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Autore: Blustar    15/06/2010    0 recensioni
New York 2289.
Gli Stati Uniti hanno scoperto il segreto del viaggio nel tempo, usandolo per creare il mondo perfetto, libero da ogni male. Perché qualcuno allora dovrebbe cercare delle risposte?
"C’erano centinaia di persone che, come mio fratello, credevano ciecamente nel sistema, abbandonandosi ad esso. C’erano alcuni che, come mio padre, si opponevano fermamente ad esso pur non potendo fare nulla. E c’era chi, come me, era nel mezzo e tentava di capire cosa era verità e cosa era bugia, senza avere risposte"
*Storia in fase di rinnovamento*
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tre




Come previsto, non feci nemmeno in tempo a mettere piede in garage che subito mio padre mi venne incontro, pronto per iniziare l’interrogatorio.
Aveva perfino smesso di lavorare alla macchina per venire di sopra a sentire cosa dicevo!
Per fortuna però avevo avuto tutta la giornata per preparare il mio alibi.
Verity ora era una ragazza socievole, cortese ma dal carattere forte, che si adattava facilmente ad ogni situazione. Le piaceva fare giardinaggio e prendersi cura degli animali.
Aveva capelli lisci castani lunghi fino alle spalle e gli occhi grigi.
Probabilmente solo un paio di cose erano vere.
Infatti mi ricordavo bene i suoi occhi, e avevo immaginato per certo che fosse una ragazza forte se non aveva paura di uccidere. I capelli rossi meglio lasciarli perdere.
Le reazioni furono le più diverse: mio padre già l’adorava e ci avrei scommesso che, se fosse stato possibile, ci avrebbe fatti sposare il giorno dopo; mia madre non approvava molto il fatto degli animali, ma in fondo era solo una copertura. Mio fratello invece era curioso di conoscerla, e solo quella sera mi aveva chiesto già due volte di portarla a casa.
“State tranquilli, prima o poi la conoscerete. Siamo ancora alle fasi iniziali, quindi non vorrei che vi entusiasmaste subito per una relazione che non so nemmeno come andrà a finire”
“Se è la ragazza giusta lo capirai, Jamie” mi disse Raymond.
“Sai, ora che ci penso in questi giorni eri più distratto del solito… dovevo immaginarlo che c’era qualcosa sotto” borbottò mio padre, ancora tutto preso dalle sue fantasie.
“Comunque ho un’altra novità da annunciarvi: cambierò lavoro”
“Sul serio?” disse incredula mia madre.
“Sì. L’altro giorno il nostro capo ci ha annunciato la chiusura del market… ma proprio oggi mi ha dato delle carte che dovrò presentare per un colloquio in un nuovo negozio. Mi ha detto che ha già accennato di me e alcuni altri dipendenti al titolare di questo bar… e la cosa non può farmi che piacere, ovvio”
“Ah, non lo sapevo che aprisse un nuovo locale. Sono così contenta che non andrai più in quel buco… lavorare in un bar è certo un impiego più dignitoso”
“Quando apre? Magari potremo fare un salto” chiese Ray.
“L’ultimo dell’anno. Giornata un po’ strana, ma comunque si prevede ci sarà molta clientela”
“E sicuramente ci sarà. Mi raccomando, fatti onore Jamie! E porta a casa un bel gruzzoletto”
“Sì, giusto, quant’è la paga? Spero non sarà come quella del supermarket” aggiunse mia madre, che a quanto pareva era ansiosa di conoscere tutti i dettagli.
Purtroppo dovetti deluderla.
“Non so ancora quanto sarà. Nelle carte che il capo mi ha dato, c’è scritto che il contratto verrà firmato individualmente dopo il colloquio, se questo sarà soddisfacente. Quindi per orari, paga e permessi credo sarà tutto ancora da decidere”
“Ora prendi soltanto duemila dollari al mese… quasi peggio di un operaio. Almeno questa volta cerca di non farti mettere i piedi in testa e conquista un buono stipendio!”
“Ci proverò” dissi, e con questo chiusi la discussione. Ero davvero troppo stanco per continuare, e così me ne andai a letto cercando di dormire sonni tranquilli.
Le ultime notti infatti non erano state troppo rilassanti: continuare a pensare ai cadaveri e a quell’assassina non mi avrebbe fatto per niente bene, e così relegai a forza i brutti pensieri in un angolo della mia mente, cercando di concentrarmi sulle mie nuove opportunità di lavoro.
Nei giorni che seguirono l’arrivo della lettera, non ci fu più nessuna novità rilevante e la vita tornò a scorrere lenta e banale come sempre.
L’unica differenza era il clima più sereno che si respirava in famiglia: sarà stato forse per via del mio nuovo lavoro o per via della mia finta ragazza, ma tutti badarono a trattarmi bene e a farmi sentire il loro appoggio ogni qual volta parlavo delle mie piccole avventure quotidiane con clienti che spesso sbagliavano a comprare i prodotti, o con scatole di cereali ritirati dal mercato.
E poi stavo cercando di farmi arrivare dei libri di cucina.
Anche se sapevo bene di non poter superare il mio grado, almeno avrei potuto presentare qualche garanzia in più al titolare del bar.
Tralasciando le difficoltà iniziali, potevo dire di star imparando piuttosto in fretta e, con dispiacere di Lola che voleva sempre essere utile, una sera avevo provato a preparare la cena per tutti, stupendo perfino mamma.
Raymond però sembrava ancora indeciso se essere contento per il colloquio che avrei dovuto affrontare oppure no.
Più che altro sperava che all’ultimo momento cambiassi idea e che gli confidassi le mie intenzioni di presentarmi alla Crusade come recluta.
Io in tutta onestà ci stavo facendo un pensiero, ma era più per il fatto della paga che avrei potuto ottenere che non perché mi attirasse davvero quel genere di lavoro.
Comunque avevo ancora abbastanza tempo per pensarci: le giornate di apertura sarebbero iniziate dopo Natale e chiunque poteva partecipare. Volendo avrei potuto fare un salto all’ultimo minuto, anche solo per fare una sorpresa a mio fratello.
A volte prima di addormentarmi la sera, tornavo a pensare a quella ragazza e a quel misterioso indirizzo: ero sicuro che l’occasione per saperne di più si sarebbe presentata non appena fossi andato al colloquio nel nuovo bar.
Nonostante la curiosità si risvegliasse ogni tanto prepotente, cercavo di buttarmi a capofitto su qualsiasi attività che potesse occupare il mio tempo libero, impedendomi di pensare troppo.
Ma ero veramente sicuro di voler cancellare tutto dalla mia testa?
Impossibile resistere completamente, e d’altro canto… mi sentivo abbastanza sicuro di poter rischiare.
Chi avrebbe badato a me?
No… non avrei dovuto dire questo. Dovevo stare attento, se mi avessero preso…
Ma sì, al diavolo tutto!
Avrei affrontato il colloquio, e poi sarei solo andato a dare un’occhiatina a quell’indirizzo, niente di più.
Così come avevo programmato, il venti dicembre mi alzai presto, non senza entusiasmo, e aprii l’armadio alla ricerca dei vestiti adatti.
Non avrei avuto problemi al market, perché avevo avvertito il direttore che mi sarei preso un giorno libero.
Quindi avevo tutto il tempo per occuparmi di quella faccenda, e inoltre dovevo di nuovo passare a prendere dei pezzi per papà.
Per fortuna era qualcosa di molto più modesto dei costosi marchingegni che aveva prenotato la scorsa volta: si trattava soltanto di una cassetta di birra e una di gazzosa.
E per dirla come lui, “non quella roba sintetica che ci rifila lo Stato! Vera birra! Con la B maiuscola! E vera gazzosa! Con la G maiuscola!”.
Le sue esclamazioni riuscivano sempre a farmi sorridere, anche solo ricordandole.
Scelsi una camicia bianca, abbinata ai miei soliti jeans e a una giacca verde militare, che mi dava perlomeno un’aria distinta, anche se non troppo formale.
Dopo aver preso tutti i documenti e aver trangugiato una tazza di caffelatte, uscii.
Mi dovetti però stringere subito nel cappotto scuro: un vento gelido infatti spazzava l’aria mattutina e sembrava volersi infilare dappertutto.
Il quartiere 0187 non era altrettanto vicino come quello del supermarket, dunque dovetti andare alla più vicina fermata del tram e aspettare.
Già. Non esistevano mezzi privati, o almeno non per noi comuni cittadini.
Basta con le sporche, costose e inquinanti automobili. Il tram e il servizio pubblico aereo potevano soddisfare tutte le nostre esigenze di trasporto.
“Hai un viso familiare” disse all’improvviso una voce accanto a me.
Voltando la testa, scoprii una signora anziana dal viso paffuto e gentile che mi guardava con l’aria interessata.
“Come, scusi?”
“Dicevo che hai un’aria familiare. Non sei per caso il fratello di Dharma?”
“No signora… mi dispiace, ma dev’essersi confusa. Non conosco ragazze con questo nome, e ho soltanto un fratello”
“Oh… mi spiace. No, è impossibile! Sei sicuro di non essere il fratello di Dharma, vero?”
“Sì, al cento per cento”
“Che peccato. E tu come ti chiami?”
“Jamie”
“Ma che coincidenza! Proprio come mio nipote! E cosa fai di bello nella vita?”
Dopo questa domanda mi rassegnai definitivamente a subire l’interrogatorio.
Era chiaro che aveva utilizzato un pretesto per poter chiacchierare e, nella mia perfetta previsione, nemmeno l’arrivo del tram mi salvò.
Aveva preso a parlare del più e del meno: del tempo sempre più pazzo che imperversava a dicembre, di come lei – fatalità – avesse sempre adorato il lavoro di noi cassieri e della sua giornata.
Ora sapevo che stava andando a comprare un paio di scarpe per il compleanno di sua figlia.
“Bene, signora… ah, mi dispiace, ma questa è la mia fermata”
“E’ un peccato, davvero. In bocca al lupo per il colloquio!” disse, agitando verso di me un candido fazzolettino.
“Ehm… crepi. Grazie di tutto, signora, arrivederci”
Finalmente, scesi. Ma dove avevano imparato le donne anziane a flirtare così con i poveri passanti?
La mia attenzione però fu immediatamente catalizzata da un cartello poco più avanti, che indicava una laterale.

Hesterville Road, n° 10 – 21

Dunque era lì che dovevo entrare?
Mi avvicinai a grandi passi, per scoprire che la via non era altro che un agglomerato di nuove case residenziali.
In fondo, di fronte a quello che sembrava un ampio cortile dotato anche di fontana, un insegna ancora spenta recitava “Henry’s Bar”.
Avvicinandomi, vidi che sulla vetrina era affisso un cartello:

Cercasi personale. Siamo aperti dalle 9 alle 12. Per un colloquio, si prega di suonare il campanello qui a lato.

Feci per avvicinarmi e premere il pulsante, quando scoprii che la porta era soltanto socchiusa.
Esitai un attimo, poi entrai.
Il locale sembrava, a dispetto della bella insegna esterna, completamente abbandonato.
Le piastrelle erano quasi tutte rotte, alcune sbeccate, altre crepate; il bancone in fondo alla sala era polveroso e coperto parzialmente da un telo bianco, mentre due travi di legno appoggiate al muro completavano il quadro di desolazione.
Ma che razza di bar era?
Se non fosse stato per una piccola porta a lato del banco, su cui era appeso il cartello Selezione personale, avrei sicuramente giurato di aver sbagliato posto.
Mi feci coraggio e bussai. Niente. Possibile che non ci fosse anima viva il quell’edificio?
Feci scattare la maniglia: nella stanza la luce era accesa, ma ancora nessuna traccia di vita.
Tutto era in ordine: i fogli sulla scrivania, la poltrona in pelle, gli oggetti di cancelleria.
Sulle pareti, un calendario di bambini giocosi e foto naturalistiche.
“E lei che ci fa qui?”
Girandomi di scatto, colto in flagrante, vidi un’avvenente signora bionda squadrarmi sorpresa.
Dunque era lei la titolare?
“Oh, mi scusi, non vedevo nessuno e allora ho pensato di dare un’occhiata. Mi scusi”
Lei rispose con un sorriso, ravvivandosi i capelli.
“Non fa nulla. Bene allora” disse attraversando a grandi passi la stanza. “Immagino che sia qui per il colloquio”
Sedendosi prese un foglio da un cassetto interno, esaminandolo attentamente. Doveva essere il mio curriculum. “Dunque lei è Jamie Naite, se non sbaglio”
“Sì, sono io”
“Ha soltanto un grado E”
“Sì… è vero. Però ultimamente sto seguendo dei corsi per farmi aggiungere qualche stella”
“Sa che non può aggiungerne più di due, vero? E in ogni caso non può passare al livello successivo. Però mi fa piacere sapere che sta cercando di migliorarsi”
Sorrisi, teso.
Caspita, stava già andando abbastanza male… non sembrava troppo predisposta ad assumere personale con un grado basso, e i suoi occhi avevano spesso un’espressione severa.
“Leggo qui però, che lei è sempre molto puntuale e preciso, e svolge le sue mansioni con grande attenzione. Mi dica allora, come se la cava con gli straordinari?”
“Beh… non ho mai fatto straordinari… sa, il coprifuoco…”
“Non si preoccupi per questo. Possiamo procurarci dei permessi, in caso fosse fermato da alcuni agenti. Quello che volevo sapere è se lei è disposto a fare delle ore in più la mattina per sistemare il locale”
“Oh… certamente. Non ci sarebbe nessun problema, tutt’altro”
“D’accordo. Beh, in questo caso non credo ci sia altro da dire. Qui ho il suo numero di Video talk, in caso la contatterò e le farò sapere” disse, alzandosi.
Alzandomi anche io, le strinsi la mano mormorando un “Grazie, arrivederci”.
No, non dovevo starle assolutamente simpatico, a giudicare dal modo in cui mi aveva stritolato le dita.
Merda! Era andato tutto storto.
Già non ero riuscito a sembrare convinto di quello che dicevo, poi il tono freddo con cui mi aveva parlato aveva abbassato ulteriormente le mie aspettative. E dire che ci speravo tanto…
Maledetta ansia!
Mentre mi incamminavo per tornare alla fermata del tram, ricordai.
C’era qualcos’altro che dovevo fare prima di andare a prendere le gazzose, qualcosa di molto più importante.
Subito feci retromarcia e camminai spedito verso l’insegna del bar.
Se l’indirizzo che mi aveva lasciato la ragazza era giusto, non doveva essere lontano.
Controllai l’orologio. Erano appena le dieci del mattino.
Il numero 16 di Hesterville Road era giusto poco più in là dell’insegna spenta, ma diceva ancora meno.
Anzi, pareva una casa costruita male.
C’era una piccola porta di ferro con la chiave inserita, e un’unica finestra chiusa.
Quasi trattenendo il respiro, girai la chiave ed entrai.
Rimasi basito. Niente. Non c’era assolutamente nulla degno di nota.
Quello doveva essere un semplice capanno per i contatori elettrici delle palazzine qui attorno.
Attaccati al muro stavano infatti due grossi pannelli con centinaia di interruttori, e sul pavimento due scatole di cartone che, come scoprii presto, erano vuote. Chiusi la porta, restando nella penombra.
Forse quello che dovevo trovare era nascosto. Ma lì, anche cercando, non c’era proprio nulla se non la polvere.
Che razza di stupido scherzo era quello? Mi sentivo ribollire di rabbia.
Tutti quei giorni a pensare, a rodermi dalla curiosità per trovare uno sgabuzzino.
Uno sgabuzzino e basta.
“Jamie, sei un idiota…” mormorai. Sì, ero stato proprio un idiota!
Fregato da quella che non era altro che un’assassina. Ma che senso aveva farmi arrivare fin qui, allora?
Oh, certo. Si sarebbe fatta quattro risate a prendere in giro un povero scemo che cascava subito nel più ingenuo degli scherzi.
Erano cose che ci si inventava da bambini. Il tuo compagno di banco ti diceva di andare in un posto perché aveva scoperto un oggetto meraviglioso, tu ci andavi e non trovavi nulla, se non i tuoi amici che ridevano per lo scherzo.
Ero deluso e arrabbiato. Avrei dovuto capire. Avrei dovuto accorgermene.
Giusto per fare qualcosa, sollevai l’interruttore più grosso vicino alla porta.
Nemmeno la luce funzionava in quel capanno, accidenti! E poi, senza sapere perché, mi misi a ridere.
“Oh, andiamo Jamie, nemmeno un bambino ci sarebbe cascato, di questi tempi!”
Sospirai, riprendendo un po’ di calma.
Perfetto, allora. Avevo una giornata intera da dimenticare!
Il colloquio era andato malissimo, e in più ero stato talmente sciocco da farmi prendere in giro da un’assassina. Davvero patetico.
Scuotendo la testa, aprii la porta e il frastuono mi invase.
Luci, risate, grida, musica, persone. Per un folle secondo fui invaso dalla paura.
Richiusi la porta con uno scatto, arretrando vicino ai pannelli elettronici. Era tornato il silenzio.
Mio Dio… cos’era tutto quello? Era comparso così all’improvviso!
Fuori non c’era nessuno prima… come aveva fatto tutta quella gente ad arrivare in due minuti?
Da dov’erano spuntate tutte quelle luci nella via? Erano le dieci del mattino, non c’era illuminazione accesa in strada! Per non parlare della musica. Cos’era tutto quel baccano? Sembravano tamburi e parole non meglio identificate.
Poi gli occhi mi caddero sull’interruttore, quello che poco prima avevo sollevato.
Il dubbio mi invase. Che non servisse per l’elettricità? Tutto ciò era semplicemente assurdo.
Però fare una prova non costava nulla.
Lo rimisi su “Off”. Aprendo piano la porta, vidi il timido sole di dicembre e la via drasticamente uguale a come avrebbe dovuto essere. Nessuno in vista.
Chiusi di nuovo la porta e riprovai. Ora la leva era puntata su “On”.
Sempre aprendo piano la porta, ritrovai la strana, anomala situazione.
Gente con bicchieri in mano, stretti nei loro cappotti colorati, che parlavano senza badare a me.
Alcuni se ne andavano, altri venivano. Alcuni sembravano davvero felici, altri invece indifferenti o tristi.
In un angolo c’era una ragazza che piangeva e urlava “Come hai potuto, Bob! Potevi dirmelo che ti piaceva un’altra, non aspettare che lo sapessi da Anne! Sei un bastardo!”
Un gruppo di ragazzi rideva mentre una coppia si baciava.
Dov’era finito il protocollo e il buon gusto? Nessuno avrebbe mai osato baciarsi in pubblico… e nemmeno fare tutto questo baccano.
La sorveglianza avrebbe provveduto a sparpagliare subito questa gente.
Anche la musica poi era abbastanza alta, e sembrava provenire da un locale vicino. Forse il bar?
E poi, avevo visto bene. Adesso era quasi sera e c’erano molti lampioni accesi.
Quello era… il futuro?
Tutto era così strano, nuovo e sorprendente al tempo stesso.
Mi decisi ad uscire.
Era questo che voleva quella ragazza? Che venissi nel suo mondo? O forse era una trappola?
Un rombo mi fece voltare.
Non potevo crederci. Quella era un’automobile? Non se ne vedevano più in giro da secoli, letteralmente parlando. A prima vista mi sembrò quasi una tigre di metallo, rossa fiammante.
L’uomo all’interno era visibilmente soddisfatto, e anche la sua ragazza. Chissà che faccia avrebbe fatto mio padre nel vederli passare! Si sarebbe roso dall’invidia, immaginavo.
“E’ la prima volta che vedi un’auto del genere, non è vero?” disse una voce accanto a me.
Era lei. Aveva i capelli corti, di un rosso vivo, e gli occhi grigi sorridevano insieme alle labbra sottili.
Come poteva un’assassina sorridere in un modo così dolce?
“Tu… sei Verity? Come hai fatto a trovarmi in mezzo a tutta questa gente?” chiesi.
Il tono calmo della mia voce non mi sorprese. In quel momento ero come sospeso in un sogno astratto, dove tutto era ovvio e irreale al tempo stesso.
“Sì sono io, Verity. E’ da giorni che ti sto aspettando. A dire la verità, pensavo che saresti venuto prima. Seguimi”
“Perché? Dove andiamo?”
“Da me. E’ un posto sicuro, dove potremo parlare senza essere visti, né ascoltati”
Spostandoci dalla confusione, potei osservare meglio la scena in cui ero piombato improvvisamente: come avevo ipotizzato, la massa di persone si affollava davanti all’ingresso del “Henry’s Bar”, la cui insegna luminosa mandava bagliori blu, rossi e verdi.
“E dopo che avremo parlato che farai? Hai intenzione di uccidermi?”
Lei per tutta risposta, rise.
“Se sei così convinto che ti farò del male… beh, allora perché sei venuto?”
“Io… non lo so. Forse sono masochista” dissi, e lei rise ancora. “Però, pensandoci, forse sono venuto perché volevo sapere se sei davvero solo un’omicida”
La vidi abbassare la testa e scuotere il capo.
Io ero in attesa di una risposta, ma quando lei si girò dall’altra parte per non guardarmi, capii che forse era meglio lasciar perdere e così mi limitai ad affiancarla. Eravamo adesso sul marciapiede che costeggiava la strada principale.
Tutto era completamente diverso da come me l’ero sempre immaginato.
Nel nostro tempo la propaganda della Crusade aveva costantemente descritto il futuro come un luogo infestato di sudiciume e nel quale le persone, a causa del dilagare di vizi come alcool e fumo, somigliavano più a bestie che a esseri umani, sia nell’aspetto che nel carattere.
Non si poteva certo dire che con carte e cicche lasciate per strada, quella fosse una metropoli pulita, ma in quanto alle persone, stavo iniziando a sviluppare un’opinione diversa.
C’era qualcosa di insolito nel loro comportamento, qualcosa di diverso che tuttavia era… affascinante.
Alcuni fischiettavano, altri borbottavano tra loro, oppure avevano un’aria stanca. C’era chi parlava entusiasta al cellulare, chi imprecava se gli cadeva la borsa, chi aveva lo sguardo fisso davanti a sé o cercava di correre a casa portando via una torre di cartoni di pizza, sperando che non si freddassero.
Non c’era nessuno che camminasse in fila ordinata, tranquillo e con un passo regolare. Tutti erano dappertutto, spingevano o si scansavano, mentre chi si conosceva e per caso si incrociava, si fermavano e si salutavano calorosamente, con grandi abbracci e strette di mano, per poi ripartire per chissà dove qualche secondo più tardi. E questo valeva non solo per i più giovani.
Vidi anche alcune vecchie signore dall’aria malandata lanciare improperi a chi per sbaglio le spintonava passando.
Però molti effettivamente fumavano, e mi dava fastidio. Non potevo reprimerlo, e spesso mi sorpresi a osservare in malo modo chi passava gettandomi quell’aroma di bruciato addosso.
Come faceva mio padre a mettere in bocca quelle orribili sigarette? Lui non aveva mai osato fumare in mia presenza, ma ora che sapevo che odore avevano… era ripugnante anche solo pensare di farlo.
“Dev’essere difficile per te vedere tutto così diverso, non è vero?”
“Come?”
“Ho visto come guardi quelle persone… tu pensi che sia sbagliato”
“Perché? E’ giusto, forse?” ribattei, in modo brusco.
L’istante successivo mi resi conto di essere stato troppo duro nei suoi confronti e feci per parlare, quando lei rispose.
“Non lo so. Può darsi che tu abbia ragione, come no. Tu ti senti in diritto di giudicare quel che fanno? Quello che a loro da sollievo?”
Stavolta fui io a tacere. Per la prima volta nella mia vita, mi sentii completamente fuori posto.
“Scusami. Avevo dimenticato che… che nel posto dove abiti non ti è quasi permesso vivere” sussurrò lei.
Ero perplesso, quasi offeso.
“Che stai dicendo? Non ci è permesso vivere? Non è assolutamente vero”
Lei si fermò, carbonizzandomi con gli occhi. Era evidente che secondo lei, mi stava sfuggendo qualcosa di importante.
“Basta. Non voglio discuterne qui in mezzo alla strada, e tu sai perché. Per favore, non parliamone più finché non arriviamo da me”
Per qualche strano, imprecisato motivo, ero io ora a sentirmi triste.
Avevo dimenticato quanto eravamo distanti, e non solo perché vivevamo in due mondi diversi.
Che cosa mi stava succedendo? Non avrei dovuto trovarmi lì. Riflettendo, era evidente che se non voleva parlare, aveva paura di essere intercettata da qualche agente della Crusade. Che strano. Com’era possibile che sapessero della crono – polizia?
Agivano in incognito e avevano soltanto l’obbligo di monitorare il crimine nel futuro. Era nel mio tempo che cancellavano la memoria ai potenziali criminali e li inviavano ai lavori forzati.
Gliel’avrei chiesto più tardi, insieme ad altre domande che da troppo tempo ronzavano nella mia testa.
Sempre se mi avesse lasciato dettare le condizioni dell’incontro. Non ero esattamente sicuro di poter negoziare con lei, ripensando alla scena dell’omicidio.
Tornai a guardare la città: non avrei saputo dire dove eravamo.
Verity mi stava guidando tra vicoli e boulevard, verso una meta che mi era ancora sconosciuta.
Non ero mai stato fuori fino a un’ora così tarda. Mentre nel mio tempo i volti delle case si spegnevano, di sera quest’altra New York cambiava soltanto colore. Mille luci si accendevano e i locali si affollavano.
Nell’aria, il profumo di patatine fritte mi fece venire l’acquolina in bocca.
Come se mi avesse letto nel pensiero, lei si fermò.
“Che ne dici se ci prendiamo qualcosa? Io inizio ad avere fame, e poi si parla meglio a tavola”
Non mi diede neppure il tempo di rispondere che si fiondò all’interno di una rosticceria, trascinandomi.
Poco dopo uscimmo con due borse cariche di ogni ben di dio. Olive ripiene, crocchette di patate, due vaschette di salsa, pesce fritto e praline di pollo, più qualche altra diavoleria appetitosa.
“Ma… sei sicura che riusciremo a mangiare tutto?” chiesi, timidamente.
Lei tornò a guardarmi sorridendo. “Io mangio per dieci!” annunciò allegra.
Poi, mentre stavo contemplando un vistoso cartellone pubblicitario, mi disse che eravamo arrivati.
Era un semplice palazzo di mattoni rossi, con ai balconi qualche indumento ad asciugare e vasi di gerani.
“Dobbiamo fare un po’ di scale. Abito all’ultimo piano” disse aprendo il portone.
“E l’ascensore?”
“Rotto” disse lei con un sospiro. “Sono stati dei ragazzini con i waveboard, la settimana scorsa. Pensavano di essere divertenti, si sono messi a fare acrobazie e hanno schiacciato i bottoni a ripetizione con tanta forza da mandare in tilt il software”
Mh. Ancora teppisti, dunque. Chissà cos’era questo waveboard… forse un’arma.
“E…?”
“E, cosa?”
“Sono stati presi?”
“La polizia non li arresta per così poco! Sono fuggiti, figurati. E nessun agente ha voglia di mettersi a rintracciarli” aggiunse, vedendo che stavo per obiettare.
“Però hanno rotto l’ascensore. Dovrebbero punirli, almeno!”
“Sì, hai ragione… ma non sempre è facile individuarli, e se è solo per una questione del genere, non vale neanche la pena”
Ci fermammo davanti a una porta di legno, decorata con una bella ghirlanda natalizia.
Quanto tempo era passato da che ne avevo visto una del genere? Molti non appendevano più nulla ai balconi o sulle porte … solo l’amministrazione cittadina provvedeva ad illuminare le strade con qualche festone.
Mi stupì anche la presenza di un albero decorato con luci e palline, proprio nell’ingresso . Suonava una melodia allegra, e un robot dall’aria felice ci raggiunse saettando.
“Bentornata, signorina Verity! Buonasera signorino Jamie! Non dovevate comprare da mangiare, ci avrei pensato volentieri io!”
“Non ti preoccupare Dex, questa è una serata speciale. Hai fatto tutto?”
“Certo, ho messo a posto ogni cosa. Pulito, lavato, stirato. Il gatto ha di nuovo rotto il vaso sul terrazzo, ma l’ho sistemato”
“Ottimo. Puoi spegnerti, allora”
“Grazie, signorina. Buona serata!” disse ammiccando, prima di sparire dietro una porta.
Appoggiando le borse piene di fritto nella piccola cucina, mi rivolsi di nuovo a Verity.
“Signorino Jamie? Cos’è questa storia?”
“L’ho avvertito che saresti arrivato” disse, iniziando a mettere le vaschette in forno.
Era una casa piccola ma confortevole, la sua.
Guardando un po’ in giro vidi che il salotto era formato solo da un piccolo divano rosso bordeaux e una vecchia tv con un’antenna storta appoggiata sopra ad un mobiletto. Sui muri c’erano mensole e mensole piene di libri. Una pianta dai fiori gialli dava un ulteriore tocco di colore all’ambiente.
La cucina invece era ancora più piccola, con un tavolo azzurro pallido e con poco spazio per muoversi, dato che i lati erano occupati dal frigo, il forno, le credenze, il lavello e un ripiano un po’ più largo dove era appoggiata una grande sveglia a forma di leopardo.
“Hey, ci sei?”
“Oh sì, stavo… guardando la casa. Mi piace, è… particolare” dissi, anche se in realtà avrei dovuto dire una cosa come “meravigliosamente anormale”.
Forse stavo di nuovo sognando, ma non potevo darmi pizzicotti di continuo per sapere se era vero. Verity mi guardò, poi scosse la testa e ritornò a preparare la tavola.
“Ho detto qualcosa di sbagliato?”
“No, no. Solo che… è così difficile capirti. Sembra che tutto in questo tempo ti spaventi e ti affascini allo stesso tempo”
Sorrisi. “In effetti è proprio così. Ho almeno un milione di domande in testa… e non riesco a capire cosa sto facendo. Se avessi un po’ di sale in zucca me ne andrei subito da qui, credo”
“Sapresti ritrovare la strada?”
“Ecco un altro problema che mi costringe a restare”
“Sarà solo per un pò… e poi nel tuo tempo sarà ancora pomeriggio, per cui non dovrai preoccuparti del coprifuoco. Ora ti va se mangiamo? Dovrebbe essere pronto” disse, controllando il forno.
Era tutto delizioso, anche più buono di come ricordavo. Era proprio da una vita che non mangiavo del fritto, e comunque era una vaschetta preconfezionata. Questo invece aveva tutto un altro sapore: sembrava più pesante da digerire, ma anche più saporito. L’unica cosa che non assaggiai furono le alette piccanti di pollo, perché Verity le aveva letteralmente divorate.
“Come fai allora a sapere così tante cose del nostro tempo?” le chiesi verso la fine della cena.
“Questo non posso dirtelo. E’ una cosa riservata, non sono autorizzata a parlarne con nessuno”
“Allora solo a te è permesso fare domande?”
Sperai che l’ironia funzionasse, ma lei non ci fece caso.
“La mia non è una posizione facile. Il fatto è che… ho commesso un grave errore. Ti ho coinvolto”
“Perché allora non hai lasciato stare anche quei due agenti? Perché me sì e loro no?”
“Ne hai visti due?” disse lei sorpresa.
“Sì… e il guaio è che il primo l’hanno visto anche altre persone. Ma rispondi alla mia domanda”
“Non l’ho ucciso io, il primo che tu hai visto… dev’essere stato un altro, perché quella era la prima volta che affrontavo una missione del genere”
“Non sei solo tu, quindi…”
“Non posso dirti altro, Jamie. Non posso. Comunque, il fatto è che non vogliamo colpire i civili. Non capite? Sia noi che voi siamo soggetti all’autorità di persone che… beh, pretendono di controllare la nostra vita! Questo non è giusto. Chi sono loro per dirti che lavoro devi fare? Come ti devi vestire? Se devi fumare o no?”
Ora mi era perfettamente chiaro il punto di vista di Verity.
“Ma non è forse necessario sacrificare qualcosa per il bene comune?”
Lei si alzò cominciando a gesticolare, presa dalle sue idee.
“E quale sarebbe questo bene? Dove vedi tu il bene in tutto questo? Certo, non dico che non sarebbe bello se tutti pensassero alla propria salute o se nessuno uccidesse. Sarebbe più bello, certo. Ma il mondo non è fatto così… ha bisogno di bianco e di nero, non solo di uno dei due. Se vivi nella luce non sarai più tentato di raggiungerla”
Rimasi senza fiato. Come se dentro di me improvvisamente avessi afferrato qualcosa… e poi mi fosse sfuggita.
“E se ti sbagliassi? La nostra in fondo è una società tranquilla… forse è ciò di cui l’umanità ha bisogno. Non ci manca nulla, viviamo la nostra vita con semplicità” Lei si risedette. Sembrava triste.
“Non lo so, Jamie. Ma se tutti fossimo uguali… cosa ne sarebbe di noi?”
Non risposi, limitandomi a guardala negli occhi. Poi mi ricordai una cosa.
“Un momento… non ti ho chiesto come fai a sapere il mio nome, se io non ti ho mai vista prima d’ora”
Lei vacillò un attimo e distolse lo sguardo. Poi lo disse tutto d’un fiato.
“Io ti conoscevo. Qui in questo tempo. Però poi sei…” “Sono cosa?”
“Ti hanno ucciso”
Ero morto? No, impossibile. Cavolo, sembrava peggio di una soap opera di quelle che guardava mia madre.
“Stai scherzando spero!”
“No. Sono stati loro”
“Loro chi?”
Ero impaziente! Perché dovevo tirarle fuori le parole col contagocce?
“La tua polizia. Tu avevi offeso uno di loro, e per ripicca ti hanno ammazzato”
Fu il mio turno di alzarmi. Ero quasi arrabbiato. Come poteva essere?
“Ti sbagli. I crono poliziotti sono addestrati da anni a resistere a questi impulsi, ad operare per il bene comune e a proteggere tutti noi dai futuri omicidi… è impossibile che…”
“Jamie, l’ho ucciso. Sapevo che erano del tuo tempo, li stavo tenendo d’occhio. E poi mi hanno mandato ad ucciderlo. Di certo era lui”
“No, io ti dico che ti stai sbagliando. Conosco molto bene la crono - polizia”
Lei mi guardò curiosa.
“Mio fratello ha appena ottenuto il grado di tenente”
Impallidì. “Sul serio? Allora perché non mi hai denunciato? O forse lo stai facendo?” mi chiese non senza paura.
Provai una strana sensazione di potere.
Avrei dovuto dirle di sì. Avrei dovuto dirle che erano sulle sue tracce, che non ce l’avrebbe fatta a fuggire, che l’avrebbero presa perché lei era soltanto un’assassina. Avrei dovuto dirle che era stato il mio piano fin dall’inizio.
“No io… nessuno lo sa. Non l’ho detto a nessuno. Non lo so perché l’ho fatto, però è possibile che mi stiano tenendo d’occhio dato che non mi hanno ancora cancellato la memoria”
“Giusto, ecco vedo che siamo arrivati al succo della questione” disse, frugandosi nelle tasche ed estraendone una bottiglietta azzurrina.
“Pensavo che ti avrebbero catturato subito a dir la verità, ma forse il fatto che tuo fratello sia un tenente deve averti scagionato dai sospetti. Ho deciso di fare lo stesso un tentativo e provare a proteggerti. Questo – disse indicando la boccetta – è un potente sedativo di recente sperimentazione… un mio amico chimico me l’ha dato, ma non è in commercio. Oltre ad essere un sedativo, può essere usato come farmaco resettatore, se preso in dosi maggiori. Ti cancellerà la memoria, almeno quella recente. Così potrai riprendere la tua vita normale, e dimenticare di avermi vista. A quanto vedi è la cosa più giusta sia per me che per te”
Guardai la boccetta, curioso. Avrebbe potuto essere la soluzione a tutti i miei problemi. Avrei dimenticato, e sarei stato protetto, al sicuro.
Ma davvero volevo dimenticare?
“Grazie. Non so se lo fai per rispetto verso la persona che hai conosciuto qui, nel tuo tempo, però ti ringrazio ugualmente. Ci eviterà dei guai” dissi, intascandomi la bottiglietta.
“Di niente. Comunque… lui era un mio caro amico e, per quanto possa sembrarti strano, non era poi così diverso da te” disse, e improvvisamente un grande sorriso le illuminò il volto. “Sono contenta di averti dato quella boccetta”
“Grazie. Cavolo… dovrò convivere con l’idea che sono morto, almeno finché non prenderò questa medicina” scherzai, e lei rise.
“Pensavo però che quello che accadeva nel futuro avesse delle ricadute sul mio tempo. Come faccio ad essere ancora vivo?”
“Lo credevo anche io. Non so dare una risposta a questo. Forse resterà un mistero irrisolto” disse.
Ci guardammo ancora una volta negli occhi, alla ricerca di qualcosa che non sapevamo.
“Forse. Adesso però è il caso che…”
“Che tu vada. Sì, è giusto”
Così in un baleno prendemmo i cappotti e uscimmo di nuovo nella notte. La strada al ritorno sembrò molto più lunga, e né io né Verity parlammo più finché non arrivammo all’Henry’s Bar.
La ringraziai per tutto, anche per la cena che aveva insistito ad offrirmi, e le augurai Buon Natale per i prossimi giorni. Mi stupì però la sua risata.
“Pensavo che lo sapessi!”
“Cosa?”
“Evidentemente non sei così informato come pensi. Tra me e te c’è una settimana di differenza. Natale è già passato, siamo il 27 oggi”
Mi sentii uno stupido. Perché Raymond non me ne aveva mai parlato?
Ci salutammo, e così tornai nel paesaggio pulito, tranquillo e familiare della Hesterville Road del mio tempo. Era incredibile passare dal giorno alla notte, o dalla notte al giorno, in modo così brusco.
Come aveva detto Verity era appena il primo pomeriggio.
Feci un salto da Flanders a prendere la gazzosa e la birra, e poi finalmente tornai a casa.
Respirai profondamente il profumo del garage di mio padre, mentre mi ringraziava a non finire. Tutto per una semplice partita di bibite.
Per il resto del giorno non successe nulla di particolare: mamma e Raymond vollero sapere ogni cosa del colloquio, e risposi anche inventandomi alcuni particolari, pur di non far vedere la mia inquietudine.
Ogni volta che mi toccavo la tasca destra del pantalone sentivo la boccetta che mi aveva dato Verity, e questo mi calmava, perché mi dava la certezza di non aver avuto un’allucinazione. Era tutto vero.
Non avrei saputo dire se si fossero accorti di quanto avessi la testa fra le nuvole, ma a volte mi pareva che mi guardassero curiosi, come in attesa di una confidenza. Andai a letto presto, per restare solo: avevo molto su cui riflettere.






Grazie a tutti quelli che hanno letto fin qui!! :)
Spero che questo capitolo vi possa piacere :)

   
 
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