Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: Moonlight S    16/06/2010    0 recensioni
« Valerie era strana. Non per il modo in cui si poneva, ma per l’atteggiamento. Era sempre sorridente, con litri di positività che sprizzavano da tutti i pori e un attaccamento innaturale verso la natura. Ed era magra. Molto, troppo magra. Ogni volta che la toccavo, anche solo per sbaglio, avvertivo la sensazione di quando si maneggia un cristallo; avevo paura di romperla. »
Genere: Generale, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

; v a l e r i e




  Conobbi una ragazza, tempo fa’. Si chiamava Valerie e frequentavamo lo stesso corso di scrittura. Lei si era appena trasferita in città ed io ero l’unica persona che osava rivolgerle la parola; i miei compagni di classe non erano esattamente ciò che si definirebbe un gruppo unito. Erano tutti molto diffidenti, con la puzza sotto al naso, e credevano di essere i migliori. No, non nella scrittura, ma in t u t t o. Un giorno chiesi se potevo essere spostata in un’altra aula ed ero anche vicina al mio intento di abbandonare quegli idioti che mi fissavano continuamente, alterandomi i nervi. Poi arrivò lei: Valerie. Poco più alta di me, con lunghi capelli castani, occhi scuri e timidezza stampata in volto. Non aveva molta sicurezza, anzi tutto il contrario, e questo la penalizzava. Se non dimostravi di avere le palle quei bastardi ti mandavano a casa con la coda tra le gambe; era già successo, in passato, un episodio simile.
Decisi di non lasciarla sola in mezzo a quel branco di belve e ritirai la domanda di trasferimento. Non ho ancora ben chiaro in mente il perché di quel mio atto di generosità. Presi in considerazione l’ipotesi dei rimorsi di coscienza che mi sarebbero venuti successivamente, ma non teneva molto. E poi non m’importava; ormai non si poteva tornare indietro.
Valerie era strana. Non per il modo in cui si poneva, ma per l’atteggiamento. Era sempre sorridente, con litri di positività che sprizzavano da tutti i pori e un attaccamento innaturale verso la natura. Ed era magra. Molto, troppo magra. Ogni volta che la toccavo, anche solo per sbaglio, avvertivo la sensazione di quando si maneggia un cristallo; avevo paura di romperla.
Un giorno finimmo in un fast food, insieme, a far pranzo. Fu’ la prima ed ultima volta che la vidi mangiare davanti ai miei occhi. Addentò un maxi hamburger e fece sparire anche metà delle mie patatine che le avevo gentilmente offerto.
« Mi spieghi dove metti tutta quella roba? », le chiesi sbalordita.
Lei alzò lo sguardo dal suo pranzo e sorrise.
« Penso sia questione di metabolismo. Negli ultimi anni è mutato parecchio, visto che da piccola ero bella cicciottella! »
« Non sai quanto t’invidio. »
Mai parole furono meno adatte.
I giorni passavano e Valerie mi appariva sempre più esile, sempre più fragile. Giravano brutte voci riguardo la sua salute, ma io non volevo crederci. E feci male. Dopo più di tre settimane d’assenza arrivò in classe la notiziona, quella che scatenò il putiferio all’interno del nostro corso: Valerie era finita ricoverata in ospedale. Non stetti molto a pensare sul da farsi. Raccolsi le scartoffie sul mio banco, le infilai nella borsa in cuoio che mi aveva regalato lei e corsi verso l’ospedale. Ce n’era solo uno nei dintorni, perciò non mi servì chiedere indicazioni.
Quando i suoi occhi scuri fissarono la mia figura davanti alla porta della sua stanza, mi sentii bloccata. Il mio cervello aveva smesso di funzionare, i muscoli non rispondevano a nessun comando; riuscivo solo a guardarla. Era seduta sul letto, avvolta da una camicia da notte blu e un lenzuolo bianco, come il resto dell’edificio. Tutto maledettamente bianco, senza vita. Lei odiava non essere circondata da colori ed io lo sapevo bene.
Vedevo il viso scarno, le braccia ridotte a poco più che legnetti; i capelli avevano perso lucentezza e quel po’ di colorito che aveva sulle gote era sparito completamente, lasciando spazio ad un foglio di carta trasparente e sottile. Il sorriso l’aveva abbandonata. Mollai la borsa e le corsi incontro quando vidi i suoi occhi velarsi d’uno spesso strato di lacrime che chiedevano soltanto d’essere lasciate libere di scorrere sui lineamenti spigolosi di quello che ormai era il fantasma di Valerie. La abbracciai piano, stando attenta a non urtarla bruscamente; era come stringere un albero piccolo e secco.
Rimasi con lei nei mesi a seguire. Il mio letto era una sedia posta in corridoio e l’unica fonte di cibo nei dintorni era il bar a due piani di distanza; vivevo di panini e merendine. Ormai i medici mi conoscevano fin troppo bene. Anzi, direi tutto l’ospedale, visto che ogni centimetro di quel maledetto edificio assorbiva le litigate mie e di Valerie. Non mangiava, non voleva mangiare e si sentiva in colpa se addentava qualcosa di consistente. Si nutriva di acqua, brodo vegetale, tè e tanta forza di volontà. Forza di volontà che, però, era usata male.
Le tenevo gli occhi incollati addosso e ascoltavo le sue preoccupazioni riguardo il corpo -a detta sua- grasso e flaccido che si ritrovava a fissare ogni giorno nello specchio davanti all’armadio. La vedevo versare lacrime amare ogni volta che saliva sulla fredda bilancia posizionata sotto il lavandino, nel bagno. Mi diceva che quel quattro non voleva vederlo, che le faceva schifo, che desiderava con tutta sé stessa veder comparire un tre sul display. La prima volta che me lo disse le tirai uno schiaffo. Il livido che le ho lasciato è rimasto sulla sua guancia per più di due mesi.
Una volta entrai in camera con un panino e una lattina di coca-cola, consumando quello che ormai era il mio pranzo davanti a lei. Rimase con lo sguardo puntato su di me tutto il tempo.
« Mangi tantissimo ma non hai un filo di grasso. Vorrei essere come te. Vorrei avere il tuo corpo, la tua magrezza; vorrei mangiare per vivere e non vivere per mangiare. Credo, però, di essere troppo stupida per riuscirci. Sai, non è bello avere come unico pensiero il cibo. Le calorie, la consistenza, il peso, la quantità, i grassi, i carboidrati. Non riesci a permetterti qualche cosa in più per paura di ingrassare e allora diminuisci le dosi fino a farle diventare inesistenti. Diventi insostenibile, impalpabile e le persone si preoccupano per te mentre tu vorresti solo sparire, perché troppo imperfetta per rimanere su questo pianeta. Io sono così per questo: la perfezione. C‘è chi dice “Non esiste“, ma io so che c‘è. Le modelle, con i loro corpi magri e proporzionati, sono bellissime e leggiadre come fate. Danno l‘impressione di poter volare e scappare via da quello che ormai è diventato un cumulo di merda. Dico io, ti sei mai guardata veramente intorno? Hai mai riflettuto su ciò che l‘uomo ha fatto? Ti sei mai domandata perché il mondo di ribella così? Lo abbiamo avvelenato. L‘uomo avvelena tutti, fisicamente e mentalmente. La società avvelena le nostre menti, deteriorandole e plasmandole sotto i loro palmi, creando dei manichini da muovere a loro piacimento. Ed io non voglio essere costretta ad assistere alla lenta morte del mondo, non ci tengo. Quindi perché mangiare? Perché vivere se non posso fare niente per cambiare le cose? Perché rimanere qui se, con la mia imperfezione, non faccio altro che peggiorare la situazione? »
Fu’ un discorso talmente intricato che quasi faticai a capirlo.
Riflettei a lungo sulle sue parole, su ciò che aveva detto. Valerie era intelligente, fin troppo, e a quel punto mi chiesi come aveva fatto una persona con un tale quoziente intellettivo a infognarsi in una situazione tanto brutta come la sua. Aveva dell’incredibile. Sono passati tre anni dalla scomparsa di Valerie. Il suo corpo era talmente debole che quella caduta dalle scale le fu’ fatale. Rimango tutt’ora dell’idea che lo fece di proposito, che non fu’ un incidente. Lei non chiedeva altro, dopo tutto, perché il suo obbiettivo l’aveva raggiunto. Quella mattina si era pesata e con sua immensa gioia aveva visto comparire un tre al posto del quattro. Lei sorrise, io piansi.
Ancora ho in testa il suo volto, le sue parole, il suo discorso tanto intricato quanto pieno di significato. Mi posiziono davanti allo specchio di camera mia, lungo abbastanza da prendere tutta la mia figura. Mi tasto i fianchi, la pancia, le gambe. Lo sguardo si appanna e le lacrime scorrono veloci sul viso.

Perché rimanere qui se, con la mia imperfezione, non faccio altro che peggiorare la situazione?
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Moonlight S