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Autore: Evee_Paciock91    17/06/2010    1 recensioni
Correva l'anno 2000. Tra le Cronache delle Due Guerre contro l'Oscuro Signore conservate tra gli archivi del Ministero della Magia, viene rinvenuto un preziosissimo diario di una donna che è stata completamente obliata e cancellata dalla Storia della Magia. Anche se lei, nella storia, ci è entrata. La verità sulle Due Guerre e sui suoi protagonisti sono racchiuse tra le pagine di questo cimelio.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hopes and Memories

Capitolo 1

E un giorno Sirius Black salì sul mio treno. Non sono ancora in grado di dire se fu una benedizione o una maledizione. Eppure quando incontrai quei suoi occhi neri e profondi come il carbone, avvertii che niente sarebbe stato più come prima. E posso ben affermare che ciò cui voltai le spalle fu una vita che qualunque bambina, ragazzina o donna avrebbe voluto per sé. Non potevo sapere a cosa andavo incontro. Non potevo sapere che quello era solo l’inizio di una lunga, sofferente agonia. Io, Evee Longbottom, nacqui la notte del 21 Dicembre di un rigido inverno del 1961 verso le tre. Mi fu assegnato quel nome perché così era stato stabilito, eppure quando lo sentii mio per la prima volta mi piacque davvero tanto. Fu un parto piuttosto difficile perché mia madre, Augusta, l’anno precedente aveva già dato alla luce un figlio: Frank. Mio padre William e mia madre gli avevano imposto il nome che era appartenuto a mio nonno. Frank era il loro vanto e la loro gioia. Non seppi mai quanto i miei genitori mi avessero desiderato. Forse troppo poco o forse non mi avevano desiderata affatto. Loro non dissero mai niente a riguardo e per quanto si sforzassero di amarmi quanto amavano Frank non ci riuscirono mai. Crebbi tra balocchi troppo costosi, balie permissive e tutto ciò che desideravo mi veniva dato subito, o quasi. Crebbi in un mondo tutto mio e troppe volte fui privata di quel calore che solo una mamma può trasmettere quando abbraccia la sua bimba e la stringe forte contro il petto, quel calore che solo un papà può dare quando racconta una favola della buonanotte e rassicura la sua piccola stellina che la notte e il buio non potranno farle alcun male perché i suoi occhi vegliano su di lei sempre. Ho detto che la maggior parte della mia infanzia si sviluppò in un mondo che andava ben oltre a quello in cui ero costretta a vivere. Inventai un mio linguaggio e giochi fuori dal comune. Credevo di poter parlare con il cielo, con la terra, con le piante e con gli animali. Di questi ultimi quelli che più riuscivo a comprendere con il mio linguaggio furono i serpenti, anche se non mi piacquero mai. Più tardi avrei scoperto che questa mia dote da molti veniva ritenuta un’arte oscura. I miei genitori (impegnati a escludermi dalle loro vite) non se ne preoccuparono mai. Ero una bambina, dicevano, ed era normale alla mia età comportarmi in quei modi. Per questi e per altri motivi diventai una piccola selvaggia e una bambina del tutto autonoma e tutte le mie balie rinunciavano al posto (ben pagato, poi) nel giro di poco tempo. Tutte loro affermavano (ma, sono convinta, solo per non screditare il buon nome della famiglia Longbottom e non inimicarsi mio padre) che ero una bambina splendida, educata e posata. Eppure sussurri pieni di timore erano giunti alle orecchie della comunità magica: troppe volte, infatti, avevo dimostrato segni di squilibrio mentale e assumevo un’aria sinistra. E ciò non era normale, neanche tra i maghi. Complice delle mie stranezze, della creazione del mio mondo e del mio linguaggio fu mio fratello Frank, una delle poche persone che mi abbia veramente amato. Essendo fratello e sorella per tutti era scontato che fossimo legati da uno stretto vincolo di amicizia, amore, complicità e tutto ciò che di più bello esista al mondo. Eppure il nostro rapporto andava ben oltre a questo. Solo io riuscivo a condividere ogni suo respiro, ogni empito di dolore o di gioia come fosse mio. Ero affine a mio fratello come possono esserlo la corda e l’arco. Solo con lui ero Evee la dolce, Evee la felice, Evee l’amata. E la mia infanzia è costellata di bei ricordi solo e soltanto con lui. All’età di sei anni, poi, fummo costretti a crescere. Entrambi fummo spediti a studiare in due collegi  babbani differenti e che avremmo dovuto frequentare fino al nostro undicesimo compleanno. Dopo saremmo entrati a far parte automaticamente di Hogwarts. Furono, quelli, gli anni più difficili della mia vita. Non ero diventata una spocchiosa bambina viziata, anzi, ma i miei modi di fare non piacquero mai né agli insegnanti (anche se affermavano tutti che ero una bambina straordinariamente brillante e dotata) né alle mie compagne. Ero circondata da bambine onnipresenti che chiacchieravano senza posa, che irrompevano nei miei pensieri e che rendevano il mio soggiorno più lento e difficile; innanzitutto perché inducevano a chiedermi di continuo cosa facessi lì, in secondo luogo perché dovevo comunque prestare attenzione al mio rendimento scolastico. E le occhiate, poi. Mi arrivavano di sottecchi, colme di paura e risentimento. E tutto questo perché avevo cominciato a manifestare chiari sintomi di poteri magici e spesso e volentieri accaddero strani e bizzarri avvenimenti tutti paradossalmente attribuiti a me. Le mie compagne potevano essere delle papere, ma certo non erano così stupide o così cieche da non capire, da non vedere e da non sentire che io non appartenevo al loro mondo e che ero diversa da tutte loro. L’unica che trovò interessanti e per niente bizzarri i miei modi di fare fu Mary-Jane Lewis. Fu lei che divenne mia vera amica e confidente e rese più piacevole e sopportabile il mio soggiorno in quell’inferno. Passavamo le giornate a studiare, questo era vero, ma erano sempre all’insegna del divertimento; lei era sempre sorridente e gentile e più volte evitò che versassi lacrime amare. Ricordo tenero che serbo di Mary-Jane nel mio cuore è di una ragazzina anch’essa sugli undici anni che mi accompagna fino al portone del collegio (dove mi aspettano mio padre, mia madre e Frank) e mi fa dono di un carillon e del suo indirizzo di casa. Nutriva grandi speranze riguardo a una futura estate insieme. Ci lasciammo con le lacrime agli occhi e con la promessa che niente e nessuno, mai e poi mai, ci avrebbe diviso. Non avevo ancora fatto i conti con le leggi di segretezza della magia e ben presto scoprii che Mary-Jane era stata sottoposta a un incantesimo di memoria. Per lei, quindi, diventai meno che niente. E lei saltò via dal mio treno per galoppare verso altri orizzonti. Era il mio undicesimo compleanno e fu in quell’occasione che il mio cuore conobbe una prima e vera sofferenza. Fu Frank ovviamente a starmi vicino e non nutrii grandi speranze che mia madre o mio padre si dessero pena per ciò che stavo vivendo. Al contrario essi decisero che il miglior modo, secondo loro, per sdebitarsi e scusarsi nei miei confronti fosse organizzare una festa in pompa magna per il mio undicesimo compleanno. Ovviamente conoscevano ben poco la loro secondogenita e quello fu un pretesto per incominciare a odiarli. Fu con stupore e rabbia che, al ritorno al maniero Longbottom da una mia passeggiata con Frank, festeggiai il mio compleanno attorniata da persone viscide, cattive, e da futuri assassini e Mangiamorte. Ebbi modo di conoscere la ragazzina che avrebbe condannato la vita di mio fratello e quella di sua moglie Alice: Bellatrix Black. Era accompagnata da sua sorella Narcissa che poi sarebbe diventata la moglie di un mio aguzzino a Hogwarts: Lucius Malfoy. Anche quest’ultimo era presente al mio compleanno e fu proprio in quell’occasione che ci fu un primo contatto fra noi e lessi nei suoi occhi il primo vero sguardo di malizia. Più in là mi avrebbe sussurrato a un orecchio, mentre mi teneva per i polsi ed io ero spaventata a morte, che aveva visto in me qualcosa di oscuro, che ero bella come una pallida e fredda mattina di primavera, che avrebbe voluto passare tutta la sua vita con le dita tra i miei boccoli corvini e che bramava da tempo di assaggiare le mie labbra rosse come il sangue. Tuttavia conobbi altre persone che poi sarebbero diventate alcune tra i miei migliori amici a Hogwarts e che lo sarebbero stati per sempre: Alice Pevensie, Remus Lupin e infine James Potter. Erano tutti e tre figli di noti maghi e streghe che mio padre conosceva bene giacché capo dell’ufficio degli Auror e inoltre gli ultimi due erano già amici di Frank poiché tutti e tre avevano già cominciato il loro primo anno a Hogwarts. Non riuscirono a venire i coniugi Orion e Walburga Black con i loro pargoli e non mi rattristai troppo alla notizia. Meno avevo a che fare con quella famiglia e meglio sarebbe stato per me. Non sapevo, invece, quanto avrei dovuto condividere con loro. Ben presto, troppo presto, le vacanze natalizie finirono e Frank fu costretto a tornare a Hogwarts e a lasciarmi sola in balia dei miei genitori. Fui costretta a studiare grossi volumi riguardanti la magia e fui l’unica del mio anno ad arrivare a Hogwarts con una preparazione così alta. Fu un periodo buio e freddo, con miei scambiavo poche parole e non uscivo quasi mai di casa. Fu solo quando l’estate riportò Frank da me che quel periodo brutto finì e passammo un’estate felice e spensierata. All’inizio dell’ultimo mese di vacanze mia madre e mio padre ci accompagnarono a Diagon Alley, dove avremmo comprato tutto l’occorrente per la scuola. Fu in questo posto meraviglioso che comprai la mia fidata bacchetta magica e feci amicizia con Nyneve (una dolcissima civetta delle nevi). Ovviamente feci tutto da me, non chiesi aiuto ai miei genitori né loro si dettero la pena di offrirsi volontari per un qualche servizio. Avevano occhi solo per Frank. Tornammo a casa verso sera e quando fui in camera mia incominciai a segnare i giorni che separavano il mio arrivo a Hogwarts. Il primo Settembre raggiunsi il binario 9 e ¾ piena di emozione, di gioia e di sogni. Quando rividi Alice, sorridente quanto me in mezzo al fumo e alla folla, le corsi incontro e l’abbracciai stretta. Sapevo già che lei sarebbe diventata la mia unica e fidata migliore amica oltre Lily Evans, che ebbi modo di conoscere più tardi. Salutai i miei genitori con un freddo bacio sulla guancia e poi salii sulla locomotiva a vapore decisa a godere solo della compagnia della mia amica e a non incontrare nessuna delle persone che avevano reso terribile il mio compleanno. Non riuscii, comunque, a non passare sotto gli occhi di ghiaccio di Lucius e avrei voluto, solo per un attimo, fermare il tempo e distruggere la sua figura. Non so come né perchè, ma ricordo tutti i sentimenti che attorniavano il mio cuore e la mia mente in quei momenti e ogni ricordo è impresso come può esserlo un tatuaggio sulla pelle. Solo che il dolore o la felicità di quei gesti non sono svaniti in un attimo: permangono nella mia anima e posso assicurare che non giovano per niente alla mia salute (sia fisica che mentale). Ecco perché dono le mie memorie a fogli di cara troppo bianchi e immacolati: anche loro devono macchiarsi del mio passato, anche se l’inchiostro può essere lavato via o sciogliersi come neve al sole. Devo liberare il mio corpo e fare spazio per un futuro che, incomincio a capirlo in questa stanza troppo stretta, non vivrò mai. Il mio corpo e la mia mente sono stati troppo provati e so che solo quando riuscirò a buttar via tutto il male che ho dentro sarò pronta per vivere la più grande delle avventure e che bramo con tutto il cuore da molto tempo. E quest’ultimo non è riuscito a rimarginare ferite così profonde. Dagli occhi di una persona si capiscono tante cose e negli occhi di Lily lessi cose che serbo nel mio cuore e che non posso esprimere perché troppo belle e profonde. Io, lei e Alice stringemmo una salda amicizia e delle tre sono l’unica sopravvissuta all’attacco sferrato da Lord Voldemort. Nonostante ciò sono sicura che in questo momento lui mi cerchi, mi cerchi come non mai, e nel profondo dell’anima sono convinta che fino alla fine riuscirà a scovarmi. Se questo dovesse accadere spero di essere all’altezza del coraggio, dell’amore e della lealtà che fecero di Lily e Alice persone così meravigliose. Avvertii che qualcosa stava cambiando nell’aria e, prima ancora che potessi fare un qualche passo verso la soluzione di quell’enigma, Sirius Black salì sul mio treno. Semplice metafora? No, non potrei trovare frase più azzeccata. Mio fratello aveva avuto la brillante idea di trascorrere il viaggio con me, Alice e Lily e quando entrò nello scompartimento io e le mie amiche appurammo che dietro si era portato James e Remus e altri due ragazzini che io e Alice non conoscevamo ma Lily, invece, sì. Quest’ultima, anch’essa del secondo anno, storse il naso quando vide James e Sirius e bloccò appena in tempo quello che, so per certo, era un commento piuttosto malevolo. Salutò invece con cortesia e dolcezza Remus, Peter e Frank. Incominciarono le presentazioni e quando strinsi la mano di Sirius avvertii qualcosa che mai prima d’allora avevo sentito. Era un Black, e lo sapevo. Era un Black e tanto mi sarebbe bastato per odiarlo. Eppure c’era una consapevolezza in me che compresi solo dopo qualche tempo. Un mistero così profondo e così antico che quando lo si svelava ti rimaneva impresso nell’anima, nel cuore e nella pelle. Non avevo mai ricevuto un po’ di quel mistero, che avevo tanto bramato quanto una pietra preziosa, da parte di quella donna che io chiamavo madre. Non avevo mai visto ne avvertito un pò di quel mistero nelle persone che fino a quel momento mi avevano circondato. Non ci badai molto e decisi di lasciar correre, anche se ogni volta che incrociavo il suo sguardo sentivo di morire dentro e tornavo ad ammirare il paesaggio che si stagliava immobile e silenzioso oltre il finestrino. Arrivai a Hogwarts e seppi di essere arrivata finalmente a casa. Non parlai mai di quelle mie sensazioni con gli altri ma da come loro guardavano estasiati il grande castello che si ergeva alto e imponente in quella notte fredda e stellata d’inizio Settembre, dal luccichio innaturale nei loro occhi avvertii che provavano esattamente ciò che io provavo. La prima, vera figura che incusse timore, rispetto e forza nella mia vita fu quella di Albus Silente, il preside che ancora oggi occupa quella poltrona. Il suo sguardo sereno e quieto m’indusse a volergli bene sin dal primo momento. In seguito avrei imparato a conoscerlo molto meglio e in breve tempo ci affezionammo l’uno all’altro. Egli diventò per me un padre ed io per lui una figlia. Era un uomo straordinario, fuori dal comune e ciò che era complesso lui lo rendeva semplice con poche parole e qualche gesto. Mi amò come mai fece mio padre e riuscii a cambiare per un certo verso il sentiero della mia storia. Ancora oggi lui provvede affinchè io sia protetta e sicura e so di potermi fidare di lui. Ma so anche che il flusso e il riflusso del tempo non lo evita e Albus sta invecchiando e di tanto in tanto mostra segni della sua debolezza. Ed è in quei momenti che appare più vecchio e stanco che mai. Fui smistata nella casa di Grifondoro con Alice e Lily e ciò bastava per rendermi la ragazzina più felice del mondo. Quando salii le scale a chiocciola che portavano al dormitorio seppi che quello era l’inizio della vera vita. Ho così tanti ricordi di Hogwarts che neanche tre Pensatoi interi riuscirebbero a contenerli tutti. E non mi sognerei mai di pensare che scriverli sarebbe sufficiente per renderli giustizia. Come per ciò che provai quando incontrai gli occhi di Lily, anche in questo caso le parole servono a ben poco. Bisogna accontentarsi della mia buona fede e cercare di immaginare; ma sarebbe difficilissimo, un po’ come cercare di afferrare il fumo con le mani. Tante cose accaddero tra quelle mura ma solo alcune mi segnarono profondamente e forgiarono l’Evee Longbottom che sono adesso. Diventai in breve tempo una delle migliori alunne di Hogwarts, tanto che detti del filo da torcere anche a James, Sirius, Remus e Lily che venivano considerati alcuni tra gli alunni più brillanti della scuola. Scoprii ben presto l’amore che mi legava agli Incantesimi, alle Pozioni, alla Trasfigurazione ma soprattutto alla Difesa Contro le Arti Oscure. Alcuni professori (e in particolare il professor Lumacorno, un brav’uomo un po’ panciuto che si attorniava degli alunni più bravi riuniti sotto il nome di “Lumaclub”, di quella maledetta setta feci parte anch’io) affermavano che quelle particolari abilità le avevo ereditate da mio padre e che quasi sicuramente avrei seguito le sue orme e sarei diventata un grande Auror. Le mie giornate passavano ridenti e fuggitive in compagnia di Lily e Alice soprattutto, ma spesso si univano anche la banda di James e mio fratello. Feci amicizia anche con persone che non appartenevano alla mia stessa casa e ricordo con dolcezza una simpatica ragazzina di Tassorosso, Rosie Cotton, che poi si sarebbe sposata con un babbano e avrebbe vissuto tutta la sua vita da Maganò. Ricordo con una punta di nostalgia anche Billy Clarence, un gran cervellone di Corvonero con cui alle volte passavo interi pomeriggi a giocare a scacchi o a condurre esperimenti con le Pozioni. Billy adesso è un Indicibile e fino a quando non lavoravo al Ministero ci incontravamo spesso e volentieri per lunghe chiacchierate di fronte ad una tazza di the. Scoprii ben presto che lo studio non era il solo modo di apprendimento ad appagarmi come persona e il Quidditch entrò a far parte di me, divenne un elemento indispensabile e fondamentale nella mia vita tanto che, se non fosse successo quello che è successo, avrei intrapreso una carriera da giocatrice. Mi costarono tanti sacrifici entrare in squadra e se non fosse stato anche per il mio ottimo rendimento scolastico, credo che il Quidditch avrei potuto considerarlo come una meta lontana esattamente un anno poiché i ragazzini del primo anno erano esclusi dallo sport. Non mollai per niente al mondo e dopo tante richieste alla professoressa McGranitt, un sudato permesso del preside e un provino sensazionale occupai il mio posto da Cacciatrice. Spedii una lettera a mio padre, dove gli spiegavo ciò che avevo fatto e gli chiesi se avesse potuto comprarmi l’ultimo modello di scopa in circolazione. La risposta di mio padre non si fece attendere molto e in pochi giorni mi ritrovai a contemplare il mio nuovo manico di scopa. Ero l’unica ragazza in squadra e conquistai presto la simpatia di tutti i miei compagni e James Potter, oltre ad essere un ottimo capitano, divenne anche un ottimo amico. E fu proprio in questo modo che incominciai ad avvicinarmi, anche se all’inizio inconsapevolmente, a Sirius. Eppure non fu anno facile. Notai che una persona non mancava di lanciarmi occhiatine e frecciatine, notai che ciò che all’inizio poteva essere una semplice cotta adesso si stava trasformando in un qualcosa di ridicolo, se non assurdo, corteggiamento. Autore di ciò fu Lucius Malfoy, che però riuscii ad evitare per la maggior parte dell’anno. Imparai ben presto a conoscere i miei acerrimi nemici che poi lo sarebbero stati per tutta la vita. Scoprii ben presto il dono oscuro che mi legava paradossalmente alla casa di Serpeverde e quando confidai i miei timori e le mie paure ad Albus lui, sorridendo dolcemente, mi disse che ciò che siamo lo decidiamo noi e noi soltanto. Il fatto che appartenessi a Grifondoro ne era la prova vivente. Prima che mi confidassi con Albus, però, tenni per me il segreto che però fu svelato da Sirius quando mi trovò in lacrime, sola, sotto un grande salice vicino al lago. Fu questo momento che ci legò l’uno all’altra.

Sirius aveva deciso di passeggiare solo per un po’ nel parco. Dell’aria fresca di tanto in tanto gli faceva bene. Evidentemente non era il solo a voler godere di un po’ di solitudine, perché quando guardò verso il lago vide Evee Longbottom sotto il salice a piangere. Ciò destò in lui tristezza, tenerezza e anche un po’ di compassione. Si avvicinò con passo felpato alla ragazza e poi le si sedette affianco. Evee alzò il capo e svelò il suo viso rigato di lacrime. Se le asciugò frettolosamente con un fazzoletto preso dalla borsa e poi con voce rotta e tremante cercò di prendere il controllo della situazione.
"S-sirius…Cosa…Cosa ci fai qui?"
"Cercavo di passeggiare ma il tuo pianto mi ha incuriosito e infastidito al tempo stesso. Perché piangi Ev?"
Evee rimase turbata e ciò glielo si doveva leggere in faccia perché Sirius mormorò un debole:
"Scusa, mi spiace"
La ragazzina scosse il capo e poi guardò Sirius.
"Piangevo perché non voglio essere legata né alle Arti Oscure né a Serpeverde" rispose con durezza.
"Non sei legata né all’uno né all’altro".
"E invece si"
La ragazza rispose così subito e con una sicurezza tale che Sirius si spaventò per un attimo.
"Dammi un motivo per cui ciò che tu dici sia vero" rispose con aria di sfida.
"Parlo il Serpentese"
Calò un lungo silenzio tra i due, durante il quale ognuno soppesava l’altro. Sirius poi si alzò, le afferrò la mano e la fece alzare per ritrovarsi di fronte a lei.
"Ci sono creature che fanno parte della notte ma non appartengono né sono legate a essa. Ci sono persone, come me e come te, che possiedono una famiglia legata alle Arti Oscure eppure hanno scelto di combatterle. Persone, come me e come te, che possiedono doni oscuri ma che in realtà appartengono alla luce e al bene".
Evee abbassò per un attimo lo sguardo.
"Ev, guardami. Tu sei esattamente ciò che vuoi e sai di essere. Capito?"
Evee annuì, gli occhi scintillanti di lacrime. Il sole cedeva il passo al crepuscolo, entrambi vennero investiti da una luce dorata e calda. Evee si alzò in punta di piedi e sfiorò la guancia di Sirius di un morbido, delicato bacio. Gli sorrise, prese le sue cose e si avviò verso il castello. Sirius aveva capito e sorrise. Si sedette e si poggiò contro il tronco nodoso dell’albero, chiudendo gli occhi per assaporare fino in fondo il tramonto e il suo bacio.

Io e Sirius non parlammo mai più di quell’episodio ma il nostro rapporto s’intensificava e si faceva profondo ogni giorno di più. Esso crebbe, però, nel segreto. Il più delle volte eravamo soliti incontrarci di notte, su una delle torri all’aperto per ammirare il cielo e parlare di tutto ciò che volevamo. Alle volte ci rifugiavamo sotto il salice per fare i compiti assieme, ridere, scherzare e altre volte ancora ci accompagnavamo in lunghe passeggiate silenziose, solo per godere l’uno della compagnia dell’altra. Durante l’anno non mancarono vari litigi con Alice e Lily, più di una volta tra me e James o tra me e mio fratello ci furono giorni di quello che noi consideravamo dignitoso silenzio e con Remus, alla fine del primo anno, strinsi un’ottima amicizia. L’unica persona che non riuscivo a tollerare del gruppo era l’inetto Peter: non lo conoscevo e non mi detti la pena di conoscerlo perché dalle prime impressioni lo considerai una persona viscida e opportunista. Non confidai mai agli altri queste mie sensazioni eppure molto tempo dopo avrei scoperto che quella stessa persona avrebbe ucciso due dei miei migliori amici. Fui ben lieta di festeggiare il mio dodicesimo compleanno in quel posto meraviglioso e mi sentii felice come non lo ero mai stata da tanto tempo. Per le feste comandate purtroppo dovetti tornare a casa, ma fortunatamente furono solo pochi giorni di sofferenza. Ben presto tra Sirius, James, Remus e Peter nacque un’amicizia così profonda e particolare da portarmi a capire che nessuno avrebbe potuto interferire e cercare di entrare nel loro cerchio. Capii dagli sguardi, dai gesti, dai sorrisi e da tutto ciò che facevano che l’amicizia tra Sirius e James era così profonda che anche se fossi riuscita a conquistare Sirius, una parte del suo cuore non mi sarebbe mai appartenuta veramente. Avrei dovuto condividerlo con James. Fu esattamente ciò che successe e credo che anche Lily abbia provato la stessa cosa. Diventai una ragazza forte e ciò forgiò il mio spirito e la mia mente per ciò che avrei vissuto due anni dopo il mio arrivo. E il mio primo anno a Hogwarts volò via, passai gli esami con il massimo dei voti e dovetti tornare in quel posto che io chiamavo casa ma che consideravo solo un luogo in cui potevo avere vitto e alloggio. La mia vera casa, come ho detto prima, era Hogwarts. Il resto dell’estate passò in compagnia di Nyneve e Frank, e via gufo mantenni i contatti con tutti tranne che con Peter, ovviamente.

Note della scrittrice:

Innanzitutto vorrei ringraziare tutti quelli che, dotati di una buona dose di pazienza, dopo aver letto la mia fan fiction vorranno anche recensirla. E’ davvero importante sapere cosa pensano gli altri del mio lavoro per poter migliorare e offrire a tutti il meglio che ho da dare. In secondo luogo, se non fosse chiaro, vorrei dare delle delucidazioni sulla fan fiction. Accanto ai personaggi inventati da Zia Jo ne ho aggiunto uno: Evee Paciock. Nella storia sono riuscita ad inserirla come sorella di Frank e, perciò, zia di Neville e figlia di Augusta. Evee affida le sue memorie ad un diario che verrà ritrovato solo dopo la fine della Seconda Guerra contro Voldemort. Il diario riporta gran parte della sua vita che, poi, sarà paradossalmente legata alle due Guerre contro l’Oscuro Signore. Come qualcuno mi ha fatto notare, le caratteristiche fisiche dei personaggi non sono proprio fedeli a quello che aveva in mente Mamma Rowling, ma sono certe che saprete perdonarmi e capire che si tratta di sciocchezze. “Gli occhi neri come il carbone” di Sirius Black suonavano bene.

Vostra

Evee

  
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