro momento di tenerezza J spero che ti piacerà ^^
fammi sapere cosa ne pensi
della coppietta e del resto del cappy^^ ti mando un bacione 68Keira68
Marti_18: Ciao! Sono contenta che la storia e Cate e Peter ti piacciano, grazie **! Mi auguro ti piacerà anche quest’ultimo capitolo J kisskisses 68Keira68
Grazie mille anche a tutti coloro che mi hanno aggiunta tra i preferiti, tra le ricordate o tra le seguite o a coloro che hanno anche solo letto :-)
Buona lettura
Kisskisses
68Keira68
12_La magia del
tramonto prima della battaglia
Girò
sul materasso, verso destra.
No,
era una posizione scomoda per addormentarsi.
Si
rigirò dall’altra parte.
Peggio
di prima.
Calciò
le lenzuola lontano da lei, la stavano soffocando.
Ma
il caldo non diminuì neanche con la lontananza dal cotone.
Diede
due pugni al cuscino, per ammorbidirlo, confidando che almeno quello
stratagemma avrebbe funzionato, ma quando nemmeno quello le
assicurò una
posizione comoda, rinunciò ad appisolarsi e si sedette
irritata sbuffando.
Era
inutile. Da quando si era svegliata di soprassalto per colpa di un
rumore
molesto, non era più riuscita ad addormentarsi, nonostante
si ripetesse che
aveva bisogno di riposo. Quella notte ci sarebbe stata la missione per
conquistare il castello di Telmar, avrebbe dovuto ristorarsi durante il
pomeriggio non girare come una trattola tra le coperte!
Eppure,
nonostante le sue logiche motivazioni, il sonno non giungeva. Avvilita,
raccolse le gambe al petto e mise la testa sulle ginocchia, iniziando a
dondolarsi dolcemente. Da bambina quel ritmato movimento aveva il
potere di
tranquillizzarla, forse avrebbe funzionato anche questa volta
poiché il
problema della dormita mancata non stava nel cuscino, bensì
nei due pensieri
che le martellavano incessantemente la testa.
Il
primo, e il più comprensibile, era l’ansia per la
battaglia imminente. Odiava la
guerra, non sopportava l’odore del sangue, la vista dei
soldati deceduti, il
sinistro suono delle lame che cozzavano l’una con
l’altra. Eppure sapeva che
non poteva sottrarsi, la prosperità del suo popolo dipendeva
anche da quanto
lei era brava ad azzittire il suo Io e diventare una fredda e precisa
arciera.
Peccato però che fosse quasi impossibile far tacere la
propria voce interiore,
specialmente la sera, quando la consapevolezza di aver stroncato un
centinaio
di vite la raggiungeva in tutta la sua grandezza. E a nulla potevano le
sue
motivazioni, che fossero giuste o meno, perché in quei
momenti niente le
sembrava più sacro della vita che aveva spezzato.
Senza
contare la paura di rimanere uccisa lei stessa in battaglia o, peggio
ancora,
il terrore che provava alla sola idea di perdere uno dei suoi fratelli
o la
disperazione che leggeva nei volti del suo popolo mentre piangeva le
persone a
loro care perse sotto il colpo di una spada.
Per
non parlare delle conseguenze devastanti che avrebbe avuto una loro
sconfitta.
Non osava nemmeno rifletterci sopra. Se avessero perso, Narnia sarebbe
stata
spacciata. Telmar avrebbe vinto su tutti i fronti e a loro non sarebbe
che
rimasto stare rintanati da qualche parte ad attendere un miracolo o la
fine.
Ciò
le causa una lunga lista di ottimi motivi per soffrire di insonnia, ma
a questi
se ne sommava ancora uno, forse il principale. Caspian.
Il
ragazzo, per una persona meno problematica e orgogliosa, sarebbe stato
la
chiave per allontanare le sue ansie, ma poiché lei era una
persona problematica
e orgogliosa rappresentava un altro motivo di preoccupazione.
Susan
provava il disperato desiderio di vederlo. Voleva sentire la sua voce
calda
rassicurarla e stringere il suo corpo forte contro il suo per
avvertirlo vicino
a sé, presente come sempre per difenderla e sostenerla. Era
sicura che le
sarebbe bastato questo per scacciare i suoi pessimistici pensieri, la
vicinanza
di Caspian.
Ma
non poteva uscire dalla sua stanza ed intrufolarsi in quella del
giovane. Cosa
avrebbe pensato lui? L’avrebbe presa per una scocciatrice che
imponeva la sua
presenza. In più ora stava certamente dormendo, come avrebbe
dovuto fare anche
lei, non poteva andare a disturbarlo. Era certa che l’animo
gentile del ragazzo
gli avrebbe impedito di cacciarla, ma lei non voleva rivestire il ruolo
dell’importuna.
Quanto
erano morbide le sue braccia che la
cingevano però…
Susan
sospirò e si alzò, stiracchiandosi gli arti. Si
guardò attorno, pensando al da
farsi. Ritornare a letto era fuori discussione. Non sarebbe riuscita ad
addormentarsi nemmeno con mezza bottiglietta di sonnifero. Poteva
uscire dalla
stanza, fare dieci passi verso sinistra, bussare ad una porta simile
alla sua e
chiamare… No, anche quello non era fattibile. O meglio, non
lo avrebbe fatto.
Concluse che l’unica possibilità restante fosse
uscire da quella angusta stanza
e sperare che un po’ d’aria fresca le liberassero
la mente dalle
preoccupazioni.
Decisa,
uscì svelta dalla camera. Una volta nel corridoio, con la
cosa dell’occhio notò
che la porta della stanza di Peter era aperta e che il letto era
intatto.
Sorrise al pensiero che il fratello aveva gradito il letto, e
più
specificatamente la sua ospite, della notte precedente a tal punto da
ritornarci quel pomeriggio.
Almeno
qualcuno che riesce a convivere
felicemente con i suoi sentimenti c’è.
Mosse
qualche passo con la mente rivolta a Cathrine e al re quando
inaspettatamente
si ritrovò dinanzi ad una porta. Non ad una
porta ma a quella porta.
La
camera di Caspian.
Ci
era giunta involontariamente poiché le scale per raggiungere
il piano inferiore
erano esattamente dalla parte opposta. Maledisse il suo subconscio che
l’aveva
condotta dove avrebbe voluto in cuor suo essere se fosse riuscita a
mettere a
tacere il suo raziocinio.
E
ora che era giunta fin lì? Sarebbe entrata? La sua mano si
protese verso la
maniglia, ma appena venne a contatto con il ferro duro
scattò all’indietro come
se si fosse bruciata. Il cuore cominciò a batterle a mille.
Sentiva sopra ogni
altra cosa la presenza di Caspian dietro quella porta di semplice
legno. Voleva
entrare, ogni singola particella del suo essere voleva varcare quella
soia,
eppure la ragione prevalse, ancora una volta, e le sue gambe fecero un
passo in
dietro. Non poteva entrare e disturbarlo senza altra motivazione della
sua
voglia incondizionata di vederlo. Non era da lei e mai lo sarebbe stato.
Strinse
forte i pugni e corse nella direzione delle scale. Doveva uscire,
prendere una
sana boccata d’aria fresca. Magari il vento, oltre
all’odore delle fronde degli
alberi e del muschio, avrebbe potuto portare via con sé i
suoi desideri per
riportarglieli solo quando sarebbe stata pronta per esaudirli.
Passi.
Leggeri, delicati, sicuramente femminili, prima lenti
nell’avvinarsi e dopo
celeri nell’allontanarsi.
Li
aveva sentiti distintamente risuonare nel quieto silenzio
dell’edificio,
proprio dietro la sua porta. Anzi, aveva la netta impressione che la
proprietaria dei passi si era avvicinata di proposito alla sua stanza
per poi
distanziarsene in fretta, anche se non riusciva a capire
perché e chi avesse
compiuto un’azione apparentemente così illogica.
O
meglio, c’era un nome che si era affacciato nella sua mente,
ma sarebbe stato
troppo bello anche solo sperare che Susan andasse da lui di sua
spontanea
volontà con il solo scopo di vederlo. Troppo bello, troppo
irreale, troppo
sentimentale trattandosi di Susan, era una spiegazione dettata
più dal suo
desiderio di averla con sé che dalla ragione.
La
donna che gli stava sottraendo il sonno costringendolo a rigirarsi
inutilmente
tra le lenzuola da ore non avrebbe mai compiuto un gesto guidato solo
dai
sentimenti senza il supporto della logica. Era più probabile
che la stanchezza
gli avesse giocato un brutto tiro facendogli udire suoni inesistenti.
Era
stanco, ma più mentalmente che fisicamente. Era stanco di
ripensare alle parole
di Susan per riudire il suono della sua voce nella testa, era stanco di
riportare alla mente le sue fattezze, i suoi morbidi capelli setosi e i
suoi
vivaci e fermi occhi castani. Stanco di torturarsi con il desiderio
insoddisfatto di posare un delicato bacio su quei petali che erano le
sue
labbra. Ma purtroppo sapeva bene che era un desiderio ardente quanto
irrealizzabile per il momento. La regina gli aveva chiesto del tempo
per
metabolizzare i suoi sentimenti e lui le aveva giurato che
l’avrebbe attesa. E
avrebbe rispettato la sua promessa ad ogni costo.
Se
sopravvivo allo scontro di questa
notte.
La
riflessione gli era giunta come un fulmine a ciel sereno. Quella notte
si
sarebbe tenuta la battaglia alla fortezza di Telmar, la battaglia per
la quale
tutta la popolazione di Narnia si era preparata lavorando sodo per
mesi. Il
pensiero fisso di Susan gli aveva fatto mettere in secondo piano tutto
il
resto.
Incredulo
per aver quasi dimenticato una simile questione, adirato con se stesso
poiché
un principe non poteva certo permettersi una mancanza del genere, si
alzò dal
letto e andò a recuperare la spada, con
l’intenzione di uscire fuori ed
allenarsi, come per espiare la sua colpa.
Almeno
si sarebbe certamente sentito più utile e attivo fuori a
tirare fendenti
all’aria che lì a stropicciare il lenzuolo
riflettendo sul sorriso di Susan.
Cercando
di non far eccessivamente rumore, richiuse la porta dietro di
sé e si accinse a
percorrere il corridoio illuminato fiocamente dalle torce. Nonostante i
buoni
propositi di non soffermarsi con il pensiero sulla ragazza non
poté impedire ai
suoi occhi di guizzare veloci sulla porta della sua stanza. Era
lì, sulla parte
del corridoio opposta a dove era la sua. Era chiusa, probabilmente
Susan stava
dormendo come avrebbe dovuto fare anche lui. Certamente non passeggiava
dinanzi
all’ingresso della sua camera come aveva sperato ingenuamente
qualche minuto
fa.
Fissò
la porta con insistenza, tanto che si stupì nel non vederla
andare a fuoco.
Aveva un desiderio inestinguibile di aprirla ed andare da lei, sapeva
che il
semplice gesto di girare quella maniglia, sarebbe equivalso per lui ad
avere
l’accesso al Paradiso. Ma era ben conscio che se
l’avesse fatto avrebbe infranto
la promessa di aspettarla e lei si sarebbe allontanata
un’altra volta. A quel
punto riconquistarla sarebbe stato ancora più arduo, se non
impossibile.
Scosse
la testa desolato e proseguì lungo le scale, arrivando
presto nella sala
centrale, attualmente deserta. A tutti era stato consigliato di andare
a
dormire sin dal primo pomeriggio per essere riposati e in forma per la
battaglia di quella notte a Telmar. Un’ottima idea suggerita
da Lucy,
ovviamente se qualcuno non soffriva di insonnia per cause di cuore come
Caspian.
Uscito
dalla sala, venne accolto dal sole pomeridiano, il cui calore veniva
piacevolmente smorzato da un venticello fresco e leggero. Un clima
ideale per
allenarsi e distendere la mente.
Avanzò
lungo il grande ed immenso prato che circondava l’edificio,
delimitato in
lontananza dagli alberi secolari, con la lieta prospettiva di poter
smarrire i
suoi pensieri nei gesti automatici dell’arte della scherma.
Adorava tirar di
spada, ma ancora di più il magico momento dove il suo
braccio si fondeva con la
fidata arma di metallo, diventando un tutt’uno efficace
quanto letale, dove non
aveva più bisogno di riflettere sulla tecnica o sulla
prossima mossa in quanto
ogni movimento e attacco diventavano naturali come respirare.
Tirò
fuori la spada dal fodero, calibrò l’arma
pregustando l’inizio
dell’esercitazione e caricò il primo colpo alzando
lo sguardo sopra un nemico
invisibile.
Il
braccio rimase fermo a mezz’aria, pietrificato, bloccando
l’affondo. L’aveva
vista appena aveva guardato dinanzi a sé. Non era
un’allucinazione, era la
realtà. Lei, la ragazza che l’aveva fatto alzare
dal letto, la ragazza che
desiderava con tutto se stesso, la ragazza che occupava ogni suo
singolo
neurone. Lei era veramente là, seduta da sola in mezzo alle
rovine dell’arena,
intenta ad osservare il cielo azzurro sovrappensiero. Gli
bastò un attimo per
capire di chi erano i passi uditi poco prima. Erano veramente di Susan,
era
andata da lui per vederlo ma all’ultimo doveva averci
ripensato ed era corsa
via. Il sentimento che l’aveva portata davanti alla sua porta
era stato ancora
una volta battuto dalla ferrea logica che l’aveva
già allontanata da Caspian.
Il
principe si chiese se fosse saggio avvicinarla, considerando che era
appena fuggita
dalla sua porta. Forse la sua presenza l’avrebbe infastidita
e avrebbe fatto
meglio a tornare dentro.
La
mente del ragazzo scacciò subito quell’opzione.
Era stata lei la prima ad
andare da lui, ciò voleva dire che aveva il suo stesso
desiderio di vederlo ma
gli mancava la forza di perseguirlo. In tal caso il meglio che il
giovane
principe potesse fare era di aiutarla andandole incontro ed esaudendo
di
conseguenza l’ambizione di entrambi.
Ripose
la spada nel fodero e si avvicinò con calma alla figura
esile della regina.
Seduta
con la schiena appoggiata ad una delle lastre di marmo, fissava assorta
il
cielo, gli occhi limpidi e pensierosi, i capelli sciolti prede del
vento, il
viso leggermente inclinato verso destra. Nel quadro, la donna
più bella che
avesse mai visto. Il cuore di Caspian aumentò la
velocità dei battiti mentre
posava il suo sguardo su di lei, discreto come una lieve e timida
carezza. In
quel frangente, priva della solita austerità e senza doveri
immediati da
eseguire, ma immersa in una personale oasi di pace, ispirava dolcezza e
fragilità. Fragilità che strideva con
l’idea che da lì a poco avrebbe dovuto incoccare
frecce per assottigliare le linee nemiche. Fragilità che la
portava ad essere
la persona che Caspian meno che mai avrebbe voluto vedere in guerra.
Fragilità
che esigeva un custode che la proteggesse dagli avversari e da ogni
possibile
ferita, e lui sarebbe stato quel custode. Il suo
custode. L’avrebbe difesa da ogni persona, da ogni spada e da
ogni freccia che avessero anche solo osato considerarla come un
bersaglio.
Talmente
era immersa nelle sue riflessioni, che Susan nemmeno si accorse
dell’arrivo del
principe finché egli non rivelò la sua presenza
richiamando la sua attenzione.
“Non
riesci a dormire?” le chiese, prendendo posto accanto a lei.
Susan
sobbalzò dalla sorpresa nell’udire la voce calda
di Caspian. Posò il suo
sguardo su di lui e un lieve rossore, raro da trovare sulle sue gote,
si fece
strada sul volto mentre realizzava il nuovo giunto. Il cuore prese a
batterle
forte, tanto che temette che lui potesse sentirlo. Accidenti, odiava
essere
presa alla sprovvista, specialmente se l’artefice del
sentimento era capace di
bloccarle la parola già normalmente. Deglutì, e
cercò di riprendersi dalla
sorpresa, soffocando la risposta sincera e completa che aveva in mente
per
rispondere alla sua domanda -“si, perché continuo
a pensare a te”- e
recuperando un minimo di contegno.
Felice
del fatto che non fosse tenuta a fornire una risposta
particolareggiata, si
limitò a dire la prima parte, quella meno insidiosa.
“Si”
confermò, esibendo un timido sorriso. “Neanche tu
vedo” constatò poi.
Caspian
ricambiò il sorriso, contento di appurare che aveva avuto
ragione nel credere
che la sua presenza non sarebbe risultata sgradita alla ragazza.
Il
giovane si sistemò meglio accanto alla regina, slacciandosi
il fodero della
spada dalla vita e posandolo poco distante. “Paura per la
battaglia?” si
informò, considerando che la causa più probabile
della sua insonnia fosse il
timore per l’esito dello scontro che si sarebbe tenuto quella
notte. Era
plausibile che fosse in apprensione per il suo popolo, per i suoi
fratelli e
per se stessa.
Un
calore quasi palpabile si propagò lungo il suo petto al
pensiero che quando
aveva sentito la necessità di essere confortata avesse
pensato a lui invece che
a Peter o a Edmund. L’idea che fosse andata alla sua porta in
cerca di sostegno
morale era verosimile. Che si fosse fermata all’ultimo
vergognandosi della sua
debolezza era poi possibile quanto sbagliato poiché Caspian
la stava
incoscientemente aspettando a braccia aperte da tutto il pomeriggio. Ma
al
mancato conforto si poteva facilmente rimediare, il principe le era
seduto
accanto per quello.
“Sono
un po’ preoccupata. A parole il nostro piano sembra
infallibile ma, come si
dice, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.
Basta un minimo imprevisto
perché il nostro attacco sia un fallimento. E non oso
nemmeno immaginare quali
sarebbero in tal caso le conseguenze per noi”
mormorò a testa china. Sospirò e
scosse leggermente la testa, come a voler scacciare quei funesti
pensieri.
Caspian
avvertì il suo cuore stringersi nell’udire la
paura che riusciva a trapelare
dalle sue parole, nonostante sapesse quanto la ragazza cercava di
nascondergliela. Era sorpreso, non era abituato a vedere Susan
così fragile. Di
solito si presentava come la regina di Narnia, ferma, forte, sicura e
inarrestabile quanto irreprensibile, eppure ora, bagnata dalla luce di
un sole
morente, in quel magico momento a confine tra il giorno e la notte dove
il
tempo pare fermarsi per qualche istante, Susan gli si presentava
dinanzi
esattamente per quello che era. Una giovane donna neanche ventenne che
si
liberava di una corona troppo pesante per il suo gracile collo per
concedersi
un istante di umana debolezza. Aveva paura che il suo popolo perdesse e
venisse
distrutto. Aveva paura che i suoi fratelli e le persone a lei care
morissero in
battaglia. Probabilmente aveva paura che lei stessa morisse in
battaglia,
troncando violentemente la sua vita appena iniziata.
Dinanzi
agli occhi non aveva Susan, regina di Narnia, ma solo Susan. La sua Susan.
Spinto
dalla tenerezza, azzardò un contatto per farle comprendere
che le era vicino.
Con due dita le accarezzò il mento e glielo girò
nella sua direzione, in modo
da guardarla negli occhi, quelle due sfere castane che avevano
momentaneamente
rotto gli argini di austerità per far traboccare un mare di
emozioni. Timore,
angoscia, apprensione, insicurezza. Ed ora che il suo sguardo si stava
incatenando al suo forse anche… emozione? Aspettativa?
Felicità?
“Andrà
tutto bene. Tuo fratello non è uno sprovveduto, è
il re più capace che Narnia
abbia mai avuto e il tuo popolo sa come deve difendersi e come deve
lottare.
Abbiamo riveduto il piano cento volte e ci siamo esercitati a lungo e
senza
sosta. Siamo pronti.” Le disse con il tono più
risoluto che aveva. Voleva
convincerla della veridicità delle sue parole. Desiderava
ardentemente
scacciare via l’inquietudine dalle sue iridi nocciola.
“Con questa notte,
Narnia riconquisterà le sue terre e, cosa ancora
più importante, la sua
libertà” concluse.
La
sua ricompensa fu la comparsa di un sorriso, anche se appena accennato.
“Ne sei
certo?” chiese in un sussurro.
“Si”
le assicurò senza esitare.
Sapevano
entrambi che nessuno avrebbe potuto prevedere con certezza
l’esito di quella
futura e determinante battaglia, ma quando si era sospesi nel tempo
risultava
facile crearsi un proprio futuro e credere intensamente ad esso. Ecco
perché il
sorriso di Susan divenne a poco a poco più sicuro e
sollevato.
La
giovane si avvicinò al principe e si accoccolò
tra le sue braccia, mettendo la
parte destra del volto a contatto con il suo petto per farsi cullare
dal
ritmico e costante battito del suo cuore. Il giovane rimase interdetto
solo per
un secondo, poi, con il volto illuminato dalla gioia, cinse la schiena
di Susan
con il braccio destro e prese ad accarezzarle il volto con la mano
sinistra.
La
felicità che provava in quell’istante era
indescrivibile. Il sogno di poche ore
prima era divenuto realtà. L’oggetto del suo
desiderio e del suo amore era lì
tra le sue braccia che si stringeva a lui in cerca di conforto, di
sicurezza,
di pace. La guardò con dolcezza. Aveva le palpebre chiuse e
il volto finalmente
rilassato, privo dell’angoscia con la quale l’aveva
trovata, come se avesse scoperto
nella vicinanza con il giovane l’unico antidoto per le sue
preoccupazioni.
Anche
le sue afflizioni si erano dissolte nel nulla. Il desiderio inesaudito
che gli
aveva tolto il sonno si era avverato poiché ora lei era
lì a riposare sul suo
petto, dove il cuore palpitava di gioia. Appoggiò la testa
con delicatezza tra
i suoi capelli di seta e inspirò a fondo. Lo
investì il suo odore, gli
ricordava quello intenso dei fiori di campo. Gli trasmetteva pace e
tranquillità, come anche il calore che irradiava il suo
piccolo e aggraziato
corpo disteso sopra il suo.
La
sensazione di fragilità e dolcezza che gli trasmetteva
aumentò. L’avrebbe
protetta ad ogni costo, quella notte nessuno avrebbe osato avvicinarsi
alla sua
piccola regina.
Chiuse
gli occhi e si lasciò cullare da quella dolce sensazione di
benessere e di
completezza che finalmente era giunta, unendosi spiritualmente a lei in
quella
magica empasse tra giorno e notte, dove il tempo si ferma congelando
ogni
questione terrestre per cedere il passo a quella divina
dell’amore.
*
Non
era possibile. Non era proprio possibile. Sollevavo massi, risvegliavo
foreste,
addormentavo persone e non riuscivo a fare questo? Non era proprio
possibile.
Sbuffai
irritata e gettai di mala grazia la corazza sul letto. Maledizione a
lei e a
tutti i suoi lacci. Erano dieci minuti buoni che cercavo di infilarla e
ancora
non ero riuscita nell’intento. Quell’arnese si era
rivelato più difficile da
indossare che un corpetto. Il che era tutto dire.
Una
risata divertita catturò la mia attenzione. Mi girai con
sguardo omicida.
“Continua
a ridere e te la tiro addosso” minacciai offesa e ancora
più irritata alla
vista di Peter perfetto nella sua smagliante armatura da cavaliere. La
cotta di
maglia spuntava da sotto la sua corazza recante l’effigie di
Aslan, la spada
era appuntata al fianco e i gambali erano allacciati correttamente a
protezione
delle gambe. Perché ci aveva impiegato meno di cinque minuti
a vestirsi da capo
a piedi? Ma soprattutto, perché la mia rabbia sbolliva
mentre fissavo la sua
figura slanciata, resa argentata dal riflesso dei raggi lunari
sull’armatura
che lo faceva sembrare il principe azzurro delle fiabe? Ero certa che
nemmeno
Re Artù in carne ed ossa potesse eguagliarlo in bellezza e
regalità,
specialmente in quelle vesti. Accidenti, non mi era concesso nemmeno di
adirarmi con lui.
Peter
mi si avvicinò con ancora l’ombra del sorriso
sulle labbra. “Permettimi di
aiutarti” si propose galante.
Accettai
rassegnata. Almeno avrei evitato di passare un’altra
mezz’ora buona a litigare
con i lacci.
Recuperò
la corazza dal letto e mi si avvicinò, iniziando a
posizionarla sapientemente
sul mio petto. Con poche mosse riuscì finalmente a farmi
indossare la parte
superiore dell’armatura sopra un vestito blu notte di Lucy,
adatto per
mescolarsi tra le ombre di notte. Per fortuna non era necessario che
indossassi
le altre protezioni, anzi dovendo assistere allo scontro vero e proprio
da una
posizione appartata e riparata era già un eccesso di zelo
farmi indossare la
corazza.
Scontro.
Quella
terribile parola rimbombo nelle mie orecchie con l’eco del
suo significato
funesto. Tra poco sarebbe avvenuto lo scontro per il quale ci stavamo
preparando da tempo. Lo scontro con la quale Narnia cercava di
riacquistare la
sua legittima libertà. Lo scontro alla quale io avrei
partecipato per mettere
fuori gioco le sentinelle e aprire la grata. Lo scontro dove i Pevensie
e in
particolare Peter potevano perdere
la…
Un
tremito violentò mi impedì anche solo di
concludere il pensiero.
Il
giovane re si accorse del mio stato d’animo e mi
accarezzò il volto. Gli bastò
guardarmi negli occhi per intuire i miei pensieri. Quei pensieri che
avevo
cercato di tenere alla larga fino all’ultimo, persino
prendendomela con la
corazza, ma che alla fine mi avevano raggiunta.
Cercai
di fare un profondo respiro per tranquillizzarmi, ma sapevo che era
inutile.
L’ansia per la battaglia imminente stava per giungere,
inarrestabile e
portatrice di dolorose preoccupazioni.
“Peter”
lo chiamai simulando una calma che in realtà non possedevo
“mi prometti che andrà
tutto bene?” gli domandai cercando nei suoi zaffiri quella
sicurezza che solo
lui sapeva trasmettermi. Purtroppo però in quel cielo
primaverile quella volta
trovai solo l’afflizione che gli causava il desiderio
irrealizzabile di farmi
una promessa che sapeva non poter donarmi. Io per prima ero conscia del
fatto
che la mia domanda era infantile e sciocca. Come poteva sapere lui che
ogni
cosa sarebbe andata per il verso giusto? Che saremmo stati tutti sani e
salvi
domani mattina? Non poteva.
Si
morse il labbra, indeciso su quale risposta fornirmi. Poi un lampo di
fermezza
gli attraversò le iridi cristalline e la sua voce mi giunse
vellutata alle
orecchie mentre mi sollevava il mento con delicatezza.
“Questa
è la mia promessa” disse ad un soffio dalle mie
labbra prima di poggiare su di
esse le sue, morbide come le aspettavo.
Ricambiai
il bacio, aggrappandomi ad esso come se fosse l’unico punto
fermo, l’unica
certezza che potevo portare con me verso il futuro incerto. Socchiusi
le labbra
e accolsi la sua lingua che firmava un tacito contratto di sostegno e
comprensione con la mia. Una sua mano cinse la mia vita per stringermi
di più a
sé, facendo sbattere le due corazze l’una contro
l’altra con un metallico
clangore, mentre le mie corsero ad immergersi tra i suoi capelli
dorati,
percorrendo i lineamenti del suo viso perfetto prima di giungere alla
meta.
Quando
interruppe il bacio, rimase a pochi millimetri dalle mie labbra,
bloccando la
mia testa poggiando una mano dietro essa.
Quando
parlò, il suo alito fresco mi investì insieme al
suo odore che tanto adoravo.
“Ti
prometto che qualunque cosa succeda questa notte, tu sarai al sicuro.
Non
permetterò a niente e a nessuno di nuocerti. Anche se Miraz
dovesse vincere
nella peggiore delle ipotesi, tu sarai al sicuro”
ripeté l’ultima frase
scandendo con calma e fermezza ogni sillaba.
Rimasi
incantata dal magnetismo dei suoi occhi zaffiro trasudanti convinzione.
Come
potevo dubitare delle sue parole? Soprattutto se suggellate
precedentemente con
un bacio intriso di sincerità quanto di amore come era stato
il nostro appena
avvenuto.
Annuii
impercettibilmente, ma non accennai ad alcun sorriso. Anche se le sue
affermazioni mi rassicuravano -e mi facevano più effetto di
quello che avrei
desiderato- , non era la mia incolumità quella che mi stava
più a cuore.
“E
tu?” sussurrai, esprimendo la mia principale preoccupazione.
Se sopravvivere a
quella notte equivaleva a dire sopravvivere senza di lui, non ero
così certa di
voler scampare alla battaglia. Perché in tal caso, la mia
intera esistenza
futura sarebbe stata un sopravvivere
come lo era stata prima di incontrare Peter, poiché solo da
quando il ragazzo
aveva intrecciato il suo destino con il mio aveva realmente cominciato
a vivere. Morto lui, sarei morta
anche io
dentro, tornando ad essere la ragazza senza affetto e con il cuore
sigillato
che il re aveva trovato nel bosco la prima volta che ci eravamo visti.
Il
secondo di esitazione che scorsi nei suoi occhi fu prontamente
sostituito dal
giovane sovrano da un’espressione spavalda, ma, purtroppo per
me, c’era stato
ed io lo avevo scorto. Tuttavia cercai di non darci peso, preferivo
credere
alla sua facciata di guerriero indistruttibile con la quale potevo
nutrire il
mio cuore con grandi speranze di rivederlo intatto e vivo domattina.
“Cathy,
una volta lasciata alle spalle questa questione, sai dove saremo io e
te domani
pomeriggio?” chiese incurvando gli angoli delle labbra
all’insù.
Scossi
la testa leggermente, incuriosita.
Lui
si chinò su di me e accostò la sua bocca al mio
orecchio, con l’aria di
confidarmi un segreto. Fece scivolare entrambe le braccia attorno alla
mia vita
e mi abbracciò.
“Alla
nostra spiaggia. Faremo il bagno insieme, ci sdraieremo sulla sabbia
per
riscaldarci al sole e poi cammineremo tra gli alberi che tu hai
risvegliato.
Solo io e te, come sempre, e tutto questo non sarà che un
brutto ricordo”
Le
sue parole sussurrate tracciavano il quadro della mia completa e
assoluta
felicità. Lasciai che penetrassero nella mia mente,
scacciando via la logica
assieme ad ogni preoccupazione razionale. Non volevo ascoltare per ora,
volevo
solo proiettare me e il mio re tra le onde cobalto e la sabbia fine e
bianca.
Ricambiai
la stretta e nascosi il viso nell’incavo del suo collo,
inebriandomi del suo
odore.
“Non
vedo l’ora” mormorai.
“Anche
io”
Il
cigolare della maniglia ci costrinse a separarci, seppur a malincuore.
La
slanciata e seria figura di Susan, con già l’arco
e la faretra in spalla, si
presentò sulla soglia della mia camera da letto.
“Siamo
pronti” disse lapidaria.
Emisi
un respiro deciso, raccogliendo tutto il coraggio di cui necessitavo.
Non c’era
spazio per i ripensamenti e il tempo per la rassicurazioni era
purtroppo
finito.
Il
momento atteso quanto temuto, era infine giunto.
Nel
prato che circondava l’edificio, tutto l’esercito
di Narnia era pronto per partire
per la battaglia. I centauri calibravano un’ultima volta le
spada, preparandosi
per quando avrebbero dovuto utilizzarle contro i nemici. Qualche
minotauro
limava per l’ennesima volta un’ascia probabilmente
già mortalmente affilata. I
fauni assicuravano l’arco alle spalle, mentre i grifoni
attendevano i loro
cavalieri per partire in volo.
I
cavalieri in questione erano i Pevensie, Caspian ed io. Edmund sarebbe
salito
in groppa con me ed insieme saremmo planati sulla torre di vedetta
sinistra,
dove avremo messo fuori gioco la prima sentinella e alzato il cancello.
O
meglio io avrei fatto ciò mentre lui mi avrebbe protetto in
caso di attacchi
imprevisti.
Inizialmente
si era fermamente proposto Peter per il ruolo di custode, ma insieme
poi si era
decretato che la sua presenza attiva nello scontro era di vitale
importanza. Il
re non poteva restare in disparte mentre il suo popolo combatteva,
doveva dare
l’esempio, guidare i suoi uomini alla carica, aiutarli
lottando e comandandoli.
Quindi, nonostante la preoccupazione del biondo di non essermi
fisicamente
vicino durante la battaglia, si era optato per lasciare che Edmund
rivestisse
il compito del mio difensore privato. Personalmente avrei preferito
Peter, ma
non lo avrei mai sottratto al suo popolo in un momento tanto critico
per
motivazioni puramente egoistiche. Inoltre ero del parere che non avrei
dovuto temere
niente finché Edmund mi fosse stato accanto. Come spadaccino
era abile quanto
il fratello e sapevo che teneva a me, quindi non avrebbe mai permesso
che mi
succedesse qualcosa di spiacevole. Anche perché sospettavo
che Peter lo avesse
minacciato di terribili conseguenze per ogni ipotetico graffio avessi
potuto subire.
Con
la coda dell’occhio notai Lucy cercare di catturare la mia
attenzione. Mi stava
indicando una scena alle mie spalle che non tardai a visualizzare. Un
sorriso
malizioso mi si dipinse sul volto mentre scorgevo leggermente in
disparte Susan
e Caspian, vicini e immersi in una fitta conversazione dai toni teneri
a
giudicare dalle espressioni di entrambi. Evidentemente la regina aveva
trovato
il coraggio di aprirsi un poco con il giovane principe. Mi volsi e vidi
Lucy
farmi l’occhiolino divertita e compiaciuta. Dopotutto la
maggior parte del
merito per quell’avvicinamento andava a lei.
“Se
siete tutti pronti, possiamo andare” la voce perentoria di
Peter risuonò tra
gli astanti.
No,
mi ero sbagliata, quella che avevo udito non era la voce di Peter. Era
la voce
del re di Narnia. Mai come in quel momento ammirai la sua figura regale
nell’armatura. Testa alta, schiena dritta, sguardo fiero e
mano appoggiata
all’elsa, fissava i suoi uomini prima della battaglia.
“Con
questa notte, noi riprenderemo le nostre case e il nostro controllo
legittimo
sulla florida terra di Narnia. Faremo vedere a Telmar e a Miraz chi
comanda su
queste pianure verdi e magiche. Narnia è nostra. Ma, cosa
ancora più
importante, ci riprenderemo la libertà che ci è
stata ingiustamente sottratta.
Libertà!”
L’esercito
fece da eco all’ultima parola pronunciata dalla bocca del
biondo. La mia
ammirazione crebbe. Peter sapeva come incitare i suoi soldati, come
infiammare
i loro cuori e spronarli all’attacco anche solo con una
piccola arringa. Era un
sovrano nato.
Si
avvicinò a me e scorsi nei suoi occhi un poco di quella
preoccupazione che
cercava a tutti i costi di nascondere. Mi guardò teso e
serio, incatenandomi
con il suo sguardo.
“Io
farò tutto ciò che è in mio potere per
proteggerti e trarti in salvo, ma tu non
fare nulla di avventato, d’accordo? Resta con Edmund, con lui
sarai al sicuro.
Non fare niente di più di quello che abbiamo concordato,
nessun atto folle e
apparentemente eroico.” Ordinò con il tono di chi
non ammetteva repliche.
Non
mi fu difficile acconsentire. Per quanto volessi ardentemente la
vittoria di
Narnia, ero troppo codarda per tentare gesti da eroe. Avrei fatto utto
ciò che
potevo per rendermi utile, ma non mi sarei inoltrata nel vivo della
battaglia.
Quello era troppo per me, nonostante l’alta causa che avrei
sostenuto.
“Bene,
in sella allora” concluse a voce alta. Mi diede un ultimo
bacio a fior di
labbra, sfiorandomi la guancia con la mano. Fu veloce e piccolo ma il
suo
significato era immenso. Equivaleva a dire: abbi cura di te, non temere
nulla,
ti difenderò, tra poco saremmo di nuovo l’uno
accanto all’altra.
Senza
ulteriore indugio, mi avvicinai al grifone di nome Plumage, come mi
aveva
informato Susan, che si chinò gentilmente favorendomi la
salita sulla sua
groppa. Sistemai le gambe all’attaccatura delle possenti ali
e immersi le mie
dita tra le morbide piume dorate della creatura. Salire su un grifone
era
un’esperienza che superava di gran lunga quella
già particolare di galoppare su
un cavallo parlante. Ero sopra una bestia mitologica, le mie mani erano
aggrappate alle sue penne vellutate e lucenti che avvertivo reali sotto
il mio
tocco. Era strabiliante, sopportabile solo se si riusciva ad accettarlo
senza
analizzare nel dettaglio la situazione. Più
o meno come ho fatto finora, rammentai a me stessa.
Poco
dopo Edmund montò anche lui, più agilmente di me,
e mi fu dietro.
“Pronta
al decollo?” chiese retoricamente e senza aspettare la mia
risposta, il grifone
spiccò il volo.
Quando
le sue zampe si staccarono da terra trattenni a stento un urlo. Non
avevo mai
volato su qualcosa senza motore e carburante. Sbarrai gli occhi,
temendo che se
avessi guardato di sotto e calcolato a che distanza ero da terra, sarei
svenuta.
Mi artigliai al piumaggio della creatura, minimamente cosciente che
avrei
potuto farle male, troppo stordita dal battere furioso del mio cuore.
Mi diedi
mentalmente della stupida per non aver pensato di chiedere a Peter o a
qualcun
altro di darmi lezioni di volo prima di quella sera. Sapevo che saremmo
arrivati al castello in sella a dei grifoni, eppure, presa
com’ero a
preoccuparmi solo della battaglia,
avevo
tralasciato il piccolo dettaglio che per me sarebbe stata la prima
volta che
utilizzavo quelle bestie per volare. Serrai le ginocchia attorno al
fianco del
grifone, ripetendomi come un mantra che, al pari di Fulmine, anche
Plumage
sapeva cosa fare e non mi avrebbe disarcionata.
Passai
una manciata di minuti con gli occhi testardamente serrati, ama un
violento
scossone, dovuto ad una corrente d’aria più forte
delle altre, mi costrinse ad
aprirli. La sensazione fu indescrivibile. Forse avevo sbagliato a
privarmi
della vista. Lo spettacolo che mi si presentava davanti era talmente
strabiliante da farmi dimenticare la paura di cadere nel vuoto.
Stavo
volteggiando in un cielo stellato, talmente in alto che mi sembrava di
far
parte del firmamento. Il buio ci avvolgeva, ma non ci era ostile,
copriva il
nostro arrivo, accogliendoci e rendendoci parte di esso. Il vento
sferzava
contro il mio viso, facendomi lacrimare gli occhi, ma insieme
all’odore fresco
della notte, portava quello dell’adrenalina che mi entrava
dentro scorrendo
assieme al mio sangue, più veloce ad ogni colpo
d’ala.
La
sensazione di euforia che mi stava pervadendo scomparve però
bruscamente quando
in quel cielo nero vidi stagliarsi delle guglie aguzze illuminate dal
chiarore
della luna. Il palazzo di Telmar era vicino.
Deglutii
a vuoto.
“Stai
calma, andrà tutto bene” cercò di
tranquillizzami Edmund, probabilmente
accorgendosi del mio irrigidimento improvviso, peccato che la sua voce
per
prima suonasse tesa. Era meno abile del fratello a nascondere le
preoccupazioni
evidentemente. Nonostante ciò annuii, apprezzando comunque
il gesto.
Guardai
alla mia destra, dove sapevo stavano volando Peter e, poco
più in là Susan e
Caspian. Un’occhiata e un cenno di intesa segnalarono
l’inizio concreto della
missione.
Edmund
diede un colpetto al grifone che ci trasportava ed esso con una virata
ci
condusse verso la torre più vicina, dove avrei dovuto
neutralizzare il soldato
per poi prenderne la posizione di vedetta.
Feci
un grande respiro per cercare la concentrazione, il timore del volo
completamente cancellato. Ora toccava a me.
Quando
fummo abbastanza vicini, chiusi gli occhi e individuai l’aura
del soldato. Era davanti
a me, passeggiava calmo lungo il perimetro circolare del torrione di
destra.
Chiamai a raccolta i miei poteri e indirizzai una piccola ondata di
energia con
forza a penetrare la barriera della sua aura. Il soldato si
accasciò al suolo
come un sacco di patate poco prima che Plumage planasse silenziosamente
sulla
guglia. Edmund scivolò con agilità lungo la
schiena della creatura alata,
finché non si ritrovò in piedi sul balconcino. Si
volse verso di me e protese
le mani per aiutarmi a scivolare giù a mia volta. In pochi
secondi mi ritrovai
accanto a lui e solo allora, conquistata la torre con il soldato
addormentato a
terra, mi permisi di tirare un sospiro di sollievo. La prima mossa era
stata
compiuta con successo.
Mi
protesi dal parapetto con gli occhi rivolti verso il cielo. La seconda
azione
era di Peter, Susan e Caspian.
Focalizzai
le loro figure ancora in groppa ai grifoni. Stavano planando veloci e
silenziosi verso il corridoio tra le due torri di destra. Quando furono
vicini
a sufficienza Susan scoccò dall’arco due frecce e
atterrò due soldati, precisa
come sempre. Peter smontò a qualche metro da terra e
atterrò con un salto sul
corridoio dietro alle spalle di un soldato. Quest’ultimo non
ebbe nemmeno il
tempo di realizzare cosa stava accadendo che fu trafitto dalla spada
implacabile del re che venne raggiunto poco dopo da Caspian e Susan.
Insieme
tutti e tre si diressero verso la torre in fondo a destra e con
l’aiuto delle
corde e dei picconi si calarono giù dal torrione fino a
raggiungere la finestra
di sotto, quella che dalle informazioni di Caspian dava
l’accesso alla camera
del suo tutore. Li vidi entrare dentro furtivi e indisturbati e
chiudersi la
finestra alle spalle. Da lì avrebbero dovuto raggiungere la
camera di Miraz e
contrattare la resa di Telmar.
“Bene,
sono dentro” commentò soddisfatto Edmund,
appoggiato al parapetto vicino a me.
“Ora devi aprire il cancello” mi ricordò.
Annuii,
affatto preoccupata. Quella era il compito più semplice da
svolgere.
Mi
volsi verso l’inferriata, protesi entrambe le mani verso essa
e richiamai la
magia nei palmi. La sentii subito scorrere nelle mie vene e
convogliarsi nelle
mani. Il cancello era pesante e non avrei saputo tenerlo aperto a lungo
solo
con le mie forze, ma per fortuna si trattava unicamente di aprirlo e
porre poi
un blocco alla ruota posta accanto ad esso, in modo che non si
richiudesse.
La
mia magia, una volta liberata, avvolse le sbarre di ferro e
cominciò a
sollevarle piano, cercando di fare il meno rumore possibile. Occorsero
pochi minuti
affinché il cancello fosse completamente spalancato, al che
concentrai la
maggior parte della magia sulla mano destra per poter utilizzare la
sinistra
per azionare il blocco della ruota sottostante. Ascoltai il
“click”, avviso che
il meccanismo era scattato, con immenso piacere.
“Il
cancello è aperto e così rimarrà
finché vorremo” affermai con certezza.
“Perfetto”
mi rispose sorridendo “Ora dobbiamo aspettare il segnale di
Caspian prima di
chiamare l’esercito”.
“Ora
aspettiamo” confermai io. Appoggiandomi con la schiena alla
balaustra.
“Secondo
te quanto ci impiegheranno?” chiesi, poco dopo.
Edmund
alzò le spalle. “Poco. Devono raggiungere la
camera senza essere visti e grazie
a Caspian non dovrebbe essere un problema. Dopodiché Caspian
tornerà indietro
per dirci di far entrare l’esercito mentre Peter e Susan
terranno sotto tiro
Miraz e negozieranno la resa di Telmar” mi spiegò.
Pregai
tra me e me che tutto andasse liscio come lo descriveva lui. Passarono
altri
dieci minuti in silenzio. Entrambi eravamo troppo tesi per
chiacchierare di
frivolezze ed era inutile disquisire ancora sulla missione in corso. Ma
non era
un silenzio imbarazzante, l’ansia lo riempiva a sufficienza
per scacciare ogni
altro sentimento.
Il
velo di apparente tranquillità della notte fu
però squarciato da un grido.
Sia
Edmund che io scattammo in piedi, preoccupati e sorpresi, e ci
protendemmo dal
parapetto.
Ciò
che vidi mi bloccò il respiro. Peter e Susan stavano
combattendo nel cortile di
pietra con tre soldati.
“Il
segnale! Cathrine, dai il segnale!”
La
voce altisonante del giovane re mi giunse chiara e forte nelle
orecchie. Andai
nel panico. Non doveva succedere questo, sarebbe dovuto arrivare
Caspian
dicendo che Peter e Susan avevano raggiunto la stanza del re di Telmar
e che era
giunto il momento di fare entrare l’esercito per prendere il
castello. Perché
Peter e Susan stavano combattendo ora?
“Catrhine”
Edmund fece presa sulla mia spalla, richiamandomi. “Devi
lanciare il segnale,
subito!” l’urgenza nella sua voce era palpabile e
riuscì a penetrare il mio
smarrimento.
Mi
concentrai per tornare presente e alzai una mano verso il cielo.
Iniziai a
lanciare diverse sfere di luce in aria, abbastanza in alto
affinché i soldati
di Narnia, poco distanti, le vedessero e capissero che era giunto il
loro
momento.
Funzionò
perché nel giro di neanche un minuto sentimmo con sollievo
la carica del nostro
esercito attraversare in forze il ponte levatoio abbassato. In quello
stesso
momento il suono di un corno rimbombò nell’aria e
il cortile si popolò dei
telmarini con le spade sguainate. Lo scontro era cominciato.
Vidi
con angoscia crescente fauni e centauri combattere con coraggio contro
il
grande numero degli uomini di Miraz. Il clangore di spade contro spade,
il
sibilo delle frecce scoccate da archi precisi, le grida di dolore e di
incitamento si confondevano insieme ferendomi le orecchie. Ferita che
si
propagava fino al cuore mentre cercavo disperatamente e inutilmente di
scorgere
Peter in quella baraonda di armi e combattenti. Era sparito, non
riuscivo a
distinguerlo, e per questo la mia ansia cresceva a dismisura. Il mio re
era
stato inghiottito intero dalla battaglia.
“Cosa
può essere andato storto?” chiesi ad Edmund, senza
però distogliere lo sguardo
dal cortile, con la voce che sfiorava le tre ottave.
“Non
lo so. Spero solo che non sia successo niente a Caspian, non era con
Peter e
Susan prima” notò il giovane re.
Corrucciai
la fronte, riflettendo sulle sue parole. Era vero, il principe non si
trovava
con i due ragazzi prima che scoppiasse la battaglia, dove era finito?
Edmund
colpì con un pugno il parapetto, digrignando i denti. Era
preoccupato anche
lui, ma in più sembrava frustrato. Smaniava per agire ma era
costretto a
restare con le mani in mano accanto a me per proteggermi da potenziali
aggressori. Mi sentii in colpa, ma ero troppo vigliacca per decidere di
restare
da sola e permettergli di partecipare alla battaglia. Mi giustificai
pensando
che Peter non gli avrebbe permesso di lasciarmi, anche se sapevo che
era troppo
piccola come scusa per mettere a tacere la mia coscienza.
“Puntare
e… tirare!” una voce autoritaria
richiamò la nostra attenzione.
Dalla
balaustra che collegava le torri di destra si erano affacciati gli
arcieri di
Telmar, pronti a fare cadere sui soldati di Narnia una pioggia di
letali
frecce.
“No”
urlai spaventata e senza accorgermene compii un ampio movimento con il
braccio,
facendo partire un’onda di magia che si propagò
lungo tutto il cortile deviando
la direzione delle frecce e diminuendo la loro potenza, facendo si che
cadessero a terra come semplici ramoscelli guidati dalla forza di
gravità.
Ammirai
basita il mio inaspettato risultato. Avevo reso futile
l’intervento degli
arcieri.
“Grande
Cate” si congratulò Edmund, strabuzzando gli occhi.
Un’espressione
decisa si fece strada sul mio volto. Forse avevo trovato un altro modo
per
rendermi utile a Narnia. Potevo deviare i loro dardi, compito che non
mi
esponeva a rischi e
che poteva salvare
diverse vite.
Vidi
che gli arcieri, sbigottiti che il loro attacco era stato inefficace,
si
stavano preparando per riprovare a colpire. Mi preparai anche io,
confluendo la
magia in tutto l’avambraccio. Appena scoccarono le frecce, io
lancia
l’incantesimo deragliandole nuovamente.
Questa
volta gli arcieri si guardarono attorno, irritati e increduli che i
loro colpi
non andavano a segno. Sorrisi tra me e me pensando che sicuramente non
avrebbero mai potuto pensare che la causa della loro inefficacia fosse
la
magia. In più da quella posizione appartata poteva agire
indisturbata.
“Cate,
guarda là”
Edmund
spinse la mia attenzione su un punto in basso, sulla sinistra vicino al
colonnato. Impiegai qualche secondo per comprendere cosa voleva farmi
notare, e
quando scorsi una chioma bionda in mezzo alla mischia mi si
ghiacciò il sangue
nelle vene.
Peter
stava combattendo con tre soldati contemporaneamente ed era in netto
svantaggio. Cercava di tenere coraggiosamente testa a tutti e tre, ma
era in
difficoltà ed era evidente che non avrebbe resistito ancora
a lungo. Con il
cuore che iniziava a battere furioso e preoccupato, guardai
freneticamente attorno
a lui sperando di scorgere Susan o qualcun altro che stava venendo in
suo
soccorso, ma nessuno pareva essersi accorto della situazione, impegnati
com’erano a scontrarsi con gli altri soldati.
“Non
puoi lanciare una sfera o aiutarlo in qualche modo?”
domandò agitato Edmund.
“Non
posso, se lanciassi una sfera rischierei di colpire Peter, si muovono
troppo
per prendere la mira” dissi concitata.
Cosa
si poteva fare?
Trattenni
il fiato quando vidi la lama di una spada sfiorargli il viso, e
lì presi la mia
decisione.
“Vai
tu” proposi risoluta.
Edmund
mi squadrò non comprendendomi.
“Come?”
“Vai
tu” ripetei “posso farti volare e planare accanto a
lui” spiegai veloce, in
preda all’apprensione. La vita di Peter era in pericolo e
agire in fretta era
fondamentale per salvarlo.
La
decisione disegnò in un lampo i suoi lineamenti.
“Se puoi farlo davvero, fallo
subito” mi intimò, accettando la mia proposta
senza ulteriore indugio.
Senza
rispondergli, mi affrettai a radunare la mia magia e ad impegnarla per
farlo
volare, priva di qualsiasi esitazione. La paura di rimanere sola sulla
torre,
preda di possibili attacchi, era svanita alla luce del fatto che Peter
aveva
bisogno di aiuto. Avrei volentieri affrontato tutto
l’esercito di Telmar da
sola se fosse servito a salvarlo.
Così,
incurante del fatto che aveva fatto lievitare solo me e Peter prima di
allora e
che lo avevo fatto incoscientemente, avvolsi il corpo di Edmund con la
mia
magia, lasciandomi guidare dalla ferrea volontà di salvare
la persona senza la
quale non avrei potuto andare avanti.
Concentrandomi
sulla figura snella del giovane, urlai “vola”
mentalmente. La magia funzionò e
il ragazzo si librò in aria subito. Non mi diedi il tempo
per gioire di quel piccolo
successo e subito mi concentrai per farlo volteggiare oltre il
parapetto, sopra
le decine di soldati che si combattevano tra loro. Scorsi un velo di
preoccupazione negli occhi castano scuro di Edmund, data dal fatto di
trovarsi
sospeso a decine di metri da terra senza un sicuro sostegno ad
evitargli una
possibile caduta, però i lineamenti del suo volto erano
ancora atteggiati nella
smorfia di certezza che gli avevo visto poco prima.
Lo
portai esattamente sopra a dove si trovava Peter e poi lo feci scendere
perpendicolarmente al cortile. Ad un paio di metri da terra Edmund
aveva
sguainato la spada e aveva atterrato uno dei tre soldati colpendolo di
sorpresa
dall’alto.
Peter
nel frattempo era riuscito ad abbattere un secondo uomo mentre Edmund
concludeva
con l’ultimo rimasto. Solo a quel punto trassi un sospiro di
sollievo. Peter
era salvo. Mi appoggiai con le braccia alla balaustra, leggermente
affaticata
per la magia appena compiuta e per la tensione provata. Un rivolo di
sudore mi
scese lungo la tempia mentre osservavo con un sorriso divertito Peter
che
squadrava Edmund incredulo di trovarselo a fianco. Potevo immaginare il
loro
dialogo. Peter, soprassedendo sul fatto di essere appena stato salvato
dal
fratello, stava probabilmente inveendo contro il povero Edmund per
avermi
lasciato sulla torre da sola. Al che il moro avrebbe sicuramente
risposto che
senza di lui sarebbe morto, che ero stata io ad insistere per farlo
volare in
suo soccorso e che ormai, dato che era lì ed io non correvo
alcun pericolo
imminente, era inutile litigare ma occorreva andare avanti con la
battaglia. A
quel punto Peter avrebbe annuito ma ero certa che non gliela avrebbe
perdonata
facilmente e che la discussione era solo rimandata.
Mentre
formulavo questo pensiero, il biondo in questione si volse verso la mia
direzione, carico di apprensione.
Gli
sorrisi per calmarlo, ma mentre alzavo una mano per fargli segno di non
preoccuparsi, una freccia sibilò a poco distanza dal mio
orecchio.
Mi
pietrificai mentre vedevo Peter sbiancare anche da quella distanza.
Deglutendo
diressi il mio sguardo verso la provenienza del dardo. Pochi secondi
dopo però
avrei preferito non aver visto. Una decina di soldati, capitanati da un
uomo in
armatura senza elmo a nascondergli una barba nera e a punta, mi stavano
puntando dal balcone di fronte. Sudai freddo. Diavolo, mi avevano
vista,
probabilmente mentre facevo volare Edmund. E adesso?
Li
vidi preparare tutti e dieci la balestra nella mia direzione. Il mio
cuore
cominciò a battere furioso, ma fortunatamente il mio istinto
di sopravvivenza
prevalse e mi spinse a ripararmi in fretta dietro il parapetto di
pietra,
impenetrabile per le loro armi.
Chiusi
gli occhi e mi riparai la testa con le braccia, precauzione superflua
ma che mi
faceva sentire più protetta, preparandomi al rumore
sibilante che avrebbe
accompagnato l’arrivo delle frecce. Ma non fu un rumore
fischiante a
raggiungere le mie orecchie, bensì quello di un oggetto
pesante in ferro in
caduta libera e quello di diverse urla. Confusa uscii fuori dal
parapetto quel
tanto che bastava per avere una visione completa della scena
sottostante.
Mi
ci volle un secondo per comprendere e riempirmi d’orrore. I
dardi non erano
giunti a me perché all’ultimo il loro capitano li
aveva fermati, dando l’ordine
di colpire invece con una lama la corda che tratteneva il peso posta
sopra la
ruota della cancellata che cadendo avrebbe chiuso definitivamente
proprio
l’inferriata -fonte del rumore da me udito-, chiudendo ogni
possibilità di fuga
ai combattenti di Narnia.
Il
cancello però non si era chiuso del tutto. Un minotauro
infatti si era
coraggiosamente interposto tra esso e il pavimento, sostenendo con la
sua sola
forza l’inferriata.
Ma
non avrebbe retto a lungo. Lo sapeva il minotauro, lo sapevo io, lo
sapeva
Peter che con la coda dell’occhio constatai come fosse stato
spettatore
dell’accaduto, e lo sapeva il comandante degli arcieri, che
con un ghigno
vittorioso stava ordinando ai suoi uomini di caricare nuovamente le
armi e
puntarle contro il nostro soldato.
Quando
vidi le frecce partire ed andare a conficcarsi nel corpo già
provato del
minotauro, mi uscì un “No” soffocato e
pieno d’angoscia. Ero inorridita a tal
punto da non riuscire a concentrarmi per lanciare un incantesimo. Il
soldato si
chinò dal dolore e l’inferriata scese di qualche
centimetro. Ancora qualche
minuto e si sarebbe chiusa definitivamente, e con essa la nostra
speranza di
vittoria.
Guardai
Peter, fiduciosa che sapesse cosa fare per salvare i suoi uomini. Con
piacere
vidi subito che la mia fiducia non sarebbe stata tradita. Il re stava
urlando
di ritirarsi e i soldati di Narnia avevano colto l’ordine
immediatamente, e si
stavano dirigendo in massa verso il cancello, cercando di uccidere
quanti
telmarini potevano al loro passaggio.
Presi
un profondo respiro, riflettendo sul fatto che re Peter aveva preso in
mano la
situazione e che avrebbe portato i suoi soldati alla salvezza. Poco
importava
che non avevamo preso il castello, lo avevamo comunque attaccato, dando
una
grande dimostrazione di forza per una popolazione che teoricamente
sarebbe
dovuta essere estinta, e avevamo inflitto un gran numero di perdite ai
nemici.
Questo già di per sé era una grande risultato.
Notai
gli arcieri di Telmar prepararsi ad un nuovo attacco, ma questa volta
ero
pronta. Deviai con facilità il loro attacco. Peccato che
dopo però non ebbi il
tempo di gioirne in quanto il loro capitano, compreso subito stavolta
da dove
provenisse l’interferenza, si diresse nella mia direzione con
una balestra
pronta e scoccò una freccia. Con una prontezza di spirito
che non credevo di
possedere mi buttai nuovamente al riparo del parapetto, giusto un
secondo prima
che la freccia vibrasse micidiale sopra la mia testa. Sospirai di
sollievo per
il pericolo scampato. Sollievo che si disperse quando avvertii il
rumore
metallico del cancello che si abbassava ancora.
Mi
alzai in piedi ed osservai con angoscia il minotauro che si accasciava
a terra
e l’inferriata che centimetro dopo centimetro segnava la fine
di tutti gli
abitanti di Narnia ancora all’interno del cortile.
D’istinto
alzai le mani e richiamai velocemente la mia magia per fermare la
discesa del
cancello. Lo arrestai ad un metro da terra e concentrandomi riuscii a
rialzarlo
di un altro paio. Sapevo che non potevo bloccarlo come avevo fatto
prima, in
quanto il meccanismo era stato rotto dalla caduta del peso, e
ciò implicava che
avrei dovuto tenerlo aperto solo con la magia finché non
fossero usciti tutti.
Ma la grata era davvero pesante e io già provata dagli
incantesimi svolti
finora, non ultimo quello di levitazione. Non avrei resistito a lungo.
Cercai
con lo sguardo Peter, certa di trovarlo ancora dentro le mura del
castello, e
lo scorsi poco distante dalla posizione dove lo aveva visto prima.
Urlai
il suo nome con quanto fiato avevo in corpo. Dovevo assolutamente
ottenere la
sua attenzione. Il primo richiamo però fu inutile, ma non mi
persi d’animo e
riprovai altre tre volte, con il cuore che batteva sempre
più forte per
l’agitazione. Finalmente, al quarto grido, il re mi
udì e si voltò nella mia
direzione. Notando le mie braccia alzate, fece saettare il suo sguardo
da me al
cancello sospeso a metà e gli bastò un secondo
per comprendere la situazione.
“Fai
uscire tutti, non reggerò a lungo” gli intimai a
gran voce.
Lui
mi sentì e annuì con la testa,
dopodiché ripeté ai suoi uomini il comando di
ritirarsi con rinnovato vigore, urlando la necessità di fare
in fretta. Lo vidi
poi correre nella mia direzione, sul volto un’espressione
preoccupata visibile
sin da quassù.
“Chiama
Plumage subito! Vattene da lassù, i soldati di Miraz ti
hanno puntata!” mi
gridò.
Lo
guardai aggrottando le sopraciglia. “Se io me ne vado, il
cancello si chiude e
voi morirete tutti” gli dissi di rimando, sconcertata dal
fatto che non lo
avesse compreso e cercando di non notare quanto sforzo mi stesse
costando anche
solo parlare mentre sostenevo l’incantesimo.
“Lo
so, ma cosa intendi fare? Rimanere lì in eterno?”
Una
lampadina mi si accese. Peter aveva inteso alla perfezione, ma non
voleva
andarsene sapendomi ancora in territorio nemico.
Gli
sorrisi comprensiva, cercando di ignorare la debolezza che la magia
prolungata
mi stava causando. La testa iniziava a girarmi e cercai di scuoterla
per
scacciare via le vertigini.
“Non
ti preoccupare, appena tutti, tu compreso, vi sarete messi in salvo, lo
chiamerò subito e sarò via prima che Miraz se ne
accorga” lo rassicurai,
cercando di apparire sicura di me.
Lui
scosse la testa. “Cathrine, non intendo rischiare, tu
devi…”
“Io
devo tenere l’inferriata aperta.” Lo interruppi
decisa. Chiusi gli occhi per
colpa di un giramento di testa più forte degli altri. La
magia mi stava
prosciugando le forze. Tra poco sarei crollata, non potevo sprecare
tempo ed
energie a discutere con Peter, doveva andarsene via presto.
Caspian
arrivò tempestivamente in groppa ad un cavallo nero tenendo
per le redini un
secondo cavallo castano probabilmente per il re e seguito da un terzo
destriero
portante un signore anziano che non riconobbi. Fui felice del suo
arrivo,
pensando che forse lui avrebbe convinto il re ad andarsene comprendendo
la
situazione.
Infatti
vidi i due giovani reali discutere tra loro e infine Peter montare
contrariato
sul suo destriero. Sospirai di sollievo, ma un altro giramento mi
investì
forte. Barcollai ma tentai di riprendermi subito udendo il malefico
clangore
metallico che mi ricordava che ad ogni mio piccolo cedimento il
cancello si
avvicinava al pavimento. Le mie braccia stavano tremando, tese fino
allo
spasimo per sostenere il flusso continuo di magia che andava da me alla
cancellata,
ma dovevo resistere, almeno finché Peter e Caspian non
fossero usciti.
“Chiama
Plumage, così inizia a dirigersi verso di te mentre noi ce
ne andiamo” mi urlò
il biondo.
“Ok”
gridai in risposta, senza abbassare lo sguardo. Se serviva per far si
che se ne
andasse, lo avrei accontentato.
Con
una forza che trassi da una fonte sconosciuta, alzai una delle due mani
e
lanciai veloce una sfera in aria, il segnale concordato con il grifone,
per poi
riportarla immediatamente a tenere alzato il cancello, che intento si
era
abbassato di un altro paio di centimetri.
L’ulteriore
dispendio di energie mi causò un giramento di testa
più forte degli altri e per
qualche istante ogni cosa si fece buia. Feci un lento e lungo respiro
per
calmami e riprendere il controllo della situazione. Dovevo tenere duro
ancora
poco, dopodiché sarei tornata alla base con il grifone, da
Peter. Mi aggrappai
all’idea che domani saremmo stati alla nostra spiaggia per
vincere
l’affaticamento, ignorando i rumori
della battaglia sottostante che volgeva alla fine.
Con
la coda dell’occhio vidi il re di Narnia, ancora restio ad
andarsene, che
guardava nella mia direzione, mentre Caspian lo istigava alla fuga.
Fortunatamente il giovane principe sembrò riuscire a
convincere infine il re ed
insieme galopparono fuori dalle mura del castello, protetti dal manto
della
notte, con mio grande sollievo.
Le
braccia ormai tremavano in maniera incontrollabile e non so grazie a
quale
divinità riuscivo ancora a sostenere
l’incantesimo. Resistetti ancora cinque
minuti per dare il tempo a tutti gli abitanti di Narnia di fuggire.
Quando vidi
il cortile completamente sgombro dai combattenti di Peter, potei
finalmente
fermare la magia.
Caddi
priva di forze sulle ginocchia, accompagnata dal metallico suono
dell’inferriata che si chiudeva definitivamente. Con le
braccia ancora tremanti
e il respiro affannoso, riuscii a girarmi di schiena per appoggiarmi al
parapetto in attesa di Plumage. Mi accorsi solo in un secondo momento
che una
sostanza vischiosa e umida mi stava invadendo le labbra. Mi pulii con
il dorso
della mano, ritrovandomelo dopo sporco di un liquido rosso vermiglio.
Sangue.
Lo sforzo dell’incantesimo mi aveva fatto perdere sangue dal
naso.
Meglio
dal naso che non da qualche
ferita,
pensai, soddisfatta del mio
operato nonostante le conseguenze fisiche. Alzai lo sguardo al cielo,
godendomi
la vista delle stelle mentre cercavo delle piume dorate in
avvicinamento,
cercando di ignorare le voci dei soldati telmarini che cercavano di
salvare i
feriti e di lavar via le tracce della battaglia appena avvenuta. Il
petto mi si
alzava e abbassava furioso, in cerca disperatamente di ossigeno.
Quando
fui sicura di riuscire a reggermi in piedi se appoggiata ad un
sostegno, mi
alzai, se pur con qualche fatica, abbarbicata al parapetto. Seppellita
al
riparo della balaustra era improbabile che il grifone mi vedesse e
potesse
giungere in mio soccorso, riflettei. Peccato che non pensai al fatto
che se ero
visibile per Plumage era più che visibile anche per i
soldati di Telmar come mi
fece notare un grido d’allarme proveniente dal cortile.
L’urlo
mi perforò il timpano più per il suo significato
che per la forza effettiva del
suono.
Con
il cuore in gola mi girai in tempo per vedere i telmarini che
indicandomi si
apprestavano a raggiungere la torre dov’ero.
Terrorizzata,
mi sporsi dal parapetto e iniziai a gridare il nome della bestia alata,
cercando di non badare alla testa ch aveva ripreso a girare
violentemente,
causandomi una forte nausea. Ma dove diamine era finito quel grifone?
Sarebbe
dovuto restare nei paraggi pronto per arrivare!
Lo
sguardo mi cadde poi in un punto del prato circostante il castello e il
respiro
mi i mozzò in gola. Anche nel buio della notte, la figura
piumata accasciata a
terra, color dell’oro, era inconfondibile. Plumage era stato
abbattuto. Nessuno
sarebbe venuto a prendermi, realizzai con angoscia crescente. Nessuno
mi
avrebbe salvata, non sarei scesa da quella torre. Non avrei rivisto
Peter.
Il
panico prese il sopravvento. Cosa potevo fare? Ero da sola e priva di
forze. Se
avessi avuto le energie necessarie avrei tentato di lievitare
giù dalla torre,
oltre le mura, ma nelle condizioni in cui ero non riuscivo nemmeno a
sostenermi
sulle mie gambe.
Quando
sentii la porta della piccola torre aprirsi con violenza, seppi che ero
perduta.
Cinque
soldati fecero il loro ingresso squadrandomi guardinghi, ma appena si
accorsero
che il loro avversario era niente di più che una ragazza di
diciassette anni,
un’espressione beffarda si fece strada sui loro volti.
Tremai,
questa volta dalla paura, ma cercai di non darmi per vinta. Non mi
sarei arresa
docilmente, non davanti agli uomini che avevano causato tanto dolore e
sofferenza al popolo di Narnia e ai Pevensie. In quel momento
rappresentavo
loro, non potevo deluderli dimostrandomi debole. Così cercai
di mascherare
quanto più possibile il terrore che mi stava attanagliando
il cuore e
l’angoscia per ciò che sarebbe potuto accadere in
loro nome.
“Una
ragazzina?” esclamò uno dei soldati incredulo.
“Già.
Vediamo se è tanto intelligente da consegnarsi senza
storie” commentò un altro
ironico, avvicinandosi di un passo, estraendo la spada ma senza
impugnarla con
convinzione.