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Autore: CieloSenzaLuna    17/06/2010    4 recensioni
Un giorno una delle rose morì.
Lentamente, piegandosi su sé stessa.
Non era più vitale e si afflosciava sui petali dell’altra, che la teneva dritta.
Non la lasciava andare.
Non voleva che se ne andasse.
Se lei fosse morta … se quella rosa fosse morta, la foresta non avrebbe più ballato sulle note della notte.
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ROSE


E quei due gambi si intrecciavano. Gocce di rugiada scivolavano sui petali delicati, mentre la Luna li illuminava. E quelle due rose, complicate e straordinariamente belle, si univano. Un ululato si levava dalla foresta nera e cupa, il ruscello scorreva argentino. La natura cantava, soave. Quelle spine pungevano, difendevano la loro natura. Due rose intoccabili, pure.


La ragazza era lì, avvolta dalla nebbia. Vapore freddo che le bruciava la pelle. I suoi occhi erano vuoti, consumati dalle lacrime. Così giovane, così sola. Seduta sulla panchina di pietra, lo sguardo disperso nel nulla. Avrebbe voluto seguirlo. Invece non poteva essere così. Lui … era scomparso. Per sempre. Era un brutto sogno, o così sperava. Un incubo in cui era rimasta imprigionata durante la notte. Una ragnatela da cui non poteva scappare. Voleva risvegliarsi, lo voleva terribilmente. Tornare alla luce, dimenticare la paura. Dimenticare la solitudine, l’angoscia, la disperazione.

Lui le ripeteva sempre quanto era bella. I suoi occhi brillavano di una luce magica, irreale, che solo il suo sguardo attento aveva saputo catturare. Solo un cuore era riuscito a conquistarla: il suo. Adesso quel cuore non batteva più. Lui era stato il suo ossigeno. La sua aria se n’era andata. Le mancava il respiro, senza di lui. Si sentiva soffocare in quell’immensità … vuota. Pensieri e ricordi si confondevano e si rincorrevano nella sua mente.

Un grido squarciò l’atmosfera lugubre del cimitero. Le anime si risvegliavano. Era l’urlo della ragazza. La sua voce rotta e disperata che chiedeva aiuto. Stringeva una rosa nella sua mano candida e delicata. Le sue spine le bucavano la pelle e rivoli di sangue scivolavano lungo il braccio, fino al gomito.


Un giorno una delle rose morì. Lentamente, piegandosi su sé stessa. Non era più vitale e si afflosciava sui petali dell’altra, che la teneva dritta. Non la lasciava andare. Non voleva che se ne andasse. Se lei fosse morta … se quella rosa fosse morta, la foresta non avrebbe più ballato sulle note della notte. La rosa voleva morire, andarsene ed abbandonare il mondo. L’altra sembrava che sussurrasse parole confortanti e dolci e che davano coraggio. “Tirati su … avanti.”

Anche lei era morta. Morta dentro, dove pochi erano riusciti a vedere qualcosa. Faceva male, sì. Faceva troppo male per rimanere impassibili. Però non le importava. E così lasciò che il dolore la attraversasse e che le lacrime scendessero, silenziose. La rosa … quella che lui le aveva regalato. Il suo ultimo ricordo. Il suo sangue macchiava il fiore bianco. Quella meravigliosa rosa stava cambiando.

Erano passati due mesi, ormai. Lui non tornava, si sapeva. Era logico, ma lei continuava a crederci. Continuava a sperare che magari, un giorno, si sarebbero potuti abbracciare di nuovo e tutto sarebbe ricominciato. Era forse un sogno? Un desiderio che si esprime soffiando su una candelina, o gettando una monetina nella fontana? L’avrebbe fatto. Se fosse servito a qualcosa.

Tutto per colpa di quel dannato incidente. E ancora si rivedeva la scena. L’auto bianca che si schiantava contro di loro, il colpo, il botto, i pezzi di vetro dappertutto. Lui che si chinava su di lei per coprirla dalle schegge e poi … più nulla. Un esplosione, forse. Quando si era svegliata, in ospedale, il ragazzo le sussurrava le ultime parole che avrebbe pronunciato. “Resisti, almeno tu … ti amo, Sarah, ti amo.” I suoi occhi si erano chiusi, lasciandola con gli occhi lucidi, un cuore pieno di dolore, una vita grigia. Addio …

Da quel momento la ragazza era rimasta sola. Lui era stato l’unico a comprenderla veramente, a rapirla dalla monotonia della vita. Era entrato nella sua vita come un fuoco d’artificio, una fiammella che le faceva strada, la guidava sui suoi passi incerti, la aiutava … la amava.


I due fiori se ne stavano lì, in mezzo al prato bagnato. La pioggia che scendeva continua e rinfrescava l’atmosfera. Quelle due rose erano le uniche della foresta. Quel fascino che le avvolgeva faceva sembrare il bosco più bello. Più vivo. Nessuno era mai riuscito a strapparle dal terreno, ma quelli che passavano per quei luoghi desolati, le volevano. Da regalare alle mogli, da tenere in casa. Loro, però, rimanevano. Immobili. Uno scrigno invisibile che le nascondeva. Erano unite, sempre.


Passava le sue giornate al cimitero. Non voleva andarsene, non voleva abbandonare il suo amato. Era come se la vita le stesse scivolando tra le dita. Sabbia fine, che scappava dalla sua mano debole. I giorni scorrevano, piatti e statici. Dentro, qualcosa la stava divorando lentamente, senza che lei se ne accorgesse. Una malattia dolorosa che non sospettava nemmeno. Un piccolo mostro che la assaporava, le toglieva il fiato, la vita. Forse era proprio quello che voleva … forse.

Giorno dopo giorno, lei stava sempre peggio. Faceva male. Sentiva la testa scoppiare, il corpo diventare debole, il respiro farsi pesante. E si faceva forza stringendo la rosa bianca, che le ricordava qualcosa per cui poter continuare a lottare. Ormai non faceva più caso alle spine che la perforavano, la obbligavano a trattenere un grido di dolore che quindi le rimbombava nel petto.


Ormai le rose appartenevano a due mondi diversi. Era come se ognuna fosse avvolta da una sfera di cristallo. L’una vitale, l’altra morente. Ma c’era ancora la speranza. Si volevano riavvicinare, invano.


Si dice che il suo spirito vaghi ancora per quei luoghi dimenticati. Che sia ancora in cerca del suo lui. Si dice che pianga ogni sera e i suoi occhi blu si secchino, gelati dal vento. Che i suoi capelli dorati siano mossi dalla brezza e che il suo cuore sia ancora spezzato.


Il fiore morto si era risvegliato, dopo una lunga agonia. E i due gambi si erano intrecciati, di nuovo, sotto lo sguardo allegro di un’enorme luna piena. Erano diventati una cosa sola.


Il suo animo, infine, si era placato mestamente.

L’ hanno sentita cantare, una notte di piena estate. Era una melodia triste, quella che intonava. E una rosa era infilata nella sua lunga treccia color miele. Una rosa bianca … che non appassiva mai. Come il loro amore.





Spazio di Cielo (ovvero me u.u)
Allora, vediamo... è la prima cosa che posto, qui :)
E' una piccola One-Shot che mi è piaciuta tanto scrivere qualche mese fa. E' nata quasi per caso.. Spero possiate apprezzarla!
CieloSenzaLuna <3
  
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