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Autore: Halina    16/06/2010    5 recensioni
"Alzo gli occhi alle finestre di quella casa che era il rifugio a cui tornare dopo lunghe giornate di lavoro, quella casa che oggi è la mia prigione."
Riza si sente in trappola e Roy si autoinvita a cena.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I won’t let you be alone

 
Ciao! Questa FF è nata come storia unitaria e solo in un secondo momento è stata divisa in capitoli per praticità, le parti sono tutte legate. E' una sorta di missing moment del capitolo 70 del manga senza spoiler su ciò che accade dopo, solo riferimenti alla vita passata di Roy e Riza.


 
Capitolo 1: Scorcio

 
Alzo gli occhi alle finestre, alle finestre di quella casa che era il rifugio a cui tornavo dopo le lunghe giornate di lavoro, quella casa che oggi è la mia prigione.

Le tende sono aperte, come  le ho sempre lasciate; una volta lo facevo perché mi piaceva entrare in casa e trovarla illuminata dalla luce del sole, oggi sono aperte perché ho paura, ho paura di chiudermi dentro. Forse  spero che il mondo guardi per caso dentro quelle finestre e si renda conto dell’orrore in cui vivo.
Salgo le scale, la mia mano trema nell’infilare la chiave nella serratura, poi sento un leggero uggiolare dietro la porta e le mie labbra si aprono in un sorriso tirato: Hayate. Povero piccolo, mi piange il cuore ogni mattina ad abbandonarlo lì dentro ma è impensabile, ora, portarlo al lavoro con me.

Il pensiero si sofferma un istante sul viso sorridente di Fury che scribacchia con il cane in braccio, Breda che mette al sicuro le sue ciambelle, Falman che starnutisce per la sua allergia e Jean che ride, tutto sotto lo sguardo benevolo del Colonnello…

Clic. La chiave scatta, la porta si apre silenziosa e spettrale sul mio incubo.

Un razzo bianco e nero si precipita fuori scodinzolando, mi accuccio sul pianerottolo e stringo forte il mio cane, il mio ultimo appiglio sulla realtà.

“Dammi un secondo per cambiarmi e ti porto a spasso…” gli mormoro mentre entro, cercando di rimanere indifferente.

Continuo a parlargli mentre mi cambio, la divisa che finisce su una sedia. Infilo una tuta, allaccio le scarpe da ginnastica, prendo il guinzaglio e scappo.

Correre mi fa bene, non lo faccio abbastanza spesso, mi fa sentire serena, un passo dopo l’altro con ritmo costante, in una direzione ben precisa:  un anello che corre attorno al quartiere in cui vivo e attraversa anche un pezzo di parco.
 
Il tempo di rientrare arriva troppo presto ma l’anello è terminato e il sole sta tramontando, ci avviamo a casa stanchi ma entrambi soddisfatti. Hayate salta sul divano, si acciambella e chiude gli occhi, io mi guardo attorno sconsolata: questa casa fa davvero pena, non so più contare il tempo dalle ultime pulizie. Libri impilati per terra, vestiti puliti e mai riposti sul tavolo del salotto, scarpe buttate accanto alla porta, polvere… scuoto la testa, per prima cosa mi ci vuole una doccia.

Sulla porta del bagno esito, il sole è sempre più rosso e basso, la casa sempre più buia, le ombre sembrano strisciare sempre più vicine. Con pochi passi percorro l’intero appartamento e accendo tutte le luci, poi mi concedo di infilarmi sotto il getto tiepido della doccia.

Lavo via la stanchezza, il sudore, la paura… scivola tutto giù. Appoggio la schiena alle piastrelle e per un attimo la mia pelle sfregiata reagisce al contatto. Rabbrividisco. Le gocce cadono inesorabili, colano, la mia anima sembra andarsene con loro.
 
Esco dal bagno avvolgendomi nell’accappatoio e cerco qualcosa da mettermi addosso, scelgo il pigiama, il mio caldo, morbido pigiama che mi da l’illusione di essere al sicuro.
 
Sto attraversando il salotto diretta in cucina quando suona il campanello.
 
Sobbalzo, il cuore batte all’impazzata, poi rimango immobile, nulla si muove. Forse l’ho solo immaginato… Driin… Di nuovo. Tre passi e sono alla sedia su cui ho abbandonato la divisa, sfilo la pistola dalla fondina e sono alla porta, la mano sulla maniglia.

“Chi è?”

“Apri, Riza.”

Non è possibile. Apro la porta di pochi millimetri ma lo scorcio di viso che vedo è più che sufficiente: “Colonnello! Colonnello, lei non dovrebbe essere qui.”

Sorride, un sorriso tirato troppo simile al mio, un sorriso in cui passa muta comprensione.

“Non c’è nessun colonnello qui, Riza, solo un Roy molto sfacciato che si è auto-invitato a cena … però ho fatto la spesa!”
 
Incerta, apro la porta un po’ di più e vedo che ha in mano due inequivocabili borse. Non posso, semplicemente non posso farlo entrare in casa mia, non con quella minaccia latente nell’ombra. Ho giurato di proteggerlo, la nostra situazione è già troppo rischiosa …

“Posso entrare?”

Annaspo alla ricerca di una scusa: “Non sarebbe opportuno, Colonn…”

“Te l’ho detto: nessun Colonnello.”

“Ma la casa è in disordine …”

“Se è così un problema puoi sempre sistemare mentre cucino.”

“Sono in pigiama …”

Ride, una risata sommessa e sincera: “Non sarebbe certo la prima volta che ti vedo in pigiama, Riza.”

L’ha fatto di nuovo, mi ha chiamata per nome, ogni volta che lo pronuncia il mio cuore salta un battito. Quanti anni sono passati, quanti, dall’ultima volta che siamo stati solo Roy e Riza e non il Colonnello Mustang e il Tenente Hawkeye?

Il Tenente Hawkeye vuole che il suo superiore se ne vada immediatamente e Riza ha un disperato bisogno di un amico…

“E va bene…”

Riza ha vinto. Solo per oggi.

 
  
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