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Autore: Melanto    13/06/2010    1 recensioni
Esiste un luogo, su questo pianeta, che è così bello da essere irreale. E c'è un bambino con un grande obiettivo da realizzare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia scritta per la “Tricolore–Challenge” di Fanworld.
Colore: “Verde”
Tipologia: “Originale -> Introspettivo”

Dove nasce la terra

Fantanesh era corso via dal villaggio, come ogni giorno a quell’ora, quando il sole cominciava a dare un po’ di respiro.
Aveva riempito la borraccia al pozzo, aveva afferrato il bastone e si era allontanato senza che nessuno se ne accorgesse; silenzioso e rapido come un serpente, si era messo in viaggio.
Mentre camminava, manteneva lo sguardo ai piedi, dove i sandali sollevavano tenui scie di polvere dal terreno arido e il suo unico compagno era il tac della punta di legno al suolo. Ritmico, assieme al proprio passo, e Fantanesh faceva passare il tempo contando il rumore del bastone per terra.
Tac. Passo.
Tac. Passo.
Passo.
Passo.
Tac.
Arrivato a dieci ricominciava da capo.
Non c’era un numero preciso di passi che gli indicasse l’arrivo alla meta, perché ogni tanto si fermava per bere un sorso d’acqua, centellinata con sapienza poiché doveva bastargli per l’andata e il ritorno, o distratto dalla natura circostante.
Uno scorpione passò rapido sulla rena e lui si accoccolò sui talloni, per guardarlo da vicino; la coda ritta e il pungiglione pronto ad attaccare chiunque lo infastidisse. Fantanesh lo pungolò col bastone e l’animale si arrestò bruscamente. La punta velenosa fendette a vuoto l’aria e il ragazzino rise. I denti risaltarono brillanti sulla pelle, che aveva il colore della terra bruciata, e su quei riccioli neri, stretti e folti, sporchi di polvere.
Soddisfatto, si alzò, passando oltre e riprendendo a contare.
Quando il colore della rena e il rumore prodotto dal proprio passo cominciarono a cambiare, quando cambiò la stessa consistenza del suolo e l’odore di zolfo si fece forte come da nessun’altra parte, allora Fantanesh seppe d’essere arrivato…
Tac. Passo.
Tac. Passo.
Ciac. Ciac.
…e alzò la testa per vedere finalmente la distesa vulcanica del Dallol.
I bordi bruni, dove immergeva i piedi lasciando le impronte dei sandali, si facevano più chiari andando verso l’interno.
Cacofonia scoordinata di colori. Ruggine, arancio, giallo. E poi il mare. Verde. Pozze smeraldo o chiare come prati immensi. 
In quella valle arida, la più calda del pianeta con i suoi 50 °C all’ombra, c’era un tesoro che s’apriva in migliaia di fiori fatti di minerali essiccati dal sole e alimentati dal soffio della terra nascente; parto del ventre oceanico emerso in superficie.
Di prati veri non ne aveva mai visti, Fantanesh, ma aveva conservato gelosamente un libro pieno di immagini di luoghi lontani così colorati che gli erano sembrati troppo meravigliosi e aveva pensato fossero solo invenzioni dell’uomo bianco che, raramente, passava da quelle parti e poi andava via. Ma quando suo padre, un giorno di troppi anni prima, l’aveva portato al Dallol, aveva capito che i luoghi colorati del libro esistevano davvero, ma nessuno era simile a quello.
Il Dallol era unico e lui poteva vederlo con i propri occhi e non attraverso quelli degli altri; apparteneva alla sua gente.
Abituato all’odore di zolfo, Fantanesh saltellò sulla fanghiglia primordiale formata dall’acqua calda in risalita, che saturava la terra, lasciando confuse impronte sotto di sé, e riprese a camminare con passo ballerino verso i fiori acidi, pericolosi e belli, da guardare ma non toccare. Camminò con attenzione sugli intricati percorsi salini che dividevano le pozze, abbaglianti e incantevoli, piene di quel verde rilucente sotto al sole e gorgogliante del calore che lo faceva ribollire.
Canticchiò dei versi, accompagnandosi a quei gioielli che nessuno avrebbe mai potuto portargli via. Si appollaiò su un piccolo duomo di sale affacciante su uno stagno smeraldo, appoggiò il bastone sulle gambe e si concesse un sorso d’acqua più lungo degli altri, per festeggiare il piacere d’essere arrivato.
Poco lontano, udì lo sbuffo dei piccoli geyser e ne vide i pennacchi candidi sfumare nella debole bava di vento torrido. Poi abbracciò l’intera caldera del Dallol, ruotando lentamente il capo. Le venature di sale, essiccato e solidificato, sagomavano percorsi intricati che ricoprivano tutto ciò che i suoi occhi riuscivano a vedere, e anche più in là, fino a ciò che restava dei canyon ormai al limite dell’erosione. I minerali modellavano cristalli dalle forme più impensabili e accurate. I gas salivano in superficie, dandole un odore pestilenziale, ma puro per chi sapeva vedere oltre l’apparenza, per chi sapeva che ci si trovava sotto al livello del mare, lì, ma le acque non erano ancora arrivate a sommergere tutto, per chi sapeva che quello era l’inizio del mondo e che così era stato prima di divenire come le foto del suo libro. Per chi sapeva apprezzare la meraviglia della genesi, quello era un buon odore, dopotutto. Era un profumo.
E il Dallol non era la valle dell’Inferno, come sentiva dire, solo perché a pochi chilometri l’Erta Ale sputava fuoco o il caldo scioglieva ogni cosa e dalla terra sembrava destinato a non crescere nulla.
Qualcosa nasceva nel Dallol, anche se molti non l’avevano ancora capito, ed era la terra stessa. Si auto-generava, in quel luogo solitario, per proteggersi dagli uomini, che sapevano essere più pericolosi delle cavallette.
Per questo Fantanesh andava lì tutti i giorni, per vegliare i nuovi semi del mondo fino all’arrivo dell’acqua che tutto avrebbe ricoperto, nascondendo per sempre i laghi di zolfo, i cristalli di sale, i getti potenti dei geyser. Ma ci sarebbe voluto ancora tanto tempo per quello, l’aveva sentito dagli uomini bianchi che arrivavano parlando lingue diverse. Fortuna che lui aveva Mestir che gli traduceva il possibile di ciò che riusciva a comprendere.
Fantanesh ormai aveva deciso e l’aveva fatta diventare la ragione di vita che, un giorno, avrebbe trasmesso anche a suo figlio. L’avrebbe portato nel Dallol e gli avrebbe detto di vegliare sempre su quel luogo inospitale che era un dono di Allah, la sua benedizione, e il premio per loro che avevano sempre vissuto sotto il fuoco del sole e l’aridità della terra.
Poi sarebbe toccato al figlio di suo figlio e così via, fino al momento fatidico in cui il mare sarebbe tornato padrone di quelle valli.
Su quei pensieri, Fantanesh sollevò il capo, per osservare l’inizio del tramonto. Adagio, sgranchendosi le gambe indolenzite dalla sosta, si rimise in piedi, afferrò il bastone e ripercorse i propri passi in direzione del villaggio, lasciandosi alle spalle, fino al giorno successivo, il cuore verde della terra.

 

Fine

Nota 1: “Fantanesh” dovrebbe significare ‘Tu sei un dono’. In riferimento alla stessa caldera del Dallol che viene vista come un dono da lui.

Nota2: Amo la Caldera del Dallol. Sogno di andarci. Non importa quando, non importa come, ma vedrò anche io il cuore della terra situato nella Rift Valley, perché me ne sono innamorata dal primo momento che l’ho visto e perché è troppo fuori dal mondo per essere davvero parte di questo pianeta.
La Rift Valley è una zona altamente vulcanica e sismica in cui la crosta terrestre si sta assottigliando lentamente e la terra si sta aprendo. La fine del processo di assottigliamento porterà alla formazione di un nuovo oceano. (Foto: QUI, QUI, QUI e QUI)

 

 

   
 
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