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Autore: kayak chan    14/06/2010    4 recensioni
Primo giorno di scuola della Next-Generation, dal punto di vista di Scorpius, un Malfoy che si ritroverà neanche tanto per caso ad avere la possibilità di "cambiare il passato", ripercorrendo i passi del padre al suo primo giorno di scuola, al suo incontro-scontro con Harry e Ron, con Potter e Weasley. Perchè non è detto che il passato debba ripetersi. Primissima storia che scrivo, nervosismo alle stelle, fatemi sapere!!!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Severus Potter, Altro personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I fumi della stazione erano spessi e opprimenti, una fitta muraglia grigiastra che divideva tutti da tutti, creando un senso di isolamento attorno a ciascuno.
Li odiava.
E al tempo stesso gli piacevano.
A causa di quella nebbiolina i particolari del suo viso potevano essere scorti solo a breve distanza, rendendone più difficile il riconoscimento, risparmiandogli le occhiate di disprezzo e timore reverenziale.
Un sacco di problemi e fastidi in meno.
Immerso in quel confuso grigiore poteva lasciare che la sua maschera di perfetto purosangue si crepasse, senza che questo fosse fonte di preoccupazione per lui. Poteva rilassarsi un poco, e non si era mai sentito rilassato in pubblico. C’era sempre qualche aspettativa da soddisfare, regole da seguire, modelli da rispettare. Negli anni la sua finzione si era fatta sempre più pesante, il senso di soffocamento che da sempre l’aveva accompagnata più opprimente.
Eppure, il fantasma delle sue barriere interiori era sempre lì, anche tra quelle sensazioni piacevoli. Etereo. Opprimente. Sempre pronto a ricordargli quella spessa muraglia che fin da bambino aveva eretto attorno al suo cuore, isolandosi da tutti gli altri. Era comoda, ogni tanto: nessuno poteva capire cosa provasse, quali fossero le sue paure, i suoi desideri, nulla. Lui era un mistero per chiunque. Non aveva mai pensato a ciò come ad un problema. Aveva sentito il vuoto, dentro e fuori di sé, ma faceva parte del suo mondo, della sua educazione. Era giusto, in un certo senso. Solo alla fine della guerra si era reso conto di quanto invece fosse sbagliato, di come il suo mondo non fosse altro che un errore caratterizzato da una visione distorta delle cose, di quanto la sua educazione non fosse altro che un immenso sbaglio. Ma era troppo tardi per cambiare. Per cambiarsi. Poteva solo evitare che tutto ciò si ripetesse. Ci aveva tentato in tutti i modi. Ci aveva dedicato la vita negli ultimi undici anni. Eppure…
Guardò suo figlio in piedi accanto a lui. Rigido, composto, serio, come un undicenne che sta per salire per la prima volta sull’espresso per Hogwarts non avrebbe dovuto essere. Solo… nei suoi occhi: un guizzo, relegato in un angolo, invisibile ai più, ma non a lui, che lo conosceva così bene.
Ebbe un flash.
Rivide sé stesso bambino. Rivide quel treno rosso e antico come lo aveva visto la prima volta, quando non vedeva l’ora di salirvici sopra e arrivare finalmente a scuola, la mitica scuola, quel luogo magico che esercitava un incredibile fascino su di lui.
Un fascino di cui non poteva parlare a nessuno.
A testimoniare tutto questo, solo un piccolo guizzo nell’occhio, invisibile, nell’angolo più remoto.
Lo stesso. L’inevitabile frutto di lunghi anni di rigida educazione impartita da nonni inflessibili. Quella battaglia l’aveva persa. Suo figlio era stato cresciuto come un piccolo aristocratico quale in fondo era. Quale avrebbe preferito mille volte non fosse stato.
Sarebbe stato decisamente meglio, per i suoi piani, che tutto ciò non fosse avvenuto. Era una deviazione sul cammino che avrebbe voluto suo figlio intraprendesse. Che suo figlio doveva intraprendere, a tutti i costi. Non era un cambiamento radicale di percorso, ma i suoi effetti a lungo termine non erano calcolabili, poteva rovinare tutto l’equilibrio già di per sé fragile che voleva costruire. Mandare a monte i suoi piani. Non doveva succedere.
Cercò di calmarsi, pensando che, galateo a parte, la loro educazione era stata completamente differente, per temi e metodi.
Eppure in quel momento riusciva a vedere solo le somiglianze. Stessi capelli, stessi occhi, stessa carnagione.
La prima volta che lo aveva visto, appena nato, si era sentito orgoglioso e atterrito. Sapeva che l’aspetto fisico e il carattere erano due cose ben distinte, ma gli sembrava che quelli fossero dei presupposti molto forti. E altrettanto nefasti.
Per qualche attimo aveva pensato di abbandonare il bambino. La paura, il senso di inadeguatezza al compito che si era prefissato avevano avuto il sopravvento. Come avrebbe potuto crescere una persona così uguale a lui in maniera così diversa? Avrebbe finito per diventargli uguale per un semplice fenomeno di assimilazione, la vicinanza con una persona così simile lo avrebbe portato inevitabilmente all’unità anche caratteriale. Non poteva permetterlo.
Era stata sua moglie a venirgli in aiuto.
Astoria era straordinaria, doveva aver capito con una semplice occhiata tutto il turbinio di sensazioni che agitavano il suo animo, e aveva agito.
Prima che quelle idee vaghe potessero prendere forma. Prima che la paura potesse avere il sopravvento. Prima che avesse potuto avere il tempo di voltare le spalle e mollare tutto. Prima che avesse avuto la possibilità di fare il più grosso errore di tutta la sua vita, insomma.
Gli aveva messo in braccio il bambino.
Appena aveva avuto tra le braccia quel corpicino, così piccolo e indifeso, si era reso conto che non avrebbe mai potuto abbandonarlo, neanche per il suo bene. Restava un grandissimo egoista, dopo tutto.
Stringendo a sé suo figlio tutti i pensieri che lo avevano assillato fino a quel momento se ne erano andati, per non tornare.
Inoltre, si era ricordato di quanto avesse sofferto per la mancanza di un padre presente.
Andava bene così: sarebbe stata una differenza nella loro stramaledetta e al contempo benvoluta uguaglianza. Una differenza minima, ma pur sempre esistente. Erano quelle a contare. Piccoli passi verso il suo obiettivo.
Ma sarebbe bastato? Avrebbe tanto voluto poter conoscere subito la risposta, avere una qualche certezza, una prova quasi sicura dell’una o dell’altra cosa. Del suo fallimento o della sua vittoria.
Spostò lo sguardo attorno a sé, esaminando tutta la stazione, quasi a voler trovare lì una qualche risposta. Quasi si aspettasse di veder brillare una scritta gigante. SOLUZIONE. Che scemenza.
I suoi occhi furono però attratti da qualcosa, anche se non brillava affatto. In realtà, se avesse effettivamente brillato non sarebbe cambiato molto, la gente avrebbe comunque continuato a osservarlo con gli occhi pieni di ammirazione, lo sguardo attratto da lui come tante sciocche falene che ammirano la luce. Anche i suoi occhi erano attratti da lui, ma la sua vista non gli suscitava proprio nessuna ammirazione. Disprezzo, più che altro. Fastidio. Irritazione. Odio.
Potter si voltò verso di lui e gli fece un cenno di saluto, che ricambiò velocemente, per poi distogliere lo sguardo.
Non riusciva a sopportarlo.
Anche se gli doveva la vita, il fatto di aver scampato Azkaban e, di conseguenza, quel poco di dignità che aveva comunque conservato dopo le vicende della guerra.
Non era ingratitudine, era semplice odio.
Anche se ormai non c’era più nessun Lord Voldemort con i suoi stupidi ideali a dividerli non era capace di non odiarlo, la sua sola vista riaccendeva in lui gli antichi sentimenti.
Era riuscito a seppellirli per tutti, almeno in parte. Persino la presenza di Weasley gli risultava indifferente, ammesso che non si trovasse a distanza troppo ravvicinata, ovviamente. Ma Potter…non ce la faceva, era più forte di lui, qualcosa di annidato a fondo nel suo animo.
Un altro flash.
Quella nebbiolina doveva fargli decisamente male, troppi ricordi lo colpivano così all’improvviso. Questo, poi, non era decisamente dei migliori.
Ma poteva tornare utile.
-Scorpius- pose di nuovo gli occhi su suo figlio, incontrando così i suoi. Un guizzo di curiosità si era depositato in un angolo, ancora più piccolo e insignificante dell’altro a cui faceva compagnia.
-Vieni, devo parlarti, in privato-
Si avviò verso il fondo della banchina, schiacciato contro la parete laterale, il più lontano possibile da tutti gli altri. Si girò per fronteggiare suo figlio, ma il bambino non aveva mosso un passo: stava scambiando con la madre un abbraccio che nascondeva molto più affetto e calore di quanto non desse a vedere.
Fu raggiunto pochi istanti dopo, con un miscuglio tra un lento avanzare aristocratico e una corsetta lievemente accennata e carica di impazienza.
-C’è un ultimo ricordo che devo ancora condividere con te, prima che tu parta-
Il viso di Scorpius si rabbuiò, caricandosi di un disappunto per niente celato. Nessuno poteva vederli, lì.
-Avevi detto di avermi raccontato tutto!-
-Lo credevo anche io. A dir la verità, non ho mai parlato a nessuno di questo avvenimento, quindi a lungo andare me ne sono quasi dimenticato. Ma credo sia importante, ascolta-
Non poteva sperare in un grado di attenzione maggiore. Il solo fatto di essere l’unico destinatario fino a quel momento di quella confidenza aveva acceso una viva curiosità sul volto del bambino. E un po’ di sano orgoglio. Sano? Poteva l’orgoglio essere una cosa sana? In fondo anche i Grifondoro erano incredibilmente orgogliosi. Quindi, sì, non doveva preoccuparsi per questo. Non troppo.
-Al mio primo anno, prima ancora di essere smistato, chiesi a Potter di diventare mio amico-
Stupore. Puro e semplice stupore, di quello che non vedeva più tanto spesso negli occhi di suo figlio. Era difficile che qualcosa riuscisse a meravigliare così tanto Scorpius Malfoy, ormai. Gli aveva raccontato tutto, ogni minimo particolare dei suoi anni a scuola. Quelli relativi alle sue convinzioni e alla guerra, almeno. Eppure ripensarci stupiva anche lui stesso. Lui e Potter amici? Neanche in una dimensione parallela. Erano fatti per odiarsi. Li avevano fatti per odiarsi.
-Vedi, Potter mi affascinava- lo affascinava? Sì, a undici anni era attratto da lui. Era ancora attratto da lui, anche se non provava più nessun desiderio di avvicinarlo. Si abbandonò ai suoi ricordi di bambino, in modo che le emozioni che aveva provato in quel momento riemergessero dai meandri della sua memoria. Era una cosa che gli riusciva bene. Spesso, quando raccontava, riusciva a rivivere gli attimi passati in un modo così vivido che gli sembrava di essere di nuovo lì. Era la sua tecnica preferita: un immersione completa nel suo vecchio mondo, immersione nella quale cercava di coinvolgere anche Scorpius, il più possibile. Era la soluzione a cui era approdato dopo un lungo periodo di riflessione. Aveva capito che raccontare e basta non sarebbe bastato, non era abbastanza pregnante da far capire veramente a suo figlio a quali conseguenze lo avessero portato tutte le sue azioni fin dall’infanzia. Lui voleva qualcosa di più. Che suo figlio non ripetesse i suoi stessi errori era qualcosa di troppo importante.
L’esperienza gli aveva insegnato che solo dopo averli commessi si possono comprendere i propri sbagli. Ma non poteva assolutamente permettersi che Scorpius soffrisse come aveva sofferto lui. Non doveva succedere, quello era lo scopo a cui aveva deciso di dedicare la vita. Perciò aveva cercato di far “sbagliare” il bambino attraverso la propria esperienza.
-Apparteneva ad una famiglia di purosangue molto antica. Ed era potente, doveva esserlo, se no non avrebbe mai sconfitto Lord Voldemort-
Non un battito di ciglia. Chiunque sarebbe trasalito sentendo pronunciare quel nome con tanta naturalezza. Chiunque si sarebbe stupito non poco nel constatare che su un bambino non aveva alcun effetto. Ma non loro due.
La prima volta che aveva raccontato a suo figlio qualcosa sulle imprese di Voldemort lo aveva visto trasalire e scoppiare in lacrime. Era piccolo, troppo piccolo forse, non solo per capire, ma anche per riuscire a sopportare l’ombra di quella figura che aveva segnato indelebilmente il mondo in cui viveva. Il nuovo odio nei confronti delle famiglie purosangue derivava da ciò che Voldemort aveva compiuto. La maggiore attenzione all’integrazione fra le case derivava dagli immediati sviluppi del dopo guerra. Il senso di perdita e dolore che dopo diciannove anni albergava ancora in tutti era diretta conseguenza di quei fatti. Le vicende della seconda guerra erano una tappa fondamentale che aveva portato all’attuale mondo magico, era importante che Scorpius sapesse, che capisse.
Ciononostante, aveva lasciato passare del tempo prima di parlarne di nuovo, aveva aspettato che crescesse abbastanza, e solo allora aveva affrontato di nuovo l’argomento. Si era immedesimato nel se stesso ragazzo, parlando di quel mago malvagio con lo stesso fervore di quando aveva quindici anni. E uniformandosi alle sue speranze Scorpius non aveva capito. Non era riuscito a far combaciare i lontani ricordi delle malvagità compiute da quell’uomo con ideali folli, con il quasi delirante fervore e la folle ammirazione  che sembrava tributargli ora suo padre. Quando Draco aveva sentito queste perplessità fuoriuscire dalla bocca del bambino si era sentito l’uomo più felice del mondo. Lo aveva stretto a sé in uno dei suoi rari abbracci e gli aveva spiegato la faccenda, gli aveva accennato i suoi errori del passato, del metodo con cui intendeva evitare che si ripetessero. Con un gesto che continuava a stupirlo quando ci ripensava, gli aveva chiesto il permesso di continuare a raccontargli della guerra.
Il bimbo aveva annuito, eccitato.
Da quel giorno, lentamente, gran parte della sua storia l’aveva passata a suo figlio, vedendolo assorbirla avidamente, ma, soprattutto, rinnegare ad uno ad uno tutti i suoi vecchi ideali, convinzioni, pregiudizi.
-Mio padre lo odiava, ovviamente. Diceva che quel ragazzino non era degno di stare al mondo, visto che aveva reso il roseo sogno di un mondo dove i maghi avessero il potere assoluto una mero miraggio, annientando il più grande di tutti. Non me ne fregava niente. Per me Voldemort era un uomo come un altro, con degli ottimi ideali, certo, ma ci avrei pensato io personalmente a far stare i babbani al loro giusto posto. Lui era morto e sepolto, ormai- il suo sguardo si offuscò. Si vergognava moltissimo, ora, di questi pensieri. Il ricordo di averli formulati continuava a tormentarlo, lo faceva sentire fuori posto, in mezzo a tanta gente che aveva capito subito quale fosse la cosa giusta da fare. Abbassò lo sguardo, non riuscendo a sostenere neanche quello di suo figlio: lui era una di quelle persone candide con cui lui si sentiva così indegno di confrontarsi.
Scorpius aspettò paziente che si calmasse, che ritrovasse il controllo di sé, che si rialzasse da un abisso che ogni tanto lo chiamava, facendogli formulare di questi pensieri stupidi: erano sempre e comunque gli altri a essere indegni di rivolgersi a lui, una vocina nel suo cervello si affrettò a ricordarglielo. Lui era un Malfoy e un Black.
-Ciononostante, mi disse che dovevo tenermelo buono, diventargli amico, magari, anche per risollevare il nostro nome in una società che sembrava non reputarci più una completa fiducia. Non me ne fregava niente neanche di questo, sapevo bene come mantenere alto il mio nome all’interno della mia cerchia di amici, e tanto bastava. Non fu per mio padre che mi avvicinai a Potter, fu solo per me stesso. Lo volevo a tutti i costi tra i miei amici: sapevo che sarebbe potuto tornarmi utile. C’era solo un piccolo ma determinante dettaglio: sul treno aveva conosciuto un pezzente Weasley e sembrava non volersene staccare. Non potevo certo accettare lui come amico, non era né interessante né avrebbe potuto rivelare una qualche utilità futura. E Potter non poteva certo rinnegare la sua nuova conoscenza. Non c’è mai stata scelta, non avrebbe mai potuto accettare, era tutto già scritto, predeterminato-. Tutta la sua vita era già stata scritta e predeterminata, nel momento stesso in cui sua madre lo aveva messo al mondo, nell’esatto istante in cui avevano iniziato a fare di lui un perfetto aristocratico. Non aveva mai veramente potuto scegliere, tutta la sua vita si era spiegata su unica strada diritta, l’unica percorribile, che dalla sua nascita lo portava senza intoppi ai suoi sedici anni, al suo dolore, a tutto ciò che non avrebbe mai voluto si ripetesse. Abbassò nuovamente lo sguardo, chiudendosi nella sua sofferenza, quella sofferenza che non accennava ad abbandonarlo, dopo tutti quegli anni. La consapevolezza di ciò che aveva fatto. Un segno indelebile.
Rimase così a lungo, in silenzio, ripiegato in se stesso.
-Devo andare-. La voce di suo figlio gli giunse come da molto lontano, persa nella nebbia della stazione e dei suoi ricordi, resa flebile da quelle barriere confuse. Non si era neanche accorto che il treno avesse emesso i primi fischi di avvertimento.
-Mi mancherai, papà-. Le piccole braccia di suo figlio si strinsero attorno a lui, in un tenero abbraccio che ricambiò immediatamente.
Scorpius era tutto. Il motivo per cui continuava ad andare avanti, la ragione per cui il suo dolore tornava a tormentarlo sempre meno di frequente. Un giorno, forse, con la sua dolcezza infantile, sarebbe riuscito a liberarlo quasi completamente.
Scorpius era la cosa più bella e importante della sua vita, per questo era fondamentale vivesse felice, senza sperimentare ciò che aveva provato lui.
Scorpius doveva sentirsi amato e protetto, una cosa che era difficile ritrovare nelle grandi famiglie aristocratiche. Gli aveva raccontato quel ricordo per un motivo preciso, sperava capisse.
-Corri. Chi la sente poi, tua madre, se perdi il treno?- due piccoli sorrisi si aprirono simultaneamente sui loro volti, poi il bimbo corse via, verso quella tanto sognata locomotiva rossa.
-Non è detto che il passato si ripeta-.
Non lo aveva urlato né sussurrato. Neanche lui sapeva se voleva essere sentito o era una semplice frase per calmare l’agitazione che da qualche giorno a quella parte lo tormentava senza sosta.
Era un momento importante, il primo anno di scuola, il primo anno lontano dalla propria famiglia, il primo anno nel mondo vero, il primo anno dove avrebbe potuto verificare la vanità o la riuscita dei suoi sforzi. E se avesse fallito? Se Scorpius fosse stato trascinato nel vortice delle arti oscure da qualche suo compagno figlio di nostalgici? Se così si fosse ritrovato immancabilmente dalla parte sbagliata, dalla parte di chi perde, dalla parte di chi soffre, senza avere il coraggio di opporsi?
-Andrà tutto bene- Astoria gli pose una mano sul braccio.
-Si troverà benissimo, vedrai, è molto simile a te, in fondo-
-Astoria…-
-No, sai cosa intendo: tu eri un leader a scuola, tutta la casa era ai tuoi piedi-
-Non mi ha portato un gran bene, nella vita-
-Draco, ne abbiamo già discusso, mi sembra, negli ultimi diciassette anni. Fino alla nausea, direi. La tua vita ti ha portato a me e a Scorpius e non venirmi a dire che ti sei pentito di ciò-.
Lo guardò con un cipiglio severo, anche se divertito in fondo. Aveva ragione, quel discorso lo avevano affrontato a più riprese, da quando si erano fidanzati veramente. Non era mai stato capace di dirle che si era pentito di averla sposata, sarebbe stata una bugia troppo grossa anche per lui.
La donna addolcì l’espressione e strinse di più la presa sul suo braccio. Era calda e rassicurante.
-Draco, so quanto hai sofferto per il dolore che ti è stato inflitto, e per quello che hai provocato. So quanto sia stato duro per te aprire gli occhi e voltare le spalle ad anni di ideali e convinzioni. Ma è un qualcosa che Scorpius non potrà mai provare. Abbiamo, hai, fatto un ottimo lavoro con la sua educazione, davvero. Non è malvagio, non potrebbe esserlo: non ha pregiudizi, non ha stupide idee sulla purezza del sangue. È questo che conta, non il fatto che sarà un’ottima Serpe-.
Un sorriso birichino si aprì sul volto di sua moglie a quell’ultima parola. Sul suo si aprì solo un’espressione di sconcerto e terrore.
-No, lui non…-
-Sarà una Serpe tagliente, ironica e un po’ troppo sicura di sé. Ribelle. Sensibile. E molto furba. E se ho interpretato bene le tue intenzioni amico del figlio di Potter?-
-Non sono cose che hanno molto senso messe tutte insieme-. La spensieratezza della moglie lo stava contagiando, anche se solo in parte. Riusciva ad intravedere di nuovo degli sprazzi di felicità, in mezzo alle preoccupazioni che lo circondavano pressanti.
-Bhè, ne avranno uno, te lo assicuro. Nostro figlio si troverà benissimo tra i suoi compagni Serpi-. Aveva calcato l’ultima parola con fare provocatorio.
-Astoria…- ma le sue proteste si spensero nella lieve risata della moglie.



Dove accidenti era andato a finire il suo coraggio Serpeverde? No, un attimo, i Serpeverde non erano affatto coraggiosi. Sfacciati? Non gli sembrava di ricordare che fosse tra le caratteristiche principali. Sicuri di sé? Forse, ma era un aspetto secondario.
Una parte del suo cervello si rendeva conto che tutto ciò era ridicolo, che stava solo ammassando una scusa più improbabile dell’altra pur di non aprire quella dannata porta. Il problema era che a dominare in quel momento era decisamente tutt’altra parte del suo cervello, e quella si beava di quelle stupide giustificazioni.
Orgoglio. Doveva tirare fuori il suo orgoglio. Di quello ce ne avevano eccome le Serpi.
Benissimo, trovato il motivo per cui doveva assolutamente aprire quello scompartimento.
Allora perché la cosa non lo rendeva affatto felice?
Guardò sconsolato la porta a vetro opaco che si stagliava proprio di fronte a lui. Di ciò che c’era dentro poteva distinguere solo delle ombre, tante ombre, una selva confusa di sagome che si muovevano in continuazione, occupando tutta la visuale. Erano decisamente in troppi. Suo nonno aveva assolutamente ragione quando diceva che gli Weasley si riproducevano come conigli.
Suo nonno diceva anche che vivevano come scimmie, mangiavano come maiali e odoravano come puzzole.
Forse ricordare le idee di suo nonno in quel momento non era la cosa migliore da fare.
Eppure il suo cervello si aggrappò testardamente a quel pensiero, perché pensare ad altro evidentemente non gli dava la possibilità di aprire quella maledetta porta.
Ricordò il modo con cui suo padre terminava sempre quegli sproloqui. Devono essere molto esperti di animali, allora. Un commento fatto sempre con la stessa intonazione, un po’ ironica e un po’ infastidita. Neanche a suo padre piacevano gli Weasley, era impossibile non accorgersene, eppure lo aveva spedito dritto dritto tra le loro grinfie, senza fare storie. Non per il momento, almeno.
In effetti, non lo aveva mandato da un Weasley, non di cognome.
In effetti, lo aveva mandato da uno il cui cognome era ancora peggio, guardando dal punto di vista di suo padre.
Potter.
Niente meno  che il figlio del salvatore di tutto il Mondo Magico, del Bambino-che-è-sopravvisuto, di colui che aveva affrontato Voldemort per ben sei volte in diciassette anni, del capo del dipartimento Auror dell’Intera Gran Bretagna, dell’uomo la cui foto giganteggiava all’entrata del Ministero della Magia, scrutando chiunque entrasse con i suoi profondi occhi verdi. Una leggenda.
Lo aveva intravisto quella mattina, in stazione. Uno sguardo veloce, ben attento a non farsi notare.
Ammirava molto quell’uomo, ma allo stesso tempo non voleva puntargli gli occhi addosso, esaminarlo con lo sguardo, fargli una radiografia visiva che non avrebbe portato assolutamente a nulla. Tutto quello che aveva fatto chiunque altro in quella stazione, insomma.
Avrebbe potuto dire che non l’aveva fatto per non far sentire il signor Potter a disagio, non sarebbe stata neanche poi così tanto una bugia, ma la verità era che tutti gli altri lo avevano squadrato, e lui non era tutti gli altri.
E questo, probabilmente per sua fortuna, lo riportò al suo orgoglio e al problema più pressante di quel momento, dopo essere partito per la tangente per altri cinque minuti buoni. Dopo aver perso altri cinque minuti buoni.
Eppure il problema di quello scompartimento non era le origini di chi lo occupava.
Salendo sul treno si era preparato già tutta la scena: lui che si infilava nel primo scompartimento libero, mollava gufo e baule a suo cugino, si defilava con una scusa e cercava di capire dove potesse essersi cacciato il piccolo Potter.
E fin qui, tutto bene. Ci aveva messo pochi minuti ad individuare il suo scompartimento, e poteva dire che fosse esattamente da ciò che erano derivati tutti i suoi problemi.
La ricerca era durata pochissimo perché aveva quasi rischiato di essere travolto da due ragazzini mori, passando davanti ad una delle porte del treno. Seguendoli con lo sguardo per poter imprecare meglio al loro indirizzo, li aveva visti precipitarsi dentro ad uno scompartimento poco più avanti, dove una testa rossa era spuntata per accoglierli: un’inconfondibile testa Weasley. E lì era arrivata la mazzata, diritta diritta sui suoi buoni propositi, che consistevano nel passare “casualmente” davanti a quello scompartimento, notare dei posti liberi e sedercisi, con la scusa che non sapeva dove altro andare, il treno era tutto pieno. Da lì all’attaccare bottone col figlio della nemesi di suo padre era un altro discorso, non sapeva neanche come l’avrebbe presa, ma riuscire nel piano sarebbe stato già un passo avanti. Sarebbe stato.
Nel coro di voci che aveva accolto i due nuovi venuti aveva colto, chiaro e tragico, un inequivocabile: “Finalmente! Ora la famiglia è proprio al completo” .
No, forse il tono calcato sul proprio ce l’aveva aggiunto lui dopo.
Forse anche il tono di scherno con cui si ripeteva incessantemente quella frase da che l’aveva sentita pronunciare era una sua personalissima aggiunta.
Forse il proprio stesso non era mai stato pronunciato ed era tutto un parto della sua mente, sentitasi ferita e presa in giro da quella frase.
In ogni caso, la sostanza non cambiava: i suoi buoni propositi erano morti così, nel giro di otto o sette parole, ormai più di mezz’ora prima.
Mezz’ora?! Lui era stato lì fermo immobile per mezz’ora?!
Bhè, non era proprio rimasto immobile, si era avvicinato sempre più allo scompartimento.
Scuse.
E pure belle ridicole.
Se non altro, all’imbarazzante velocità di un passo ogni tre minuti, era riuscito finalmente ad arrivare di fronte a quella porta. Ora era lì, proprio davanti a lui, alla distanza di mezzo braccio.
La distanza giusta per alzare una mano chiusa a pugno e bussare.
Come in trance alzò quella mano, ma non bussò. Rimase fermo, immobile. Di nuovo. Le nocche a pochi millimetri dal quel vetro opaco, ma abbastanza lontane da non sfiorarlo nemmeno con i tremolii che avevano colto il suo braccio nel momento stesso in cui aveva iniziato ad alzarlo.
Codardo.
Neanche poi così tanto, si schernì.
Tra tutti i pensieri con cui aveva ingannato la sua mente in quella mezz’ora, chiudendo gli occhi per non vedere l’abisso della sua codardia, uno lo aveva colpito perché inequivocabilmente vero, inattaccabile da tutti i punti di vista. Vi si era aggrappato per salvare la faccia davanti al suo orgoglio.
Entrare in uno scompartimento e chiedere a qualcuno di diventare proprio amico non era un modo naturale per cominciare un’amicizia. Prima, solitamente, c’era una casuale scoperta di interessi comuni, un incontro casuale, un casuale susseguirsi degli eventi per cui due persone si ritrovavano bene o male nella condizione di potersi conoscere e parlare.
Lui si stava affidando alla pianificazione.
E al cognome.
Per undici anni gli avevano insegnato che il nome di un mago non contava nulla, che la sua famiglia di appartenenza non era altro se non una presenza fumosa e insignificante. Eppure lui era davanti a quello scompartimento spinto solo e semplicemente da un cognome. Non sapeva niente di quel ragazzino se non che si chiamava Potter e assomigliava in maniera impressionante a suo padre.
Eppure era attratto da lui.
Per un semplice cognome.
Come un idiota qualunque, spinto dal desiderio di conoscere cos’era la fama, almeno di riflesso.
Idiota.
Fortunatamente per la sua autostima, non ebbe il tempo di auto-insultarsi oltre.
Il cigolio di meccanismi di scorrimento arrugginiti, il rumore secco del legno sbattuto, il vibrare di un vetro scosso.
E arrivò una seconda mazzata.
-Oh oh oh, ma chi abbiamo qui! Che grazioso serpentello, vero Louis?-
-Già, un vero amore. Quanto rimpiango di non aver comprato quel magnifico falcone! Avrei dovuto immaginarlo che tutti i miei problemi sulla sua alimentazione si sarebbero rivelati inutili! -
-E io che ti avevo detto? Hogwarts è infestata da malefici rettili pronti per essere serviti, la scomparsa di uno o due di loro nello stomaco di quel magnifico esemplare non avrebbe desato alcun sospetto!-
-Se non altro, io non li avrei pianti di sicuro!-
Due ragazzi. Uno ben piazzato, corti capelli neri sparati in aria, pelle leggermente ambrata e cosparsa di lentiggini quasi invisibili sulle guance, ma due occhi color azzurro chiarissimo che risaltavano in mezzo a quella pigmentazione scura della pelle. Era uno dei ragazzi che lo avevano quasi travolto quella mattina.
L’altro era più alto, lunghi capelli rossi gli incorniciavano il viso, anch’esso cosparso di lentiggini, questa volta ben visibili sulla pelle chiarissima, gli occhi marroni scuro strizzati in un espressione di sospetto e profondo disprezzo.
Erano entrambi più grandi di lui, portavano gli stemmini delle loro case ben in vista sul petto: entrambi Grifondoro, il simbolino del secondo era affiancato anche da una spilla da prefetto.
-Allora?-
Lo incalzò il rosso, ma Scorpius era troppo sconvolto per emettere un qualsiasi suono potesse avere un senso.
Perché i suoi desideri dovevano avverarsi sempre nei modi più strani ed inopportuni? Aveva sperato sì che qualcosa sbloccasse quella dannata situazione in cui si era andato ad infilare, ma non così bruscamente! Quei nuovi risvolti non gli piacevano proprio per nulla.
-Avanti! Cos’è, ti sei accorto che siamo un po’  troppi per te? Tuo padre non ti ha insegnato che quando vuoi andare in giro ad attaccare briga devi portarti almeno due scimmioni senza cervello per farti da scorta?-
Tuo padre. Aveva detto tuo padre. E ci aveva azzeccato in pieno, era sicuramente lui quello che a scuola andava sempre in giro con due guardie del corpo. Tiger e Goyle, glielo aveva raccontato.
Il suo cervello atrofizzato dallo shock si rese conto solo in quel momento che lo avevano riconosciuto con assoluta facilità, e probabilmente dal primo momento in cui l’avevano visto. Così almeno si spiegavano i serpentello e il disprezzo. Certamente, gli Weasley non erano i tipi da disprezzare chiunque dopo una sola occhiata, era un privilegio riservato a loro soli Malfoy.
Per la prima volta capì suo padre, quando tratteneva una smorfia mentre gli osservava i capelli, lanciando un’occhiata di rammarico verso la chioma di sua madre, di un biondo grano, ben più scuro. Oppure quando, fissandosi negli occhi, poteva vedere i suoi incupirsi, non contenti di specchiarsi nel loro medesimo grigiore.
Per la prima volta avrebbe desiderato mille volte essere figlio di chiunque altro e, nello stesso istante, esattamente se stesso più che in ogni altro momento. Maledisse la sua carnagione pallida da Malfoy e allo stesso tempo si aggrappò a quel cognome con più forza. Il suo cervello si rifiutava categoricamente di rinnegare le sue origini, anche se ciò avrebbe reso tutto più semplice, perciò, confuso da quel miscuglio insensato di sensazioni, rimase ancora in silenzio.
-Insomma, tira fuori quella linguetta biforcuta, spara fuori i tuoi insulti e poi vattene! Oppure vattene e basta, che fai un favore a tutti quanti-
-Tu invece vedi di fare un favore a me e tappati quella boccaccia una buona volta!-
Scorpius rimase un attimo interdetto, chiedendosi se non fosse stato lui a parlare senza rendersene conto. Perché quelle cose, se non fosse stato paralizzato dallo shock e dalla consapevolezza di non essere interamente nel giusto o, quanto meno, nel razionalmente spiegabile, le avrebbe probabilmente dette lui. La voce però non era la sua, ne era sicuro. Era una voce da ragazza, poté verificarlo quando la sentì continuare.
-Possibile che non riesca a liberarmi della tua fastidiosissima voce neanche a scuola? Senza contare che non fai altro che sparare idiozie!-
-Idiozie?! Da che pulpito! Ha parlato il genio della famiglia!-
-Non sforzarti a fare del sarcasmo, il tuo unico neurone potrebbe risentirne! E chiedi immediatamente scusa! E anche tu!-
-Ehi, ma chi credi di essere per darci ordini! Fino a prova contraria sono i nani come te ad ascoltare i nostri consigli e fare come diciamo noi più grandi-
-Certo, così ci ritroviamo a dare addosso al primo che capita solo perché è un po’ troppo pallido! Che idiozie! Dimentica tutto quello che hai sentito da questi due dementi, va bene?-
Capì con qualche secondo di ritardo che si stava rivolgendo a lui, ma rimase comunque in silenzio, sconvolto. Una piccola parte del suo cervello avanzò l’ipotesi che gli si fossero fuse le corde vocali. Si limitò ad alza gli occhi sulla ragazzina, osservandola. Aveva i capelli neri e ricci, lasciati  cadere sul viso e le spalle in piccoli boccoli disordinati. Anche la sua pelle era leggermente scura e stranamente naso e guance sembravano essersi salvati da uno dei più classici segni di riconoscimento di tutti gli Weasley: le lentiggini. Ma ciò che lo colpì di più in lei furono gli occhi, neri e vispi, che lo fissavano amichevoli. Si sentì leggermente riscaldato da quello sguardo, così diverso da quelli che aveva intravisto sui volti dei due ragazzi poco prima. Le osservò anche la divisa, nuova di zecca: non aveva nessuno stemma cucito sul petto.
-Allora? Dai parla, non sono una tipa molto paziente! Mi chiamo Roxanne, in ogni caso. Roxanne Weasley, e tu?-
Poté giurare di aver sentito un lieve cigolio in gola quando aprì la bocca per parlare. E contro gran parte delle sue aspettative ne uscì un suono comprensibile.
-Scorpius. Scorpius…Malfoy-
Abbassò di nuovo gli occhi.
-Scorpius, ho sentito nomi migliori, sul serio, ma niente di personale. Non credere di essere il più sfigato, comunque, poteva andarti molto peggio! Prendi mio cugino, ad esempio-
Quale? Pensò. C’erano quattro ragazzi in quello scompartimento. Il più piccolo tra loro, però, fece una smorfia e roteò gli occhi al cielo, in un’espressione esasperata. Lo riconobbe all’istante, perché lo aveva già visto, quella mattina, in stazione, vicino a quell’uomo che era una leggenda vivente. E infatti:
-Ti presento il mio adorato cuginetto Albus Severus Potter!-, poi Roxanne scoppiò in una sonora risata.
Il ragazzino voltò gli occhi verdi su di lui e Scorpius lo sentì incredibilmente vicino. I suoi occhi, i suoi capelli neri tutti scarmigliati, anche la forma del viso, un po’. Gli mancavano solo la cicatrice e gli occhiali, poi ne sarebbe stata la copia perfetta. Lo sentì accomunato a sé, sentì che in un certo senso condividevano lo stesso peso di una somiglianza fin troppo pressante, accompagnata da un cognome che aveva troppi significati. Anche se in due sensi opposti. Anche il ragazzino, Albus, dovette provare le stesse cose, perché gli porse la mano, con un sorrisetto rassegnato:
-Tu se non altro non porti i ridicoli nomi di due maghi fin troppo grandi e famosi-
Già, c’era solo il nome di Mangiamorte che pendeva come un’oscura minaccia sul suo capo, ma poteva capire cosa dovesse significare portare gli stessi nomi di Albus Silente e Severus Piton, il carico di aspettative che chiunque doveva avere nei confronti di quel povero undicenne. Gli strinse la mano, e sentì il calore della comprensione attraversargli il braccio e giungere fino al cuore. Forse diventare amico del giovane Potter sarebbe stato più facile del previsto.
Ovviamente, qualcosa, o meglio qualcuno, tornò a ricordargli tutti i guai della sua breve vita.
-Adesso ti metti anche tu a fare comunella con le serpi Al? Ma ce n’è uno con un neurone sano in questa famiglia?!-
-Se c’è non sei di certo tu, caro fratellone! Ho il dispiacere di presentarti Fred Weasley, alias “il re dei dementi”- Roxanne gli indicò il moro dalla pelle scura, quello che lo aveva accolto e che gli aveva appena parlato, con una smorfia gigantesca. Per tutta risposta quello le fece una linguaccia.
-Basta voi due, siete insopportabili in coppia!-
-Lui anche da solo-
-Rox! Calmiamoci tutti quanti- una ragazza bionda dai profondi occhi blu si alzò in piedi. Doveva essere la più grande del gruppo di cugini, perché tutti si zittirono e si voltarono verso di lei. Sul petto lo stemma di Grifondoro e il distintivo da Caposcuola.
-Allora: Louis, Fred chiedete scusa, e non voglio sentire storie-li anticipò con aria severa-state facendo a questo bambino esattamente ciò che tanto disprezzate e vi aspettate da lui: lo state giudicando per il suo sangue, un comportamento davvero ammirevole, no?-i due arrossirono, poi biascicarono uno “scusa” molto poco convinto al suo indirizzo, ancora diffidenti-Roxanne calmati e non gridare, mi fai scoppiare la testa, e, tu, Scorpius, puoi rimanere qui, se vuoi, anche se non sta a me decidere visto che me ne vado, ho dei doveri e delle amiche a cui mi avete sottratta fin troppo. Tanto suppongo non cercassi me, no?- Scorpius scosse la testa, di nuovo troppo scombussolato per articolare suoni distinti, e la ragazza se ne uscì, scoccandogli un sorriso dolce.
-Eh no, accidenti, non ha finito di spiegarci tutta la faccenda!- saltò su il biondo, Louis, seguendola a ruota fuori dallo scompartimento.
-Ehi, aspettami!-era il moro, Fred-Sono curioso anche io!-poi, rivolto a lui-Ti tengo d’occhio, sappilo-
-Ci sono anch’io!- e un ragazzino moro del Grifondoro si catapultò dietro agli altri due.
Le reazioni dei ragazzi rimasto all’interno dello scompartimento furono differenti: Roxanne alzò gli occhi al cielo facendo gesti esagerati e sillabando un “grazie, grazie” aprendo la bocca all’inverosimile; Albus invece scosse la testa con espressione disgustata, biascicando un qualcosa che suonava molto come “cagnolino da riporto”; una ragazza un po’ più grande di loro, anche lei Grifondoro, da evidente buona tradizione familiare, espresse al contrario ad alta voce il suo disprezzo per “quegli stupidi ficcanaso”, uscendo poi dallo scompartimento salutando i cugini. La sua testa rossa (altra buona tradizione familiare) riapparve pochi attimi dopo.
-Scusa, non mi sono presentata. Molly, piacere- gli strinse la mano, quindi scomparve di nuovo.
-Bene, io invece mi chiamo Dominique e ora scappo, ci si vede- una ragazzina bionda, l’ennesima, manco a dirlo, Grifondoro, infilò velocemente la porta.
Scorpius si accasciò su un sedile, anche se nessuno lo aveva invitato a sedersi. Al diavolo le buone maniere, aveva bisogno di un attimo di calma: troppi avvenimenti, troppe parole, troppe persone. Sì, decisamente, troppe persone e tutte assieme. Se ne era andata un mucchio di gente, eppure erano ancora in quattro: lui, Albus, Roxanne e una altra ragazzina, anche lei del primo anno. Aveva lunghi capelli rossi abbastanza mossi e profondi occhi marrone chiaro screziati d’oro. Le sue guance, manco a dirlo, cosparse di lentiggini, assunsero un violento colore rosso quando si accorse che la stava osservando.
-Lei è Rose, la mia altra metà. Infatti io parlo e lei è muta- disse Roxanne, con una piccola risata che fece arrossire ancora di più la rossa.
-Non è vero che sono muta- cercò di ribattere, con voce flebile.
-Cosa hai detto? Non ho sentito, parla più forte!- e giù altre risate.
Scorpius osservava quelle scenetta leggermente intimorito. Si sentiva fuori posto, quasi nella vita di qualcun altro che non c’entrava proprio nulla con lui.
Albus doveva essere un ragazzino molto perspicace, perché sembrò accorgersene.
-Non ti preoccupare, fanno sempre così, da che sono nate. Il fatto è che sono completamente opposte, eppure proprio per questo sono inseparabili-
-Certo che siamo inseparabili! Insomma, non sarebbe mica sano se andassi in giro senza il mio cervello, o se lei avesse voglia di intervenire e non avesse la forza per farlo-
-Non ti seguo- ammise stranito.
-È semplice, ci completiamo: lei pensa, io agisco, siamo le due metà di una persona sola divisa per sbaglio. E pure malamente, a dire il vero! Ma che hai da scrutarci a quel modo?-
Scorpius abbassò la sguardo, imbarazzato. Lo avesse visto sua nonna. Un bravo purosangue non si lascia mai andare a reazioni esagerate, in nessun senso, e, soprattutto, mantiene un’aria impassibile e distaccata in qualsiasi situazione. Non che sovvertire certe regole non fosse all’ordine del giorno per lui, soprattutto se c’era suo padre nelle vicinanze. Sembrava che provasse un gusto perverso nel gridare per le innumerevoli stanze del Manor, tentando di farsi sentire da un capo all’altro di quelle sterminate sale.
-Scusa. Solo…non sembrate affatto gemelle!- e giù risate. Ma rideva sempre quella ragazzina? Sembrava addirittura essere diventata isterica, rideva sguaiatamente mezza stesa sul sedile di fronte a lui, agitando le braccia quasi in faccia alla rossa, che si spostò un po’ esasperata e un po’ seriamente preoccupata per la salute del suo naso. Era così presa dalla sua ilarità che toccò ad Albus rispondere.
-Infatti non lo sono! Semplici cugine, è una pura coincidenza se sono venute fuori così complementari-
-Ah, capisco-
-Non ti preoccupare, il nostro albero genealogico è un casino. A volte mi chiedo chi glielo abbia fatto fare a nonna Molly di mettere al mondo così tanti figli-
-Semplice, così ognuno ha più gente da tormentare e, automaticamente, che la tormenti!- s’intromise Roxanne. Scorpius assunse un’espressione interrogativa. Più ascoltava i loro discorsi, meno li capiva. Si sentì molto fortunato ad avere un solo cugino.
-Niente di importante. Ricordi la prima ragazza che è uscita, quella bionda, la più grande? Lei è mia cugina Victoire. Oggi mio fratello James, quello moro che se n’è andato scodinzolante dietro a Fred, hai presente? Lui, comunque, l’ha vista che si baciava con Teddy, il figlioccio di mio padre. Ovviamente ha iniziato a darle il tormento, assieme agli altri compari, per questo motivo eravamo tutti riuniti in questo scompartimento. Ci hai capito qualcosa?-
-Abbastanza-
Sì, decisamente abbastanza da ripromettersi di accendere un cero a sua nonna che non aveva messo al mondo altri figli all’infuori di suo padre. Non avrebbe mai pensato di poterla considerare una santa donna. Decisamente suo padre ci aveva visto giusto: conoscere i Potter-Weasley gli stava cambiando la vita.
-Nessuno di voi ha fame?-
-Rox, sei una fogna!-
-Ho bisogno di energie: litigare con mio fratello è estenuante!-
-A proposito: grazie- sorrise sincero.
-Di nulla, mi hai dato un’ottima scusa per togliermi dai piedi quel deficiente umiliandolo un po’. Si può dire che sia io a doverti un favore- ridacchiò. Iniziava a piacergli quella risata, così serena, spensierata, spontanea e, soprattutto, fatta alla luce del sole, senza bisogno di nascondersi o aspettare di essere lontani da tutti. Aveva sempre considerato le risate qualcosa di esclusivo, privato e prezioso. Pensava che un loro abuso lo avrebbe infastidito, e invece no, gli piaceva, lo rilassava.
-Ma insomma avete fame o no?!-. un sonoro gorgoglio di stomaco insoddisfatto sottolineò quelle parole, e allora risero tutti. Ma solo perché più frequenti, le risate non si rivelarono essere meno magiche: quando si calmarono e uscirono per comprare qualche leccornia dal carrello, si rese conto che avevano condiviso qualcosa di bello e importante, proprio come quando ridacchiava con suo cugino, nascosto in qualche angolo della grande casa dei nonni materni, oppure scambiava un sorriso con suo padre. Aveva solo trovato altre persone che riuscissero a renderlo felice ed era stato decisamente più facile di quanto si fosse mai immaginato.
Il pomeriggio passò velocissimo. Chiacchiere sul Quidditch, sulle materie scolastiche, sui parenti, addirittura, ma senza che venissero fuori tutti i vecchi rancori che aveva tanto temuto. Vide Albus rimanere affascinato davanti alla sua Comet 400, l’ultimo modello di scopa in commercio, ovviamente, e ricevette una pacca sulla spalla da Roxanne per il suo evidente sprezzo delle regole. Perfino Rose si sciolse, dopo qualche tempo, lanciandogli dapprima occhiate torve mentre celava per bene la scopa in mezzo a strati e strati di libri e vestiti, in modo che nessuno la scoprisse, entrando poi attivamente nelle conversazioni, partecipando, ridendo. Divertendosi. Scorpius Malfoy si divertì come mai in vita sua, in compagnia di Albus Potter, Roxanne Weasley e Rose Weasley. Fantascienza.


Sentiva freddo. Era inizio settembre, aveva fatto caldo per tutta la giornata, ma ora lui sentiva freddo. E, in tutta onestà, non poteva veramente ricondurre questa sensazione solo alla temperatura dell’aria che lo circondava.
Ma l’aria c’entrava, eccome.
Tutto quell’umido, quel sentore di qualcosa di appiccicaticcio, quasi malsano. Poteva vedere le goccioline d’acqua scendere lungo le scure pareti di pietra, ma forse era solo una sua impressione, un gioco creato dalla strana luce verde che filtrava dalle finestre, gettando cupe ombre nelle immediate vicinanze, senza riuscire ad infilarsi più a fondo nella camera, lasciando tutti gli angoli immersi nel buio più profondo.
Delle gocce c’erano, però, dove lui non poteva vederle. Ma le sentiva, le sentiva scorrere sulla sua pelle, rigargli le guance, traditrici.
Sapeva che erano lacrime inutili e ingiuste.
Sapeva che le sue erano paure stupide.
Eppure non riusciva a liberarsene, di nessuna delle due cose.
Poteva solo starsene rannicchiato, schiacciato contro la testiera del suo nuovissimo letto a baldacchino, a guardare le crepe sui mattoni, delineate da quella inquietante luce verde. Aveva spento tutte le candele, entrando, sperando di riuscire a rimanere nell’oscurità più completa. Era finito in dei maledetti sotterranei, in fondo, almeno questo gli sembrava un desiderio realizzabile. E invece no, la camera, come anche la sala comune, del resto, era fiocamente illuminata da quella luce innaturale.
Aveva cercato il buio per poter sentire veramente la sensazione di solitudine di cui aveva bisogno, per fare i conti con se stesso, mettersi il cuore in pace, o semplicemente capire che non c’era più niente da fare. Si ritrovò a dare la colpa a quella maledetta luce verde se non c’era ancora riuscito, era molto più facile che non ricercarla dentro di sé.
Sapeva che il problema era tutto dentro di lui e che, per di più, non aveva nessuna ragione di esistere, non dopo ciò che gli aveva detto suo padre. Eppure non riusciva a convincersene appieno.
Restava fermo, piegato, al buio, incapace di trovare una soluzione e di uscire da quel circolo vizioso che lo faceva stare male qualsiasi cosa si ritrovasse a pensare.
Sapeva che il solo farsi tutti quei problemi lo poneva in quel vasto gruppo di prevenuti pieni di pregiudizi, ma questo non bastava.
-Al sei qui vero?-
La porta si spalancò, rivelando la figura di un altro ragazzino. Il suo corpo era proprio davanti alle fiaccole che illuminavano il corridoio, perciò non riusciva a distinguerne il volto, di lui vedeva solo una sagoma d’ombra.
Ma avrebbe saputo chi era anche se non avesse parlato.
L’unico in quella casa che lo avesse accolto con vero affetto. L’unico che avrebbe mollato una festa che si prospettava favolosa e, soprattutto, aveva tenuto a specificare Michael Hirst, prefetto del quinto anno, peccaminosa, per venirlo a cercare. Scorpius Malfoy.
Il ragazzo sulla soglia sbuffò, mentre richiudeva piano la porta, lasciando di nuovo fuori la luce, quella calda e accogliente delle fiaccole, almeno. La fredda luce verde non abbandonava mai nessuno, sospettava, in qualunque luogo si trovasse all’interno di quella casa.
Sentì il rumore di qualcosa che si appoggiava contro del legno, i pali dei baldacchini, forse, e vi scivolava sopra, per poi staccarsi per pochi secondi e ripetere la stessa operazione da capo, su un altro palo.
-Tanto lo so che sei qui, puoi anche fare che rispondermi. Terzo letto a destra a partire dalla porta, giusto?-
Mugugnò, in senso affermativo. Per la quarta volta la mano di Scorpius sfregò contro il legno di un baldacchino, poi di nuovo lasciò la presa. Ma la volta successiva, assieme alla mano che tastava il legno per assicurarsi di essere arrivato, sentì anche il materasso sotto di lui piegarsi leggermente e la coperta frusciare, smossa dal corpo del biondo.
-Mettila così, in quella torre non avresti mai potuto rintanarti a questo modo, la luna e le stelle stanotte illuminano il cielo a giorno, altro che il buio più completo che sembra piacerti tanto!-
Doveva essere una battuta, un tentativo per rallegrarlo, ma tutto ciò che gli riuscì di pensare fu che in quella torre non avrebbe mai avuto il bisogno di rintanarsi, perché semplicemente si sarebbe sentito felice, a suo agio, nel posto giusto. Nessuno, nessuno tranne quello stupidissimo cappello credeva davvero che quella casa fosse il posto giusto per lui. Aveva visto l’intera scuola ammutolirsi quando ne era stata gridato il nome, centinaia di studenti sturarsi le orecchie e scambiare occhiate perplesse coi vicini mentre quella parola rimbombava sulle lunghe pareti della sala. Persino la professoressa Sprite, addetta allo smistamento, lo aveva guardato con gli occhi sgranati e aveva ricontrollato la pergamena che teneva in mano, per assicurarsi di aver veramente chiamato Albus Severus Potter e di non aver preso un enorme abbaglio uditivo, per di più dalla sua stessa voce. Non si era voltato a guardare il tavolo degli insegnanti, troppo stupito e abbattuto per fare altro che non fosse dirigersi mestamente verso la tavolata, ma le loro reazioni non dovevano essere state molto diverse.
Quella tavolata, attorniata da ragazzini che sfoggiavano orgogliosamente stemmi e cravattini verde-argento. Il tavolo dei Serpeverde.
-Non ti capisco, Albus. Insomma, è normale che uno come te non voglia stare in questa casa, che la disprezzi, anche. In fondo, moltissimi maghi malvagi sono usciti da qui, Voldemort in primis. È normale che tu provi timore, disprezzo, rancore verso la casa che ha dato un’istruzione a colui che ha distrutto la famiglia di tuo padre. Sul serio, immagino sia abbastanza normale. Ma tu oggi, in treno, hai detto che il cappello tiene conto delle nostre scelte, che ci ascolta se vogliamo dirgli qualcosa di veramente importante per noi, con tuo padre l’ha fatto. E non capisco, Albus: se ti fa stare così male questo stupido sotterraneo, perché non hai chiesto al cappello di mandarti da qualche altra parte?-
Albus sospirò. Era quello che si chiedeva, ininterrottamente, da quando di fronte alla decisione del cappello di smistarlo a Serpeverde era rimasto zitto, non aveva fiatato. Per qualche attimo si era illuso, dicendosi che era stata solo la paura di essere smistato a Tassorosso o Corvonero, di sentirsi dire che era comunque indegno di finire tra i Grifondoro, la casa a cui da sempre avrebbe voluto appartenere. Non sapeva spiegarsi perché Serpeverde gli andasse meglio delle altre due case, forse vi era in ballo solo la semplice questione di vedere le sue speranze deluse per ben due volte di seguito. Quella debole scusa era però caduta subito: dentro di sé sentiva che le due case non erano poi così dissimili , per certi versi. Completamente opposte, certo, ma tutti le avevano sempre percepite come le due case maggiori, le rivali per eccellenza, sempre in lotta. Se venivi considerato abbastanza per essere parte di una delle due, la seconda scelta era sempre, paradossalmente, l’altra.
In realtà un motivo vero per cui era rimasto zitto c’era.
Gli sembrava solo molto stupido e molto patetico dirlo così, in lacrime in una stanza buia, come in una scena di uno di quei film sentimentali che piacevano tanto a Dominique e Molly. Non che ci fosse niente di romantico o sentimentale in quella camera nei sotterranei, né nella situazione. Solo una fredda e inanimata luce verde e una cosa un po’ stupida e un po’ patetica da dire, ma in fondo vera. Come stupido e patetico ma in fondo vero aveva descritto Scorpius ciò che lo aveva spinto a trovarsi davanti alla porta del loro scompartimento, quella mattina, sul treno. E iniziava a considerarla la miglior cosa che gli fosse mai potuta capitare.
Il biondo respirava piano dal fondo del letto, senza muoversi e senza parlare. Semplicemente, aspettava. Aspettava che lui aprisse bocca e gli raccontasse tutto e, sospettava, non si sarebbe stancato tanto presto. Il solo fatto che non avesse ancora riaperto bocca, dopo avergli posto la domanda, implicava che avrebbe atteso in silenzio finché non gli avesse dato una risposta. Lo era venuto a cercare mollando la festa di inizio anno, dopotutto, quella definibile come la sua festa, la loro, quella di tutti i primini che per la prima volta entravano nel peccaminoso ed eccitante mondo del centro della più pura lussuria di tutta Hogwarts, altre parole dell’esaltatissimo, e già mezzo ubriaco, Michael Hirst. Aveva mollato la sua “iniziazione” per venire a consolare un povero idiota come lui, che si creava i problemi da solo e poi si piangeva addosso. Patetico. Ma visto che, in ogni caso, dava questa impressione, non c’era nessun male a rafforzarla.
-La storia del cappello…non so perché non ho fatto nulla. Cioè, un po’ sì, però…anche tu, anche tu ti sei fatto smistare qui senza dire nulla!-
Peggio che patetico. Poteva quasi vedere le sopracciglia di Scorpius corrugarsi. Se l’immaginava benissimo, il suo volto, impegnarsi un attimo per cogliere il senso di quello sproloquio, e poi accigliarsi ancora di più, cogliendo quella che in fondo era una specie di accusa.
-Cosa intendi con questo, scusa? Questa è la mia casa, la casa della mia famiglia, da sempre!-
-Anche Grifondoro è la casa della mia famiglia da sempre, eppure io sono finito qui! E, scusa, ma non mi sembravi un tipo così legato alle tradizioni familiari!-
-Non lo sono, infatti. Ma questa…è diverso! Io…sento di appartenere a questa casa, sento che questo è il mio posto, nonostante la pessima reputazione dei Serpeverde. Lo so che è pieno zeppo di maghi malvagi che sono usciti da qui, ma non sono, siamo, tutti come loro. Ci sono anche delle Serpi “normali”, se così si può dire. Io volevo e voglio essere un Serpeverde, nessun’altra avrebbe potuto essere la mia casa-
-Quindi non avresti mai chiesto al cappello di smistarti, che ne so, a Grifondoro, per esempio?-
-No, te l’ho detto. Perché avrei dovuto farlo?-
-No niente, non lo so neanche io. Era solo un esempio, un’ipotesi- prese un profondo respiro –E solo che se tu fossi stato smistato a Grifondoro avremmo potuto stare insieme tutto il tempo, dormire nella stessa stanza, seguire le lezioni assieme, cose così, insomma. Cioè, lo faremo anche adesso, ma questo pomeriggio non sapevo che sarei stato smistato a Serpeverde, avevo solo paura che potesse accadere, ma non ci credevo poi così tanto-
-Vuoi dire che hai citato le parole di tuo padre solo perché io me le ricordassi e chiedessi al cappello di essere smistato altrove?- lo interruppe.
-Io…sì, in un certo senso. Insomma, mi sono trovato molto bene con te oggi, sul treno, mi sarebbe piaciuto molto continuare ad essere amici. C’era solo il problema della casa, temevo che tu potessi realmente finire a Serpeverde. Io avevo il terrore di andarci, ancora adesso, non so, questa casa non mi piace, non mi sento a posto. O forse sono solo pieno di pregiudizi. Comunque, quando poi ti ho visto, seduto tra le Serpi, non so cosa mi è preso. Mi sono trovato così bene oggi, con te, che credo di aver avuto più paura di perderti di vista quanta ne avessi mai avuto nei confronti di una qualsiasi casa-
Detto. Molto patetico, molto sentimentale. Risentendosi, dentro la sua testa, si sembrava un imbranato che confessa il suo primo amore. Si sentiva uno stupido. Perché era sempre così difficile dimostrare i propri sentimenti? Perché si sentiva sempre strano dopo aver dichiarato apertamente ciò che sentiva? Ma, soprattutto, perché l’amicizia di Scorpius Malfoy gli era sembrata, e continuava a sembrargli, così importante? Si conoscevano da un giorno solo. E non poteva neanche dire che senza di lui avrebbe sofferto di solitudine, in quella scuola. Più volte aveva sentito Neville Paciock, quando andava a trovare i suoi genitori, lamentarsi bonariamente di come non riuscisse a fare un passo nei corridoi senza incappare in qualche suo parente. E l’anno prima erano tre in meno, contando anche se stesso. Inoltre, un altro cospicuo numero era quello dei figli dei vecchi compagni dei suoi genitori. Inutile dire che si erano mantenuti praticamente tutti in contatto, era decisamente un qualcosa di cui, secondo la maggior parte della gente, bisognava vantarsi il fatto di aver condiviso la camera, la sala comune o anche solo l’aula di incantesimi una volta alla settimana, con la più grande leggenda vivente. L’amicizia di suo padre se l’erano tenuta stretta in tanti. Perciò, poteva affermare con sicurezza di conoscere, più o meno bene, una buona ventina di ragazzi, lì dentro. La solitudine poteva a ben diritto definirsi l’ultimo dei suoi problemi.
Eppure aveva sentito qualcosa, qualcosa di indefinito ma speciale, mentre stringeva la mano a quel ragazzino biondo, una sensazione di calore, di vicinanza. Era assurdo, in verità, che proprio Scorpius, proprio un Malfoy, gli facesse quell’effetto. O forse era proprio quel cognome, il motivo di tutto quanto?
Era così preso nelle sue riflessioni da non accorgersi neanche che Scorpius si era mosso, avvicinandosi a lui. Realizzò ciò che era successo solo quando percepì una mano a contatto con la sua spalla, che tastava in giro come ad assicurarsi di essere arrivata nel punto giusto. La mano si fermò e lo strinse. Ne percepì un calore intenso anche attraverso la spessa divisa.
-Al…grazie-
Grazie?
-Di cosa?-
-Di tutto. Di quello che hai detto, di quello che hai fatto. Anche io mi sono trovato benissimo oggi, con voi. Sono così felice di essere nella tua stessa casa. E…è fantastico che tu provi le stesse cose che provo io, no?-
-Quindi non ti sono sembrato un tipo patetico?-
-Patetico? Perché mai? Te l’ho detto, anche io ho sentito una strana sensazione quando ti ho conosciuto. E poi sono altre le cose patetiche-
-Questione di punti di vista, immagino. Come il fatto di essere finito qua, del resto-
Sospirò. In un modo o nell’altro tornava sempre lì. Voleva tornare lì. Era il suo chiodo fisso, da un anno a quella parte e in quel momento più che mai.
-Oh, su questo particolare punto di vista riuscirò a farti cambiare idea. Insomma, come hai detto tu, la compagnia è ottima, no? E mi sembra che le tenebre ti attirino abbastanza. Senza contare che ce lo voglio proprio vedere un Grifone a mettere su una festa come quella che si sta svolgendo or ora da noi! Quindi, vedi, noi Serpi siamo meglio!-
-E più modesti, soprattutto!-
-Realisti, Albus, realisti. Perché dovremmo affermare di non essere il meglio, se lo siamo. Poi potremmo passare per ipocriti!-
Era certo di poterlo vedere ghignare felice al di là delle tenebre. E, con stupore, anche lui si accorse che un lieve sorriso si era aperto sulle sue labbra.
-Potresti avermi convinto-
-A me hai convinto di sicuro!-
Si voltarono all’unisono. Non si erano neanche accorti che la porta era stata spalancata e ben tre figure si stagliavano contro le luci della parete. Una delle tre, ben riconoscibile per la massa disordinata di capelli ricci che ne incorniciava la testa, si mosse in avanti, ma la sua avanzata venne bruscamente interrotta da quello che, a giudicare dal rumore, doveva essere il palo di un baldacchino.
-ACCIDENTACCIO A VOI SERPI E ALLA VOSTRA INSANA PASSIONE PER IL BUIO PIÙ TOTALE!-
Si levò un coro di fragorose risate. Roxanne era sempre la solita, il suo stile decisamente inconfondibile.
Tutte le luci della stanza si illuminarono all’improvviso, rispondendo obbedienti all’incantesimo che Rose aveva pronunciato, stranamente, con voce chiara e forte. Anche lei era inconfondibile: l’unica undicenne già in grado di fare qualche magia prima ancora di aver affrontato una sola ora di lezione.
Mentre la mora prendeva con calma e precisione la mira col pugno, nella speranza di rendere la pariglia all’infido palo che l’aveva fatta cadere, la rossa si precipitò con aria preoccupatissima verso il letto.
-Oh Albus come stai? È tutto a posto, sei triste, vuoi parlarne? Ti ascolto, Albus, è naturale. Ma prima devi sapere che a noi non importa nulla della tua casa, hai capito? Proprio nulla! Oh, mi hai fatta preoccupare così tanto quando ti ho visto così abbattuto! Speravo che mi guardassi, volevo dirti che per noi andava bene tutto ma hai continuato a tenere gli occhi sul piatto per tutta la cena! Ti sei perso anche James che ti faceva segno di averti perdonato! Sì, perché in effetti prima aveva mimato una serie di scene in cui ti uccideva fra atroci sofferenze, ma l’abbiamo fatto ragionare io e Rox, soprattutto Rox, e poi ha capito. Tutti noi abbiamo capito e ci va benissimo così! E andrà benissimo anche ai nostri genitori, capito? Non è affatto un problema, d’accordo? Devi stare sereno Albus, ci siamo intesi? Non ti preoccupare, va tutto bene, è tutto tranquillo. Capito? Hai capito Albus?-
Veramente no! Avrebbe voluto rispondere così, perché effettivamente non aveva capito molto di tutto quel discorso sparato a macchinetta dalla cugina, alla sorprendente velocità di cinque parole al secondo. Tuttavia si trattenne,capendo quanto doveva averla fatta preoccupare. Solo uno stato d’ansia molto avanzato poteva ridurre Rose Weasley, la ragazzina più timida che avesse mai conosciuto, ad un tale livello di loquacità. Ansia che, attraverso tutti quei “capito” e “stai tranquillo”, aveva contagiato un po’ anche lui.
-Sì, sì, non ti preoccupare. È tutto a posto. Ero un po’ giù, ma Scorpius mi ha dato una mano-
Rose, che gli era praticamente addosso, si voltò verso la porta, mentre sul suo volto si apriva un sorriso larghissimo.
-Grazie- disse semplicemente all’indirizzo del biondo. Un attimo! Da quando Scorpius si trovava vicino alla porta?! Era convintissimo che fino ad un attimo prima si trovasse ancora al suo fianco, sul letto, ma forse era stato così preso dall’assalto della cugina da non accorgersi degli spostamenti del suo nuovo amico. In quel momento, Scorpius stava rispondendo allegramente al sorriso di Rose, provocando in lei il solito rossore, e nel ragazzino moro in piedi accanto a lui una specie di sguardo a metà tra il malizioso e quello di chi la sa lunga. Il ragazzo in questione era sicuramente un suo compagno di casa, non era solo lo stemmino cucito sul petto a dimostrarlo: era quasi certo di averlo già visto a cena,intento a chiacchierare con Scorpius, ma non poteva dire di aver prestato molta attenzione a chicchesia nelle ore immediatamente successive al suo smistamento. Ci pensò Scorpius stesso a rimediare.
-Ragazzi, questo è mio cugino Symon. Symon, loro sono…-
-Roxanne, Rose e Albus, lo so. Il ragazzino hai già tentato di presentarmelo stasera a cena,- Albus si sentì avvampare: lui non lo ricordava questo particolare-le ragazzine invece ho avuto il piacere- -il dispiacere- sentì borbottare Roxanne –di conoscerle da solo, visto che le ho trovate sperdute a girovagare per la nostra sala comune, decisamente non il posto adatto per due come loro. Ho dato loro una mano ad uscirne senza danni-
-Certo! Ora viene fuori che il tuo è stato tutto un atto umanitario!-
-No, errore, animalista. E culinario, non sopporto i polli arrosto-
Vide una nube nera d’ira formarsi sulla testa di sua cugina, mentre pensava a qualcosa di adatto per rispondere per le rime a quel ragazzo. Qualcosa, nel suo modo di scherzare, gli ricordò, terribilmente, Fred e James: tutti e tre sapevano restare perfettamente seri mentre prendevano in giro qualcuno, generando enormi confusioni. Ma Scorpius non avrebbe mai avuto quel sorrisetto lievemente rassegnato se suo cugino avesse davvero pensato ciò che diceva.
-Bha, direi che siamo stati qui fin troppo. Avete portato a termine la vostra coraggiosa missione da Pollette impavide, avete constatato che vostro cugino sta benissimo… direi che è decisamente l’ora di tornarcene a quello sballo di festa, tanto più che sta per arrivare l’attesissimo momento della sbronza dei primini. Non vorrete mica mancare proprio alla vostra parte di festeggiamenti, no ragazzi?-
-Sbronza dei cosa?!- l’esclamazione serpeggiò tra tre dei quattro primini, che guardarono con gli occhi sgranati il compagno più grande. Solo Scorpius sembrava rilassato.
-Ma quale sbronza! È solo un bicchierino. Certo, bisogna reggerlo, quel bicchierino, perché se malauguratamente inizi a non capire più bene che cosa ti stia succedendo intorno, ovviamente, c’è chi infierisce e ne approfitta per dartene un altro paio. No, diciamo che tutti infieriscono, è la nostra natura. Ma tranquilli, ci penserà Symon a noi, state tranquilli-
L’interessato si limitò a sorridere lupescamente, il che non tranquillizzò proprio nessuno.
-Bene, chiariti tutti i punti, andiamo? Io, personalmente, non vedo l’ora di vedere questi marmocchi ubriachi. E voi, signorine?- disse, porgendo una mano verso le due ragazzine, che nel frattempo si erano avvicinate entrambe alla porta.
-Non potrebbe essere pericoloso?- chiese Rose titubante.
-Ma quale pericolo! Certo che ci tengo a vederli dare i numeri! Uno spettacolo che non perderei per nulla al mondo- si entusiasmò invece Roxanne, afferrando senza accorgersene il braccio che le veniva offerto.
-Ehi, aspetta un secondo! Noi non eravamo quelle decisamente non adatte a questo posto?- chiese immediatamente dopo la riccia, mollando in fretta e furia la mano appena afferrata, come se ci avesse messo un po’ a realizzare a chi si stesse effettivamente affidando.
-Ovvio!- ribatté il moro con aria saputa –ma con me non correrete alcun rischio- e detto ciò prese per mano entrambe le ragazze e le trascinò con sé, lasciandosi dietro solo gli echi dei ringhi della mora.
-E un po’ strano, sembra lunatico a volte, ma ci farai l’abitudine. È un bravo cugino, siamo parecchio legati-
-Non ti preoccupare, non per me. Tu dovrai fare l’abitudine ai miei 11 cugini, in bocca al lupo-
-Se vuoi fare una gara a chi la famiglia più problematica, tu dovrai almeno conoscere i miei genitori, con i loro litigi, le loro battute e, soprattutto, con i repentini cambi di umore di mio padre. Roba da uscirne pazzi-
-Oh mio dio, è vero, i nostri genitori! Se volessimo vederci fuori dalla scuola loro dovrebbero incontrarsi e allora…Voglio quel bicchierino. Anche doppio, magari-
 
 
                                                                                                        *******************************



 Ciao!!!!! A chiunque abbia avuto il coraggio di leggere tutta questa roba lunghissima, vi faccio i miei complimenti per la solerzia u.u
È la mia prima ff, dire che sono ansiosa è dire niente, ci ho pensato un sacco se pubblicarla o no e alla fine mi sono buttata. Spero di non aver scritto qualcosa di assolutamente obrobrioso e illeggibile, ma nel caso ditemelo, anzi, ditemi soprattutto cose come questa, così chiudo baracca e burattini e non mi ritroverò di nuovo a sudare come oggi, che poi i miei si lamentano quando è il loro turno di sedersi al computer!!!! Battute a parte, ovviamente non sputo sopra alle belle recensioni, ma sul serio, se proprio non è il caso che vi scassi le scatole ulteriormente ditemelo senza problemi, una parte di me ne sarà felice e sollevata, ve l'assicuro u.u basta che mi facciate sapere che cosa ne pensate!!! Un bacio, Ceci




 

 

  
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