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Autore: PiccolaWriter    14/06/2010    3 recensioni
La trasformazione di Bella dettata dalla mia immaginazione.
Inspirata dalla melodia In Un'altra Vita di Ludovico Einaudi.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Twilight
- Questa storia fa parte della serie 'Melodie di Parole'
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In Un'altra Vita





Spesso, nei film, mi sembra sempre esagerata la descrizione che si fa dei pensieri di una persona che sta per morire. Insomma, cercando d'immaginare la scena: tu stai lì, impotente, sapendo che da un momento all'altro il folle assassino sfonderà la porta con una motosega per mozzarti la testa, oppure sei intrappolata tra le braccia di un terrorista con una pistola puntata alla tempia, aspettando passivamente la tua fine... e cos'è che fai?
Pensi. Pensi alla tua vita. A quella preziosa vita che stai appunto per perdere in maniera così stupida. E davanti agli occhi, a questo punto, di solito cominciano a passarti davanti tutti i momenti più belli, come dei fotogrammi.
Baggianate, pensavo sempre io, quando guardavo film con scene del genere. Scene patetiche, a mio parere. Scene false, ideate solo per aumentare la drammaticità del momento.
Solo adesso potevo pentirmi di ciò che avevo pensato un tempo. Solo adesso potevo rimangiarmi tutto, dandomi della stupida. Perché solo adesso mi trovavo in quella stessa situazione: solo adesso potevo immedesimarmi completamente e realmente nella vittima del serial killer o del famoso terrorista, anche se non mi trovavo intrappolata in una cascina abbandonata o in un grande aereo di linea.
Ero nella foresta di Forks, al crepuscolo.
Circondata da abeti e altri alberi secolari, che quasi donavano una colorazione verdastra all'aria che mi circondava. Le scarpe sporche di terra umida, i jeans fradici a causa della rugiada posatasi sulle pianticelle del sottobosco.
Ed ero intrappolata. Ma non da un serial killer. Né da un terrorista.
No: era qualcosa di molto peggio. Era un mostro, questo potevo dirlo con certezza. Ma ancora non sapevo con precisione di che razza fosse.
«Isabella», sussurra melodiosa la sua voce, soffiando dell'aria fresca sul mio collo. Rabbrividisco per la delicatezza che utilizza nel pronunciare il mio nome; com'è possibile che un momento prima quelle stesse labbra si siano posate con molta meno delicatezza sul mio collo, strappandomi un gemito di dolore acuto dalle labbra?
Avverto una sostanza calda e densa che mi cola sulla camicetta chiara che indosso: un odore aspro - sembra quasi di ruggine - mi avvolge, dandomi istantaneamente la nausea. So bene cos'è.
Sangue. Il mio sangue.
Sgrano ancora di più gli occhi, fissando il volto del ragazzo che mi sta stringendo ancora contro il suo petto marmoreo: Edward mi fissa di rimando. I suoi occhi improvvisamente non sono più dorati come il miele più dolce, com'erano poco prima. Adesso ci sono due baratri scuri, al posto delle sue iridi luminose. Due fosse nere che mi fanno scivolare quasi nell'incoscenza, indebolita come mi sento dalla nausea e dal dolore che pulsa sulla pelle del mio collo.
La pelle già pallida del volto di Edward si fa ancora più livida, mentre mi divora letteralmente con i suoi occhi neri: avvicina rapido le sue labbra rosse scure alle mie, lambendole con un bacio di passione violenta. Non c'è delicatezza, non c'è calma nei suoi gesti; avverto solamente solo un furioso desiderio, una feroce rabbia, una grande urgenza.
Nella mia bocca sento il sapore del mio stesso sangue, mentre le sue labbra fredde e sporche reclamano il possesso sulle mie. E io non posso far altro che sottostare, non posso far altro che subire la sua violenza sfrenata. Perché non ne ho la forza.
E quando finalmente la sua bocca abbandona la mia, un ruggito profondo, vibrando dal petto di Edward, mi fa tremare. Chiudo gli occhi: scene della mia vita cominciano a susseguirsi come in uno di quei tanti film.
Ma rimango sorpresa, in un certo senso, perché succede qualcosa di inaspettato. Mi accorgo di non piangere. Batto le palpebre, più e più volte, ma niente. Nessuna lacrima appanna il mio sguardo, puntato ancora negli occhi di Edward.
Richiudo gli occhi. Tutto ciò che vedo sono i visi dei miei cari: mia madre Renèe, mio padre Charlie, la mia defunta nonna Marie.
E poi... il buio. Nessuna scena commovente sulla mia felice vita. Nessun fotogramma emozionante. Solo qualche ricordo abbastanza vago e ordinario: il mio primo giorno di scuola, in cui ricordo di essermi sentita molto a disagio e di aver pianto molto, giunta a casa; la mia prima lezione di danza, in cui ricordo d'esser caduta davanti a tutte le aggraziate ballerine, a causa del mio precario equilibrio e della mia goffaggine. Il mio primo giorno di liceo. Anche quello imbarazzante, ma non troppo: agli occhi di tutti ero sempre rimasta indifferente, non solo agli occhi dei ragazzi, ma anche a quelli dei professori.
La verità è che la mia vita non è niente di speciale, penso.
E anche se queste immagini continuano a passarmi davanti agli occhi, mi lasciano imperturbabile. Perché anche se dovessi morire, non sento di perdere nulla. Certo, avverto l'angoscia per il dolore che patiranno i miei cari, dopo che avranno trovato il mio cadavere dissanguato lì tra le felci della foresta. Ma anche quella sofferenza, col tempo, passerà. E loro si dimenticheranno in fretta di me, presi dalle loro vite altrettanto vuote com'era stata quella mia.
Sento di nuovo le labbra fredde di Edward che si posano lievi nell'incavo del mio collo, lì dove avverto dolore.
«Uccidimi, ora», sussurro, quasi senza rendermene conto.
Edward mi sfiora la pelle del collo con le labbra, leggero.
«Perché questa fretta, Isabella?», risponde lui con la sua voce sensuale e vellutata. La voce di un sadico predatore che ha voglia di giocare un po' con la sua preda, prima di sbarazzarsene definitivamente.
Le sue mani fredde mi stringono ancora di più, il suo corpo aderisce talmente tanto al mio che sembriamo quasi una cosa sola. Il suo respiro freddo si fa irregolare mentre la sua lingua comincia a lambire la ferita che mi ha inferto poco prima sul collo.
Altri brividi mi scuotono, ma non so identificare con precisione la loro origine: è la sua lingua fredda, l'odore di sangue che mi da ancora la nausea, oppure il contatto del suo corpo che mi stordisce sempre di più, cento volte peggiore di un potente afrodisiaco?
Il mio sguardo torna ad affondare nel suo. Mi sento affogare nel mare nero che sono i suoi occhi, ma nonostante tutto non riesco a disperarmi, ancora una volta. Non riesco a provare paura.
Con veemenza, Edward affonda i denti nella carne del mio collo. Mi fa male, mi fa male da impazzire. Vorrei urlare ma non riesco a trovare la forza per emettere alcun fiato. E allora mi abbandono contro il suo corpo, mi arrendo dinanzi la sua forza. E una fiamma comincia a propagarsi sotto la mia pelle, come se dentro cominciasse a bruciarmi un fuoco vivo. Lo sento; è il fuoco dell'inferno che mi divora. Perché c'è troppo dolore per essere in paradiso.

* * *



Con foga continuo a succhiarle via la vita, la sua vita, che adesso sento scorrere dentro le mie vene vuote. E il fuoco che mi attanaglia la gola comincia a diminuire gradualmente, facendosi sempre più piccolo, un incendio sempre più debole e facile da domare. Con foga continuo ad assaporare il suo sapore, stringendola sempre di più contro di me, incapace di tenere il suo corpo distante dal mio.
Abbandono la morsa sul suo collo, cominciando a leccare la ferita che le ho lasciato sulla pelle candida. Raccolgo con lentezza le gocce di sangue che sono scese nell'incavo del suo collo, lambisco nuovamente la ferita, assaporo ancora la sua pelle.
Non posso più farne a meno. Non posso più fare a meno di lei.
Il suo odore, il suo calore. La sua dolcezza, la sua morbidezza. La sua purezza.
I suoi occhi, del caldo color della terra, mi fissano ancora. Non c'è traccia di paura, né di timore alcuno. Non c'è niente. Lo sguardo di Isabella è fisso nel vuoto riflesso nei miei occhi.
Con lentezza misurata, accarezzo la sua guancia soffice. La sua pelle è più liscia della seta, morbida come una pesca. Anzi, di più. E' qualcosa di troppo prezioso, di troppo delicato per le mie mani di pietra. E' troppo calda, troppo viva per le mie dita fredde e morte, che adesso tracciano con delicatezza il contorno roseo delle sue labbra appena dischiuse.
Le ferite sono state molto profonde, e il veleno che le ha infettate è stato abbondante. Anche se non riesco a leggere nella sua mente, posso avvertire quasi il tumulto che dev'esserci dentro di lei, adesso: posso quasi sentire il calore delle fiamme che la divorano da dentro.
Con un gesto rapido ma delicato al contempo, la prendo sollevandola tra le mie braccia, come si farebbe con una bambina piccola. Isabella chiude gli occhi, il suo volto candido sembra segnato dalla stanchezza, i folti capelli scuri sembrano arruffati più del solito, le sue sopracciglia sottili sono aggrottate sulla sua fronte. Con lentezza incrocia le braccia al petto, con un gesto quasi protettivo verso sé stessa. Ed io rimango a guardarla ammaliato: lei, decisa a non mostrarmi la sua sofferenza, nonostante sia una debole e indifesa umana.
Comincio a correre nella foresta, mentre, alzando lo sguardo, mi accorgo che il cielo è ormai scuro, colmo di stelle, su cui domina imponente la figura tonda della pallida luna.
Sfreccio tra le felci, veloce come una folata di vento, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal suo volto. Una piccola smorfia di dolore tradisce il suo sonno apparente.
Non riesco a fermare il sorriso che mi si forma sul volto al pensiero del mio veleno che scorre dentro di lei, mischiandosi al suo sangue. Al suo corpo. Ormai, volente o nolente, sono parte di lei. E lei, senza che lo sappia, è già diventata parte di me. Per sempre.

* * *



Brucio. E c'è dolore. Brucio. E vorrei morire.
Non riesco a pensare a nient'altro che non sia il dolore che provo adesso, in questo momento. Perché da quando Edward mi ha morso, piano piano dentro di me è cominciato a cambiare qualcosa. Si è accesa una piccola fiamma sotto la mia pelle, una fiamma che ha cominciato ad ingrandirsi e ad allargarsi sempre di più.
Il mio corpo ha cominciato a surriscaldarsi dall'interno. Un incendio mi è scoppiato nel cuore.
In quell'inferno, non riesco più a ricordare nulla se non il dolore e il morso di Edward: cerco di rievocare mentalmente il volto del ragazzo, ma una forte ondata di dolore bruciante mi attanaglia la testa. Stringo i pugni, incapace di qualsiasi altro movimento. Il dolore è troppo forte per il mio corpo. Non riesco a sopportarlo.
«Isabella», sento sussurrare piano, al mio orecchio. Per l'ennesima volta.
Non capisco, non riesco a rendermi conto di quanto tempo è passato da quando Edward mi ha morsa, dissanguandomi. Non riesco a ricordare, il dolore è troppo forte, occupa tutta la mia mente, infetta ogni mio pensiero coerente.
«Isabella», di nuovo, quella voce sottile e soffice. Insignificante, in quell'inferno di fuoco in cui si trova il mio corpo e la mia anima. Tutto brucia. Il petto, le braccia, il mio stesso sangue che mi scorre nelle vene sembra olio bollente che mi frigge la carne. Anche le lacrime che sento sgorgare dai miei occhi sembrano lasciare scie di fuoco lungo il mio volto.
«Isabella». Ed è con il suono di quella voce che scivolo di nuovo verso l'incoscenza, stremata dal fuoco che imprigiona la mia mente, la mia anima, il mio corpo.

* * *



Il sole del terzo giorno sta nascendo all'orizzonte.
Sento miei muscoli tesi come corde di violino. La guardo, distesa sull'erba, la rugiada che brilla della luce dell'alba, come tanti piccoli gioielli incastonati tra le foglie verdi dei fiori selvatici. Il vento soffia caldo sul suo viso, tra i suoi capelli.
Immobile, aspetto che si svegli. Perché sento il suo cuore che accelera, quasi alla fine dell'incendio che la sta devastando dentro. E il suo respiro che diviene rapido, irregolare, affannato.
Il suo odore si sparge nell'aria intorno a me, sospinto dalla brezza. Lo inalo, assaporandolo quasi, beandomi della sua dolcezza e della sua unicità. L'odore della sua pelle. Mio.
Il cuore di Isabella palpita ancora, in preda agli spasimi. Si contrae a scatti, lo sento, perde un battito e accelera ancora. Sembra determinato a non voler smettere di battere. Ma ogni pulsazione si fa sempre più debole, stentata. Finché, dopo qualche istante, il cuore di Isabella si ferma. E nella radura, nella nostra radura, adesso si può udire solo il silenzio dell'eternità che avvolge ormai entrambi.
Mi muovo silenzioso verso di lei, con cautela.
Isabella apre gli occhi di scatto. E altrettanto velocemente è in piedi.
La guardo: i miei occhi non hanno mai visto essere più sublime di quello che mi si para davanti. I capelli scuri, lunghi fino alla vita, incorniciano il suo volto perfetto, dalla pelle chiara come la perla, in cui risplendono due occhi brillanti, rossi come la fiamma più ardente. Rimango incantato dalla sua figura così slanciata, elegante, aggraziata anche se immobile come una statua di cristallo.
Un raggio di sole le sfiora il viso. E la sua pelle s'illumina come se fosse fatta della stessa consistenza del diamante. Sulle sue labbra piene, rosse come una rosa, affiora un sorriso. Un sorriso che lascia intravedere i denti bianchi e perfetti e i suoi canini aguzzi.
«Isabella», la chiamo, incantato da lei.
I suoi occhi si accendono di una luce strana. Brillano, insanguinati.
«Edward», dice, riconoscendomi; la sua voce è un armonia perfetta, il suono dello strumento suonato dagli angeli in paradiso, una musica incantevole.
Non posso più resistere: con un movimento istantaneo mi porto di fronte a lei. Respiro il suo odore. Sembra l'essenza di un fiore delicato, zuccherato come il nettare e fresco come l'odore del mare.
Le mie dita sfiorano la sua guancia, soffice come la seta più pregiata.
Le sue labbra si posano con delicatezza sulle mie, saggiandole. Rimango fermo, immobile, in balia di sentimenti e preda di istinti talmente forti e intensi da destabilizzare la mia mente ed il mio corpo.
Isabella si scosta da me, intrecciando lo sguardo di fiamma al mio, dorato.
«Sono viva, adesso».


*In un'altra Vita
   
 
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