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Autore: Briseide    08/09/2005    15 recensioni
"Ho bei ricordi di quel tempo.
Ogni volta che si entrava in casa di James c’era sempre un buon odore di talco e di bambino..."
Come hanno trascorso "quella" sera, Remus e Sirius.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Bei tempi



Ho bei ricordi di quel tempo.

Ogni volta che si entrava in casa di James c’era sempre un buon odore di talco e di bambino. Trovavi la sua faccia gioviale dietro la porta che apriva tenendo in braccio Harry, tutto preso a non farlo cadere tanto che spesso non sapeva neanche chi stesse facendo entrare in casa.
E si poteva sentire la voce di Lily, da chissà quale stanza, che chiedeva chi fosse il nuovo ospite, quello di turno.

“Nessun ospite tesoro!”.

E allora entravo io, scompigliavo quei quattro peli che Harry aveva in testa, e chiudevo la porta. Nessun ospite, ero solo io, il vecchio amico di James, quel matto di Sirius Black. Lasciavo lì i documenti che dovevo lasciare, scambiavo qualche chiacchiera con James e poi me ne tornavo a casa, cercando di non pensare troppo a quanto fosse triste il mio salotto in confronto a quell’allegro vociare che persisteva in casa di James.
Allora prendevo una manciata di polvere magica, la gettavo nel camino, e disturbavo Remus, tutto preso come suo solito da scartoffie o tomi spaventosi.
Doveva essere lui il marito di Lily, altro che James.

“Cosa c’è Sirius? Nella tua dissoluta vita da randagio è subentrata la noia per i vicoli e i ponti sotto i quali dormi?”.

E chiudeva lentamente il libro. E riavvolgeva la lingua, dimenticavo. Quella l’accoglienza di Remus, e la sua pillola di verità che mi metteva sempre in bocca, con quelle parole e quella caustica laconicità con la quale descriveva ciò che vedeva. Davanti a quegli occhi d’ambra, senza rancore, diceva sempre lui, solo la verità o quello che gli veniva in mente. Lo faceva solo con me, quell’esercizio. Diceva che nella vita ci voleva schiettezza, che lui non era portato, e che in qualche modo doveva pur allenarsi. Signori e Signore, eccolo lì, con la testa nel camino e la noia negli occhi e impressa nei gesti: Sirius Black, professione: Capro Espiatorio, Segni Particolari: vittimista.

“Che leggi?”.

Dava un’occhiata alla copertina del libro della serata, come se sul serio non si ricordasse il titolo di quello che lui stesso aveva scelto dalla biblioteca che occupava tutta la parete alle sue spalle. Vecchio Remus… anche lui, tutto sommato, era affezionato alla quotidianità, alle usanze che avevamo creato noi. Era tradizione che guardasse la copertina del libro, prima di rispondermi senza soddisfare la mia domanda. Lo fece anche quella sera infatti.

“Non ti interessa”.
“No infatti”.
E ora dirà:
“E allora perché me lo chiedi?”.
“E allora perché me lo chiedi?”.

Visto? Sono o non sono un genio?
No. No, non sono un genio.
Sono solo un disperato, altro che genio. Un uomo che non è molto soddisfatto di esserlo, di come è diventato, che ha il passato ancora alle spalle, e invece di andare avanti, molto spesso si ferma e aspetta tutto il tempo necessario perché quello lo raggiunga e lo aggredisca alle spalle.
Remus era un uomo che amava leggere dei tomi spaventosi la sera, seduto sul divano di fronte al camino, ed era quello che faceva tutte le sere, infatti. Questo mi impediva di mettere in atto quello stupido detto “mal comune mezzo gaudio” e di additare come disperato anche lui.
Remus non era un disperato.
Amava aiutare i disperati però, altrimenti mi avrebbe serenamente invitato a togliere la testa dal camino e lasciarlo in pace, con quella sua flemma e quel sorriso falsamente stanco e segretamente malinconico.

“Perché sono uno scocciatore”.
“Lily e James non ti hanno voluto?”.

Delle sere, ripiegava su James e la sua vita. Lui aveva accettato l’idea che quella donna fosse un essere umano e niente di diabolico come ritenevo io i primi tempi, e allora aveva anche ceduto all’idea di poterla chiamare con il suo nome. Io non la chiamavo e basta, usavo un pronome personale o un cenno con la testa se era in un raggio di metri accettabile.
A Remus piaceva Lily, era molto soddisfatto della scelta di James, quasi quanto gli dava piacere provocarmi con quella storia.
Io e James, amici da una vita, scambiati per fratelli di sangue da chi non conosceva la mia storia e il mio passato – pochi, molto pochi e neonati – all’improvviso avevamo separato le nostre strade, lui da una parte io dall’altra, anche se ci vedevamo assiduamente e con la stessa vitalità ed euforia di un tempo.

Lui sotto un tetto, con un figlio sulle ginocchia e una moglie dietro al divano, con una mano delicata sulla sua spalla forte, e io sotto un ponte a parlare con un ubriaco come me, o a mangiare qualcosa alle tre di notte seduto al tavolo della mia cucina, o a strofinarmi ripetutamente e ritmicamente contro il corpo di una donna con un nome facilmente dimenticabile. O con la testa nel camino di un amico paziente e pietoso, che avrebbe accolto le mie pene e la mia disperata solitudine e tristezza.

Accidenti, se era un amico, Remus. Ma non pensava – e diceva – tutto quello con una cattiveria di fondo. Cercava solo un modo per farmi reagire, per farmi uscire da quell’indolente torpore che mi aveva avvolto. Ma in realtà ero stato io ad avvolgermi in quel caldo e confortevole letargo, e quelle parole potevano tranquillamente rimbalzarmi addosso.
Ecco perché quella sarà stata la millesima sera che mi intrufolavo nel suo salotto e interrompevo la sua lettura.

“Vuoi almeno degnarti di trascinarti qui a tutti gli effetti?”.

Domandava alzando gli occhi al soffitto e prorompendo in uno sbuffo. Si, poi arrivava il momento dell’invito. Del pensiero: “Se Ce L’ Ho Davanti Agli Occhi Lo Convinco Meglio”.
Ma… convincere me non è una cosa da niente. Il più delle volte io sono convinto, ma fingo di non esserlo, così faccio diventare matta la gente e io ne ricavo una perfida ed infantile soddisfazione personale.
Ma voi non state capendo, non è vero? Cosa c’è dietro a tutte queste parole. Il perché vi sto dicendo tutto questo, mi sto smascherando, sto dando a tutti la riprova di quanto sia patetico e ridicolo il virile e arrogante Sirius Black.

“Non vorrei disturbare”.

Ribattevo io, allora. Con un bel ghigno stampato sulla faccia, quasi sempre coperta da uno strato di barba non fatta. Ero arrivato alla metà dei trent’anni, non era più tempo di scherzare, ma io e il tempo abbiamo un rapporto davvero esclusivo e molto particolare: ci ignoriamo a vicenda, siamo d’accordo così da un bel pò di anni e tutto fila liscio, tra di noi.

“Allora perché hai la testa nel camino e mi interrompi mentre leggo? Dai vieni, idiota”.

A quel punto, ci andavo sul serio, perché ne avevo realmente voglia. Chiudevo la porta con un incantesimo, e precipitavo nel suo salotto con un colpo di tosse e un imprecazione, tanto per dimostrarmi un po’ infastidito da quella proposta e dal disturbo che aveva comportato per me, tanto per fare un po’ lo stronzo insomma.

“Come sta James?”.

Mi domandava porgendomi una birra, che io allungavo sempre con qualche altro alcolico, non essendo abituato al sapore insulso di quella roba babbana. Non ci sapevano fare i babbani con gli alcolici, dov’era il gusto in quell’acqua tinta di giallo? E scrollavo le spalle, sedendomi sul divano.
“Indaffarato”.

E chiudevo lì la parentesi su quel che riguardava James. Non mentivo mai su di lui, che era indaffarato era la verità: con suo figlio, con una moglie che non era affatto carina, amabile e affettuosa come dovrebbe essere una moglie, con il lavoro e con l’Ordine, nel quale era voluto entrare per forza. Silente era stato molto critico e severo nel suo giudizio a quella scelta di James. Aveva il mio appoggio, da una parte: non volevo che il mio amico si stressasse con tutto quel da fare, tra famiglia e lavoro, ma alla fine l’idea delle avventure che ci avrebbero visti di nuovo vicini, aveva preso il sopravvento. E non avevo più obiettato.

“Immagino. Ora ci si mette anche l’Ordine”.

Aggiungeva Remus, aprendo la sua birra e bevendo un sorso. A lui bastava quella. Ovviamente Remus non era d’accordo con me, non lo era con James, e lo era con Lily. Non ho mai capito da quale caspita di parte stesse, Remus. Nostro amico e compagno per sette anni, per quella che era stata la vita vera, quasi, e poi si alleava con la donna che aveva inglobato il nostro migliore amico in un mondo assurdo che non sarebbe neanche stato il suo, non fosse per lei.
Era partito subito con la storia della famiglia che James si era creato, accettando anche le responsabilità che comportava farlo.
Ma James mi aveva reso fiero, aveva scosso la testa, assicurato che era nelle sue possibilità farlo, altrimenti non avrebbe mai accettato. Detto fatto. James nell’Ordine della Fenice, e Lily alle costole che lo pregava allora di consentirle l’entrata. Nell’Ordine della Fenice, Lily Evans, non avrebbe messo piede. Ci avrei pensato io a tenere la porta chiusa.
E se poi gli ammazzavano la moglie, chi lo sopportava James? E quel bambino che fine avrebbe fatto, cresciuto da un padre come James e con la presenza di un individuo come me nella sua infanzia? Lo avremmo traviato, povera creatura.
Come vedete, anche io so essere umano, altruista e in grado di avere delle preoccupazioni, che non siano l’aver messo incinta la ragazza di turno.

“Andiamo, Remus. Non è quello il problema”.
Remus alzava sempre un sopracciglio solo quando era scettico. E infatti, era schizzato subito in alto, quel sopracciglio.
“Ti ricordi all’inizio, Sirius?”.
La birra babbana, faceva quell’effetto a Remus. Non si ubriacava mai, non era mai neanche brillo, ma si immalinconiva. E la malinconia, è la cosa peggiore che possa esistere, io non la sopporto. Ma su Remus assumeva dei toni particolari, e riuscivo quasi a comprendere perché gli succedesse una cosa simile. E pensavo che mi aveva invitato da lui, che mi sopportava, che non aveva potuto finire di leggere il libro… allora glielo lasciavo fare.
“Quando ce lo ha detto?”.
Soggiunse. Perché ero rimasto in silenzio, a quella domanda.
Annuii. Io avevo ancora tutte le voci nella testa, dell’inizio, di quando ce lo aveva detto.

“Lily aspetta un figlio”.
“Hai messo incinta la Evans?”.
Eccomi, quello sono io.
“Sirius, Cristo!”.
Questo è Remus.
“Aha”.
Di nuovo James, che rubava il mio bicchiere di super alcolico e lo beveva tutto.
“Perché osi negare che non sia così?”.
Ecco, subito pronto a tirar su polemiche.
“Sei spaventato?”.
Remus, che mi ignorava e faceva il comprensivo.
“Non lo so”.
James, che come suo solito, un’idea chiara non ce l’aveva mai, a meno che non si trattasse dell’amore per la Evans e dell’amicizia con me e Remus. Forse anche con Peter.
“E’ tuo?”.
Visto che eravamo in tema di domande, quella mi era sembrata legittima.
“Sirius,…”
“Cristo, si!”.
Prima Remus, indignato, poi James, indignato.
“Lily come sta?”.
Remus, versione amico di famiglia. Molto commovente, ma lì per lì mi venne da ridere. Complice la birra babbana allungata con un super alcolico dei miei. Abbiamo riso molto, quella sera. Di James padre, di Remus amico di famiglia, della Evans alle prese con un parto. Alla fine io e James eravamo ubriachi e Remus un po’ brillo. Tutto in onore di Harry: doveva esserne fiero, quel frugoletto, se aveva fatto ubriacare suo padre sotto il regime della Evans, nel periodo del proibizionismo in casa Potter. Allora mi convinsi che quel bambino non era un male, e che avrebbe fatto grandi cose, con una premessa del genere, un padre come James, una spalla come Remus… e… si, una madre come la Evans, e un padrino come me, ovviamente.

Quella sera, io e Remus eravamo seduti sul divano di casa sua, a parlare di quando James ci aveva annunciato l’arrivo di Harry, di quando si era sposato e io avevo dimenticato una fede, confondendola con un cerchietto del motore della mia moto. Di quando ci eravamo ubriacati, per festeggiare la nostra riuscita nella trasformazione in Animagus, di quando Lily l’aveva avuta vinta ed era diventata un Membro dell’Ordine della Fenice. E di quando io e lei avevamo litigato, e poi era rimasta a casa con me per una settimana, quando mi ero ammalato e nessuno di loro aveva avuto tempo.


Quella sera, io e Remus eravamo seduti al divano di casa sua, con due birre in mano, a parlare del nostro inizio, mentre a casa Potter qualcuno suonava la porta, e un gioviale James la apriva, con in braccio Harry, tutto intento a non farlo cadere, e mentre la Evans, indaffarata in chissà quale stanza, domandava chi fosse l’ospite di quella sera, l’inizio del quale parlavamo noi, stava avendo fine, nel preciso momento in cui James sbatteva la porta e urlava a Lily di prendere Harry, e andare via, di raggiungere me o Remus probabilmente.

Quella sera, io e Remus ridevamo di noi, e di James e di Lily, senza sapere che avremmo dovuto iniziare a piangerli. Presto, molto presto, troppo presto. Nel preciso istante in cui io poggiavo la birra sul tavolino e James sbatteva la porta.
Nel preciso istante in cui Lily stringeva Harry e chiudeva gli occhi, e Remus apriva il frigorifero per prendere altre due birre.

Nel preciso istante in cui due parole risuonarono insieme nell’aria:

Avada Kedavra.
Bei tempi.




Fine. [Il resto, è storia]

  
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