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Autore: CassandraLeben    13/06/2010    14 recensioni
Questa storia è ambientata dopo Eclipse ed è stata elaborata prima dell’uscita di BD.
HO AGGIORNATO!!!!!!!
In breve: un racconto alternativo, avventuroso e romantico, nonché triste, di ciò che avevo immaginato potesse accadere dopo il fatidico “Sì” tra Edward e Bella.
Il ritorno dei Volturi, di Jack, Alec e Jane sconvolgeranno la vita dei novelli sposi
ATTENZIONE, PUò CREARE ASSUEFAZIONE E PROBLEMI CARDIACI! XD
< Isabella. > Una voce familiare risuonò nella camera. Sobbalzai. Non mi ero accorta della presenza di qualcuno nella stanza.
< Bella! Quanto tempo, desideravo con ansia rivederti. > Aro mi si avvicinò e mi prese la mano. Con gentilezza, me la baciò. Notai i suoi occhi guizzare sulla mia fede e poi incontrare i miei. Mi sorrise tranquillo e mi fece accomodare sul divano.
< Prego cara, siediti. Non avere paura. Non devi preoccuparti. > Sapevo che non potevo rifiutare. Tanto valeva stare al gioco. Magari sarei riuscita a sopravvivere un po’ più a lungo.
Genere: Romantico, Dark, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Va bene, lo so. Mi merito tutte le maledizioni che mi avete mandato. Però, davvero, per molto tempo ho avuto i soliti casini. L’università mi impegna tantissimo e non riuscivo a trovare l’ispirazione per scrivere. Continuavo a buttare già delle schifezze, a tagliare, incollare etc etc. poi invece, ieri, mi è venuta l’ispirazione e ho buttato giù il cap in un’oretta (all’1 di notte, ovviamente, seguendo le buone vecchie abitudini)
Spero che non vi siate dimenticate di me e che mi possiate perdonare.
Adesso dovrò studiare per un esame che ho il 29 quindi non so bene quanto tempo avrò ma posterò presto, per davvero, perché l’altro cap lo sto già scrivendo. In realtà, questo cap finisce qui per la suspance! Se no, avrei continuato qui!

Ciao e a presto.

Ps: spero che vi piaccia anche la mia nuova storia.
Ultimamente non ho aggiornato eprchè, per il caldo, non volevo accendere il pc, e poi dovevo studiare per due esami.il cap è già scritto, adesso provvederò a pubblicarlo.
Un bacione e a presto, recensite in tante
Pps: non abbiate paura, io amo i lietofine.
Ppps: buona maturità a chi deve affrontarla. Mi ricordo lo scorso anno che paura avevo! In bocca al lupo a tutte.

Ovviamente, non riesco a separarmi da questa storia e questo non sarà l’ultimo cap… scusate

 Bella’s Pov

 

La morte era qualcosa di freddo, duro, liscio.

Una lapide di marmo che trafiggeva la terra smossa e bagnata di lacrime. Il pianto di chi ti ha amato e non ti permette di andare via.
Il loro dolore ti tiene incatenata a questo mondo di sofferenza e paura, dove ogni battito di cuore è penoso come una pugnalata.
È l’amore che ti impedisce di essere libera per l’ultima volta. Ti obbliga a restare…
Io non ero libera. Non potevo andarmene.
A tenermi incatenata alla vita dei lacci invisibili, più resistenti dell’acciaio.
Lasciatemi andare.
Lasciatemi morire. Vi prego, lasciatemi morire.
Avevo sofferto troppo.
Forse ero già morta?
No, il dolore era ancora  troppo vivido nella mia memoria.
Tutto intorno a me era immobile, silenzioso.
Vuoto.
Non ricordavo il perché, il come, il quando. Men che meno il quanto.
Non potevo aprire gli occhi perché non sapevo dove fossero.
Non ero padrona del mio corpo. non riuscivo a percepire nulla all’infuori del panico che mi attanagliava. E il ricordo del dolore così annullante e frastornante che mi faceva temere anche solo di tentare di muovermi.
Ero sola. Al buio. Abbandonata.
Ero stata lasciata ad annegare in un oceano infinito di dolore. Ed ora ero sola nel silenzio e nell’oscurità più totale. 

Lentamente ricominciai a pensare. E con i pensieri la sensazione di annegamento tornò a tormentarmi. Non volevo ricordare tutto quel dolore. 
Tutta la paura che avevo provato.

Paura…

Quando ero piccola, avevo paura del buio e del silenzio.
Ciò che mi circondava in quel momento.
Avevo paura. cercai di focalizzare la mia mente su quei ricordi per evitare di evocare il dolore.
Era buio in camera mia. E io avevo paura. urlavo se sentivo un rumore strano.
E quando gridavo, Reneé veniva e mi abbracciava stretta, stringendomi al suo petto.
Reneé, i suoi abbracci caldi e rassicuranti. Reneé… Mamma…
Avevo bisogno di lei.
Perché era mia madre e aveva il dovere di proteggermi. Contro tutto e contro tutti.

Già, madre…

Vidi una piccola bambina dai capelli rossi e gli occhi verdi. La vidi dentro la mia testa ma era così… reale. E poi, oltre a lei, due infanti, piccoli e fragili. 
Due neonati splendidi e delicati.
Anche loro così impossibilmente reali da sembrare veri.
Anche io...

Impossibile.
Non ero pronta, non ero forte, grande abbastanza. E poi, ero troppo sola.
Avevo bisogno di qualcuno che mi proteggesse.
Avrei voluto gridare, urlare, scalciare… piangere.
Ma non potevo muovermi.
Ero immobilizzata.                                              
E poi, me ne accorsi.
Ero immobile. Letteralmente immobile.
Così immobile che il mio petto non si alzava ed abbassava ritmicamente e dolcemente come avrebbe dovuto.
I miei polmoni erano vuoti.
Terrore.
Cercai di rimanere lucida. Ovviamente non era possibile. 
Cercai allora di ascoltare il battito del mio cuore o di percepire la sensazione del sangue che pulsa feroce attraverso le vene.
Niente.
Nessun suono, nessuno movimento.
In compenso, nel tentativo di ridare ordine ai miei sensi, mi accorsi del dolore sempre crescente che mi invadeva. Bruciante a tal punto da ricordarmi il rogo interiore che avevo subito.
Cercai di localizzare questa nuova sofferenza.
E così ritrovai la gola. E con essa il collo, le spalle, la testa.
E poi le braccia, le mani, le dita… il busto la schiena… le gambe, i piedi. Il mio corpo tornava ad esistere nella mia mente.
Lo percepivo di nuovo.
Proprio ora che ormai sapevo.
Sapevo di essere irrimediabilmente morta.

E la morte era qualcosa di freddo, duro, liscio. Qualcosa di immobile tra le mie dita.
Ecco i polpastrelli.
Avevo paura. strinsi gli occhi.
Avevo ritrovato le palpebre.
Decisi di farmi coraggio e le sollevai lentamente, terrorizzata da ciò che mi stava aspettando là, nell’ade.

La prima cosa che vidi fu la luce.

Non me lo sarei mai aspettata. Mi immaginavo un luogo scuro e cupo pieno di anime dannate ed invece c’era la luce, prodotta da una comunissima lampadina.
Banale.
E poi, c’era odore di disinfettante. Ammoniaca. Mi fece storcere il naso. Quell’odore pizzicava. Certo, niente in confronto all’arsura che percepivo al collo.
Il muro davanti di me era bianco, immacolato. C’erano delle travi di legno. Era un soffito? Sì. Sembrava proprio di si.
Ma che ci faceva un soffitto all’inferno?
Ciò che di liscio e duro, freddo, sentivo tra le mie dita fremette. Mi irrigidii automaticamente. Non osavo guardare. Ero troppo spaventata. Serrai immediatamente gli occhi e strinsi i denti.
Altre due cose dure, lisce e fredde mi afferrarono i polsi. Mani forse?
Ci fu uno spostamento d’aria e il mio viso venne investito da dei profumi fortissimi che mi ravvivarono dei ricordi che parevano lontanissimi.
Prati, fiori, sole…acqua… miele… e poi altro ancora. Molto altro ancora.
Avrei voluto rannicchiarmi ma quelle mani dure e lisce mi stringevano i polsi con troppa forza. Eppure, non provavo dolore. Non lì perlomeno.
Una voce, agitata e ansiosa ma ugualmente splendida e limpida, giunse alle mie orecchie. Sembrava implorante e spaventata. Era di un uomo.
< Lasciala. >
E le mani mi lasciarono. In un tempo che mi parve infinitesimale mi ritrovai rannicchiata su me stessa. Mi coprivo il capo con le braccia. Le ginocchia poggiavano sotto al mento.
Tremavo.
Delle altre mani, gentili e delicate, corsero lungo la mia schiena.
< Bella? Non avere paura. so che sei spaventata. È normale. Ma tu stai bene. Adesso stai bene. >
Che cavolo stava dicendo?
Come poteva dire che stavo bene? La gola bruciava impedendomi persino di pensare?
E poi, non respiravo! Il mio cuore non batteva!
No! No! No! < No!, No! No, No! No, no, no, no, no, no, no, no, no! >
Sentivo un suono uscire dalla mia bocca. Non mi ero accorta di aver cominciato ad urlare. ma quella non poteva essere la mia voce. Era troppo diversa da come la ricordavo.

Era tutto sbagliato.

Mi stavo agitando, muovendomi convulsamente. Scalciavo. Nessuno mi doveva toccare.
Avevo troppa paura.
< Edward, devi calmarla. >
< Jasper, TU devi calmarla. >
< Non ci riesco. È incontrollabile. >
Cercavano di tenermi ferma. Di immobilizzarmi. Ma io scalciavo. Erano più di due persone. Molte di più. Volevano farmi del male.
Quando caddi capii di essermi trovata in un punto sopraelevato. Ci fu un tonfo rumorosissimo quando il mio corpo sbatté sul legno morbido del pavimento, lasciando come un’incavatura nel parquet.
Nell’attimo in cui i miei aggressori chinarono per afferrarmi, spalancai gli occhi e schizzai, veloce quanto non avrei mai pensato di potermi muovere. Mi sarei aspettata che, a quella velocità gli oggetti mi risultassero sfocati ed invece potevo cogliere tutto. Ogni più insignificante particolare. Come quel granello di polvere che danzava leggero vicino alla lampada.
Avevo paura. paura di quelle sei persone che percepivo intorno a me. Due donne e quatto uomini a giudicare dal loro odore.
Non pensai neanche. Fu l’istinto a guidarmi. Mi fece giungere alla porta. La mano era già sulla maniglia quando delle braccia possenti mi imprigionarono. Cercai di divincolarmi ma le mie gambe colpivano alla cieca. Muovevo il capo all’indietro nel tentativo di colpirgli il volto. Inutile. L’istinto mi diceva di mordere ma non c’era niente a portata di bocca.
La mia pelle sensibile percepiva il contatto con l’energumeno che mi aveva immobilizzata molto più di quanto non fosse mai successo.
< Bella?  Calmati. Devi calmarti. Imponitelo. So che puoi farcela. >
Qualcuno parlava ma io non lo ascoltavo. Qualcun altro continuò. Era la prima voce che avevo udito.
< Bella, amore, ascoltaci. Devi calmarti. Tranquilla… non devi avere paura. non vogliamo farti del male. >
Mentivano.Volevano eccome. Non potevo vederli perché erano tutti alle mie spalle ma potevo percepire la loro tensione. 
Finsi di acquietarmi. Smisi di divincolarmi e, poco dopo, la prima voce disse: < Prova a lasciarla, piano. >
Le braccia forti come acciaio mi liberarono ed io scivolai lungo il petto dell’uomo che mi aveva tenuta prigioniera. Mi lasciai cadere a terra dove mi abbandonai.
Le prime mani che avevo percepito tornarono ad accarezzarmi la schiena.
La sua voce adesso sembrava più calma. Ma era solo apparenza. Lo percepivo.
< Bella?Tranquilla piccola.È tutto a posto. Sei al sicuro. Non vogliamo farti del male. >
Sentii gli altri indietreggiare di qualche millimetro. Finsi di essere docile. Non mi mossi.
Poi, quanto sentii che il ragazzo sopra di me voltava il capo verso il suo gruppo, mi rialzai in piedi e mi avventai sulla porta, spalancandola. A velocità folle corsi lungo il corridoio.
Sentivo le urla concitate dei sei che mi ero lasciata alle spalle. Stavano cercando di raggiungermi. Non mi avrebbero presa. Ero più veloce di loro.
Con un balzo mi ritrovai in fondo alle scale. Era passato poco più di un quindicesimo di secondo rispetto a quando avevo aperto la porta ed ero fuggita.
Mi diedi una rapidissima occhiata intorno per localizzare la via di fuga più vicina e più sicura.

E in quel momento la vidi, spuntò da dietro una porta.
Una bambina piccola. Non dimostrava più di quattro anni. Capelli lunghi e rossi, occhi verdi. La stessa bimba che la mia mente aveva evocato poco prima.
Vidi il suo sangue caldo pulsare nelle vene sotto la pelle della gola. Sentivo il suo cuore battere indicandomi la sua posizione.
Mi accorsi di altri due piccoli cuori nella stanza da cui la bambina proveniva. Con loro c’era anche una persona, una donna. 
Gli altri sei erano quasi dietro di me
A nessuno di loro batteva il cuore. Ebbi paura. Cosa diamine stava succedendo?
Una voce possente, l’uomo che mi aveva immobilizzato, gridò: < Rose, prendi i bambini e vattene. >
La piccola mi fissò negli occhi, rapita, e sorrise.

Seguii l’istinto.

Mi avventai sulla piccola creatura stringendola tra le mie braccia.
Poi, con il suo peso leggero tra le mani, schizzai fuori dall’abitazione.
Avevo sete. Una sete terribile. Accecante.
Ma non potevo fermarmi. Dovevo correre e scappare da quegli individui. La sete l’avrei placata dopo.
Strinsi la bambina. Lei non aveva gridato, non si era agitata. Si era limitata a rimanere immobile tra le mie braccia.
Sapevo che aveva paura perché il suo piccolo cuoricino batteva velocissimo ed invitante.
Avevo sete. Sete, sete, sete, sete, SETE!
Corsi ancora più veloce. Dovevo allontanarmi, dovevo scappare da loro. Li sentivo che mi seguivano. Erano a circa un kilomentro da me. Li stavo distanziando. Il ragazzo che mi aveva parlato con parole gentili era il più veloce. Si trovava ottocentosettantatre metri e quindici centimetri indietro rispetto a me. La più lenta era una donna. Lei era mille quattrocentododici metri indietro.
Non si davano per vinti. Continuavano a correre e mi urlavano di fermarmi.
Incontrai un fiume. Era molto largo. Avrei potuto disperdere il mio odore. Mi ci immersi e per alcuni metri nuotai, seguendo il corso della corrente.
Quando riemersi, mi trovavo molto più a valle. Raggiunsi la riva e, lasciando fuori dall’acqua solo il busto, ricominciai a correre. Non li sentivo più.
Li avevo seminati.
Guardai la creatura tra le mie braccia. tossiva acqua. avevo cercato di lasciarle la testa fuori per permetterle di respirare ma evidentemente aveva bevuto un po’.
Circa un’ora dopo, mi sentii abbastanza sicura e lasciai del tutto il fiume. Camminai a piedi nudi lungo un sentiero roccioso ma le pietre non mi ferivano. La bambina tremava. I vestiti bagnati le si stavano asciugando addosso anche a causa del vento provocato dalla mia corsa. E il suo sangue pulsava irrorandole le guance.
Avevo sete. Troppa. Non riuscivo a gestirla. A pensare.
Il collo della bimba era così vicino…
Lei non aveva detto neanche una parola da quando l’avevo presa. Era rimasta silenziosa.
Mi fissò negli occhi. Ricambiai il suo sguardo e sorrisi. Lei fece altrettanto.
Poi si azzardò a parlare.
< Ho sonno. >
Sonno? Io non ne avevo neanche un po’. Avevo solo sete. Eppure, avrei dovuto essere stanca. Chissà per quanti chilometri avevo corso…
< Posso dormire? > mi chiese con voce incerta. Era impaurita, questo è certo, ma allo stesso tempo sembrava fidarsi di me.
Le accarezzai i capelli e poi le guance rosate. Sentii il sangue scorrere sotto quel sottile strato di pelle. Lo vedevo. Avevo sete.
Con un balzo mi portai sulla cima di un albero e mi sedetti, poggiandola sulle mie ginocchia.
< Certo che puoi dormire. Basta che tu chiuda gli occhi. > le dissi suadente, accarezzandole i capelli e sistemandoglieli dietro alle orecchie.
Lei, obbediente, annuii e poi poggiò il capo sulla mia spalla.
Osservai le palpebre abbassarsi e poi posai le mie labbra sul suo collo dalla pelle sottile.

Il suo sangue aveva un odore dolcissimo…

 

 

  
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