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Autore: Guitarist_Inside    16/06/2010    9 recensioni
Una giovane chitarrista che vive per e grazie alla musica. Un suo concerto e un incontro alquanto particolare. Una proposta ancora più singolare, forse un po’ azzardata. Un grande sogno che si avvera. Ma con questo prendono forma anche confusione, preoccupazioni, timori, titubanze, paura di deludere… Senza tralasciare però grandi e appaganti emozioni, felicità, gioie, soddisfazioni…
Questa è la prima fanfic che posto (a dir la verità mi ha “convinto” una mia amica a postarla…) spero vi piaccia... (non fermatevi solo ai primi capitoli xDD)
PS: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in alcun modo. Ogni singola parola scritta in questa fic è soltanto opera della mia fantasia e non racconta fatti successi realmente.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio, Tré Cool
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hey, Oh! Let’s go! (*ç*)
Ehm… Sì, sì, lo so, sono in ritardo anche ‘sta volta. In
abnorme ritardo, per di più. Me ne rendo perfettamente conto. I’m a natural disaster, I’m really sorry…
Mi perdonate? ç_ç
Anche ‘sta volta le buone intenzioni c’erano, credetemi! Solo che poi millemila cose si son messe d’accordo per farmi ritardare: e la sQQuola con le sue mille interrogazione e mille verifiche di fine anno, e imprevisti vari a go-go, e impegni d’ogni sorta, e problemi vari, e il PC che fa il mattoide e si rifiuta di farmi scrivere (-.-), e (questa è invece una cosa, almeno per me, stupenda *_*) che a inizio giugno ho finalmente trovato una band Pop Punk con cui suonare (per ora è ancora in formazione, ci siamo solo io e il batterista, che è pure assai bravo :sisi:, perché quell’asshole del ragazzo che doveva fare da bassista e voce s’è volatilizzato, interrompendo ogni sorte di comunicazione con noi, da Facebook, al cellulare, alle mail, al fatto che non s’è mai presentato alle prove -.-" . Vabbè, ora il batterista è partito settimana scorsa ç_ç e tornerà a settembre, quindi gli impegni delle prove, purtroppo per me, non suoneremo assieme (e magari anche con i componenti mancanti che troveremo u.ù) fino a che september will come… ma ora basta, mi son già dilungata fin troppo e se no rischio di annoiarvi troppo u.ù)…
Anyway, [¡WARNING!] ne approfitto per dirvi che il 22 giugno sera partirò per Parigi e tornerò il 30 mattina, dopo aver visto il concerto dei Green Day al Parc Des Princes *____* (si nota tanto che sono eccitata al solo pensiero e che ancora quasi non mi rendo conto che ciò che ho appena scritto accadrà davvero? XD e che poi il 4 Luglio andrò a rivederLi con il “mitico Pentagono” -io e il mio gruppo di amici pazzoidi che purtroppo abitano a Verona e Udine e quindi non vedo spessissimo- ? Oddeo, it seems another dream, or better another 2 dreams that are going to become reality *__* And I can’t still believe it!). Anyway, tornando alla fic, anche dall’Hotel di Parigi potrò collegarmi saltuariamente a EFP per vedere le recensioni (*ç*) e, FOOOOORSE, se faccio a tempo (possibilità che si avvicinano allo 0,1% ma vabbè) aggiornare! ^^
Poi però rimarrò in città (ad eccezione dei giorni impegnati per andare all’HJF col Pentagono *_*) qualche giorno a Luglio, ma da dopo la metà del mese partirò per la montagna. Ecco, lì sarò in un paese (o meglio una frazione di un paese) medievale sperduto tra i monti, di certo molto suggestivo certo, dove ho libertà di suonare e fare la pazza, ma dove non vi è connessione ad Internet… Quindi da metà luglio a fine agosto non mi vedrete su queste pagine ç_ç. Quindi, se non riesco ad aggiornare entro il 10 Luglio (c’è un 30% di possibilità), ci risentiamo a inizio Settembre ^^" (perché in montagna non avrò Internet, ma avrò comunque un PC dove poter scrivere il prossimo capitolo, che posterò al mio ritorno ^^).

Anyway, prima di lasciarvi al capitolo (almeno fingete un moto di allegria, su XD), vorrei dire ancora un paio di cosette.
Vorrei innanzitutto ringraziare in modo particolare la mia mate, cerere, che continua a supportarmi, e in questo capitolo m’è stata di grande aiuto, fungendo anche, per molte parti (non tutte però XD), da correttrice di bozze, da commentatrice in anteprima, e, last but not least, da pompetta-gonfia-autostima *_*
E, sia per questo, sia perché l’idea primordiale per questo capitolo nacque in uno dei nostri Scleri Mentali TM (marchio registrato), voglio dedicarle il capitolo… So, this chapter is dedicated to my dear mate “Joan”, here known as “cerere”. Mate, thanks a lot!!


Angolo dei ringraziamenti e delle idiozie u.ù (XD):
Come sempre, grazie, grazie e ancora grazie a tutti voi che leggete questo mio enorme sclero mentale che viene comunemente indicato con l’appellativo di FanFic XD, e soprattutto a tutte voi che recensite e che mi sostenete… Davvero, non immaginate quanto una recensione possa far contenta l’autrice!!
I love ya, my dears *-*!

Green Star 90: Stell...ahahahaha! *si ricompone* Ok, scusa, ma non è colpa mia se le tue recensioni mi fanno morire. E non so neanche con precisione il perché! *assume un'espressione pensosa da fumetto alla "mumble mumble"*. Boh. Vabbè, comunque, ciao caVa Ftellù *_* XD
"Il prossimo passo saranno i tentativi di figliare?" --> No, saranno i tentativi di omicidio... XD ahaha vabbè, scherzo, non penso di arrivare a tal punto e di sporcare così presto la fedina penale di Ema XD... Però, non so se tu sia già a conoscenza della mia propensione all'iniziare con un argomento per poi stravolgerlo di punto in bianco perché l'improvvisazione mi dice di far così, e soprattutto della mia propensione a far sembrare qualcosa "dolce" per poi tramutarlo in drammatico, oppure violento (violento nel senso di "mazzate" XD), oppure viceversa (molto meno frequentemente ma potrebbe anche capitare prima o poi, chi lo sa...).
Comunque, nella parte con Beatrice, ho voluto ricalcare un po' il suo "parlato"... Anzi, ringrazia che non l'abbia ricalcato completamente, se no altro che le parolacce/insulti che ho scritto lì, (in media, ci sarebbe stata un'imprecazione/bestemmia/parolaccia/insulto/altra cazzata ogni tre parole! E le volgarità avrebbero invaso ogni frase, anche se questa fosse stata composta da soltanto soggetto, predicato e un complemento, come quelle che escono un buon 70% delle volte dalla bocca di tal soggetto ._.") e oltre a ciò, ancora peggio, grammatica, verbi e italiano sarebbero andati tutti assieme a farsi benedire! XD Perché "cioè, ma però, dai cazzo... se avrei fatto quello, era meglio, porc* ***...", ad esempio, io mi rifiuto di scriverlo (per tua fortuna) XD
E vabbè, sarà anche un mio difetto, quando mi arrabbio/non so cosa devo fare/mi infervoro/sono triste/eccetera, è mia abitudine buttarci dentro qualche parolaccia o insulto, talvolta anche senza farci caso, (chezz... XD). Oltre a ciò, dato che non sempre rileggo ciò che scrivo, magari non mi accorgo se sono abbondanti o meno... I'm sorry ^^".
Anyway, mi fa piacere che nonostante tutto ti sia piaciuto il modo in cui descrissi le varie turbolenze interne ^^
"Semplicemente stai più attenta quando ti ritrovi a descrivere situazioni drammatiche." --> Cercherò di tentare u.ù (lo so, non ha un gran senso 'sta frase. Cercherò. punto. XD). Magari anche semplicemente rileggendo di più (ehm... di solito, il tempo scarseggia a tal punto che, se non volgio metterci 6 mesi ad aggiornare, non rileggo oppure rileggo un po' qua e un po' là... e ciò mi capita quando sono di fretta anche nei temi in classe, a scuola! xD).
Ok, seguirò il tuo Consiglio, e non cancellerò i vecchi abbozzi. Resteranno a riposo nel Disco Rigido finché non mi verrà la malsana idea di riaprirli XD rimanendo stupita almeno quanto te dell'abnorme quantità di cavolate che scrivo XD. Ora, ripensandoci, mi spiace solo che quest'estate mi si sia bruciato irreversibilmente il precedente Hard Disk, dove avevo salvati alcuni abbozzi di Enormi Scleri Mentali scritti negli scorsi due anni XD chissà che risate avrei fatto a rileggerli!
"[...] per cui i ripensamenti e le correzioni riservale per scritti più impegnati. Nelle fanfiction l'improvvisazione basta e avanza." --> Concordo in pieno. (Anche perché, se oltre all'improvvisazione usassi anche revisioni & company, non aggiornerei più XD).
Anche se chiamare fanfiction questo mio scritto è un po' esagerato dato che il mio cervello pazzoide lo ritiene più uno sclero mentale che altro... XD Già è tanto se il caro cervellino mi lascia chiamarla anche "fic" o "fanfic", perché è tanto pazzoide da non accorgersi dell'abbreviazione, come i computer, che se rinomini un file aggiungendo un trattino, per lui è tutt'altra cosa XD. Ok, basta, la finisco, sto delirando TROPPO.
"Mi raccomando non mettere troppo tempo per aggiornare!" --> Ehm... scusa, anche sta volta, come ho già detto, mi rendo conto di essere in enorme ritardo... Ultimamente mi riprometto di aggiornare presto, però non ci riesco! >.<" anche perché purtroppo non dipende soltanto dalle mie volontà...
Ciao, alla prossima! *_*

Helena89: e riecco la carissima Prima Lettrice del mio Sclero Mentale TM (marchio registrato)! *_*
Anyway, andando con ordine (essì, io mi diverto a rispondere & commentare le recensioni punto per punto.. ci metto un bel po' ma che ci vuoi fa', mi diverto così XD):
Ema ti fa sapere che lei non saprebbe dire se la situazione creatasi tra lei e quel pazzo di Billie piaccia oppure no, semplicemente perché al momento non ha la più pallida idea di cosa diavolo stia succedendo e di cosa diavolo debba fare XD. Però, aggiunge ora, che dispiacerle, a pensarci bene, no, non le dispiace ;)
"Li voglio assieme sappilo! =) Sono davvero carini come coppia. Si scasserebbero un sacco e poi i loro bacini sono tanto dolciii *-*" --> Alùr... Inizio a mettere le mani avanti col dire che non ho la più pallida idea di come le cose potrebbero evolversi... oddeo, il "si scasserebbero un sacco" è stupendo ahahahahah *_*. Comunque, boh, non so se li vedrai insieme come coppia... Boh, tutto può succedere, nulla è scritto, si vedrà come il mio cervellino Pazzoide farà evolvere la 'situéscion'... XD
Ahahaha... La conversazione con Beatrice era della serie "carina&coccolosa", nevvero? Beh, le tre parolacce ogni parola ricalcano, come già dissi a Green Star 90, il parlato di cotal soggetto (Beatrice).. solo che lei oltre a ciò stravolge spesso in modo pietoso la grammatica, infila bestemmie qua e là e infila certe volgarità che mi vergogno solo a scrivere...
"Sono in ansia per lei.. Non ho davvero la minima idea di cosa le capiterà, e spero davvero che sia una cosa pacifica.. Anche se ne dubito molto, conoscendoti =)" --> Ehm... Fai bene a dubitarne XD
Ehm... mi scuso ancora per l'abnorme ritardo con cui posto... Però, no, ti prego, non mandarmi Beatrice a casa!!! Poi rischierei di sporcarmi la fedina penale e finire in gattabuia, oppure in ospedale assieme alla cara zoccoletta... e, sai, da codesti luoghi non penso che potrei aggiornare, quindi non so quanti ti convenga... ahah XD
"Ultimo appunto: sei migliorata nella scrittura! Non sono una cima a scrivere, però so riconoscere un buono scrittore, e tu fai parte di quella categoria. My compliments. =)" --> Ma...Ma... Thank you! *__* Grazie 1,039 (*ç*) u.ù
Beh... Spero che codesto capitolo ti piaccia e non ti faccia rivoltare lo stomaco dallo schifo facendoti rimangiare i complimenti che mi hai appena fatto XD
See ya soon!! *_*

Crazy_Me: Ma ciao caVa! =)
Uhm... Onestamente neanch'io riuscirei a credere che qualcuno potesse odiare qualcun altro al punto da inseguirlo ostinatamente in capo al mondo per rovinarlo... Però, credimi, non riuscirei a credere neanche a taaaante delle cose che (purtroppo) sento uscire dalla bocca della vera Beatrice da cui quella della fic prende spunto, che ormai da un tipo così non mi stupirei più di nulla -.-"...
"Comunque ogni volta che nomini il nome Beatrice mi viene in mente un'altro nome, di una mia certa compagna di scuola...Strano effetto!" --> Ahahaha XD ma che strano effetto davvero!! Chissà chi è che ti viene in mente.. Uhm... XD Comunque, I'm sorry, ma mi sa che dovrai sentire questo nome affibbiato ad un personaggio non propriamente positivo casto & puro ancora per un po'... XD
Vuoi sapere come andrà a finire (almeno per ora) con Beatrice? Sicura? Bene, allora non devi far altro che restare in codesta pagina e iniziare a leggere il chapter... Beh, mi fa piacere che il capitolo scorso sia stato comunque di tuo gradimento, e spero che questo non ti faccia cambiare idea XD
E scusa ancora se ho deluso le tue speranza, ma speravo anch'io di poter aggiornare presto, poi imprevisti, sQQuola, impegni, PC pazzo, band in formazione, etc etc mi hanno allontanata da codesto impegno.. Scusa ancora!
A presto! *_*

cerere: Mateeeeee *_*!
CaVa compagna di ScleVi Mentali TM (maVchio VegistrVato u.ù)!!! *_*
Ok, passo a commentare la tua lunghissima e belliFFima (*__*) recensione se no non finisco più XD.
"ed ecco che arriva l'angolo dello show 'gonfiamo un po’ il ego incredibile della mia mateeeee'" --> Oooh.. *_* *si munisce anche lei di pompetta gonfia-autostima per ricambiare il favore e gonfiare l'ego della sua carissima mate*
"ma chissene ***! fuck james, non si può reggere una tizia del genere [...]" --> Aahahahah Ema is telling me you're completely right XD
"che poi, detto fra noi, sai la cosa che mi è dispiaciuta di più di tutto il capitolo quale è stata? questa frase: E chissà quanto avrebbero atteso ancora. piccole bottiglie, che si sentono sole. non vi preoccupate, ora arriva Joan a farvi compagnia *_*" --> Ahahahaha mate!! Sai una cosa (sì forse te l'avrò anche già detta xD ma vabbè, la riscrivo lo stesso u.ù)? È dispiaciuto anche a me scriverla!! Davvero, mette una tal malinconia... XD Quasi quasi avevo l'impulso di inserire Joan e Ramona quali infiltrate della fic che andavano a far compagnia a quelle povere bottiglie abbandonate... XD
Son contenta davvero che ti abbia colpito il Viaggio Introspettivo nella mente di Ema... Davvero, non sto scherzando, mi sento realizzata a sapere che ti sia piaciuto *_* XD
"diciamo che di natural disaster ce ne sono più di uno sulla faccia di questa terra (almeno ci facciamo compagnia)." --> Oh yeah, you're not alone ^^
Condivido in pieno la tua breve riflessione commentativa (si dice? Boh, non ho voglia di andare a cercare, I'm too fucking lazy XD) sulla sensazione che tutto sia troppo irreale per essere vero e sul rendersi conto di ciò, e che come di ci tu, "certe situazioni sono cosi incredibili da poter essere accettate a fatica anche se fisicamente si ha la certezza di esserci"...
"[una sola cosa: non provare mai - ripeto: mai! - a vedere se la situazione e vera o no volando dal balcone.... sennò mi arrabbio! XD]" --> Ma figurati, mate! Ma ti pare?! XD Anche l'Ema della fic ha subito scartato quella terribile idea... ;)
"e ora arriviamo al solito angolo denominato 'sclero mentale'" --> *___*
"c'è da dire che hai descritto la scena in maniera comica e grottesca con una maestria che fonde stradivari, donatello e giotto insieme. (ma non avevamo detto basta cazzate, giusto? - giusto)" --> Waa, mi fa davvero tanto tanto piacere che ti sia piaciuta!! Anche se l'onoreH di cotal paragoni forse è esagerato per me... ^^" Beh, grazie mille comunque, son contenta che tu abbia notato le sfumature comico-grottesche collocate qua e là =)
"e cooooomunque, a quanto ne so, la bea della realtà non è molto diversa da quella che hai tratteggiato in questo dialogo finale (soprattutto alla luce di ciò che mi hai detto l'ultima volta, che mi ha lasciato alquanto basita e che probabilmente mi ha creato un trauma latente che insorgerà solo con l'invecchiare della mia materia grigia da mattoide)." --> Ehm... Già. Purtroppo la Bea reale non è molto diversa da quella qui descritta, anche se può sembrare strano a chi non la conosce... E comunque sappi che anch'io a sentire certe cose che dice/racconta vantandosene (io mi sotterrerei se fossi al suo posto, e lei se ne vanta. Mah. -.-") mi lasciano assai basita, sconvolta e schifata. E, beh, allora forse il trauma l'abbiamo entrambe.. o.O e tra qualche anno, invecchiando (XD), ce ne renderemo conto! o.O E andremo a inseguire con very very bad intentions la causa di cotal nostro trauma, conosciuta col nome di Beatrice... XD.
"ed è qui che arriviamo al punto cruciale. io so che tu sai di voler mettere una cosa nel prossimo capitolo. e so che tu sai che io so di che si tratta. e io so che tu sai che io so che non vedo l'ora di divorare il prossimo capitolo. e spero che tu sappia che io so che tu sei una piccola grande mattoide, appartenente alla grande famiglia dei decerebrati, divisione scrittori di fanfiction superstramitichevolissime (miticooo!, per dirla alla homer)" --> Yes, I know. XD E grazie mille(e trentanove u.ù *_*) per cercare in ogni modo di sollevare la mia autostima *__*
Beh, mate, puoi riporre l'ascia da guerra, il matterello, le padelle e tutto ciò che volevi usare per convincermi "gentilmente" a postare. u.ù
See you soon, my dear! *_*


E un grazie speciale anche a tutti voi che avete aggiunto questa fic alle seguite e/o ai preferiti e/o alle storie da ricordare e/o, addirittura, me alle Autrici Preferite (*arrossisce* grazie davvero)! *_* - Fujiko_Chan (AmantaH *_*! I miss you so so much. And I miss so so much also your fuckin’ awesome and hilarious reviews & comments & “scleri”, you know?! XD Torna presto!!), Green Star 90, Helena89, Mary17, micky_malfoy87, millape, ZofouArtemis (I miss your comments, darling…), 801_Underground, cerere, Crazy_Me, DearlyBeloved96, Jayden Akasuna, K_BillieJoe (Where are you, my dear?), Sybille, SuomiLover, Francy924 (fammi sapere a che punto sei arrivata, darlin’ ^^), _LISA_, totolo, SilentMoon (Dearly Beloved, where are you??!? I miss ya so so much… Sento la tua mancanza qui su EFP -oltre che su MSN, anche se finalmente l’altro giorno siamo riuscite a sentirci di nuovo dopo tanto tempo *ç*- , che fine hai fatto?), …
Thanks a lot to everybody!! *-*
E se non chiedo troppo, quando riuscite, mi farebbe davvero piacere (per chi non lo fa già *w*) se lasciaste una recensione, o un commento anche piccolo, giusto per sentire la vostra presenza e per sapere cosa ne pensate ^-^



Ok, ora basta, vi ho “annoiato” fin troppo. Ma che ci devo fare, se io mi diverto e mi sento, come dire, realizzata?, a leggere le vostre recensioni e a rispondere una per una dettagliatamente? XD
Bon, la mattoide vi lascia ora al tanto atteso capitolo.
Come al solito, spera che non vi faccia schifo che vi piaccia =)
Buona lettura… See ya soon *ç*







CAPITOLO 16 “Romantic” engagement with Beretta


Silenziosamente uscii dall’hotel e imboccai la via silenziosa che si dipanava davanti a me, rischiarata solo dai lampioni posti a ritmo regolare lungo di essa, che proiettavano ombre dall’aspetto poco rassicurante. Per un attimo mi parvero addirittura ombre di croci fredde di morte, conficcate duramente nel terreno. L’improvviso rombo di un’automobile che sfrecciò nella notte mi fece sussultare.
Mi acquattai contro un muro, mentre i due occhi lampeggianti della vettura saettarono davanti a me, per poi venire inghiottiti nuovamente dal buio e dal silenzio, dopo una curva che sembrava finire nel nulla.
Mi accorsi che stavo tremando.
D’accordo, era notte fonda (saranno state le due), ed indossavo ancora soltanto una t-shirt, ma non era freddo quello che sentivo… D’altronde, in quel periodo la temperatura australiana si manteneva abbastanza mite anche nelle ore notturne…
No, non era certo per il freddo che stavo tremando.
Tremavo per la rabbia, tremavo per l’odio, tremavo per l’indignazione, tremavo per il rancore, tremavo per il nervosismo, tremavo per la tensione, tremavo per l’inquietudine, e, forse, tremavo un po’ anche per il timore, per la paura.
Accelerai il passo, imboccando una solitaria via secondaria, venendo inghiottita dalla coltre d’oscurità che vi regnava.
Imprecando tra i denti, tirai un calcio ad un bidone, che si rovesciò. Il frastuono riecheggiò nella macchia di tenebra che inghiottiva il vicolo, ma nessuno sembrò prestarci attenzione. Il coperchio rotolò a pochi passi da me, ruotò su se stesso, e poi si fermò con un rumore secco, metallico, che aveva un ché di sinistro.
Uscii dal vicolo e imboccai un viale di cui non ricordavo il nome, ma che riconobbi subito poiché l’avevo percorso soltanto poche ore prima, correndo con Mike… Mi fermai un attimo in mezzo alla strada e lo fissai, attonita: sembrava così diverso da poche ore prima che stentavo a riconoscerlo… Percorso sotto la luce degli ultimi raggi solari, con il bassista, appariva raggiante, sereno, calmo, rassicurante. Ora invece aveva un’aria completamente differente: scabra, desolata, angosciante… Ma forse la colpa non era solo della notte, della luna che a tratti spariva dietro qualche nuvola, dalle ombre sinistre che la popolavano, dal silenzio troppo profondo che regnava, talvolta interrotto bruscamente dal passaggio isolato di qualche moto o auto… Probabilmente gran parte di quelle impressioni erano dovute a come mi sentivo io, e ciò si proiettava in ciò che vedevo.
Inspirai a fondo l’aria fresca della notte. Sospirai.
Poi ripresi quel cammino doloroso che ormai dovevo intraprendere.
Quella strada pullulante di difficoltà, quella via angosciosa piena d’ira e tormento…
“The road I must travel”…
Mi ritrovai a cantare sottovoce l’omonima canzone, accompagnata, nella mia imaginazione, dalla chitarra acustica di Morello, che diffondeva note dolci ma graffianti, e dalla sua voce, anch’essa rassicurante ma tagliente. Rassicurante ma dubbiosa.
So tonight I walk in anger
With worn shoes on my feet
And the road I must travel
Its end I cannot see…

Sì, quella notte stavo camminando nella collera; ai piedi le mie scarpe consumate, che avevano percorso con me chilometri e chilometri. E non riuscivo a vedere la fine di quella dannata strada che dovevo percorrere…

Il pensiero di fuggire e tornare in hotel venne repentinamente scacciato al pensiero di ciò che quella carogna avrebbe potuto causare ai tre musicisti che in quel momento dovevano trovarvisi, e il vuoto lasciato venne subito colmato da nuovo furore, nuova collera, nuova irritazione, nuova indignazione, nuovo odio.
Un passo dopo l’altro, ripresi tacitamente a percorrere il viale, sola.
I walk this empty street
On the boulevard of broken dreams
Where the city sleeps
And I'm the only one and I walk alone…

Sorrisi, con un velo di tristezza, mentre la voce di Billie e le note di “Boulevard Of Broken Dreams” risuonavano sempre più forti nella mia mente.
Sospirai per l’ennesima volta e continuai il mio cammino.
I walk alone… I walk alone… I walk alone… I walk a…
Alzai gli occhi al cielo, mentre l’ennesima cinerea nuvola lasciava filtrare i raggi lunari.
Una fredda folata di vento mi sferzò il volto. Poi tutto si chetò nuovamente. Il silenzio in quell’istante era quasi surreale, interrotto soltanto dal leggero ed ovattato rimbombare dei miei passi sull’asfalto.
My shadow's the only one that walks beside me…
My shallow heart's the only thing that's beating…


Giunsi in prossimità del 3rd Avenue, mentre i tremiti scuotevano il mio corpo con intensità sempre maggiore.
Strinsi i pugni, conficcando le unghie nei palmi e imprimendovene il segno per qualche secondo.
Il momento stava per giungere.
I am a killjoy from Detroit
I drink from a well of rage…

Sì, avevo bevuto, anzi prosciugato, un pozzo contenente solamente rabbia, indignazione ed odio. E ora avrei guastato la sua festa, avrei combattuto fino allo stremo, non le avrei permesso di vincere con i suoi sporchi metodi.
Accelerai il passo: mancava ancora un quarto d’ora abbondante, ma la collera e il disprezzo che scorrevano nelle mie vene incrementavano l’impazienza, la voglia di darle una lezione e, soprattutto, il desiderio che tutto finisse il più presto possibile.
This is a stand off,
A Molotov cocktail
On the house…
You thought I was a write off,
You better think again…

Già, lei mi considerava un fallimento, una “povera sfigata”, per dirla con le sue parole, ma avrebbe dovuto ripensarci. Anzi, avrebbe dovuto ripensarci prima: ora era troppo tardi, e presto si ne sarebbe resa conto che la verità non era affatto come la vedeva lei.
Perché, sotto uno strato di apparente tranquillità, potevo nascondere un’enorme carica esplosiva. Quello era, ancora per pochi minuti, un punto di stallo, ma ben presto avrebbe potuto sperimentare la “Molotov” che avrei scagliato contro di lei, e che l’avrebbe dilaniata tra le fiamme di un esplosivo cocktail di disgusto, sdegno, furore e odio. Avrei combattuto come una guerrigliera ribelle che difende la propria libertà e i propri ideali.
Call the peacemaker, hey hey!
Hey hey hey hey hey!
I'm gonna send you back to the place where it all began…

Sì, bisognava chiamare un “peacemaker”…
Ma peacemaker inteso come pacificatore, o come un antico tipo di Revolver americano, la “Colt Single Action Army” conosciuta, appunto, anche come “Peacemaker”? Un ghigno mi si disegnò in faccia: non avevo mai pensato al secondo significato che poteva assumere quel termine fino a quel momento.
Imboccai il 3rd Avenue.
Sì, avrei chiamato il mio “peacemaker”, e avrei rispedito quell’odioso essere nel lerciume da cui proveniva. L’avrei rispedita nel luogo dove tutto aveva avuto origine.
Vendetta, sweet vendetta…
This Beretta of the night…
This fire and the desire
Shots ringing out on a holy parasite…

Raggiunsi la metà del viale, immaginando il dolce sapore della vendetta.
Non l’avrei lasciata vincere. Assolutamente no.
Quello sarebbe stato un “romantico” appuntamento con Beretta. E, anche se non avevo fisicamente una pistola, sentivo in me la forza distruttiva di mille proiettili pronti a colpire, colpire e sparare contro quel parassita. E in me ribollivano il fuoco e il desiderio; il desiderio di avere la mia rivincita, di farle pagare tutto ciò che mi aveva fatto negli ultimi anni, da quando avevo avuto la “fortuna” di conoscerla al Liceo; di restituirle con gli interessi la sofferenza, l’odio, la collera, il risentimento, la stizza, lo sdegno, il disgusto che avevo provato a causa sua fino ad allora. Di farle pagare finalmente tutti gli insulti che aveva diretto a me, ma soprattutto ai miei ideali, ai miei pochi veri amici (e soprattutto a Saul), alla mia musica, a quella che suonavo e a quella che ascoltavo, ai Green Day, al mio mondo… Di farle pagare tutti i modi che aveva usato per infastidirmi e per complicarmi ogni cosa. Di farle pagare tutta la sua superbia, il suo credersi chissà chi nonostante fosse soltanto una troia, una stronza, una lurida approfittatrice, un’idiota ignorante, una schifosa presuntuosa, che, nonostante tutto, non avrebbe mai potuto nascondere il marcio che aveva dentro.
Persa nei miei pensieri, raggiunsi il vicolo e lo imboccai.
L’atmosfera non era delle più rassicuranti, e la prima impressione fu quella di trovarmi sul set di un qualche film horror o comunque di una scena a tema truculento. O forse su quello di un video di Marilyn Manson… Beh, poco cambiava.
Lei non era ancora arrivata, o almeno, non riuscivo a vederla nella penombra che regnava nella viuzza.
Mi fermai a metà di quella piccola e terribile strada maledetta, guardandomi attorno circospetta, rizzando le orecchie per captare il minimo rumore.
La luce lunare velata a tratti dalle nuvole transitorie disegnava strane ombre, che non facevano altro che aumentare l’aspetto inquietante del luogo, che ora apparivano e ora sparivano nel tenebroso silenzio, intrufolandosi tra palazzi decrepiti e all’apparenza abbandonati, tra bidoni dell’immondizia maleodoranti, tra pali della luce spenti, piazzati ai bordi della strada e conficcati nell’asfalto come croci mortuarie conficcate nel terreno freddo e desolato di un cimitero.
Quel dannato vicolo fantasma trasmetteva solo desolazione e angoscia, angoscia e desolazione.
A coronare il tutto, sull’asfalto erano abbandonati la carcassa di un motorino rubato e sventrato delle parti vitali, una ruota di bicicletta, i resti in putrefazione di un cane squartato, un bastone insanguinato e un bidone rovesciato da cui fuoriusciva di tutto e di più…

Un improvviso rumore di passi mi fece sussultare.
Mi voltai dalla parte da cui proveniva e vidi una figura uscire dalle tenebre, che man mano si avvicinava diventava sempre più definita: lei.
Sentii il sangue ribollirmi nelle vene, mentre il respiro si fece sempre più veloce, grave, impaziente, furioso.
– Ah, sfigata, alla fine sei venuta eh? – esordì maligna, col suo solito fare sguaiato.
Strinsi i pugni, soffiando come un toro inferocito.
– Cosa credevi? – riuscii a risponderle, dopo un attimo di silenzio.
– Niente, solo non credevo che avessi il fegato di venire qui, da sola, a batterti con me… Perché ‘sta volta lo sai che non potrà venire nessun coglione a salvarti, vero? Lo sai che qui nessuno sentirà né vedrà niente, vero? Lo sai che potrò tranquillamente sbarazzarmi di te, vero? –
– Non ci riuscirai… – dissi tra i denti.
– E chi te lo dice? – rispose maligna – La situazione mi sembra dalla mia parte, no? –
– Lo so che giocherai sporco, come al tuo solito! Lo so… E so anche che sei solo una schifosa piattola vigliacca che non ha il fegato di affrontare le cose! –
– Vedila come vuoi – mi interruppe – io la chiamo comodità… –
– Io la chiamo codardia! –
– Ma stai zitta, sfigata! Che non saresti certo ancora tra i piedi se qualche ora fa quel coglione stona… –
Non riuscì a finire la frase, perché, d’impulso, l’afferrai per i capelli e, prima che lei se ne rendesse conto, si trovò spalle al muro.
– Non è affatto vero, e lo sai! – le urlai inferocita, stupendomi mentalmente della rapidità e della forza della mia azione – Lurida troia schifosa, lo sai benissimo che non è così! E tu non ti azzardare a insultarlo un’altra volta o ti sfracello la testa contro questo muro! –
– Chi? Quel coglione di un nano sfigato che non sa fare musica che piace tanto a te e a quell’altro tuo amico sfigato deficiente? – provocò, sguaiata, come al suo solito.
– Fuck Off and Die! – le mormorai all’orecchio, tra i denti, in un sussurro colmo di collera.
– Cos’è che hai detto, sfigata? – fece lei di rimando, divincolandosi per cercare di liberarsi.
– Ho detto vaffanculo e muori, ignorante! – ribattei, dominata sempre più dal furore.
– Crepa tu, pisciatura! – rispose, continuando a strattonarmi.
Riuscì a divincolarsi e tentò di imprimere le sue luride nocche sul mio volto, ma fui più rapida di lei e mi scansai appena in tempo: il suo pugno si schiantò contro il duro e freddo muro, sbucciandogliele; assieme al sangue sgorgò anche un insieme indefinito di insulti e bestemmie.
Cercai di colpirla a mia volta, ma mi bloccai di colpo sentendo una lama gelida incrociare il mio braccio.
Arretrai, contemplando il taglio lungo quasi una decina di centimetri che attraversava la parte inferiore del mio avambraccio destro.
– Lurida puttana, lo sapevo che saresti stata così vigliacca da giocare sporco! – urlai, infuriata.
Continuai a indietreggiare, tamponandomi la ferita, cercando di arginare i rivoli color cremisi che ne scaturivano. Fortunatamente mi ero spostata in tempo, così il coltello mi aveva colpito solo di striscio e la profondità del taglio era un millimetro e mezzo scarso, nonostante questo sanguinasse ancora e bruciasse indescrivibilmente.
Beatrice prese a inseguirmi, brandendo quel suo maledetto coltellaccio insanguinato verso di me.
Era sempre più vicina.
Continuavo a correre, ansimando vedendo avvicinarsi sempre più il muro che chiudeva il vicolo.
Holy shit.
Ero in trappola.
No, non dovevo darmi per vinta così facilmente.
Mi guardai intorno freneticamente, senza trovare nulla che apparentemente avrebbe potuto essermi utile.
Ma, ad un tratto, qualcosa attrasse la mia attenzione: qualcosa che giaceva per terra a pochi passi da me, che brillò per un secondo, colpita dai raggi della pallida luna.
Qualcosa che riconobbi come una cartuccia.
E a pochi centimetri da questa vidi qualcosa che assomigliava molto ad una Beretta.
Una Beretta…
Strabuzzai gli occhi.
Oh. My. God.
Il primo pensiero che la mia mente riuscì ad articolare fu che la coincidenza era alquanto buffa: camminando verso quel luogo da incubo, poco tempo prima, avevo cantato “Peacemaker” nominando proprio una Beretta nella notte…
This Beretta of the night…
Mi avvicinai e la guardai meglio: sì, era proprio una Beretta.
Una M9 per la precisione… Prima d’ora l’avevo vista solo nei film, ma la riconobbi in un attimo, nonostante stentassi a credere di avere davvero un autentico esemplare di Beretta 92FS che giaceva davanti a me.
E per di più, proprio nel momento del bisogno, e ai miei piedi.
Non sapevo cosa pensare…
Un po’ titubante, la raccolsi; una cosa era certa: sicuramente era meglio in mano mia che sua.
Nel frattempo Beatrice e la sua lama infernale erano sempre più vicini, sentivo il suo fiato sul collo, mentre un alto muro si stagliava davanti a me impedendomi ogni via di fuga.
– Ferma o sparo! – gridai, fermandomi, estraendo la Beretta e dirigendola verso di lei.
La carogna sgranò gli occhi e si bloccò di colpo.
– Getta quel tuo lurido coltellaccio e porta le tue luride mani sopra la tua lurida testa! – gridai, un po’ rincorata.
– Oppure? – chiese canzonatoria Beatrice, mentre alzava un solo braccio sopra la testa, continuando a impugnare minacciosa il coltello con l’altra.
– Oppure sparo. – risposi secca, con la forza della disperazione.
– Non ne avresti il coraggio… –
– Non tentarmi, Beatrice… –
In tutta risposta, lei rise odiosamente.
– Non faresti del male a una mosca, sfigata! – provocò astiosa.
A una mosca no, ma a te sì. E per di più è per legittima difesa. – risposi acida.
– Su, allora, dai, sparami! – provocò ancora, canzonatoria e incredula – Che aspetti? Hai forse paura? Pappamolle, sparami, se ne hai il coraggio! Su, dai, sparami! – si mise a braccia conserte – Sparami, se ci tieni ai tuoi cari coglioni stonati! –
A quelle parole, prima che riuscissi a rendermi conto delle mie azioni, tremando, strinsi la pistola.
Controllai il tremito, cercando di annullarlo.
Alzai leggermente il braccio destro e strinsi maggiormente la Beretta, stritolandola tra le mie dita.
Quindi inserii la cartuccia.
Mi morsi il labbro rotto, assaporando masochisticamente il sapore ferreo del sangue che aveva ripreso a sgorgarne.
Chiusi un occhio.
Mirai alle sue gambe (non avrei mai pensato di ucciderla o ferirla gravemente, nonostante probabilmente se lei fosse stata al mio posto non ci avrebbe pensato due volte; ma io non ero come lei) e premetti il grilletto.
Seguì un attimo di silenzio sbalordito da parte di entrambe, seguito da un’altrettanto sbalordita attesa.
L’atmosfera era quasi surreale.
Per qualche secondo fu come se il tempo si fosse fermato.
Il silenzio era palpabile, rotto solo dall’incessante e martellante pulsazione che si faceva sempre più forte nella mia testa, mentre il mio cuore sembrava voler uscire dalla cassa toracica.
Passò un secondo.
Ne passarono due.
Ne passarono tre.
Ne passarono quattro, cinque, sei.
Ma non accadde nulla.
Niente.
Niente di niente.
Holy shit!
Quella fottutissima Beretta non funzionava!
Ero nella merda totale.
Rise volgarmente, avvicinandosi e brandendo la lama.
No! Non era ancora detto.
Gettai una veloce occhiata alla M9.
Cazzo, come avevo potuto essere così idiota?
Come avevo potuto essere così imbecille?
L’angoscia fa brutti scherzi. E mista ad ansia, terrore ed incertezza è micidiale.
Quasi mi venne da ridere: avevo dimenticato di togliere la sicura!

Non feci in tempo a toglierla, che Beatrice si era già slanciata verso di me, vibrando quel suo maledetto coltellaccio.
Feci istintivamente un balzo laterale per togliermi dalla sua traiettoria, ma la Beretta mi sfuggì dalle mani e cadde in un tombino aperto.
Vi fu qualche secondo di silenzio, poi risuonò un “pluf”.
Addio Beretta.
Addio possibilità di difesa.

Cazzo.
Per una volta non poteva andarmi bene qualcosa?
Perché doveva sempre finire così?
Un attimo… Finire?
Avevo detto “finire”?
No, no no no no. Assolutamente no. Non poteva finire così, e che diamine!
Mi riscossi dai miei pensieri giusto in tempo per evitare un nuovo attacco di Beatrice.
Dovevo trovare un modo per difendermi, e possibilmente ribaltare la situazione.
Individualizzare un suo punto debole e fare in modo che le si ritorcesse contro, o trovare qualcosa per difendermi e attaccarla anch’io, o entrambe le cose.
Pensa, Ema, pensa” mi dicevo, cercando di prendere tempo scartando i suoi colpi.
D’un tratto mi ricordai di aver visto un bastone insanguinato di notevoli dimensioni, abbandonato accanto alla carcassa del cane e al bidone dell’immondizia rovesciato.
Dovevo solo trovare un modo per riuscire a raggiungerlo, all’imbocco del vicolo. Il che non era così semplice, trovandomi io al suo termine, con Beatrice e il suo coltellaccio che cercavano di costringermi al muro e mi bloccavano la strada.
Con la forza, in quella condizione, certamente non ce l’avrei fatta.
Dovevo giocare d’astuzia, mettere in moto i neuroni e fregarla con l’intelletto, in cui ancora la superavo.

Non appena riuscii ad avvicinarmi a sufficienza, senza badare a schizzinosaggini, raccolsi fulminea il suddetto bastone, brandendolo in aria verso Beatrice, che stava tornando all’attacco, innervosita e furente per essere caduta nel tranello che mi aveva permesso di aggirarla e correre fino all’ingresso di quel maledetto vicolo.
Usai quella sudicia asta di legno insanguinata per parare il suo ennesimo colpo, cercando intanto un modo per come poterle sottrarre quel fottuto coltellaccio che faceva ancora pendere la bilancia in suo favore.
La situazione continuò invariata per diversi minuti: Beatrice attaccava, io mi difendevo, aspettando un suo possibile passo falso e cercando di pensare, tra un colpo e l’altro, a come capovolgere la situazione in mio favore.
Ad un tratto mi si presentò la situazione che attendevo.
Beatrice mi sferrò un calcio, ma le bloccai repentinamente la gamba con il braccio libero, cogliendola di sorpresa.
Lei vacillò, perse l’equilibrio, cadde all’indietro.
Ma, nonostante tutto, anche da quella posizione, continuava a dimenarsi e a sferzare l’aria con la sua lama diabolica, come un cavallo imbizzarrito.
Cercare di tenerla ferma o, peggio ancora, levarle l’arma, era tutt’altro che semplice.
Tuttavia non sapevo quando si sarebbe presentata ancora una situazione del genere: dovevo rischiare e provarci.

Ad un tratto avvertii, per un microsecondo, un freddo gelido che sferzò la mia guancia destra.
Soffocai un urlo e portai istintivamente la mano in quel punto, per poi levarla un attimo dopo, sporca di sangue.
Urlando tra i denti insulti e imprecazioni, mi accanii con ancora più veemenza sulla mia nemica e la sua lurida arma, finché riuscii finalmente a disarmarla: cercando lei di parare un mio violento pugno dettato dal furore diabolico del momento, il coltellaccio le sfuggì di mano, andando a cadere diversi passi più indietro.
Un clangore metallico risonò sul selciato, riecheggiando in una macchia di tenebra, mentre nei suoi occhi, tra la rabbia e l’arroganza, si dipingeva anche una nota di panico.
Ma il suo sbigottimento durò pochi attimi: infatti ritornò subito all’attacco, divincolandosi e cercando di sferrare pugni e calci.
Riuscì a liberarsi, e prese a correre verso il suo coltellaccio, seguita a ruota da me.
Ormai poche falcate la dividevano dalla sua arma: dovevo sbrigarmi o l’avrebbe ripresa, vanificando tutto ciò che mi era costato per disarmarla.
Strinsi saldamente l’impuro bastone che avevo raccolto e mi lanciai su di lei, atterrandola appena in tempo ad evitare che la raccogliesse.
Ma tanto si dibatté comunque che riuscì a sfiorare il suo coltellaccio, calibrando però male la forza e assettandogli un colpo che lo fece scivolare più lontano, per poi cadere nel solito tombino aperto, dove andò a far compagnia alla Beretta che avevo trovato.
Urlò e bestemmiò, continuando a divincolarsi e mettendo sempre a più dura prova le forze con cui dovevo trattenerla, che iniziavano a mancarmi.
Lei non aspettava altro che questo per sgusciar fuori dalla mia presa e sferrarmi un pugno, che mi colpì al braccio già precedentemente ferito e sanguinante.
Mi alzai di scatto e iniziai a rincorrerla, finché questa volta fu lei a finire con le spalle al muro.
Mi invase un furore che rivendicava quello soppresso tutte le innumerevoli volte che non avevo reagito alle sue mille provocazioni, ai suoi mille tentativi di ostacolarmi, ai suoi mille insulti diretti a me, alle persone e alle cose a cui tenevo di più, a tutto ciò che mi aveva fatto da quando l’avevo conosciuta.
La guardai con sguardo di fuoco.
La fissai negli occhi per qualche microsecondo, come se volessi fulminarla all’istante.
Alzai il bastone coperto di quel sangue non propriamente puro, per poi abbassarlo con violenza, colpendola all’addome e sporcandola di quel sangue di dubbia provenienza, che si mischiò a quello che iniziò a sgorgare dal suo corpo.
Cacciò un urlo perforatimpani.
– Tu! Stronza! Sfigata, pisciatura! Tu, quei tuoi amici bastardi e quel nano stonato… Adesso te la faccio vedere io… – iniziò poi a gridare sguaiatamente, fuori di sé.
In tutta risposta, senza neanche finire di ascoltarla, abbassai con ancora più veemenza quel fottuto bastone su di lei, che però questa volta si scansò.
Con un sonoro “crack” il legno si ruppe contro il muro: la parte più lunga volò via, lasciandomi in mano solo un moncherino che gettai lontano con rabbia, soffiando furente.
Le sferrai un pugno in volto.
Ricevetti a mia volta un pugno in volto.
Ben presto rimanemmo avvinghiate in un feroce intrico di gambe e braccia, scalciando e sbuffando come tori accecati dal furore.
Cercò di bloccarmi un braccio, ma prima che riuscisse nell’intento le afferrai i sudici serpenti color cenere che aveva in testa.
Si divincolò urlando disumanamente.
Mi colpì con un calcio al ginocchio, che cedette.
Caddi a terra, trascinando però con me quel lurido parassita.
La lotta continuò a inferocire, a terra, per un lasso di tempo indefinibile, in cui i nostri corpi uniti dall’odio continuavano a ferirsi vicendevolmente.

Ad un tratto, Beatrice batté la testa contro il suolo e rimase tramortita.
Mi bloccai un attimo.
Avrei potuto finirla, se avessi voluto.
Mi alzai e contemplai qualche secondo quella lurida puttanella bastarda che cercava di rovinarmi la vita.
I capelli arruffati in cineree matasse imbevute di sangue e sudore. Gli occhi fuori dalle orbite, il trucco ridotto a un’indefinibile macchia nero-violacea, che si mischiava all’occhio nero che le avevo provocato durante la serata, e che le colava lungo il viso assieme a rivoli di sudore con sfumature color cremisi, portando con sé anche tracce di fondotinta. Il naso aveva ripreso nuovamente a sanguinare. I lividi delle botte sparsi un po’ su tutto il corpo, accompagnati da qualche ferita ancora sanguinante. I vestiti sgualciti, strappati, e anch’essi sporchi del solito fluido color amaranto, la cui provenienza non era più così certa (poteva infatti essere suo, mio, o appartenere a quello del bastone abbandonato, ancora più impuro del uso).
Rimasi bloccata qualche secondo, indecisa su come comportarmi.
Alla fine mi voltai semplicemente e tornai sui miei passi, sospirando.
Forse l’avrei rimpianto per chissà quanto tempo, ma non avevo la forza di finirla.
Non amavo il gioco sporco.
Non ero codarda come Beatrice.
Non me la sentivo di fare ciò che probabilmente una come lei avrebbe fatto senza farsi tante domande.
Ma io non ero come lei.

Mi trascinai fuori dal vicolo, e ripresi, non senza fatica, la strada che conduceva all’hotel.
Ma, dopo pochi passi, le mie gambe cedettero e mi accasciai al bordo del marciapiede di una via silenziosa e solitaria.
Guardai la mia ombra, sovrappensiero, valutando che le mie condizioni, dopo quello scontro, non erano certo migliori di quelle di Beatrice.
Mentre mi passavo una mano tra i capelli fradici di sudore contaminato dal sangue e osservavo cotal liquido amarantino sgorgare dal taglio sull’avambraccio destro, assaporandone il ferreo sapore in bocca dal solito labbro rotto, avvertii un nuovo e impellente bisogno.
Chiusi gli occhi e inspirai l’aria fresca della notte, così apparentemente tranquilla da sembrare ignara dello scontro consumatosi fino a pochi minuti prima.
Avevo bisogno di parlare con lui.
Avevo bisogno anche solo di sentire la sua voce.
Quella voce che mi era sempre accanto, che mi accompagnava nelle soddisfazioni e nelle felicità, come nei dolori e nelle traversie.
Quella voce che cercava sempre di tirarmi su e che sapeva sempre come rincuorarmi.
Quella voce che non era mai stanca di prodigarmi consigli; che cercava di dare una risposta ai miei interrogativi, e che me ne poneva quando ve n’era bisogno.
Quella voce che aveva sempre tempo di ascoltarmi con attenzione, con i suoi eloquenti silenzi.
Quella voce che non mi aveva mai voltato le spalle.
Quella voce su cui sapevo di poter contare davvero.
La sua dannata voce.
Sì, ne avevo un gran bisogno.
Chissà cosa stava facendo in quel momento…
Presi il mio cellulare che, strano ma vero, era rimasto quasi integro e perfettamente funzionante, e composi il suo numero.
Trattenni il fiato, mentre i “tu…tu” che intervallavano l’attesa accrescevano l’ansia.
Mi avrebbe risposto?
Avrebbe avuto il tempo di ascoltarmi, anche questa volta?
– Pronto? –
– Hey bro… – dissi sollevata, riprendendo a respirare quasi regolarmente.
– Hey sis… Giuro che è da... boh, da non so quanto tempo, che mi stavo chiedendo se chiamarti o no – rise.
Riuscì a strapparmi un debole sorriso.
– E perché mai? –
– Beh… Insomma… Non volevo disturbarti, ecco. –
– E da quando in qua tu mi disturbi? –
– E da quando in qua tu te ne vai in Australia a suonare coi Green Day? – replicò. Il suo tono aveva un nonsoché di indecifrabile, come se volesse congratularsi e rimproverarmi allo stesso tempo.
Sospirai.
– Dai, non te la sarai mica presa!? – domandò lui qualche secondo dopo.
– No, figurati –
– Eh, meno male… – rise – Non ti preoccupare, non sono mica geloso… Nah, figurati. Sono contento per te, anche se devo ammettere che un po’ ti invidio... Anzi, non solo un po’… Comunque, tornando seri, volevo solo dire che volevo sentirti per sapere com’era andata eccetera, ma non sapevo quando chiamarti perché temevo di disturbarti, che ne so, durante le prove, o durante il concerto, o durante l’after party… –
A quelle ultime parole, sospirai ancora una volta, mestamente.
In un secondo mi passarono davanti agli occhi tutti gli avvenimenti della serata e della notte.
Senza che potessi farci nulla, una lacrima andò a mischiarsi col sudore e con il sangue sul mio viso.
– Hey… What’s up? –
La sua voce mi fece tornare al presente.
– Saul… – iniziai a dire, cercando le parole per continuare.
– Sì? –
– Hai… Hai presente la prima strofa di Basket Case? –
– Beh, sì, certo… Perché? –
– Ecco… Fa’ conto che quella domanda sia rivolta a te. No, aspetta. Pensaci un attimo e rispondi seriamente. So, honestly… Do you have the time to listen to me whine about nothing and everything all at once? –
– Yes, I have. – rispose dopo qualche secondo di silenzio.
Gioii nella mia tristezza.
Feci un profondo respiro e, accasciata al bordo di quel fottuto marciapiede, fregandomene delle lacrime che scorrevano sulle mie ferite, fregandomene del dolore, fregandomene dei singhiozzi che di tanto in tanto interrompevano qualche mia frase, fregandomene di un qualsivoglia filo logico narrativo e seguendo soltanto quello delle immagini che si affacciavano e si sovrapponevano nella mia mente, iniziai a raccontargli tutto, partendo dalle prove fino ad arrivare a quel momento, passando per il concerto, i timori e le emozioni indescrivibili che avevo provato, la linfa vitale che avevo sentito percorrermi il corpo, per poi passare a Beatrice, alla rissa, alla mia idiozia, a Billie Joe, a tutto ciò che era avvenuto dopo il concerto, ai miei nuovi mille dubbi, alla mia immane confusione, a come avevo rovinato a tutti la serata, ai miei conflitti interiori, al dolore, al nuovo scontro con Beatrice, al terrore, al senso di rivincita, alla quasi inspiegabile misericordia finale che avevo usato verso di lei, ai segni della lotta, alle ferite fisiche e morali, alla mia situazione in quel momento e al mio non avere la più pallida idea di cosa dover fare…
Lui ascoltava, fermandomi di tanto in tanto per farsi spiegare qualche punto poco chiaro, per porre l’attenzione su alcuni dettagli che magari a me erano sfuggiti, per cercare di capire meglio come dovevo essermi sentita io, ma anche per tentare di ipotizzare come dovevano essersi sentiti gli altri, per cercare di dare qualche spiegazione ai miei innumerevoli dubbi, ai miei mille “perché”, per cercare di psicoanalizzare il tutto, e per cercare di consigliarmi.
Il tutto con una pazienza e un interesse impressionanti.
Non sapevo come ringraziarlo, dal momento che forse neanch’io sarei riuscita a reggermi, a sopportarmi, e per di più a cercare di aiutarmi come stava facendo lui…
Non sapevo quanto ero rimasta lì, in quell’angolo di marciapiede, a parlare con lui; quando dovetti terminare la telefonata il mio cellulare quasi scottava.
Ma una cosa la sapevo: in quel momento non avrei potuto parlarne con persona migliore, e ora mi sentivo meglio; nonostante tutto avevo recuperato quel poco di fiducia e forza che mi serviva per alzarmi ed andare avanti.

Dovevo tornare in hotel.
Sì, dovevo tornare in hotel e dovevo parlare con Billie, nonostante in quel momento fosse l’ultima cosa che desiderassi. Ma dovevo farlo.
Non poteva andare avanti così, quella situazione non faceva star bene nessuno, e mi stava già logorando fin troppo.
Sì, dovevo farlo. L’avevo promesso a Saul.
Svoltai e iniziai a vedere, dietro la curva, l’hotel.
Il momento fatidico si avvicinava sempre più…
Sospirai. Chiusi gli occhi; li riaprii.
Respinsi l’impulso di tornare indietro e imposi alle mie deboli gambe di proseguire.

   
 
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