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Autore: Kioto    17/06/2010    2 recensioni
"Berlino era grande. Berlino era cupa.
Berlino era la nostra tana."
La storia si svolge nel futuro, attorno al 2015, in una Germania diversa da quella che conosciamo ora. Richiama un po' il periodo della seconda guerra mondiale per la tensione e la paura che c'è nell'aria, ma quegli avvenimenti non fanno parte della trama.
Se accadono determinate cose hanno tutte un significato che magari verrà spiegato più avanti nella storia o che è già stato spiegato in precedenza con un sottile filo di collegamento. Tuttavia vi informo che chi legge deve avere una mente pronta a tutto, al peggio come al meglio. Inoltre vorrei precisare che la situazione è drammatica, quindi qualche gesto che potrebbe essere avventato in realtà non lo è.
Il titolo della fan fic è ispirato dall'omonima canzone dei Cinema Bizarre e, oltre alla progatonista femminile, il secondo personaggio principale è Tom Kaulitz. Gradirei che quello che ho scritto non venisse copiato e/o pubblicato da qualche altra parte senza il mio consenso. Grazie per l'attenzione.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Fu dura per Tom andare via, quel giorno.
Avvertimmo Simone della nostra decisione, ma quando lasciarono casa nostra, Bill e Sara non si erano rivolti una parola.
Quelli sarebbero stati gli ultimi due giorni con le ragazze. Dopo che le avevo ritrovate le avrei dovute lasciare per scappare lontano.
Quel periodo era tremendo. Avevo ogni giorno la costante paura di trovarmi un poliziotto davanti al viso e non vedevo l’ora di arrivare in Italia. Ma contemporaneamente non volevo abbandonare Sara, Stefania e Giulia.
Quest’ultima non parlava e mangiava poco. Era dimagrita tantissimo da quando l’avevano riportata a Bömberg ed era più pallida del solito.
Era la notte fra il 30 e il 31 e non riuscivo a dormire. Il mattino seguente Bill sarebbe venuto a prendermi con Tom. Avremmo dovuto fare tutto nell’ombra più oscura, in modo che la gente non ci vedesse.
Erano a malapena le 5 quando mi alzai e andai in bagno, come al solito.
Giulia era seduta in soggiorno, non aveva ancora preso sonno.
Mi avvicinai e mi sedetti al suo fianco.
Mi guardò con la coda dell’occhio.
- Come stai?
Non rispose, come al solito.
- Sai che questa sarà l’ultima volta che ci vedremo, prima che parta?
Non rispose, ma abbassò lo sguardo.
- Ti devo la vita. – aggiunsi.
Mi guardò con gli occhi tremanti e poi mi abbracciò.
La strinsi a me come mai prima d’allora, quasi con la paura che potesse svanire dalle mie braccia e tornare a Bömberg.
- Abbi cura di te e del bambino. – mormorò con voce rauca.
Erano le prime cose che sentivo uscire dalle sue labbra, dopo la sera che tornò a casa.
Annuii con la testa.
- Gustav verrà a cercarti, fatti trovare e tentate anche voi di scappare. Se non vuoi farlo per te, fallo per me.
Non rispose, ma strinse la presa sul suo corpo, per poi slegare le sue braccia e, guardandomi, annuire.
Poco più di un’ora dopo, una Audi Q7 bianca si fermò davanti a casa. Giulia era andata a dormire e al suo posto si era svegliata Stefania, che si era fatta una camomilla.
Alla vista della macchina parcheggiata davanti al marciapiede, si alzò dal tavolo e mi venne incontro.
Presi la borsa e, quando mi voltai, me la trovai davanti, con gli occhi lucidi.
- Non piangere, ci vedremo presto. – cercai di rassicurarla, mentre mi abbracciava.
Annuì con la testa e mi tenne stretta a sé per un po’.
- Abbi cura di te e del bambino. Son sicura che starete bene.
- Non preoccuparti. – le sorrisi.
Dalle camere comparve l’alta figura di Sara.
 Mi avvicinai per salutarla ma mi bloccò.
- Non se ne parla neanche, io ti accompagno.
- Sara, ma..
- Niente ma. E dammi la borsa che pesa.
Mi prese la borsa e aprì la porta.
Rivolsi un ultimo sorriso a Steph e poi uscii.
Tom aprì lo sportello ed uscì dalla macchina. Lo stesso fece Bill dalla parte opposta.
- Vi spiace se mi aggiungo anche io? Sapete com’è, vorrei che ci arrivasse sana e salva almeno al fantomatico camion. – disse Sara lanciando la borsa dentro l’auto per poi sedersi.
Mi sedetti dietro con lei, Bill alla guida e Tom al suo fianco.
La macchina si allontanò dalla casa che mi aveva ospitato negli ultimi mesi, e riuscii a vedere Stefania che ci guardava oltre il vetro di una finestra.
Passarono 20 minuti prima che la macchina rallentasse e, successivamente, si fermasse del tutto.
Bill aveva parcheggiato nel retro di una fabbrica di surgelati che importava materiale dall’estero.
Un furgoncino era parcheggiato proprio là affianco.
Tom fu il primo a scendere e a guardarsi attorno.
Bill spense il mezzo e poi seguì il fratello. Io e Sara, per ultime.
Entrammo nel grande magazzino e gli operai si voltarono a guardarci.
Mi sentivo fuori luogo.
Un uomo barbuto, grasso e basso si avvicinò a noi frettolosamente e salutò i gemelli con un sorriso.
I due ne abbozzarono un altro di risposta.
- Puntuali come un orologio svizzero eh! – commentò facendoci strada verso l’esterno.
Tom si avvicinò e mi strinse una mano mentre ci avvicinavamo ad un furgoncino nero.
- Eccoci qua. Attraverseremo la frontiera oggi stesso, tempo permettendo. Poi ci dirigeremo in Francia e poi dritti in Italia.
Annuimmo tutti.
L’uomo aprì gli sportelli posteriori del mezzo e ci fece segno di salire, mentre lui andava alla guida.
Accese il motore del mezzo quando mi voltai verso Sara.
Mi saltò addosso, sovrastandomi in altezza ma abbracciandomi comunque.
- Abbi cura di te, ti prego.
- Stai tranquilla. – la rassicurai. – E tu non lasciarti trasportare dall’orgoglio.
- Non lo farò, promesso.
Le sorrisi e mi voltai per salutare Bill, quando lo vidi parlare col gemello.
- Sai che non avrei mai pensato che questo momento potesse arrivare? – disse.
Tom sghignazzò.
- Certo che lo so. L’ho sempre pensato anche io.
- Non dimenticherai come si suona In die Nacht, vero?
- Così come non dimenticherò come si suonano tutte le altre canzoni.
- E perché non hai la chitarra con te? – lo rimproverò il gemello.
Tom rise.
- Era troppo pesante, Bill!
- Hai ragione, scusa.
- Ci rivedremo, lo sai.
- Sì, lo so. Ma ho paura, che ci vuoi fare? Lo sai che sono sempre stato cagasotto!
- Almeno in questo non siamo gemelli.
- In realtà stai morendo dalla paura anche tu.
- Sì, ma io ho paura di qualcos altro, mica di quello che hai paura tu.
- Ma sentiti! Incredibile!
Tom scoppiò in una sonora risata e avvolse il fratello tra le sue braccia.
Le mani affusolate di Bill si fecero strada sulla felpa oversize di Tom e lo strinse a sé, sorridendo.
- Sarai un padre in gamba, lo sento.
- Salutami ancora la mamma e Gordon.
- Lo farò, tranquillo.
Si separarono e poi Bill mi si avvicinò e, abbassandosi, mi salutò.
- Non dare al bimbo i nomi che piacciono a Tom, ti scongiuro. – mi sussurrò.
Sorrisi nascondendo il viso nella sua sciarpa.
- Cercherò di tenergli testa, lo prometto.
- Mi fido di te, fin’ora sei stata l’unica a renderlo così felice.
Arrossii e gli sorrisi mentre slegava il suo abbraccio.
Indietreggiò e Sara gli prese una mano.
Tom salì per primo sul furgone e poi mi aiutò. Poggiammo le borse sul fondo e poi Tom chiuse gli sportelli, rivolgendo un ultimo sguardo al gemello.
- Siamo pronti? – domandò l’uomo alla guida.
- Sì, possiamo andare. – annuì Tom stringendomi tra le sue braccia.
- Perfetto. Io sono Dirk.
- Tom, piacere di conoscerla.
- E lei signorina?
- Andrea.
- Perfetto ragazzi; l’Italia ci aspetta.
Sospirai e mi strinsi ulteriormente tra le braccia di Tom, sentendo il suo calore avvolgermi e le sue mani accarezzarmi la pancia.
   
 
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