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Autore: Graine    18/06/2010    4 recensioni
Questa è la prima storia che ho il coraggio di pubblicare, probabilmente non è uno dei miei lavori migliori ma è uno di quelli a cui tengo di più!
La protagonista è Boudicca, la regina della tribù britanna degli Iceni, che guidò la ribellione contro i romani avvenuta nel 61 D.C. e la shot è ambientata nei momenti precendenti la battaglia finale contro i romani. Ho immaginato le parole dell'ultimo discorso di incitamento alle truppe.
Consiglio, inoltre, di leggere ascoltando il brano che ho linkato in quanto, oltre ad avermi ispirata per la stesura della shot, credo fornisca anche l'atmosfera giusta :)
Buona lettura!
Genere: Guerra, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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The Virgin Queen Soundtrack - Traccia 05

 
Colonna sonora di una miniserie della BBC - davvero splendida - incentrata sulla vita di Elisabetta I, regina di Inghilterra. Credo che il brano si adatti bene anche per un'altra grande regina! :)



L’Ultima Battaglia
 

 
 
Guardavo la grande foresta al margine della valle e osservavo le foglie degli alberi e i fili d'erba che si agitavano debolmente sotto la stessa brezza che mi scompigliava i capelli; ascoltavo il suono della vita fatto del canto degli uccelli, del fruscio del vento e di tutto ciò che mi circondava e assaporavo la morbidezza del terreno sotto di me.
Briga... avevo la sensazione che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrei potuto godere di quei piaceri così semplici eppure così intensi.
In altre occasioni avevo pensato che avrei anche potuto non sopravvivere alla battaglia che mi accingevo a combattere, ma questa volta era quasi una consapevolezza.
Sì, in effetti non avevo dubbi al riguardo: in qualunque modo si fosse conclusa, quella sarebbe stata la mia ultima battaglia.
E nonostante tutto non mi faceva paura, perché non era perdere la vita ciò che mi preoccupava. A quell'idea non provavo nulla.
Dei passi alle mie spalle, sapevo già di chi si trattasse.
«È ora».
Come sempre, Emer era venuta ad avvisarmi che i guerrieri erano pronti e stavano aspettando soltanto me.
Negli anni, quello era diventato il suo particolare modo fatto di sottointesi per salutarci prima di ogni scontro. Senza dover mai così dire frasi come "buona fortuna" o "sta’ attenta", o "addio".
Rimasi seduta qualche altro secondo ancora. Chiusi gli occhi e respirai profondamente, assaporando la sensazione dell'aria fresca nei polmoni, godendomi quel momento di calma e libertà che mi riportava alla mente i tempi in cui le legioni non avevano ancora messo piede sulla nostra terra: i tempi in cui la vita era nostra e non soggetta alla legge di Roma.
Riaprii gli occhi alzandomi e mi voltai verso la mia bionda amica, che era sempre stata come un'altra sorella per me. «Sì, sono pronta anche io», le dissi.
Emer ricambiò sorridendomi teneramente, una cosa che non le vedevo fare da tanto, dal giorno in cui i legionari mi avevano fustigata e avevano violentato le mie bambine. Il giorno in cui i miei occhi si erano animati di un'unica e famelica luce: la vendetta. Quel sentimento aveva sostituito la mia caratteriale allegria, quella gioia di vivere che avevo sempre avuto nonostante le difficoltà che avevamo dovuto patire negli anni.
Ma quel suo sorriso così spontaneo mi scaldò il cuore. Durò un attimo e fu sufficiente, non avevamo bisogno di dirci altro, non avevamo bisogno di parole noi. Un solo momento prima di incamminarci verso l'esercito di guerrieri che aspettavano solo me, la guerriera, la regina, la condottiera vittoriosa che li aveva chiamati alla rivolta.
Io: Boudicca – come loro mi chiamavano.
Avevo trascorso la vita a combattere, la lotta mi scorreva nel sangue, muovermi in un campo di battaglia mi era sempre stato naturale quanto correre o respirare. Ero nel mio elemento.
Un tempo i nemici erano le tribù confinanti con le terre del mio popolo, gli Iceni. Da vent'anni il nemico era cambiato, era venuto dal mare, dal grande continente, e dal suo arrivo tutto era mutato. Ma l'errore più grande lo avevamo commesso da soli e i romani ci avevano lasciato fare, godendo dei frutti della nostra stupidità. Imperterriti, avevamo continuato a combatterci tra di noi, troppo ciechi e ottusi per renderci conto della reale entità del pericolo che l'Impero rappresentava. Finché non era stato troppo tardi.
Presi la mia lancia dalle mani di mia sorella Isara – anche lei con lo stesso sguardo e lo stesso sorriso che avevo visto sul volto di Emer poco prima – e salii sul carro da guerra che alcuni dei guerrieri avevano costruito per me nei mesi precedenti.
Io ero stata la loro luce, il loro fuoco e avevano ritenuto giusto che la loro condottiera andasse in battaglia seguendo le tradizioni degli antenati.
Col mio arrivo i brusii erano cessati immediatamente e tutti aspettavano, tesi come le corde di un'arpa, che dicessi qualcosa per dare inizio a quello scontro finale.
Sì, che avessimo vinto o perso quella sarebbe stata la battaglia decisiva. La battaglia che avrebbe segnato il definitivo corso degli eventi, il destino della nostra isola. E lo sapevamo tutti.
Diedi uno sguardo veloce alle legioni schierate nella valle sottostante la pianura su cui noi ci trovavamo.
Cercai senza trovarlo l'unico di cui volessi conoscere il volto: Svetonio Paolino, il governatore della provincia più settentrionale dell'Impero. Sapevo di avere i suoi occhi addosso dal momento in cui ero apparsa, li sentivo studiarmi silenziosamente, affilati e crudeli.
I miei facevano lo stesso con quelle schiere di romani. Volevo solo versare quanto più sangue potessi – il loro – e fare vendetta – la mia.
Nonostante tutto, non li avrei mai sottovalutati. Li detestavo per quello che avevano fatto alla mia terra, alla mia gente e alle mie figlie e il pensiero delle mie bambine mi scatenava una furia cocente e silenziosa, pericolosa e crudele; ma quell'ira non mi avrebbe impedito di essere lucida, avevo imparato da tempo a scatenarla in tutta la sua devastante irruenza solo quando era il momento.
Sì, li detestavo ma li rispettavo per come mi era stato insegnato di rispettare il nemico affinché non se ne trascurassero le capacità.
Detestavo la loro tecnica bellica perfetta e, soprattutto, detestavo il fatto che, in vent'anni, noi fossimo stati tanto stupidi da non studiarla accuratamente, così da individuarne con più precisione i punti deboli. Se lo avessimo fatto, se avessimo agito con lucidità, la Britannia si sarebbe ribellata già molto prima.
Era difficile distinguere i romani da lontano, tutti con le loro armature così simili.
Di contro, io ero sempre stata facilmente riconoscibile, anche nella mischia: i miei capelli lunghi, ricci e fiammanti erano il mio vessillo e bastava il loro rosso a dipingere di terrore i volti dei nemici.
Sollevai un sopracciglio: li avevo studiati abbastanza, sapevo che avevano già iniziato a temere per le loro vite nel momento in cui mi avevano scorta e il mio fronteggiarli con lo sguardo così a lungo li irritava per la sfida che lanciavo loro, col mio comportamento.
Mi voltai verso i miei guerrieri, verso le tribù di Britannia che avevano risposto al mio invito a unirsi a noi Iceni, e con voce alta e chiara iniziai a parlare: «Ho pensato molto a cosa vi avrei detto, quando questo giorno fosse arrivato. Più volte ho cercato di trovare le parole più adatte per cancellare quell'angoscia strisciante che, nonostante il coraggio che anima i nostri cuori, continua a disturbare le nostre notti dall'inizio della rivolta… Perché la verità è che il coraggio, da solo, non basta e a questo punto ne siamo fin troppo consapevoli.
Voi avete paura, lo so – lo leggo nei vostri occhi – e anche io ne ho, e parecchia, perché indipendentemente da come finirà, le azioni che compiremo oggi determineranno l'esito ultimo non di una semplice battaglia, ma di una guerra... ed è una guerra che va avanti da più di vent'anni. Oggi prenderemo definitivamente in mano il nostro destino e decideremo in che modo dovrà continuare la linea della vita che gli Dei hanno tracciato per noi. Oggi potrà essere il tramonto di tutto ciò che conosciamo oppure l'alba di un nuovo inizio.
E la paura... anzi, il terrore di perdere... attanaglia i cuori, impedisce di respirare, paralizza e rende impotenti, annullando qualunque ardore».
Mi osservavano in silenzio quelle migliaia di guerrieri, e vedevo nei loro volti che l'inquietudine di cui parlavo e che loro, come me, non si erano permessi di manifestare li aveva logorati per troppo tempo.
Non sapevo se ce l'avremmo fatta, se avremmo davvero sconfitto i romani, ma se c'era una sola possibilità che ciò accadesse allora avrei fatto di tutto perché quella singola possibilità si trasformasse in realtà e per farlo dovevo essere certa che loro capissero quello che intendevo dire.
Il tempo della delicatezza era finito, e da molto.
«Non sono qui per dirvi che la paura è un male necessario e che il vero valore sta nel superarla. Io sono qui per dirvi che, semplicemente, questa stessa paura è un lusso che non possiamo permetterci!», urlai quindi, vedendo i loro visi rianimarsi.
Sì, avevano capito che cosa stavo chiedendo loro.
A quel punto, lasciai semplicemente che il fuoco tornasse a bruciarmi e si diffondesse dentro di me. Indicai i romani col dito. «Lì, schierato nella valle c'è il nostro nemico e questo è il momento che aspettavamo da oltre vent'anni! L'opportunità di rispedire i romani da dove sono venuti e riprendere il controllo e il possesso delle nostre vite! Ed è per questo che non possiamo arrenderci adesso! È per questo che non possiamo lasciarci andare alla paura! Non dopo tutti gli anni di schiavitù e morte, violenze e abusi... non dopo tutte le ingiustizie che abbiamo patito!».
In risposta, i miei guerrieri urlarono rabbiosi. E quelle urla erano la conseguenza del fuoco che da me stava fluendo fino a loro: il fuoco della battaglia.
«I romani non si sono soltanto presi la nostra terra, non ci hanno soltanto reso loro schiavi; loro hanno cercato di piegare i nostri spiriti e la distruzione del Sacro Tempio dell'isola di Mona è l'ultimo atto di una lunga serie volta a questo obiettivo. I druidi hanno sempre fomentato la resistenza e distruggendo l'eredità che essi tramandano da secoli hanno voluto ferirci al cuore in modo che non avessimo più la forza di opporci. Io vi imploro di aprire gli occhi e guardarvi dentro perché in ognuno di voi brilla il fuoco sacro della libertà, donatoci dagli Dei e dalla Grande Madre Briga quando siamo nati!».
Di nuovo, le loro urla di assenso furono la risposta che cercavo. Il mio popolo era lì, era con me e lo sarebbe stato fino alla fine.
«Se volgerete lo sguardo alle vostre spalle, vedrete le vostre famiglie, riunite intorno al campo di battaglia come da sempre si è fatto presso i nostri popoli. Le persone che noi tutti amiamo sono qui, oggi, e voi vedete le vostre figlie e i vostri figli come io vedo le mie. Per cui io adesso vi dico: guardateli! Perché oggi, più che in qualunque altro giorno, è per loro che combatteremo!
Quei bambini sono il nostro futuro e il futuro di questa terra che ci ha dato la vita, una terra che come una madre amorevole ci ha cresciuti negli anni precedenti l'invasione! Noi ricordiamo com'era allora ma loro... non hanno mai conosciuto il vero significato della libertà: gli è stato dato il nome di schiavi e di servi dell'Impero prima ancora che vedessero il loro primo sole!».
Sta volta non seguirono delle urla alle mie parole e io continuai. «I romani hanno tentato di privarci della nostra eredità uccidendo e braccando come animali i nostri sacerdoti, ci hanno privati della libertà e della dignità, ci hanno tolto le spade, noi donne più di tutti siamo state umiliate e mortificate nel nostro essere guerriere poiché tra di loro le donne non hanno il diritto di battersi o di governare! Ma finché avremo voce per raccontare e bambini a cui tramandare, allora le nostre storie e il nostro orgoglio non andranno perduti! E finché avremo delle braccia per sollevare le armi, combatteremo!
Oggi è nostro dovere e nostro diritto prendere il profondo odio che ci ha avvelenato i cuori in questi anni e usarlo per darci la forza di compiere quest'ultimo gesto e, col volere degli Dei, distruggere quelle legioni!».
Ancora silenzio. L'unico suono che giungeva alle mie orecchie era il gracchiare dei corvi e il sibilo delle fronde degli alberi mosse dalla brezza. Respirai l'aria limpida a pieni polmoni, preparandomi alle ultime parole che avevo da dire.
Sentivo ogni muscolo del mio corpo teso nello sforzo e pronto alla battaglia ormai imminente, il momento era giunto e lo avvertivo in ogni fibra del mio essere. Presi un altro, profondo, respiro e urlai con quanto fiato e forza avessi in corpo: «Guerrieri! Britanni! Adesso e in questo giorno, faremo vedere loro il vero motivo per cui le tribù di Britannia si sono unite!».
A quell'ultima parola, un boato di urla fragorose esplose e si propagò per l'intera valle. Non erano solo le voci delle guerriere e dei guerrieri del mio esercito, ma quelle di ogni britanno riunito lì e quell'urlo significava che ognuno di noi era pronto a morire piuttosto che soccombere lentamente sotto la legge di Roma.
 
 
 

 

FINE
 

  
 


 


 

Angolo autrice:
Questa è la prima storia che ho il coraggio di pubblicare, probabilmente non è uno dei miei lavori migliori ma è uno di quelli a cui tengo di più! La protagonista è Boudicca, la regina della tribù britanna degli Iceni, che guidò la ribellione contro i romani avvenuta nel 61 D.C. e la shot è ambientata nei momenti precendenti la battaglia finale contro le legioni.
Ho immaginato le parole dell'ultimo discorso di incitamento alle truppe. Purtroppo le notizie sul suo conto sono poche e inerenti solo alla rivolta (e anche qui, Tacito non si prolunga più di tanto). Ciò che ci è noto è che alla morte di Prasutago, re cliente romano e consorte di Boudicca, la regina rivendicò il proprio diritto di condottiera degli Iceni e, come tale, di continuare lei stessa a trattare con i romani.
Inoltre Prasutago aveva lasciato i propri possedimenti per metà in eredità alle figlie e per metà all'imperatore Nerone.
Nel primo caso affinché gli Iceni non venissero schiavizzati e nel secondo seguendo quello che era un costume dovuto al rapporto di clientela. I romani, però, non riconoscevano alcuna autorità ad una donna e, per tutta risposta, giunsero al villaggio Iceno, fustigarono pubblicamente Boudicca e ne violentarono le figlie. Dopo un tale atto, la condottiera degli Iceni decise di ribellarsi e comandò quella che, fino ad allora, fu la più grande rivolta di una provincia contro l'impero. Al suo passaggio furono rase al suolo le città di Camulodinum, Londinium e Verulanium ma quando i gerrieri britanni si scontrarono in campo aperto con le legioni del Governatore Svetonio Paolino - di ritorno dalla distruzione dell'isola e centro druidico di Mona -, la loro superiorità numerica dovette soccombere contro la superiore tattica bellica romana.
Tacito dichiara che, non volendo dare ai romani la soddisfazione di averla catturata, Boudicca preferì la morte e si avvelenò.
Alcuni studiosi, tuttavia, oggi ritengono che quella che Tacito riporta possa essere una morte più adatta ad una matrona che ad una guerriera celta. Tutto il resto, la sua vita o ciò che pensasse o provasse, possiamo soltanto immaginarlo.
Boudicca è la mia eroina ed è per questo che ho deciso di scrivere questo breve testo, affinché, nel mio piccolo, potessi contribuire a rendere la sua storia un po' più nota.
Detto questo mi farebbe davvero moooooolto piacere leggere qualche vostra recensione!!


Graine


 

   
 
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