….:FIVE
LETTERS:….
PROLOGO
In qualche parte della sua testa registrava che stava
cadendo.
Le sembrava di star vivendo tutto al rallentatore.
Il marciapiedi che si avvicinava… riusciva a vedere una
piccola crepa dentro di esso ingrandirsi sempre di più, i muri delle case che
le sfrecciavano attorno.
Le sue mani si protesero in avanti come di loro volontà
per parare la caduta.
Tornata a casa, si diceva che non era una brutta caduta.
Ci sistemò sopra un po’ di ghiaccio e si bevve un caffè, non osando sedersi,
sapendo che se l’avrebbe fatto difficilmente si sarebbe alzata ancora.
*
Londra la mattina è piena di gente.
Lei cercava di farsi strada senza toccare o urtare
nessuno, per paura di spaccarsi in piccoli minuscoli frammenti.
Camminava facendo lo slalom tra la gente.
Il dottore la guardò ancora una volta severamente – come
la guardava sua mamma quando era piccola ed era stata scoperta a fare una
marachella. Troppo stress, disse. Prenditi una pausa. Niente medicine? Niente
di niente? Niente.
Poi la fermò mentre lei si girava per uscire. È passato
tanto tempo, le disse. Devi cercare di superarla.
Lei uscì e ringraziò, pensando grazie di niente. Lo
sapeva che era passato tanto tempo. Nella sua testa contava ancora i giorni, ma
non cercava di darlo troppo a vedere a nessuno, faceva finta che stava bene.
Mentre usciva dallo studio, si sentiva insoddisfatta e
triste e arrabbiata, come un attore che riconosce di non aver saputo recitare
il suo ruolo.
Al lavoro il suo capo le diceva la stessa cosa.
“Non mi servi in questo stato, Ginny. Maledizione, parti,
vattene in un qualche stupido posto esotico per un po’, bevi tequila fino allo
sfinimento, scopati qualcuno, fa’ qualcosa!”
Lei annuiva ma non l’avrebbe mai fatto, perché in vacanza
non avrebbe avuto niente da fare, e il non avere niente da fare le faceva
pensare ancora di più a Harry. E comunque, una volta lì non era sicura che ce
l’avrebbe fatta. Forse avrebbero potuto lasciarla nella sua depressione
sdraiata su un lettino da spiaggia e somministrarle il tequila via flebo?
*
Andò a trovare Hermione e suo fratello nella piccola
cittadina dove vivevano, perché era da
tanto che non li vedeva e loro continuavano ad insistere. Lei non era troppo
sicura di volerli rincontrare, perché le ricordavano troppe cose; li sentiva
spesso via posta o telefono – Hermione pensava fosse più comodo – ma li
rivedeva di rado. Ma quando si trovò insieme a loro quella sera si rese conto
che non era così. Era molto felice di rivederli.
Aveva passato una bella serata in loro compagnia. Mentre
si dirigeva verso l’uscita, suo fratello la seguì.
“Perché non vieni a vivere qui,” le disse. “Così staremmo
più vicini. Stanno vendendo una casa qua in zona.” Hermione comparve dietro di loro con il cappotto di Ginny in mano
e si mise ad annuire energicamente passandoglielo.
“Almeno la bolletta del telefono scenderà,” rise, “non
avremmo più bisogno delle nostre epiche interurbane…”
Ginny rispose che ci avrebbe pensato.
*
Era seduta sul ripiano del bagno, di fronte allo specchio.
L’unico rumore era quello delle goccioline d’acqua che cadevano dal rubinetto
chiuso male sul lavandino bianco.
Alzò la testa piano e si vide riflessa allo specchio.
Capelli rossi, un po’ in disordine, come se si fosse
svegliata da poco. Troppe lentiggini, come sempre. Occhiaie. Faccia pallida.
Sul lavandino c’era una sua foto con Harry.
Capelli rossi, sempre un po’ in disordine, ma solo perché
lui stava scompigliandoglieli. Ancora troppe-lentiggini-come-sempre. Occhi
riposati. Pelle luminosa.
Scivolò dal ripiano e agguantò la fotografia. La guardò
attentamente, prendendola con due mani, avvicinandola al viso, come se stesse
cercando un errore; si riscosse dopo un po’. Cosa stava cercando, si chiese, un
angolo della foto dove ci fosse scritto questa foto non ti raffigura
affatto, non ti preoccupare?
Alzò la testa, sempre con la foto tra le mani, e si
riflettè nello specchio, come se si aspettasse ancora, dentro di sé, che il suo
riflesso le dicesse, scuotendo la testa e ridendo: non sei tu, quella. Tu
sei me. Come puoi essere lei?!
Lo specchio non disse niente. E allora, in un attacco di
rabbia e frustrazione, realizzò che non era lei quella morta. Se ne era
accorta fino in fondo solo ora? Poteva fare qualcosa. Doveva fare qualcosa.
*
Si stava facendo accompagnare da Hermione e Ron a vedere
quella casa.
Mentre girava per le stanze, registrava quello che voleva
far cambiare. Buttare giù un muro qua. Alzarne un altro più in là. No, non così
in là, meglio verso di qui. Far staccare quelle lampade a muro orrende,
seguite dalla carta da parati nel corridoio.
Hermione e Ron si offrirono di aiutarla a fare le scatole
con la roba da portare via.
Portare via.
Le piaceva il suono di quelle parole.
Le ripeteva nella mente, portareviaportareviaportarevia.
Trasportare.
Traslocare.
Cambiare.