Capitolo
1
Fuggire
dall’ombra di se stessi.
Anno: 2261
(Final Fantasy IX Original Soundtrack – Memories of
That Day)
L’alba si stendeva placida sulle case
e i villaggi, posandosi leggera sui fiumi argentini, fondendosi con essi,
crepandosi e infrangendosi a ritmo delle onde. Un vento caldo sollevava le foglie
pesanti degli arbusti e turbinava sulle distese di sabbia, colorandosi d’oro e
di rubino.
Immerso nel verde del Giardino di Vokaya1, Selek osservava il
quieto nascere del giorno in silenzio, le dita intrecciate dietro la schiena e
gli occhi scuri illanguiditi dalla luce del mattino; le labbra sottili erano
appena incurvate verso il basso, rendendo le rughe che le circondavano ancora
più profonde.
La veste nera, con ricami di filo
smeraldo, gli cadeva dritta dalle spalle piegate dalla vecchiaia, allargandosi
severa lungo i fianchi e sul selciato.
-Thol2 Selek- un sussurro,
dietro di lui, lo fece voltare, costringendolo a dare le spalle al sereno
sorgere dell’alba –Non mi aspettavo di
trovarvi qui-
-Ambasciatore Sarek- salutò
cordialmente Selek, chinando il capo –Desideravo vedere il mattino sorgere su
questo luogo colmo di ricordi- indicò con un ampio gesto del braccio le fontane
scintillanti, gli alberi dalle cortecce rosse e le foglie ricoperte di scaglie
nere, e i piccoli fiori che aprivano timidi le corolle scarlatte.
Sarek si avvicinò in silenzio, tenendo
le mani intrecciate al petto, e si accostò a Selek, chiudendo gli occhi e
respirando a fondo l’aria calda di Rok.
-Cosa vi ha portato qui, Selek?-
domandò, fissando l’altro Vulcaniano con aria grave –Perché indugiate nel
passato, tralasciando futuro?- e fece un gesto lento con le dita, spaziando
dalle cime aguzze dei monti alla città di Gad-shen3,
adagiata sulla valle.
Selek non rispose subito, limitandosi
a fissare il cielo con sguardo assente, prima di tornare a fissare Sarek.
-Vedete, Ambasciatore- mormorò,
schioccando le labbra rugose e inarcando le sopracciglia –Il futuro che voi dite,
per me è il passato. Eppure- si fermò un istante, corrugando la fronte –Questo
passato non sarà mai il mio futuro. Però, osservo l’alba sorgere in questo
luogo per ricordarmi che potrà sempre esserci un futuro, anche quando il
passato sembra distrutto-
-La logica del vostro ragionamento mi
sfugge- l’accenno di un sorriso si posò sulle labbra dell’Ambasciatore –Con tutto
il rispetto dovuto-
Selek si lasciò sfuggire una risata
roca e il sole comparve con un lampo dietro di lui, baluginando sui tratti severi
del viso, sulla fronte ampia e sul naso aquilino.
-A volte, bisogna saper essere logici
anche alla maniera degli essere umani- rispose –L’ho..imparato dal passato-
Sarek inarcò il sopracciglio destro,
poi chinò il capo e fece per andarsene.
-Nel tuo passato..lei è viva, vero?- domandò d’un tratto, girandosi appena ad
osservare Selek.
Quello prese un respiro profondo.
-Nel mio futuro..lei è morta, ma perché il tempo aveva fatto il suo corso-
-Shaya
tonat4- mormorò l’Ambasciatore, scendendo lungo il sentiero
acciottolato –Spock-
Dicono che la speranza sia sempre
l’ultima a morire, una forza, un fuoco che si spegne lentamente, poco a poco,
ma la cui più piccola fiamma continua ad ardere, dorata, sotto un sudario di
cenere.
Dicono che non bisogna mai arrendersi,
nemmeno davanti agli ostacoli più duri, ma solo lottare, lottare e lottare
ancora, afferrare il destino per le spalle e gettarlo a terra, schiacciandogli
la testa sotto i piedi.
Dicono che qualunque cosa accada,
tutto si risolverà per il meglio, che una soluzione ad un problema esiste ogni
volta, anche se all’inizio sembra impossibile.
Ad Eleni Theokore, rinchiusa in una
lurida cella, in compagnia di un cadavere in putrefazione, quelle sembravano
solo stronzate.
Erano parole prive di fondamento,
pronunciate da qualcuno cui forse erano venute in mente mentre era comodamente
seduto su una poltrona di velluto sanguigno, fra le mani un calice di cristallo
colmo di vino e lo sguardo rivolto verso una distesa di campi verdeggianti,
costeggiati da alti alberi dalle fronde nere e attraversati da un fiume
gorgheggiante, dalle acque d’argento.
Perché era sicura oltre ogni limite
che nessuno che aveva visto la propria vita, i propri diritti calpestati e
gettati al vento, i propri compagni cadere uno dopo l’altro, coperti di sangue,
o il proprio futuro sgretolarsi davanti agli occhi, in mille e più frammenti di
specchio, inutili e brillanti, nessuno che si fosse trovato in una situazione
del genere avrebbe mai potuto pronunciare parole simili.
Poggiò la nuca contro il freddo muro
della cella, lo sguardo cieco per l’oscurità in cui era costretta da..giorni?
settimane? Mesi? Scrollò il capo con un sospiro, per poi digrignare i denti a
causa della fitta che le aveva percorso come una scarica elettrica il petto,
infrangendosi contro le costole.
Si portò una mano all’altezza del
cuore, soffocando un gemito e mordendosi le labbra, coperte di sangue secco;
distese le gambe dolenti, sporche di polvere e coperte di escoriazioni,
scarlatti, sul pavimento incrostato di fango e continuò a massaggiarsi il
petto, sperando di mitigare il dolore.
-Dovrebbe riposarsi, Comandante- le
consigliò una voce femminile proveniente dalla cella accanto alla sua, una voce
arrochita dalla stanchezza e appesantita da un forte accento russo –Provare ad
allontanarsi almeno per un po’ da questo posto-
-A che servirebbe?- chiese Eleni,
poggiando la tempia destra contro le sbarre fredde della cella.
-Servirebbe..- la voce sbuffò e tossì,
rauca –Non si accorgerebbe di morire ogni istante di più-
-Haleema come sta?- chiese la donna,
stringendo l’anello dorato appeso alla catenella che portava al collo.
-Dorme-
-Fai attenzione che..-
-Non credi anche tu che possa essere
una liberazione?-
-Non perderò altri membri
dell’equipaggio- ringhiò Eleni, assottigliando lo sguardo.
-Mi spiace, Comandate- fu la risposta –Ma non dipende più da lei, ormai-
-Vorrei che lo fosse-
Il silenzio spiegò le ampie ali,
raccogliendo entrambe nel proprio abbraccio privo di voce.
-Tu pensa solo a rimanere in vita,
Eleni-
-Per quale motivo dovrei, a questi
punti? Non dipende da me, no?-
-La tua vita- cominciò l’altra -Non
dipenderà da altri che da te..e poi, hai una promessa da mantenere-
-Una promessa fatta ad un morto? Non
conta più..-
-Invece conta più di quella di un
vivo. Un vivo può scioglierla, un morto no-
Eleni si lasciò sfuggire un sorriso
sarcastico e prese il piccolo anello fra le dita, sfiorandolo con dolcezza.
-Oh certo. Gli ho promesso di vivere,
ma adesso sono come morta. Il legame era “fin che morte non ci separi”, giusto?
Se io adesso morissi, allora saremmo entrambi sullo stesso piano di esistenza e
potrei mantenere la mia promessa, vivendo nella morte-
-Hai ancora la forza di fare
speculazioni filosofiche?-
-Fa parte del mio corredo genetico-
-Greci- fu lo sbuffo un poco divertito
che la donna ricevette come risposta.
-Perché, voi russi cosa portate nel
corredo genetico?-
-Domanda facile, Comandante. Il
ghiaccio della Siberia, il fuoco dei Rivoluzionari..-
-E il veleno della Vodka- aggiunse una
voce bassa, un sussurro quieto, come il frullare d’ali di una colomba.
-Grazie, Haleema- soffiò la donna
russa ed Eleni sentì una piccola lacrima bruciare, appesa alle ciglia.
La asciugò con un gesto veloce, secco,
per poi riappoggiare la nuca alla parete. Portò le ginocchia al petto,
poggiandovi sopra il mento e circondando le gambe con le braccia.
-Sapete- mormorò la russa, sconfitta
–Mi sarebbe piaciuto rivedere Leningrado, una volta completata la missione..-
-La rivedrai, ne sono sicura, Ida- le
sussurrò dolcemente Haleema.
-No..nemmeno come cadavere..- fu la
risposta della donna.
-Dicono..- cominciò Eleni rialzando la
testa –Che la speranza sia sempre l’ultima a morire-
-Cazzate-
commentò con rabbia Ida –Solo emerite cazzate-
***
(Final Fantasy IX Original Soundtrack – Frontier
Village Dali)
-Un attacco di Klingon in arrivo,
Jim?- si informò McCoy, voltando le spalle al Capitano e rivolgendo la propria
attenzione allo scaffale che si trovava dietro di lui; cominciò a prendere
alcuni flaconi, più o meno alti, grossi e piccoli, storcendo ogni volta la bocca per poi mettere
il medicinale di nuovo sullo scaffale –Finirai per consumarle queste benedette
pillole, lo sai?-
-Non finché riuscirai a procurartele-
ribattè Kirk, seduto sul bordo dei uno dei letti dell’Infermeria; teneva la
testa piegata e con le dita andava a distendere e corrugare le sopracciglia,
massaggiando ritmicamente la fronte.
-Tieni- sbuffò il medico, aprendo una
confezione di pillole e lasciandone cadere due sul palmo aperto del Capitano
–Ma dovresti andarci piano-
-Sì sì, lo so- lo liquidò Jim,
ingoiando veloce le pastiglie e gettando la testa all’indietro, gli occhi
chiusi e una ruga profonda che gli solcava la fronte.
McCoy si sedette accanto al Capitano,
aspettando che quello tornasse a prestargli attenzione, e intrecciò le mani
sulle ginocchia, battendovi sopra le dita.
-Jim, che ti succede?- domandò,
vedendo che l’altro aveva assunto un colorito più sano rispetto a quando era
entrato in Infermeria –L’ultimo attacco Klingon risale a quattro mesi fa e non
saremo nel territorio circostante Mukade prima di una settimana. Escludo che il
tuo mal di testa sia dovuto ai nostri cari amici dalla fronte spaziosa-
Kirk gemette qualcosa in risposta,
passandosi una mano dietro la nuca e facendo scricchiolare le vertebre del
collo.
-Sputa il rospo, ordini del medico- lo
minacciò McCoy, inarcando il sopracciglio destro –Non sarà ancora per la storia
di Carol, vero?-
-Eh? Cosa?- Jim sgranò gli occhi e si
alzò di scatto dal letto, agitando le mani davanti al viso –No, no, no, che vai
a pensare? Con Carol è finita praticamente da un anno! No- storse la bocca in
un sorriso ironico –Non è per lei..-
-Lo spero!- Bones emise uno sbuffo che
sapeva più di risata e guardò l’altro di sottecchi –Deve essere stato un duro
colpo per lei, poverina, sapere di essere stata messa da parte per un’altra
donna-
Jim corrugò la fronte, schiudendo
appena le labbra e passandovi sopra la punta della lingua; poi inarcò le
sopracciglia e le iridi scure furono illuminate da un lampo divertito.
-Ah, ho capito, intendi lei..- si portò i pugni al fianchi e
alzò la testa –Come si fa a non esserne innamorati? Lei è tutta mia-
-Attento- lo ammonì il dottore –Scotty
è molto geloso della sua bambina-
-Scotty sa che non le farei mai del
male- gli ricordò Kirk, accarezzando con una mano le pareti candide
dell’Infermeria –Preferirei sacrificare la mia vita piuttosto che questa
Nave..-
-Ne sono sicuro- il medico inarcò un
sopracciglio, arricciando le labbra –Ora ho capito perché la Marcus ti ha
lasciato-
-Non mi ha propriamente lasciato- ribattè Jim, gesticolando con la mano –Ha
solo detto che non vedeva il motivo di continuare una relazione in cui una
delle componenti era sempre occupata a viaggiare in lungo e in largo per lo
spazio-
-E soprattutto perchè la componente
maschile è innamorata della propria Nave e la vezzeggia come fosse una donna in
carne, ossa e forme- completò McCoy con un sorriso sardonico sulle labbra.
-Divertente- commentò Kirk, sarcastico
–Almeno le ho lasciato un bel ricordo della nostra storia-
-Speriamo che il tuo ricordo non abbia
due gambe, due braccia e tanta voglia di piangere dalla mattina alla sera- commentò
il dottore, incrociando le braccia al petto.
-Un figlio? No, dai non scherzare su
queste cose, Bones!- esclamò Kirk, orripilato –Mi ci vedi con un figlio a
carico?-
-Io mi preoccuperei di più per il
bambino- lo corresse McCoy con uno sbuffo divertito –Sai che sfortuna avere
parte del tuo corredo genetico? Ehi, Jim..?-
Un’ombra scura era calata
improvvisamente sul viso del Capitano e gli occhi si era fatto cupi, distanti,
ma soprattutto lucidi; trattenendo il fiato, Kirk alzò la testa di scatto e
uscì in fretta dall’Infermeria, ignorando gli ordini dell’Ufficiale Medico di
tornare indietro.
(Kingdom Hearts II Original Soundtrack – Missing You)
Percorse i corridoi in fretta,
rispondendo solo con qualche veloce occhiata ai membri dell’equipaggio che si
mettevano sull’attenti quando passava, e ignorandoli completamente quando gli
bloccavano la strada per rivolgergli la parola.
Fu con un sospiro di sollievo che si
gettò dentro le porte aperte del TurboLift, sussurrando appena un “Ponte
cinque”, mentre macchie di colore, ricordi, suoni, odori gli colpivano
ripetutamente la fronte e lacrime bollenti premevano con forza contro le
palpebre serrate.
Prese un respiro profondo, tentando di
mantenere il controllo, ma più cercava di concentrare la mente su qualcos’altro
che non fosse il dolore muto e martellante alle tempie, più sentiva l’aria
farsi calda, soffocante, il terreno tremare, mentre l’odore acre del sangue gli
penetrava con forza nelle narici.
Si lanciò fuori dal TurboLift senza
nemmeno aspettare che le porte scorrevoli fossero aperte del tutto e si diresse
quasi di corsa ai suoi alloggi, entrandovi con un rantolo e gettandosi a terra
carponi, mentre il respiro si tramutava in singhiozzi strozzati, spezzati.
-Esci dalla mia testa- ringhiò,
mordendosi le labbra fino a sentire un sapore metallico sulla lingua –Vattene
dalla mia testa, cazzo!-
Si portò le mani alle tempie, ma già
dietro le palpebre chiuse poteva vedere il profilo rossastro di alcuni massi
ergersi dietro un velo di polvere rossa e grigia; un vento secco, sibilante,
frustava il terreno impervio e secco, sradicando i pochi arbusti che erano
riusciti a sopravvivere.
E poi vide un corpo, disteso a terra,
la consapevolezza di essere la causa della sua morte, una morte orribile, un
coltello Klingon, affilato e scintillante sotto le fiamme di Genesis, e il
sangue che colava a fiotti, impregnando di porpora la camicia altrimenti
bianca, e in due iridi scure –le sue,
erano le sue, vedeva se stesso, più vecchio, più lontano, sofferente!- il
volto di lui e un odio immenso, profondo, terribile, per
loro, i Klingon, loro che lo avevano
ucciso, ammazzato senza pietà, che lo sacrificato come un capretto sul loro
altare di teschi e ossa.
-David..- sussurrò, con le lacrime che
creavano solchi roventi lungo le guance –Maledetti Klingon, avete ucciso mio
figlio..-
Il morso della coscienza che riemerge,
un ringhio, un ruggito.
No, no, non era vero!
Prese un respiro profondo, annaspando
in cerca di aria, ma i suoi polmoni si riempierono all’istante di cenere e fumo,
facendolo piegare su se stesso, tossendo mentre le fiamme gli lambivano il
petto.
Il terreno tremava, squassato da un
ruggito di rabbia, da un ringhio vibrante sempre più forte.
-Esci dalla mia testa, Spock!- gridò,
al limite della sopportazione, inarcando la schiena e tendendo con sforzo
immane le braccia pesanti, sentendo i muscoli guizzare con un gemito di
protesta e i nervi spezzarsi con un crepitio assordante; si appigliò alla
realtà, la propria realtà, con tutta
la forza della disperazione, artigliando l’aria con le dita, stringendo i falsi
ricordi in una morsa ferrea e trascinandoli a terra, con un gesto secco,
furioso.
La piana si squarciò davanti ai suoi
occhi chiusi, le fiamme ebbero un ultimo guizzo, un ultimo scintillio, e si
accasciarono, morenti; il terreno si assestò con un poderoso colpo, per poi
rimanere silenzioso, muto, e il vento diminuì di intensità, fino a calare e
svanire come nebbia sottile; le piante alzarono i rami torti al cielo, le cortecce smembrate e le foglie
accartocciate, per poi essere spazzate via da un suono insistente, continuo, un
fastidioso ronzio.
Jim emise un gemito strozzato,
prendendo lunghi e profondi respiri, prima di stendersi completamente a terra,
supino, le braccia allargate, la schiena sudata contro il pavimento gelido, gli
occhi sgranati e rivoli di sudore freddo che gli colavano lungo il viso
pallido, mescolandosi alle lacrime già secche sulle guance.
Si portò una mano alla tempia,
strizzando le palpebre e maledicendo con ogni sorta di grugnito il suono sibilante
che gli stava perforando le orecchie e il cervello; gli ci volle qualche minuto
per capire che il ronzio altro non era che il segnale di chiamata
dell’intercom.
Si alzò di scatto, ignorando le urla
di protesta dei muscoli, barcollando fino all’apparecchio.
-Qui Kirk- balbettò, cercando di
riprendere il controllo.
-Jim!- l’esclamazione di McCoy investì
il Capitano con tutta la forza presente nelle corde vocali del medico –Buon
Dio, mi hai fatto prendere un colpo!-
-Bones..- sibilò Kirk, sfregandosi con
forza la fronte –Evita di urlare, ti prego-
-Evita di urlare? Evita di urlare? Sei
scappato dall’Infermeria senza una parola, come se avessi avuto dei Klingon
alle calcagna, reggendoti a malapena in piedi, bianco come uno straccio e mi
chiedi di non urlare?-
-No- il Capitano prese un altro
respiro –Te lo ordino-
Silenzio.
-Jim, come Medico Capo, ma soprattutto
come amico, vorrei che passassi la
notte in Infermeria, anche solo per un semplice controllo..-
-Bones, ne abbiamo già parlato- lo
interruppe Kirk, scuotendo la testa–Sto bene, te lo assicuro! Adesso mi faccio
una bella dormita e tornerò come nuovo, forse è solo tensione-
-Tensione? Questa scusa poteva andare
bene tre anni fa, o forse neanche quello, visto che allora avevi le energie
necessarie per farti prendere a pugni da un Vulcaniano emotivamente instabile
mentre rischiavamo di venire ammazzati da un Romulano altrettante instabile o
di finire dentro un buco nero per colpa del suddetto squilibrato - il crepitio
indicò che McCoy aveva appena ripreso fiato dopo la lunga arringa –Jim, questa
notte, solo per degli esami e..-
-No, Bones. Va tutto bene. Qui Kirk.
Chiudo- interruppe la comunicazione
senza nemmeno aspettare la protesta del medico e si gettò sul letto, chiudendo
gli occhi e coprendosi il viso con il braccio.
-Maledizione!- esclamò McCoy, colpendo
l’intercom con un pugno –Maledizione, Jim, che ti prende?
Solo in quel momento, avvolto dalle
tenebre, da una cecità voluta, Kirk si accorse di stare ancora tremando: il
corpo, bollente, era scosso da brividi gelati, e i denti continuavano a
battere, accompagnati dalle gocce di sudore che colavano fredde dalla fronte
aggrottata.
Si morse il labbro inferiore,
inspirando a fondo e ripensando alla conversazione appena avuta col medico.
Bones era preoccupato per lui, lo
capiva, certo, ma cosa poteva dirgli?
“Oh, non preoccuparti Bones, ho solo dei
ricordi di Spock, no, non il nostro Spock, quello vecchio che ora abita a Rok e
che viene dal futuro, sai quello che si fa chiamare Selek5? Sì,
proprio lui, ho i suoi ricordi che mi frullano nella testa come atomi impazziti
e mi stanno facendo diventare matto, perché ci sono momenti in cui non riesco
più a distinguere la mia realtà dalla mia
realtà, quella del me che abita dall’altra parte della staccionata del
paradosso temporale”
Oh sì, idea geniale. Perché non ci
aveva pensato prima? Ah sì, aveva già abbastanza problemi col suo Primo
Ufficiale, ecco perché.
La prima volta aveva anche trovato
divertente vedere il mondo come sarebbe dovuto essere in realtà, ma col tempo
la cosa gli era sfuggita di mano e a quel punto non poteva rivolgersi nemmeno
al suo Spock, al suo Primo Ufficiale, per chiedere aiuto, o un semplice consiglio.
Ma aveva bisogno, un bisogno disperato
di mettere un freno a quelle correnti di memorie, ricordi, rimpianti e
sentimenti che lo sorprendevano nei momenti più diversi, costringendolo ad una
lotta furiosa fra la propria coscienza e quella di un altro.
Non aveva nascosto nulla a Spock di
quanto era accaduto tre anni prima su Delta Vega, ma aveva volontariamente
tralasciato il dettaglio del Mind Meld: da quanto aveva appreso, soprattutto
dal Legame, il Contatto Telepatico era per i Vulcaniani qualcosa di personale,
troppo intimo perché ne si potesse parlare con scioltezza o indifferenza.
Con quel Contatto, si era
completamente fuso con l’anima di Spock, ne aveva sondato ogni piega, fatto suo
ogni lato, anche il più nascosto, fino a vedere
chi fosse davvero il suo Primo
Ufficiale. Aveva visto, scoperto il suo lato umano, era entrato in contatto con esso fino a comprenderne ogni
più intima sfumatura, e aveva troppo rispetto per Spock, il suo amico più che il suo sottoposto, per
ammettere di aver oltrepassato la sua maschera di rigore e freddezza, l’ unica
difesa contro il mondo che lo circondava, quella stessa maschera che persino
Nyota, col suo amore, non era riuscita a superare.
No, non avrebbe mai potuto fare una
cosa del genere. L’egoismo e la meschinità non erano fra i suoi difetti.
In verità, aveva anche pensato a
rivolgersi al diretto interessato, chiedergli perché, accidenti, oltre ai
ricordi della Supernova, avesse assorbito tutto il resto, costringendolo a condividere in silenzio una vita che non
era sua, a viverla attraverso gli occhi di un altro e vedersi, lì, sulla
Enterprise, come sarebbe dovuto essere in realtà se Nero non fosse mai arrivato
nel loro Universo6.
Affondò la nuca nel cuscino e
intrecciò le mani al petto, piegando il ginocchio destro e fissando il soffitto,
in silenzio.
Se l’altro Kirk era davvero tutto
quello che aveva visto, sentito, provato attraverso gli occhi di Spock, lui cos’era? Lui, così giovane,
strafottente, insofferente, con un quoziente intellettivo da genio, ma
l’istinto di sopravvivenza praticamente nullo, che si lanciava a testa bassa
nelle situazioni più difficili solo perché..bhè, perché esistevano, che non
credeva alle situazioni senza via di uscita e che infrangeva, senza nemmeno
troppi rimpianti, il regolamento di Starfleet?
Era come un piatto preparato dal
sintetizzatore? Con lo stesso aspetto, lo stesso gusto, ma completamente
diverso dal cibo originale?
Da bambino aveva sempre vissuto
nell’ombra di suo padre, affiancato dal suo fantasma pallido e silenzioso, e
aveva cercato in ogni modo di fuggire da quel gelo, ribellandosi a qualsiasi
cosa, a qualsiasi legge e qualsiasi costrizione, incapace trascorrere la sua
esistenza in catene, e con la sola voglia di vivere, vivere e vivere ancora, per
non essere morto prima del tempo, come lui.
Ci era riuscito, dopo sacrifici,
dubbi, lotte, alla fine aveva finalmente cessato di essere il figlio del
defunto salvatore della USS Kelvin, per diventare il Capitano della USS
Enterprise, il più giovane mai registrato negli archivi di Starfleet. Aveva
anche creduto, per qualche tempo, di essere completamente se stesso, ci aveva
creduto davvero e si era sentito..realizzato, pienamente se stesso, James
Tiberius Kirk.
Ma poi erano arrivati loro, i ricordi.
E allora la sua fuga era ricominciata,
una fuga contro qualcuno che era vivo e morto allo stesso tempo, che era lui e
non lo era, vecchio e giovane, saggio e ribelle, due Kirk diversi come la linea
temporale in cui esistevano, ma uniti da un unico legame: Spock.
Ma stava fuggendo da se stesso, dalla
propria ombra, un correre senza meta, tra bivi e curve che portavano sempre al
solito vicolo cieco, alla stessa domanda: cosa avrebbe fatto lui?
Perché era lui, ma non lui, era un Kirk diverso da Kirk, il nome era lo stesso, ma tutto il
resto era diverso, sbagliato.
Agiva e sceglieva credendo di essere
nel giusto, ma c’era sempre quella voce che lo faceva cadere nel dubbio, che
gli chiedeva “Ma lui avrebbe fatto lo
stesso?” avrebbe scelto sinistra invece di destra, bianco al posto del nero, la
fuga al sacrificio?
Era un tendere inutilmente la mano
verso qualcosa di necessario, verso la propria essenza, la propria esistenza,
ma senza riuscire mai, mai e poi mai a raggiungerla davvero, ostacolati sempre
da lui, dall’altro, dalla perfezione che non sarebbe mai potuto essere, perché
non poteva essere la perfezione, lei esisteva ed era già esistita, così diversa
da quella piccola e sciocca imitazione, che giocava ad essere qualcuno che non
sarebbe mai stato.
Il sedativo cominciò a fare effetto:
un calore diffuso, languido, lo avvolse lentamente, annebbiandogli i pensieri,
appesantendo le palpebre e il respiro.
La mente prese ad offuscarsi,
velandosi di nero, portando via con sé ogni dubbio e ogni domanda,
cancellandola, almeno per quella breve parentesi di riposo, di un sonno senza
sogni, senza ricordi, senza memorie.
Sarebbe stato solo lui, il pensiero, l’essenza di Kirk, passato, presente e futuro, e avrebbe galleggiato
in uno stato di quiete assoluta.
Avrebbe riposato e basta.
Avrebbe recuperato le forze e dato
anima e corpo per la missione che lo attendeva, perché non era contemplata
altra possibilità che la riuscita.
Non poteva permettersi di dubitare.
L’altro
l’avrebbe fatto e lui non era da meno.
Lui era James Tiberius Kirk e non
avrebbe permesso che qualcun altro prendesse il suo posto, nemmeno se stesso.
Lui era James Tiberius Kirk, e avrebbe
fatto le sue scelte, avrebbe preso le sue decisioni, giuste o sbagliate che
fossero, semplicemente perché era lui a volerlo.
Lui, James Tiberius Kirk.
Ma
anche l’altro è James Tiberius Kirk. Era
ed è, e tu? Tu cosa sei? Cosa sarai? Kirk o la sua scialba imitazione
parallela?
Un ultimo barlume di coscienza e poi
le tenebre.
1 “Ricordo” in Vulcaniano
2 “Nobile” in
Vulcaniano
3 ”Alba” in Vulcaniano
4 “Grazie” in
Vulcaniano
5 Il nome usato da
Spock nell’episodio della Serie Animata “Yesteryear”
6 E’ diventato
opinione comune tra i fan che, durante il Contatto avvenuto tra lo Spock del
Futuro e Kirk, la versione Reboot del nostro Capitano preferito abbia “assorbito”
anche gli altri ricordi di Spock, non solo quelli relativi alla Supernova. E,
ehi! Se c’è un modo per rendere ancora piSSicologicamente tormentato un pg come
il Kirk Reboot, sono pronta a cogliere la palla al balzo!
Angolo
di Nemeryal, Data Astrale 63962.8 (http://www.ussdragonstar.com/utilitycore/stardates.asp)
Nuovo
capitolo! E compaiono anche i primi OC!
Che dite, Kirk Reboot troppo OOC e mentalmente disturbato? Speremmu
de nu! XD Anche perché sarebbe fantastico rendere OOC un pg che è già
abbastanza OOC rispetto al pg cui fa riferimento!
E ora,
rispondiamo alle recensioni!
Maya891: Ecco il
seguito! Spero di non deluderti!
Lady Amber: Certo, se non fosse oscuro e incasinato non sarebbe nel
mio stile XD The Promise Land è una musica bellissima, ma è di Nobuo Uematsu,
un nome una garanzia!
Persefone Fuxia: Ah, i Romulani! Se non ci fossero dovrebbero
inventarli..che è poi è quello che ha fatto papà Roddenberry se ci pensiamo
bene..ehm! Frase comprensibilissima, invece, mi trovo d’accordo te! Infatti
Uhura sta bene solo con Chekov (quando lui non è impegnato con Sulu) oppure con
Scotty U.U
Sono
una scema, lo so! HyperTrek! Oh my dear Spock, ho
dimenticato di nominarlo! *si da cocco telematico sulla testa* Liberarmi di te?
Non sia mai!
Abdulla: Compagna
Spirkiana! Ebbene sì, sono anche io una Spirkiana convinta XD (Hai visto anche
il link che ti ho mandato per email, no? Tra un po’ cascavo dalla sedia mentre
leggevo!) Sono felicissima per la fiducia che riponi nella trama e i Romulani
DEVONO esserci, in qualche modo! Sono così teneri..più o meno!
Oh sì,
lo so quale collegamento sinaptico hanno fatto i tuoi neuroni *ghigno* Sarà
giusto, non sarà giusto? Solo il tempo ce lo dirà *svanisce in una polvere di
ghiaccio secco*
Thiliol: Speriamo
di non deludere nessuna aspettativa! Mi sento un poco sotto pressione XD
Romennim: Oh sì,
sono una Autrice sadica. E tanto anche! Spero di non deluderti!
6 Recensioni! Mi fate commuovere!
Ringrazio:
Lady Amber, Persefone Fuxia e Thiliol per aver inserito questa storia tra le seguite!
Al
prossimo capitolo!
Tai Nasha no Karosha!